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Autore: FrecciaJones    28/02/2013    2 recensioni
Anna è una ragazza di 25 anni che a seguito di una delusione decide di lasciare l'Italia per andate in Canada. Questo viaggio le cambierà la vita.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi sono sempre chiesta quale istinto spinga noi donne e uomini a scappare via dai problemi senza tenere conto delle conseguenze. Ci deve essere un preciso meccanismo, se non biologico, psicologico che fa partire in noi uno strano istinto di sopravvivenza delle emozioni, come se la delusione fosse capace di distruggere quel poco di buono che ci resta, per questo motivo ci chiudiamo a riccio, proteggiamo quello che di noi rimane . La fuga fa parte del piano, più ti allontani dalle cose che potrebbero ferirti più abbassi le possibilità di perdere te stessa.  Me lo chiedo da un paio di anni, da quando lasciai l’Italia dopo aver scoperto che il mio fidanzato mi tradiva con la mia migliore amica. Avevo perso l’amore, non aveva una spalla amica su cui piangere e aveva deciso di mandare all’aria ogni mio progetto lavorativo. Avevo ancora la mia famiglia, ma, a parte i miei genitori e mio fratello, ovunque mi voltassi vedevo zie impiccione e finti perbenisti che con la scusa della parentela facevano domande considerate troppo “intime” per essere lasciate agli estranei , perché , si sa, “i panni sporchi vanno lavati in casa” .
Un tradimento mi aveva fatto lasciare il mio paese, una vecchia amicizia mi portava a Vancouver . Al liceo sognavo Londra, Parigi, New York, mai avevo pensato al Canada, ma era troppo presto ed io ero troppo instabile per impegnarmi a riprogrammare la mia vita dal nulla , così decisi di andare a vivere da chi per anni mi aveva sopportata. Monica era stata la mia coinquilina per cinque anni ai tempi dell’Università, la migliore che si potesse desiderare, allora vivevamo praticamente in simbiosi e adesso, nonostante le distanze, eravamo riuscite a conservare il rapporto. Decidere di raggiungerla non era stata una scelta progettata e ponderata, , semplicemente sembrava la cosa giusta da fare. Erano passati sette giorni dall’ultima volta che c’eravamo sentite, e lei non aveva notato nessun miglioramento nel mio stato d’animo, si sforzava di essere positiva, di non girare il dito nella piaga, ma i miei pensieri erano talmente pesanti al riguardo da far sentire in imbarazzo gli altri, anche lei, che si trovava in un altro stato e mi guardava attraverso un monitor.
-          “Quindi che farai?” mi disse, riferendosi al fatto che era sabato e che forse sarebbe stato meglio per una giovane ragazza single uscire .
-          “Forse parto …” risposi io , non comprendendo minimamente a cosa Monica si riferiva.
-          “Vieni a da me!” aggiunse lei con i suoi occhi vivaci che raccontavano la sorpresa nell’essersi resa conto di avere una soluzione a portata di mano .
-          “Venire in Canada? A fare che?”
-          “Intanto una bella vacanza …”
-          “Non mi serve una vacanza , mi serve una nuova vita perché questa fa schifo!” dissi io .
-          “Ascolta, non per essere crudele ma,da quando ti conosco non fai altro che analizzare i pro e i contro ogni volta che devi prendere una decisione e guarda dove questo ti ha portato! Per una volta segui il tuo istinto!”
E così feci. Con seicento euro in meno nel conto, un biglietto aereo per Vancouver, due valigie e un borsone mi diressi in Canada. Stavo scappando, e me ne rendevo conto, ma adesso a distanza di tempo, definirei più la cosa come una corsa, andavo incontro a me stessa e a tutto quello che la vita può offrire, anche se devo ammettere che c’è voluto un po’ di tempo per trovarmi.
Litigare con mio padre la sera prima della partenza non mi aiutò di certo ad affrontare bene il volo. Lui era sempre stato il mio specchio della verità, confrontarsi con lui voleva dire confrontarmi con me stessa, per questo motivo, quando mi disse che non era da me lasciare tutto e andare via, mi infuriai per la prima volta dopo oltre un mese di silenzio, perché aveva ragione, non ero io quella, avevo passato gli ultimi venticinque anni della mia vita a costruire il mio futuro, ero sicura e fiera di me stessa, niente poteva fermarmi, eppure era bastata una piccola scheggia per distruggere l’enorme palla di vetro in cui vivevo, ero stata abbattuta ed era bastato pochissimo . Tutto quello che avevo avuto era quello che volevo, e quello che volevo era la sintesi di me stessa, tutto era successo per una ragione e arrivai al punto di pensare che quella ragione ero io. A tutti serve un colpevole contro cui puntare il dito quando succede qualcosa e io puntavo il dito su me stessa, e credetemi non esiste giudice più crudele di se stessi  .
Il biglietto di sola andata non preoccupò invece per niente mia madre, convinta del fatto che sarei ritornata dopo l’estate. Io glielo lasciai credere, non per addolcirle la pillola ,ma  semplicemente perché non avevo idea di quello che sarebbe stato, quella partenza poteva risolversi con un rientro o poteva invece restare un andata senza ritorno.
Atterrata in aeroporto ad aspettarmi c’erano Monica e la piccola Charlotte , la figlia che Monica aveva avuto da Peter, un medico conosciuto pochi mesi dopo essere arrivata in Canada . Avevo sempre visto la bambina al di là dello schermo di un computer, eppure quel viso era così familiare che abbracciandola mi commossi.
-          “Andiamo, Peter ci aspetta fuori in macchina, non si trova un parcheggio nemmeno a pagarlo, ci sono paparazzi ovunque e flotte di ragazzine impazzite , basta un celebrità che si blocca tutto! ” disse Monica aiutandomi con i bagagli.
-          “Ti avevo detto di non spargere la voce del mio arrivo!” risposi ironicamente.
Scoppiammo a ridere, poi lei mi abbracciò forte, ne avevo bisogno, i perché di quel viaggio in Canada avevano avuto finalmente risposta, avevo bisogno di amicizia dopo settimane di compassione ed ero andata a prendermela.
-          “Chi sarebbe questa superstar?”  domandai io.
-          “lo scopriremo presto … ” rispose Peter sistemando le mie valigie nel bagagliaio ed indicandomi un gruppo di fotografi schierati attorno ad un auto costosa con i vetri oscurati.
Non lo scoprimmo.
Oltre la folla impazzita riuscimmo a vedere solo la figura di un uomo che velocemente entrava in macchina accompagnato da una donna e un signore ben vestito.
Due ore dopo, a pranzo, un notiziario mandava in onda l’intervista di Michael Bublè e le immagini dell’arrivo a Vancouver, ultima tappa del suo tour
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