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Autore: EmaEspo96    28/02/2013    4 recensioni
[ STORIA INCOMPLETA ] Le aveva promesso di dimenticarla, di non trasformarla e di seguire suo fratello Niklaus pur non accettando quanto egli avesse fatto in passato. E lui l'aveva fatto, cercando di seppellire l'insopportabile ricordo di quella notte fresca e cupa in cui l'aveva vista morire. Ma lei non è morta, lei è tornata e non potrà mai più morire.
Dal secondo capitolo:
– Il mio nome è Sofia. – gli disse improvvisamente mentre avanzava lungo quel marciapiede di Firenze al fianco di quell’individuo. Indossava vecchi abiti risalenti agli anni ‘70 che le davano l’aria di una bambola di porcellana. Il vampiro volse lo sguardo verso di lei notando il suo tentativo di rompere il silenzio, un tentativo che era andato piuttosto bene.
– Elijah. – le rispose freddo, guardandola di sottecchi. Lei sorrise piegando le labbra di quel rosso acceso e socchiudendo gli occhi per pochi istanti.
[...]
– Trovo che Sofia sia uno splendido nome. – affermò il vampiro, complimentandosi con lei.
Lei sorrise divertita ed abbassò timidamente lo sguardo – Io invece penso che Elijah sia un nome davvero strano. – commentò, offendendolo.

- E' la mia seconda fanfiction. Spero di vedervi presto leggere e/o recensire. :) -
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elijah, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo, Violenza
Capitoli:
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Rabbia. Collera. Fastidio. Delusione.
Erano tutte emozioni che andavano mescolandosi dentro di lei al pensiero che Stefan aveva realmente letto quelle lettere, scoprendo in quel modo pensieri che lei stessa cercava di nascondere perfino ad Elijah. E ciò non faceva altro che alimentare il suo disagio e il suo stress. Non le bastavano i fantasmi, i sensi di colpa, un passato che in qualunque caso continuava a perseguitarla. Doveva anche affrontare quelli che reputava i suoi amici, probabilmente i suoi primissimi amici.
Richiuse l’armadietto con un colpo secco, estremamente nervoso, stringendo al petto il libro di matematica dal quale avrebbe dovuto studiare per la lezione che veniva subito dopo il pranzo. La mano usata per chiudere l’armadietto scivolò lungo la superficie dello stesso, prima di spostarsi e cingere morbidamente con le sue dita il piccolo ciondolo penzolante dal collo di lei. Aveva indossato la collana di sua madre, quella trasformata da Bonnie in un talismano che avrebbe dovuto proteggerla dal sole, e sebbene si sentisse estremamente su di giri aveva comunque notato che il sole non era più fastidioso come prima. Si voltò lentamente mantenendo quell’espressione corrucciata, incrociando gli sguardi disattenti di alcuni studenti della scuola che si preoccupavano di raggiungere frettolosamente i loro amici per consumare il pranzo. Pensò, per pochi secondi, che probabilmente anche lei avrebbe dovuto farlo; ma non voleva farlo. Strinse maggiormente il libro al petto e sospirò sonoramente, socchiudendo gli occhi per pochi istanti. Pensava davvero che in quel modo potesse alleviare la tensione che le stava crescendo dentro, ma si rese presto conto che perfino quel metodo appariva totalmente inutile. Riaprì gli occhi e si voltò per dirigersi verso un ipotetico posto isolato della scuola che avrebbe dovuto cercare, per sfogare i suoi problemi nella matematica, ma finì col bloccarsi ritrovandosi improvvisamente davanti Matt e Stefan. Sofia si paralizzò sgranando appena gli occhi sorpresa, notando immediatamente il sorriso cordiale che piegava le labbra dei due ragazzi.
– Ehi ciao! – esclamò Matt per primo, sistemandosi lo zaino su una spalla – Elena e le altre ci aspettano fuori per il pranzo, vieni anche tu? – domandò il quaterback.
Gli occhi verdi della bionda si soffermarono sul Donovan per pochi istanti, schiudendo appena le labbra per la sorpresa. Ma il suo sguardo si spostò lentamente verso il viso apparentemente tranquillo di Stefan, ancora in silenzio. Quello che turbava lei non sembrava essere un problema di lui, e la cosa la infastidiva maggiormente. Richiuse le labbra, cercando di contenere le emozioni troppo forti e violente che le crescevano dentro, e scosse il capo freddamente ritornando a guardare Matt.
– Per questa volta passo. Godetevi pure il pranzo. – rispose lei con un cenno del capo nervoso mentre si voltava intenzionata ad allontanarsi da lì.
Stefan corrugò la fronte insieme a Matt, mentre si donavano sguardi perplessi che ritornavano puntualmente sulla figura della bionda che si allontanava. Stefan fu percosso da uno strano presentimento e fece segno a Matt di iniziare a dirigersi verso gli altri. Quando fu sicuro che il quaterback non l’avrebbe seguito, avanzò con ampie falcate avvicinandosi alla bionda in pochissimo tempo. Le cinse gentilmente una spalla costringendola a fermarsi ed a voltarsi subito dopo.
– C’è qualcosa che non va? – le domandò prontamente il fratello minore dei Salvatore, con quella sua aria interrogativa. Sofia lo fissò con astio premendo maggiormente il libro al petto, sino a piegarlo leggermente sotto la sua forza sovrannaturale, stringendo le labbra come se in qualche modo stesse cercando di non dare troppo a vedere il suo stato d’animo.
– Dovrebbe? – chiese la bionda di rimando, sottraendosi a quella presa del vampiro. Stefan la guardò preoccupato. Dopo aver letto il contenuto di alcune di quelle lettere, aveva iniziato a sentirsi irrimediabilmente simile a lei, aveva capito di riuscire a capirla molto più di prima, ed inspiegabilmente ogni minima cosa lo portava a preoccuparsi. Perfino in quel momento.
– Non saprei, mi sembri strana. – commentò Stefan, alquanto incerto. Lei sorrise freddamente, sebbene si sforzasse a farlo.
– Se per strana intendi offesa e delusa, allora si. Oggi sono proprio strana. – ribatté lei, con un’espressione adirata. Stefan sembrò irrigidirsi, come se una parte di lui temesse il motivo per cui lei reagiva in quel modo. Schiuse le labbra consumando il vano tentativo di voler spiccicare parola, ma tutto ciò che uscì dalla bocca del Salvatore fu un verso sommesso privo di significato.
– Spero almeno tu abbia motivazioni adeguate per averlo fatto, perché pretendo di sentirle. – continuò lei, battendo le palpebre più volte per allontanare quel continuo pizzicare negli occhi. Stefan alimentò la sua presa sull’appiglio che lo zaino aveva sulla sua stessa spalla, sentendosi improvvisamente sotto pressione. Si guardò intorno più volte prima di ritornare a guardarla. Una parte di lui sapeva benissimo a cosa lei si stesse riferendo, l’altra non voleva credere che lei l’avesse scoperto. Ignorava totalmente che lei avesse potuto sentirlo a causa dell’odore che lui si lasciava dietro. Ma restava in silenzio, privo di adeguate parole da pronunciare in quella situazione.
Sofia strinse le labbra, corrugando la fronte in un misto di rabbia e dispiacere, mentre fissava quel silenzioso Stefan che aveva davanti a sé.
– Non è come pensi. – mormorò il fratello minore dei Salvatore, in un sussurro appena percettibile che lei riuscì a sentire facilmente grazie alle sue capacità sviluppate. La bionda deglutì spostando lo sguardo dal volto del vampiro.
– No, Stefan, io non so proprio cosa pensare. – iniziò a dire lei, riportando i suoi occhi verdi sul volto dispiaciuto del vampiro – Odio quello che hai fatto, e non ti nascondo che vorrei prenderti a pugni in questo momento pur di cancellartelo dalla testa. – ammise la bionda, sebbene nel tono di voce sembrasse molto più dispiaciuta che minacciosa.
– No, Sofia. Mi dispiace, va bene? Non avrei mai dovuto farlo, ma non ero lì per quello. Senti, ti spiegherò tutto. Ma non qui, andiamo da qualche altra parte. – disse Stefan avanzando di un nuovo passo verso di lei e fissandola con occhi premurosi, dispiaciuti, buoni e compassionevoli. C’era qualcosa in quello sguardo che la portava a leggere compassione. Lo guardò, schiudendo leggermente le labbra e non nascondendo quegli occhi verdi leggermente lucidi. Lentamente, allentò le strette che aveva impresso sul libro di matematica ormai sgualcito e, poco dopo, si allontanò dal corridoio affollato insieme a Stefan.
 
La casa si popolava sempre di più, ma c’era sempre quell’amabile silenzio a fargli da padrone. Per Elijah, che aveva appena fatto il suo ingresso in casa, era qualcosa di irrimediabilmente divino rispetto al caos che la presenza di suo padre e di Klaus avrebbe portato. Si guardò intorno con aria interrogativa, sapendo benissimo chi doveva trovare, e richiuse la porta d’ingresso alle sue spalle avanzando verso l’interno. Con quel silenzio, riusciva perfettamente a sentire il respiro equilibrato di sua madre e ci mise davvero poco ad individuare la sua locazione. Si voltò verso il salone ed avanzò con passi eleganti in esso scorgendo la chioma bionda di sua madre che sporgeva dalla poltrona. Esther, seduta su quest’ultima, sollevò appena il capo allontanando lo sguardo dalla tazza dalla quale stava silenziosamente sorseggiando il suo caffè, quando si rese conto dell’ingresso di Elijah. L’Originale si avvicinò lentamente alla poltrona, appoggiando una mano sul suo schienale una volta raggiunta ed abbassando i suoi occhi scuri e freddi sul volto della madre che, intanto, si era sollevato verso di lui.
– Va tutto bene, madre? – domandò con un sussurro pacato. Esther annuì distrattamente, sollevandosi in piedi subito dopo. Si allontanò dalla poltrona avvicinandosi al tavolino più vicino sopra il quale appoggiò morbidamente la tazza ancora piena.
– So già perché sei qui, Elijah. – disse la strega voltandosi lentamente verso il figlio. Elijah, fermo nei pressi della poltrona, la guardò apparentemente tranquillo. Nascondere tutto ciò che lo turbava era uno dei suoi migliori trucchetti.
– Farò oggi stesso l’incantesimo. Credo di aver recuperato abbastanza forze per attuarlo, ed il vostro problema sarà definitivamente risolto. – continuò Esther, portando i suoi occhi in quelli del figlio. Elijah la fissò a lungo, poi scosse il capo.
– Non è per questo che sono qui. Avevo bisogno di parlarti. – rispose l’Originale – So che sei stata tu a richiamare i fantasmi. – continuò.
Esther parve irrigidirsi a quelle parole. Era già consapevole che suo figlio Elijah non era uno stupido, e che presto l’avrebbe capito, ma cercò ugualmente di nascondere il suo turbamento.
– Saprai anche che era fondamentale. – affermò la strega, restando nei pressi del tavolo. Elijah si scostò dalla poltrona sollevando la mano che aveva dapprima appoggiato sullo schienale dell’oggetto, e gesticolando con essa distrattamente. La sua espressione si fece sarcasticamente confusa.
– Mi spieghi come una cosa che può mettere a rischio milioni di persone possa essere fondamentale? – domandò lui, infilando l’altra mano all’interno di una tasca dell’elegante giacca scura che indossava. Esther abbassò il capo per pochi istanti prima di ritornare a sostenere con forza lo sguardo del figlio.
– Se avesse messo a rischio milioni di persone, non l’avrei fatto. Conosco perfettamente le persone messe a rischio per questo motivo. – commentò Esther, tenendo quell’espressione seria. Elijah si irrigidì, guardandola sorpreso e maggiormente confuso. La sua mano, quella che aveva sollevato per gesticolare, cadde nuovamente lungo il rispettivo fianco.
– Cosa? – domandò, sbigottito. Esther avanzò di un unico passo.
– Ho scelto io le persone da colpire, ho scelto io i fantasmi da fare entrare in atto. – continuò Esther, con tono neutro. Elijah corrugò la fronte, avanzando di qualche passo verso la madre.
– Come hai potuto fare una cosa del genere? – domandò lui, avanzando di altri passi sino a ritrovarsi minacciosamente davanti a lei. Era la madre, la donna che lo aveva messo al mondo, la donna che lo aveva reso immortale e la donna che era morta per molto tempo. Ma davanti a quella rivelazione, qualunque cosa dentro Elijah gli diceva di scattare verso di lei ed azzannarla. Esther non temette in alcun modo una reazione da parte del figlio, ma sorrise gentilmente cercando di calmarlo.
– Non preoccuparti, Elijah. Capisco perfettamente quale sia la cosa che ti turba, e posso assicurarti che non permetterò a nessuno di farle del male. Io e te vogliamo la stessa cosa, figlio mio. – mormorò Esther premurosamente, sollevando una mano ed appoggiandone il palmo contro una guancia del figlio. Un gesto che irrigidì il vampiro. Si paralizzò per alcuni istanti, prima che lui stesso decidesse di sottrarsi a quel tocco.
– Eppure non hai esitato a metterla in pericolo. Ha rischiato la vita più volte, e tuttora la sta rischiando. – stava dicendo lui, ma Esther lo interruppe.
– Lo so. Ed è per questo che risolverò questo problema oggi stesso. – commentò Esther. Elijah scosse debolmente il capo.
– Preparerò l’incantesimo, tu nel frattempo vai da lei. Ogni secondo che passa, gli spettri diventano sempre più forti. E’ un bene che tu le sia vicino il più possibile. – continuò la strega, ignorando platealmente il ringhio che fuoriuscì dalle labbra del figlio. Quando Esther si rese conto della collera che dipingeva il viso di Elijah, lo guardò con dolcezza.
– Ho bisogno del tuo aiuto, Elijah. Sei il migliore dei miei figli, non deludermi anche tu. – gli chiese. Elijah sollevò anche l’altra mano e la infilò all’interno della tasca della giacca, fissando la madre con astio.
– Ti aiuterò, ma non per te. Lo farò solo per lei. – affermò il vampiro, iniziando lentamente a voltarsi verso l’ingresso. Avanzò verso esso di un paio di passi prima di fermarsi e guardare la madre per altri pochi istanti, ancora inferocito. – Sarò anche il migliore dei tuoi figli, ma tu non hai in alcun modo dimostrato di essere la migliore delle madri. – le disse, diretto e pungente come una lama, prima di abbandonare una volta per tutte la casa e la sua stessa madre.
 
Quando Stefan aveva smesso di parlare, Sofia aveva abbassato lo sguardo sul libro di matematica che aveva adagiato sulle sue stesse gambe. Piegava distrattamente un angolo della pagina aperta del libro senza preoccuparsi di rovinarlo, si preoccupava soltanto di ciò che il più piccolo dei Salvatore le aveva appena rivelato. Stefan la guardava, cercando di scorgere eventuali reazioni in lei, ma tutto ciò che lesse fu ulteriore dispiacere e delusione. D’un tratto lei sollevò lo sguardo, restando seduta su uno degli spalti al fianco del vampiro, e cercò lo sguardo di lui.
– Io non so perché i paletti non mi uccidono. Non so perché…sono così diversa da voi. Ma questo non vuol dire che io sia una minaccia. – disse lei con un fil di voce. Stefan scosse immediatamente il capo.
– Io lo so, Sofia. Ed anche Elena lo sa, ma avevo bisogno di una qualche prova che potesse convincere anche Damon. Lui è mio fratello, e lo conosco meglio di chiunque altro. So quanto sia impulsivo, testardo e paranoico. Soprattutto quando si tratta di Elena. – spiegò ancora Stefan, appoggiando una mano sulla spalla più vicina di lei – Lui cerca di proteggerla, qualsiasi cosa pensi di te non lo fa con cattive intenzioni. Vuole soltanto che lei sia al sicuro perché…la ama. – continuò il Salvatore, sebbene il suo tono divenne più debole nel pronunciare le ultime parole. Non era ancora riuscito ad accettare quel forte sentimento che suo fratello aveva iniziato a provare per la sua ragazza, proprio come con Katherine. Sofia annuì nel sentire quelle parole.
– Lo so. – disse, spostando lo sguardo – Lo avevo capito. Ho passato molto tempo della mia vita a guardare le persone. Questo mi ha permesso di imparare a capire tutto dei loro gesti. E qualsiasi cosa faccia Damon, qualsiasi sguardo posi su Elena, dimostra l’amore che prova nei suoi confronti. Proprio come te. – commentò lei, sollevando lo sguardo verso il cielo. Istintivamente, sollevò una mano a carezzarsi il topazio blu al collo per accertarsi di averlo ancora. Poteva sentire il sole, sebbene non fosse piacevolmente caldo, poteva convivere con quella luce senza che essa le facesse del male.
Stefan, al sentire quelle parole, calò lo sguardo nascondendo il suo disagio, prima di risollevarlo per guardarla.
– Comunque, ti capisco perfettamente. – iniziò a dire lui, spostando lo sguardo verso il campo di football in quel momento vuoto. – Capisco quello che senti e perché tieni quelle lettere. Io conservo i nomi delle mie vittime, da molto tempo. – sussurrò lui, senza guardarla. Sofia lo fissò con uno sguardo colmo di dispiacere e compassione.
– Mi dispiace. – mormorò, costringendo il vampiro a voltare i suoi occhi verso di lei.
– Per cosa? – le domandò Stefan, confuso.
– Per aver reagito in quel modo prima. Io…mi dispiace, ecco. Avrei dovuto capirlo che non avevi cattive intenzioni. Sei mio amico, dopotutto. Ed io mi fido di te. E’ solo che sono così…stressata ultimamente per questa storia dei fantasmi. – continuò lei chinandosi col busto ed appoggiando i gomiti sul libro messo sulle sue stesse ginocchia. Si mise la testa tra le mani premendo i capelli biondi sotto i palmi.
– Ed a volte penso che se non ci fosse Elijah, non riuscirei a superare tutto questo. – sussurrò ulteriormente, socchiudendo gli occhi. Stefan piegò le labbra in un sorriso, istintivamente.
– Vedrai che andrà tutto bene, Sofia. Perché ho visto abbastanza da poter dire che qualsiasi cosa faccia Elijah, lo fa per proteggere te. – confermò il vampiro, sorridendole gentilmente. Lei sollevò nuovamente il viso ricambiando lo sguardo dell’amico e sorrise di rimando.
Ma il suo sorriso durò ben poco. Presto la sua espressione rilassata e contenta lasciò spazio alla paura. Si sollevò di scatto in piedi indietreggiando verso l’estremità degli spalti lasciando Stefan confuso.
– Sofia, che ti prende? – le domandò prontamente, sentendo il rumore provocato dal libro di lei che le era caduto dalle ginocchia nello stesso momento in cui lei si era portata in piedi.
Gli occhi verdi e sgranati della vampira si tenevano fissi su una figura posta nei pressi dell’altra estremità degli spalti. Quella figura alta, longilinea, minacciosa. Quando Stefan si rese conto che Sofia stava fissando un punto in particolare, si voltò. Riuscì immediatamente a vedere la figura di Margaret ferma sugli spalti, non molto distante da loro, e si paralizzò comprendendo subito il timore della bionda. La prima cosa che gli venne da pensare fu Bonnie, doveva assolutamente chiamare Bonnie.
– No… – mormorò Sofia. Margaret la guardava con quegli occhi inquisitori, la fissava con odio e desiderio di ucciderla.
– Hai ucciso mia figlia. – sussurrò lo spettro, ma quelle parole giunsero direttamente alle orecchie dei due vampiri come fossero sussurrate dal vento. Poi accadde tutto velocemente: Margaret era sparita e riapparsa proprio nei pressi della bionda, frapponendosi fra Stefan e la vampira. Gli occhi del minore dei Salvatore si sgranarono quando vide Margaret sollevare le mani velocemente verso la bionda, e subito dopo Sofia precipitò indietro.
– No! – riuscì a gridare lui.
Margaret scomparve, come fosse trasportata dal vento, e Sofia cercò disperatamente un appiglio negli spalti che le impedisse di cadere definitivamente al suolo. Probabilmente mettersi a sedere su quelli più in alto non era stata una bella idea, anche se comunque era quasi sicura che non sarebbe morta nell’impatto; ma avrebbe fatto comunque male. Gridò perfino il nome di Stefan, ma tutto ciò che trovò a cui aggrapparsi fu la speranza che nessuno la vedesse spezzarsi il collo e risvegliarsi qualche attimo dopo. Ma l’incontro col terreno non avvenne. Un paio di braccia forti la cinsero protettive, raccogliendola per la schiena e per le gambe come fosse una principessa. La vampira riaprì gli occhi lentamente e li perse in quegli occhi scuri che la fissavano preoccupati. Elijah era lì che la teneva, senza preoccuparsi degli sguardi che avrebbero potuto vederlo correre qualche attimo prima dall’auto sino agli spalti in quella maniera innaturale, ma preoccupandosi soltanto di quello sguardo verde e spaventato che stava fissando con insistenza.
– Elijah? – mormorò lei. L’Originale l’adagiò lentamente al suolo.
– Sono qui, Sofia. Non ti preoccupare, sono qui. – le sussurrò profondamente, passandole una mano tra i capelli in una docile carezza.
Nel frattempo Stefan li raggiunse, avendo sceso gli spalti come avrebbero fatto i normali esseri umani consapevole che avrebbero potuto vederlo, non dopo essersi accertato che nessuno avesse visto Sofia cadere direttamente giù. Si bloccò anche lui quando incontrò lo sguardo scuro di Elijah che, quando si era accorto della presenza del Salvatore, si era voltato a guardarlo.
– Chiama tuo fratello ed il fratello di Elena. Risolviamo definitivamente questo problema. – commentò Elijah freddamente, guardandosi infine intorno per assicurarsi che quanto accaduto non fosse stato visto da nessuno.
– Cosa? Come? – domandò Stefan immediatamente avanzando di alcuni passi verso di lui.
– Voi non dovete fare nulla. E’ importante che presenzino solo tuo fratello ed il piccolo Gilbert. Al resto penserà mia madre. – rispose prontamente, tenendo ancora un braccio stretto intorno alla figura della bionda, protettivo. Lo sguardo della vampira si era perso sull’Originale, fissando la sua espressione distaccata rivolta a Stefan e cercando di alleviare la paura che le era cresciuta dentro durante il precedente accaduto. Stefan annuì a quelle parole.
– Sei sicuro, Elijah? Che possiamo fidarci di tua madre. – osò domandare il minore dei Salvatore, incassando appena la testa nelle spalle nel timore che avesse potuto chiedere qualcosa di troppo.
Sofia sentì Elijah irrigidirsi a quelle parole, senza capirne il motivo.
– Non solo possiamo, ma lo faremo anche. – rispose Elijah freddo e distaccato, prima di spostare i suoi occhi scuri sul volto di Sofia. – Andiamo. – le disse, allentando la presa che aveva su di lei sino a farla sparire, tenendola semplicemente al suo fianco.
– Dove andiamo? – domandò Sofia, improvvisamente.
– E’ meglio che tu stia con me, adesso. – le rispose l’Originale, voltandosi a guardarla per pochi secondi. L’espressione di Sofia si fece sorpresa e leggermente confusa.
– Non posso. La scuola non è… – stava dicendo lei, in un mormorio debole, ma Elijah la interruppe prontamente con un solo cenno del capo. Gli occhi scuri del vampiro si volsero verso Stefan, ancora lì nei pressi.
– Dì a tuo fratello ed a Jeremy che li aspetto a casa mia. Che non facciano tardi. – commentò Elijah, freddamente. Stefan annuì ed iniziò ad indietreggiare, sino a voltarsi e ad allontanarsi con passi spediti. Gli occhi scuri dell’Originale ritornarono sul viso della vampira, fissandola intensamente.
– Ho parlato con mia madre. Faremo oggi l’incantesimo, ed avremo finalmente risolto questo problema degli spettri. Prima vieni con me, prima faremo. – le sussurrò lui. Sofia lo guardò con un’espressione incerta, poi piegò le labbra tinte di quel rosso acceso in un morbido sorriso ed infine lo seguì. Stefan avrebbe sicuramente trovato il modo per giustificare la sua improvvisa scomparsa dalle lezioni.
 
Il sole stava lentamente calando lasciando spazio al buio della notte. Sofia avanzava con passi lenti godendo della presenza di Elijah proprio alla sua sinistra, mentre Jeremy le era alla destra di un paio di passi più indietro rispetto all’Originale. Esther li guidava verso il luogo prestabilito per l’incantesimo e Damon restava sempre qualche passo più indietro.
– Questa spedizione per il cimitero durerà ancora per molto? – domandò il fratello maggiore dei Salvatore, sarcasticamente. Sofia sollevò appena il viso sentendolo, notò come sia Esther che Elijah lo ignorassero completamente durante il tragitto mentre Jeremy si voltò indietro a guardare il vampiro con un’espressione severa.
– Dovresti smetterla di lamentarti, non sei di aiuto. – gli disse con tono autoritario, ricevendo in risposta un sorriso poco rassicurante e sarcastico.
– Andiamo, piccolo Gilbert. Vorrei soltanto sapere dove diavolo stiamo andando. Non ho molto tempo da perdere, ho affari molto più importanti da sbrigare. – rispose Damon, mantenendo quel sorriso sghembo. E quasi immediatamente il suo sguardo corse sulla figura della bionda che aveva davanti, studiandola con attenzione ma sapendo lui stesso ben bene quali fossero gli affari più importanti da sbrigare. Se solo in quel momento fossero stati assenti Elijah e la strega, probabilmente avrebbe fatto a modo suo strappando dalla bocca di Sofia qualunque cosa lei stesse cercando di nascondergli. Perché era questo il punto, lui sapeva che Sofia stava cercando di tenere nascosto qualche segreto, e la cosa non gli piaceva. I pensieri di Damon si interruppero quando si accorse che il gruppo aveva cessato il suo moto, fermandosi dinnanzi alla vecchia struttura di una chiesa diroccata appartenente al vecchio cimitero di Mystic Falls. Elijah sorpassò la madre avvicinandosi all’enorme portone della chiesa e scorgendo il lucchetto che la teneva saldamente chiusa. Lo afferrò e senza neanche battere ciglio, lo strappò dalla catena che teneva unite le due ante facendo in modo che la chiusura andasse in pezzi permettendogli di aprire la porta. La polvere che si sollevò strappò alcuni colpi di tosse ai presenti, ma la cosa non li bloccò. Elijah aprì la porta interamente, spalancandola e permettendo a tutti gli altri di guardare ciò che si all’interno della chiesa. Non era tanto diversa dalle altre chiese, se non fosse stato per quell’aria cupa e tetra che la caratterizzava e quelle numerose panche rivoltate sul pavimento. E le ragnatele penzolanti dal soffitto completavano l’opera. Esther superò Elijah inoltrandosi all’interno della chiesa e dirigersi verso l’altare con passo tranquillo. Elijah si voltò a guardare gli altri tre e fece loro segno di entrare, permettendo quindi a Sofia di fare timorosamente il suo ingresso seguita a ruota da Jeremy. Quando arrivò il turno di Damon, però, Elijah lo bloccò con una mano fermandolo ancor prima che potesse varcare la soglia.
– Non prenderla a male, Damon. Non sei obbligato a restare qui, per quanto mi riguarda puoi anche ritornartene a casa a sbrigare i tuoi affari importanti. – gli sussurrò l’Originale con tono tranquillo e gelido, sebbene sembrasse una sorta di invito ad allontanarsi prima che lui perdesse la pazienza. – Ma fai un favore ad entrambi, stai zitto. O sarò io stesso costretto a mandarti via. Le tue lamentele sono poco gradite, sono stato chiaro? – continuò Elijah, minacciosamente freddo.
Damon lo fissò piegando le sue labbra in un sorriso sghembo, spostando poi lo sguardo altrove.
– Cristallino. – rispose il fratello maggiore dei Salvatore, strappando un falso sorriso cordiale dalle labbra dell’Originale che, di conseguenza, spostò la mano facendogli cenno di fare il suo ingresso all’interno della chiesa. Damon lo fissò, prima di varcare la soglia e percorrere quel lungo corridoio che si estendeva tra le righe di panchine poste ai lati della sala, sino a raggiungere Sofia e Jeremy che si erano fermati davanti all’altare, proprio di fronte ad Esther. La strega estrasse un grande fazzoletto bianco che passò sulla superficie dietro la quale si era posizionata, in piedi, ripulendola dalla polvere che si era ammassata col tempo. Dopodichè sollevò lo sguardo verso gli altri notando Elijah avanzare verso di lei con passo elegante dopo aver accuratamente richiuso le porte della chiesa.
– Credo sia meglio che vi mettiate a sedere, ci vorrà un po’ di tempo. – commentò Esther, allargando platealmente le braccia per indicare l’ampia distesa di panchine, di cui alcune rovesciate al suolo. Sofia si voltò indietro e guardarle, poi guardò Elijah che intanto le si era avvicinato. L’Originale annuì, e lei piegò le labbra in un leggero sorriso. Si accostò a Jeremy facendogli segno di seguirla verso le panchine e si accomodò su una in prima fila proprio accanto al Gilbert. Jeremy non fece altro che guardarla, ammirandola come fosse una bambola pregiata. Damon si guardò intorno prima di posare i suoi occhi azzurri sulla figura della strega.
– Avrei soltanto una domanda, se mi è concesso farla. – iniziò a dire, mantenendo perennemente il suo tono sarcastico. Elijah virò immediatamente il suo sguardo buio verso il fratello maggiore dei Salvatore, quasi fulminandolo, ma Damon parve non farci molto caso.
– Per quale motivo siamo gli unici ad essere qui? Insomma, pensavo che i fantasmi fossero un problema comune. – continuò il vampiro, allargando platealmente le braccia.
Esther lo fissò a lungo, distaccata, prima di chinare lo sguardo e dedicarsi ai preparativi dell’incantesimo. Elijah appoggiò una sua mano su una spalla di Damon accompagnandolo bruscamente, ma comunque elegantemente, a sedere. Damon lo guardò con un’espressione torva, sentendo accrescere dentro sé il desiderio di prenderlo a pugni. Ma sapeva benissimo che in uno scontro contro Elijah, tutto quello che avrebbe ottenuto era qualche oggetto conficcato nel collo. Elijah si mosse sul posto, infilando una mano in una tasca della giacca scura e gesticolando con l’altra. Si fermò davanti ai tre come fosse il loro insegnante e fece passare i suoi occhi scuri sui volti di tutti, ma soffermandosi più volte su quello pallido di Sofia.
– Voi siete gli unici che hanno questo problema. – spiegò l’Originale, senza mezzi termini, mantenendo quel suo tono freddo e distaccato. Per un istante si voltò a guardare la madre alle sue spalle, poi ritornò a guardare gli altri. – Purtroppo, quando mia madre ha cercato di ritornare in vita, qualcosa è andato storto e dei fantasmi si sono liberati. Ma ha controllato lei stessa, e voi siete stati gli unici ad essere colpiti. – mentì spudoratamente.
Esther sollevò lo sguardo sorpresa da quel gesto, deglutendo rigidamente. Quella stessa mattina Elijah l’aveva guardata con occhi omicidi, ed in quel momento invece sembrava cercare di proteggerla dai giudizi altrui. Per un secondo sorrise, concentrandosi subito dopo sull’incantesimo che stava cercando di attuare. Stando in quella chiesa poteva mettersi in contatto con il regno dei morti molto più facilmente.
– Divertente. In poche parole siamo sempre gli stessi sfigati. – intervenne Jeremy, sorridendo sarcasticamente. Sofia volse a lui lo sguardo, vagamente sorpresa, poi scosse il capo. Damon sogghignò, come se non credesse alle parole di Elijah. Non si era mai fidato degli Originali, e mai lo avrebbe fatto probabilmente. Gli occhi scuri dell’Originale si portarono su Jeremy, fissandolo per pochi istanti. Poi spostò lo sguardo riprendendo a guardarli tutti.
– In qualunque caso, risolveremo la situazione adesso. – terminò Elijah, voltandosi a guardare la madre. Esther annuì sotto quello sguardo e poi socchiuse gli occhi, iniziando a pronunciare parole che a loro apparvero sconosciute. Nel momento stesso in cui sollevò le braccia, le candele sporche di polvere ed abbandonate per la chiesa si accesero, illuminando la stanza.
Sofia quasi sussultò, improvvisamente, guardandosi intorno. Si sentiva a disagio. Ogni volta che ci pensava, i fantasmi sembravano essere un enorme problema impossibile da risolvere. Invece la situazione stava per essere risolta, definitivamente. E mentre pensava a tutto questo, il suo sguardo corse sulla figura di Damon seduta al suo fianco. Lo fissò per pochi secondi prima di abbassare lo sguardo, permettendo alle parole di Stefan di quella mattina di rimbombarle in testa.
– Voglio bene ad Elena. – disse improvvisamente, attirando l’attenzione confusa del fratello maggiore dei Salvatore, il quale volse a lei lo sguardo azzurro fissandola sorpreso.
– Anch’io. – affermò lui con sarcasmo.
– So che non ti sono molto simpatica, e che hai paura che io possa farle del male. – continuò lei, immergendo i suoi occhi verdi in quelli azzurri del vampiro. La serietà e la determinazione con cui stava pronunciando quelle parole sorpresero Damon, lasciandolo perplesso, ma allo stesso tempo attirò l’attenzione di Jeremy e di Elijah che potevano benissimo origliare la conversazione. – Ma sappi che piuttosto che fare del male a lei, mi strapperei il cuore dal petto. – continuò lei.
Damon perse il suo sorriso sghembo, quasi perdendosi nel verde di quegli occhi che lo stavano scrutando e trovandosi immensamente d’accordo con le parole che lei stava pronunciando. Lui, che amava Elena più della sua stessa vita, avrebbe preferito morire piuttosto che fare del male a lei.
– Sofia. – la chiamò Jeremy, forzandola a voltare lo sguardo verso di lui. Il piccolo Gilbert le sorrideva premuroso, allugando istintivamente una mano verso una di lei e sfiorandogliela affettuosamente. Lei gli sorrise di rimando, gentilmente.
– Ehi, piccolo Gilbert. Toglile le mani di dosso o potrebbe saltarti la testa. – intervenne Damon sarcasticamente, lanciando subito dopo uno sguardo complice ad Elijah. L’Originale teneva fissi i suoi occhi sul trio, senza privarsi della glacialità del suo sguardo, nascondendo il fastidio che provava nel vedere Jeremy così vicino a lei. A Sofia.
Istintivamente la bionda sollevò gli occhi verso Elijah finendo per ricambiare il suo sguardo. Spostò la mano per interrompere quel contatto con Jeremy e piegò quelle labbra tinte di un rosso acceso in un sorriso amorevole, un sorriso sul quale Elijah posò incantato i suoi occhi prima di spostarsi verso Damon.
– Dovreste evitare di parlare, o mia madre potrebbe sbagliare qualcosa nell’incantesimo. – disse soltanto, spostando nuovamente il suo sguardo altrove.
Sofia sospirò, lasciando sfumare quel sorriso e spostando i suoi occhi sulla figura di Esther. La guardò con attenzione, seguendo quei movimenti e studiandoli curiosamente, come se cercasse davvero di capire in che modo quella donna stesse praticando la magia. Ma d’un tratto l’intera chiesa si scosse, tremando su sé stessa e provocando la caduta di alcuni piccoli pezzi del soffitto o della polvere ammassata in alcuni posti dell’edificio. Istintivamente, la bionda strinse le sue dita contro la panchina facendo scattare il suo sguardo su Elijah, che aveva perso la sua compostezza. Gli occhi scuri dell’Originale si tennero fissi sulla madre vedendola fermarsi improvvisamente. Esther socchiuse gli occhi calando le sue mani lungo i fianchi e per un attimo regnò il silenzio nella chiesa.
– Mamma? – una voce delicata riecheggiò nel loco soffiando dolcemente nelle orecchie di tutti i presenti. Sofia si paralizzò nel sentirla, mentre Jeremy, Elijah e Damon volsero i loro occhi verso la fonte. Una bambina, dalla lunga chioma rossa, camminava apparentemente persa e confusa lungo quel sottile corridoio che si apriva fra le due file di panchine. Si teneva una mano sul collo, senza motivo, mentre quegli occhi chiari correvano lungo tutto il posto alla ricerca di una figura in particolare. Sofia sollevò lo sguardo voltandosi lentamente, vagamente intimorita, sino a quando incrociò la piccola figura pallida che si era fermata al centro della chiesa. Mentre si portava in piedi, i suoi occhi verdi si posarono sulla figura confusa di Elijah. Quella bambina era apparsa dal nulla, quando in quella chiesa non avrebbe dovuto esserci nessuno. Gli occhi dell’Originale cercarono istintivamente la bionda, vedendola camminare verso la bimba.
– Molly. – la chiamò Sofia, timorosamente, superando appena la panchina sopra la quale sedeva qualche istante prima. Gli occhi lucidi della bambina si sollevarono alla ricerca della fonte di quella voce, e quando il suo sguardo si posò su Sofia la bambina parve calmarsi. Quelle sottili labbra si piegarono in un delicato sorriso mentre la sua mano scivolava via dal collo.
– Sofia! – esclamò la bimba, riprendendo a camminare con passo accelerato sino a correre direttamente contro la bionda. E quando la raggiunse, le sue piccole braccia si strinsero intorno al busto della vampira e premette il suo viso contro il petto della bionda. Per Sofia fu come abbracciare una bambina, quel contatto era tangibile e concreto come quello di un essere vivente.
– Mi dispiace, Sofia. – singhiozzò la bambina, sollevando il viso verso il volto della vampira. La bionda la teneva con timore, mostrando nient’altro che un’espressione confusa, mentre fissava il volto di una bambina che doveva essere morta. Una bambina che lei stessa aveva ucciso. – Ti ho vista piangere. Perché stavi piangendo? E’ per colpa della mamma? Ti ha fatto del male? – domandò la bambina, mostrando due occhioni chiari e umidi dai quali colavano indisturbate delle lacrime.
Jeremy scattò in piedi, mentre Damon restava comodamente seduto sulla panchina osservando la scena insicuro.
– Sofia! – intervenne il piccolo Gilbert, ma proprio mentre stava per avanzare verso di lei, si ritrovò una mano di Elijah contro il petto che lo accompagnò nuovamente, e bruscamente, a sedere. Jeremy sollevò il suo sguardo sull’Originale incontrando quegli occhi spaventosi e gelidi che gli ordinavano, silenziosamente, di restarsene zitto ed a posto. Dopodichè ritornò a guardare la scena, pronto eventualmente ad intervenire. Ogni suo senso era attento, ogni piccola parte di lui era pronta a scattare nel caso quella situazione avesse preso una brutta piega. Solo ogni tanto spostava lo sguardo verso la madre per cercarne eventuali reazioni.
Molly sciolse lentamente quell’abbraccio indietreggiando di qualche passo ma restando comunque nei pressi della bionda, e davanti a lei. Sofia scosse debolmente il capo accovacciandosi davanti alla bimba, sollevando una mano a carezzarle delicatamente il viso. Quegli occhi verdi si erano inevitabilmente fatti lucidi, ogni volta che incontrava quel viso era come una dolorosa pugnalata nel petto.
– Ti ho uccisa. – mormorò Sofia con un fil di voce, nascondendo un singulto. Molly sorrise, scuotendo il capo a sua volta e raccogliendo la mano della bionda.
– Sto bene. Stiamo tutti bene. – iniziò a dire, col tono di una bambina contenta – Adesso va tutto bene Sofia, okay? Mi dispiace per quello che ha fatto la mamma, lei era solo arrabbiata. Ma ora è tutto apposto, stiamo bene. – ripetè la piccola, spostando la mano di Sofia ed andando subito dopo a carezzarle la testa.
– Però tu adesso non piangere più. Non piangere mai più, promesso? – chiese Molly, sorridendole. Sofia la guardò a lungo prima di assentire debolmente col capo, permettendo alla piccola mano della bambina di scivolare lungo il suo viso in una morbida carezza.
– Sei una brava persona. – mormorò ancora la bimba, quando d’un tratto quell’innaturale silenzio che veniva interrotto dalle parole basse che pronunciavano le due, venne rotto da un tonfo. Senza che Sofia se ne rendesse conto, Molly andò sfumando nell’aria lasciando spazio al vuoto, e subito dopo Esther riprese ad esclamare quelle parole insensate che scossero nuovamente l’intera chiesa. La bionda si portò in piedi di scatto battendo le palpebre velocemente e voltandosi verso la strega prima di cercare lo sguardo di Elijah, il quale si era allontanato da Jeremy per iniziare ad avanzare verso di lei. Quando Damon vide, di sottecchi, il piccolo Gilbert sollevarsi con la chiara intenzione di avvicinarsi anch’egli a Sofia, gli prese il braccio per impedirglielo. Jeremy si voltò a guardarlo infastidito e Damon scosse il capo sorridendogli sghembo.
– Noi siamo sempre quelli sfigati, ricordi? – mormorò il fratello maggiore dei Salvatore, facendo chiaro riferimento al fatto che entrambi amavano una donna che amava un’altra persona. Il piccolo Gilbert sfilò bruscamente il suo braccio dalla presa del vampiro, colpito da quelle parole.
Improvvisamente la strega tacque e le mezze candele, consumate dal tempo, che si erano accese all’inizio dell’incantesimo si spensero tutte nello stesso momento. Esther riprese fiato abbassando le braccia lungo i fianchi e riaprendo gli occhi per fissare i quattro presenti.
– Ho finito. – disse semplicemente, come fosse la cosa più normale del mondo. Ci fu un’ultima occhiata tra i presenti, sorpresi ed insicuri, durante la quale il silenzio e la tranquillità tetra che aveva regnato per molto tempo in quel posto, ritornò ad invadere la chiesa.
 
Buona parte del pomeriggio l’avevano trascorsa in quella vecchia chiesa impolverata, permettendo ad Esther di porre fine al loro problema con gli spettri. E quando avevano abbandonato il loco, Elijah si era preso la briga di riaccompagnare la madre a casa lasciando la bionda nelle mani del fratello maggiore dei Salvatore e del piccolo Gilbert. Tant’è che Sofia era rimasta per un po’ di tempo a casa di Elena, parlando di quanto accaduto quel giorno, aspettando la notte per fare definitivamente ritorno a casa. Aveva fame più del dovuto, probabilmente per lo stress a cui si era sentita sottoposta quel giorno o probabilmente perché non aveva bevuto nemmeno una goccia di sangue da quella mattina affrontando un’estenuante giornata.
Aprì lentamente la porta d’ingresso della sua stessa casa ma la cosa che più la sorprese fu trovare accesa la luce del salone. Corrugò la fronte sporgendosi verso l’interno quando i suoi occhi verdi si portarono su una figura comodamente seduta su una delle poltrone al centro della sala.
Elijah stringeva un bicchiere riempito di liquido vermiglio che lui stesso faceva oscillare agitando il vetro che lo conteneva. Quando sentì la porta aprirsi, sollevò lo sguardo incrociando gli occhioni verdi della vampira. Le sue labbra si piegarono in un sorriso, osservandola anche mentre richiudeva la porta alle sue spalle.
– Ci hai messo un bel po’. – si limitò a dire lui, appoggiando il bicchiere sul tavolino nei pressi della poltrona e portandosi elegantemente in piedi.
– Si, Elena mi ha trattenuta più del previsto. – rispose lei, tranquillamente – Non pensavo saresti passato stasera. – affermò lei sinceramente, ma nonostante tutto sorridendogli per mostrare quanto fosse felice di averlo lì. Sofia si sfilò la giacchetta lasciandola incustodita sullo schienale del lungo divano per superare il salone e camminare verso la cucina. Sentiva la profonda necessità di nutrirsi, e questo Elijah lo capì ben presto. La seguì con lo sguardo mentre lei apriva il frigo afferrando una di quelle bottigline bianche dentro le quali nascondeva spudoratamente del sangue, e subito dopo cercò un bicchiere dentro il quale versare una buona dose di quel liquido.
L’Originale la seguì, fermandosi sotto la soglia della porta d’ingresso della cucina ed appoggiandosi con una spalla allo stipite della stessa.
– Ero venuto a vedere come stavi. – ammise il vampiro con semplicità, rinchiudendo una mano all’interno di una tasca della giacca e fissando lei. La vide bere velocemente quel sangue per poi versarsene un altro bicchiere.
– Sto bene. – disse lei, guardando il sangue scorrere di nuovo dentro il bicchiere – Insomma, abbiamo chiuso definitivamente coi fantasmi, no? – continuò lei, sorridendo nervosamente. Bevve di nuovo, obbligando Elijah a spostarsi dallo stipite della porta ed avvicinarsi a lei con passi tranquilli, misurati e perennemente eleganti. Quando Sofia si accorse di averlo irrimediabilmente vicino, con una mano di lui che era scesa a fermarle la mano sulla bottiglia per impedirle di versarsi altro sangue, sollevò gli occhi verdi verso quel viso freddo, indiscutibilmente bellissimo, dagli occhi neri che la scrutavano attenti. Lei si fermò, rilassandosi non appena lui la sfiorò.
– Abbiamo davvero risolto questa situazione? Adesso va tutto bene, no? – mormorò lei, insicura nel suo tono e nella sua espressione.
– Voglio credere che mia madre abbia davvero risolto la situazione. Adesso va tutto bene. – le rispose lui prontamente, fissandola coi suoi occhi scuri. Sofia abbandonò la bottiglia ed il bicchiere sul bancone della cucina e si voltò verso di lui, standogli vicina.
– Mi ha fatto piacere rivederla un’ultima volta. Ed intendo, è stato bello rivederla senza che lei volesse uccidermi. – disse lei ironicamente, sorridendo divertita dalle sue stesse parole. Anche Elijah sorrise, facendo risalire una mano a carezzarle il viso. Lei lo guardò, sorridendo amorevolmente. In un secondo, sentì tutto lo stress della giornata scivolarle addosso. Perché i fantasmi erano davvero andati via, lei poteva davvero vivere in quella cittadina con i suoi amici, con Elijah. Probabilmente per la prima volta in vita sua, fu sicura che quando avrebbe riaperto gli occhi il giorno seguente, non avrebbe visto nulla di negativo ma solo quella vita che aveva sempre desiderato.
– Grazie Elijah. – sussurrò lei, sollevando una mano a carezzare il dorso di quella che il vampiro teneva sul proprio viso. Ma lui non voleva essere ringraziato, sebbene non lo disse. Si limitò a chinarsi verso di lei per avvicinarsi il suo viso a quello della vampira. E quando lei capì, gli andò incontro facendo in modo che le loro labbra si incontrassero prendendo a sfiorarsi delicatamente. Socchiusero gli occhi avvicinandosi maggiormente, e loro finirono con l’incontrarsi maggiormente rendendo quel bacio molto più passionale. Lei gli si spinse debolmente contro, sollevando una mano ed appoggiandola nell’incavo del collo di lui, sino a risalire verso i capelli morbidi dentro i quali le dita si persero. E stettero così per lunghi minuti, prima che quelle bocche si separassero senza il bisogno di riprendere aria, in quanto entrambi vampiri, ma servì affinché i loro occhi si incontrassero per urlare quei sentimenti che dondolavano nell’aria, ma che le parole non si apprestavano a dire.
 
Esther si lasciò cadere sulla grande poltrona dell’immenso salone dei Mikaelson, deliziandosi del silenzio che vi era. Klaus non c’era mai, preferiva di gran lunga stare lontano da lì insieme alla sua adorata sorellina che, da quando la madre l’aveva usata come involucro per ospitare la sua anima, aveva scelto di fare squadra con Klaus. Mai più di quel momento, la strega fu sicura che l’eternità aveva rotto la sua famiglia in tanti piccoli pezzettini ma lei li avrebbe raccolti e rimessi ai loro posti con calma e pazienza. Sospirò, socchiudendo gli occhi e lasciandosi cullare dalla tranquillità. Aveva usato troppe energie quel pomeriggio, sapeva di non essere pronta per affrontare un incantesimo del genere ma lo doveva ad Elijah, dopo gli occhi con i quali il suo stesso figlio l’aveva guardata.
Ma riaprì presto gli occhi quando sentì alcuni passi pesanti entrare nel salone, e si voltò verso l’ingresso dello stesso. Mikael avanzava con passi tranquilli verso la poltrona sopra la quale sedeva la sua stessa moglie e le si avvicinò presto, appoggiando una mano su una spalla di lei.
– Stai bene? – le domandò lui, con amorevole tono premuroso. Esther annuì, sollevandosi in piedi. – Non avresti dovuto esagerare. Forse dovresti riposare. – continuò lui, fissandola. La strega raccolse la mano del marito e gliela spostò, per stringerla in entrambe le sue mani.
– Tu dimmi che hai fatto quello che ti avevo chiesto. – gli disse lei, seriamente. Mikael assentì col capo, voltando poi il suo sguardo verso l’enorme porta ad arco che dava dal salone, in cui loro si trovavano, verso l’ingresso. Ben presto due figure si portarono sotto la soglia, indossanti abiti di epoche diverse ma entrambi consumati dal tempo. Esther lasciò la mano di suo marito sorridendo premurosamente verso i suoi due figli.
– Figli miei. – sussurrò, contenta. Kol disegnò presto un sorriso sghembo sul suo volto, mentre Finn manteneva quella sua espressione fredda ed impercettibilmente infastidita.
– Ciao mamma. – la salutò Finn, riprendendo ad usare la sua voce dopo quasi novecento anni di morte.

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Note dell'autrice
Oh mamma, da quanto tempo! Ebbene si, sono sparita per davvero molto tempo, per cui vi chiedo di perdonarmi. x°D
Inolte ritorno con un capitolo che nemmeno mi piace! C'era da fare questa cosa per risolvere definitivamente il problema dei fantasmi e allora ho voluto farlo in fretta, senza prendermi un altro mese per pensare a come avrei dovuto fargli fare l'incantesimo e tutto il resto.
Non credo ci sia molto da dire, o comunque non ho tantissimo da dire, cercherò di riprendere ad aggiornare presto. :)
Voglio solo ringraziare tutti coloro che, nonostante tutto, sono stati lì ad aspettare che io aggiornassi. Sappiate che vi voglio bene. *-*

Se vi interessa, ho creato la mia pagina ufficiale come autrice di EFP in cui pubblicherò aggiornamenti, spoiler, comunicazioni e quant'altro sulle mie storie. Spero passiate a trovarmi. :D Il link è questo.
Spero di sapere i vostri commenti, anche perché ora come ora sono davvero molto ma molto importanti per me (sono rimasta bloccata per tutto questo tempo ed ora sto affrontando una seria crisi çwç). Alla prossima!

   
 
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