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Autore: BeautifulMessInside    01/03/2013    3 recensioni
"Non hai paura di morire?" - "Non ho molte ragioni per vivere."
Cara non sarebbe dovuta salire su quell'aereo, non sapendo che Joseph Michaelson, detto il Lupo, sarebbe stato sul suo stesso volo.
Joseph non avrebbe dovuto salvare la ragazza, non sapendo chi lei fosse. Ma Joseph non ha idea di chi sia Cara e lei non può sapere che lui davvero farà il grosso sbaglio di salvarla.
Assassini, famiglie potenti, attrazioni pericolose e segreti nascosti in una storia dove non tutto è come sembra.
Genere: Angst, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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cap6

A/N  Ringrazio tutti quelli che leggono, seguono, ricordano, preferiscono e recensiscono! Siete davvero una miracolosa meraviglia nelle mie giornate più noiose!!

Questo capitolo (oltre ad un po' di "sana" interazione tra i protagonisti) racconta qualcosa in più sui Michaelson, anche se c’è ancora moooolto da dire...Dal prossimo invece, credo che la vera azione avrà inizio!

 

-------

 

Il cancello della villa si aprì con il solito fischio. Il viale proseguiva su per la collina in curve lente e sinuose. Le palme sventolavano piano, lasciando intravedere il grande edificio in cima alla strada. Casa, così avrebbe dovuto chiamarlo.

Joseph respirò una lunga boccata d’aria, l’umidità del Mississippi gli era già addosso. Lasciò scorrere gli occhi sui muri color mattone, interrotti dalle grandi finestre bianche in stile vagamente inglese, completamente fuori dall’impronta europea di New Orleans. Al primo piano la grande balconata in ferro battuto era già coperta di fiori e foglie verdi, mentre il colonnato bianco del portico risplendeva al sole, candido e pulito come sempre.

Sua madre avrebbe adorato quella casa, se solo avesse potuto godersela per un po’.

Il suono dei suoi passi sul parquet scuro rimbombò nel grande soggiorno vuoto. Nessun segno del passaggio di Nathaniel ed Elia.

Facendosi coraggio, Joseph proseguì per il lungo corridoio fino alla porta chiusa dello studio. Affrontare suo padre era quella parte di vita che non avrebbe mai rimpianto se fosse rimasto chiuso in una cella per il resto dei suoi giorni. Poteva già sentire il suono acido, intriso di superiorità, della sua voce. Sbatté piano le nocche contro il legno.

“Avanti.”

Joseph varcò la soglia fissando il pavimento, cercando di ritardare al massimo il momento in cui il caro papà gli avrebbe puntato gli occhi addosso, con chiaro e palese disappunto.

“Vieni avanti Joseph.”

Ed eccolo lì. William Michaelson III, comodamente seduto sulla sua poltrona di pelle, seminascosto dietro la scrivania in mogano. La giacca nera rispecchiava il suo solito umore, mentre la barba, lasciata lunga, ma perfettamente curata, copriva a metà il ghigno sul suo viso.

“Felice di riaverti a casa figliolo.”

Sarcastico. Era solo sarcastico. Joseph strinse i pugni cercando di frenare la lingua, quel trattamento gli era riservato dal giorno della nascita, ormai avrebbe dovuto esserci abituato. Il Signor Michaelson era tutto fuorché un padre amorevole.

Dopo aver ereditato il nome ed il business di famiglia, si era concentrato esclusivamente su quest’ultimo, tentando di ampliare gli orizzonti del loro potere. Le origini della casata erano da ricercare in Europa, affondando tra la mafia siciliana e quella francese di Grenoble, mischiatasi pian piano alle altre differenti branche della malavita del nuovo mondo.

L’originale William Michaelson, se questo era stato il suo vero nome, aveva messo piede sul suolo americano all’alba del primo conflitto mondiale, approfittando della confusione generale per piantare il seme della loro famiglia. Inizialmente il piccolo impero criminale aveva raccolto il disappunto di poveri ed analfabeti, dedicati per lo più a rapine ed estorsioni, ma col passare degli anni le tecniche erano state affinate, ed il loro bacino d’azione largamente ampliato.

Oggi William Michaelson III teneva le redini di un’intera organizzazione, traendo profitti non solo dai più comuni illeciti, ma per lo più dal riciclaggio di denaro, dal contrabbando, dal gioco d’azzardo e dal traffico di sostanze. Non vi era settore in cui non avesse ficcato le mani almeno una volta. Anni di scontri ed alleanze l’avevano infine portato a vantare la più grande rete di collaborazione criminale mondiale.

Ciò non vuol dire che non avesse nemici.

Aveva molti nemici.

La grande furbizia ed intelligenza di questo piccolo uomo stava tutta nel non sporcarsi mai le mani in prima persona. C’era sempre qualcun altro che poteva fare il lavoro sporco al suo posto, affiliati, mercenari, corrotti, professionisti del crimine, i suoi figli. Già, i suoi quattro bei ragazzi, i quattro soldati meglio addestrati.

Ognuno di loro era stato cresciuto con questo scopo, perfezionato nelle proprie personali inclinazioni, a servizio della famiglia.

“C’è già Caspar a marcire in galera…”

Riprese

“…Un altro Michaelson dietro le sbarre sarebbe stato a dir poco inopportuno...”

Gracchiando quelle parole, William si sollevò dalla poltrona e raggiunse il mobile bar per versare due dita di Scotch nei bicchieri.

“… Qualcuno potrebbe pensare che i miei figli non siano degni di portare il mio nome.”

Lui. Era lui il primo e forse l’unico a pensarlo.

Joseph cercò con tutte le sue forze di frenare i nervi, buttando giù in un solo sorso l’alcool che suo padre gli aveva offerto. Doveva solo far finta di non sentire. Doveva solo fingere. D’altra parte quel discorso aveva già raggiunto le sue orecchie milioni di volte, replicandosi e ripetendosi con toni e parole ogni volta diversi. Non sarebbe mai stato abbastanza, non per il giudizio del grande William Michaelson III.

C’era una ragione dopotutto, una valida ragione perché lui lo odiasse, ed un’altra altrettanto buona per non aver alcuna considerazione del proprio primogenito. Caspar era rinchiuso in una prigione di massima sicurezza in Giappone e suo padre non aveva ancora mosso un dito per liberarlo.

Troppo debole. Troppo sensibile. Troppo amato. Così lo considerava.

Sin dal momento in cui aveva sposato la madre di Joseph, William aveva deciso che il loro primo figlio sarebbe stato null’altro che un passo obbligato. E’ nella natura delle donne infatti, amare la loro prima creatura con un’intensità senza controllo, che non lascia spazio al dovere e alla disciplina. Tuttavia, troppo amore rende questi figli deboli, fragili, senza alcuna capacità di resilienza, in altre parole inutilizzabili. William sapeva che sua moglie non avrebbe mai rinunciato al piccolo Caspar e così glielo aveva lasciato, facendo finta che nemmeno esistesse. Tutto il suo interesse ed i suoi progetti si erano riversati direttamente su Elia, all’anagrafe William Michaelson IV.  Poca sorpresa che fosse il suo soldato migliore.

“E’ stato Pushkin a far saltare il piano.”

Ribatté Joseph come dato di fatto, senza la minima intenzione di giustificarsi. Non c’era spazio per le giustificazioni in quello studio.

Suo padre gli sventolò la mano davanti alla faccia, come se cercasse di scacciare le sue parole.

“Vladimijr non è il problema…”

Si voltò di spalle e tornò alla sua scrivania, poggiando i palmi sul legno scuro. Joseph trattenne il fiato, spingendo tutta l’energia nei muscoli tesi.

“…Tu sei il problema.”

Aggiunse William, voltandosi in un movimento fluido e mostrandogli il suo mezzo sorriso

“La tua incapacità mi è costata parecchie migliaia di dollari figliolo. Senza contare lo smacco al buon nome della famiglia…”

Si portò il bicchiere alla bocca, bagnando appena le labbra nel liquido ambrato, spendendo una buona manciata dei suoi preziosi secondi assaporandone l’aroma complesso.

“…Ma del resto lo sai, non dovresti nemmeno portarlo il mio cognome.”

Concluse con voce pacata, come se avesse espresso il più naturale e scontato dei pensieri.

L’assassino strinse il pugno attorno al bicchiere, talmente forte da aspettarsi una pioggia di vetri sul parquet da un momento all’altro. Quanto avrebbe voluto schiantarglielo in fronte.

“Vattene adesso.”

Joseph trattenne a stento l’istinto omicida, quello stesso che William aveva coltivato in lui con tanta devozione. Nella sua mente poteva già godere la vista delle budella di suo padre spalmate per la stanza. Girò i tacchi senza proferire sillaba.

“Ah, figliolo?”

Figliolo. Di’ quella parola ancora una volta e giuro che ti sbudello, maledetto bastardo.

Gli tese solo l’orecchio, perché se si fosse voltato, davvero avrebbe rischiato di perdere il controllo.

“Non andare troppo lontano. Se Fitz non paga i suoi debiti entro lunedì, avrai un lavoro da fare.”

Meno male. Avrebbe avuto qualcuno su cui scaricare la rabbia. Fitz non avrebbe mai pagato e lui si sarebbe sfogato facendolo a pezzi. Doveva solo resistere fino a lunedì.

No. Non sarebbe mai riuscito a trattenersi tanto.

 

--------

 

Cara sedeva sul letto, rimirando le briciole del panino che aveva divorato poco prima. Il suo corpo stava ancora ringraziando.

La porta della stanza si aprì di colpo, sbattuta con violenza alle spalle dell’assassino.

Joseph aveva gli occhi scuri, i capelli scompigliati e l’espressione sconvolta.

Lei balzò in piedi, spalancando gli occhi di fronte a tanta rabbia malcelata. Ogni millimetro della sua persona trasudava collera, cattiveria, violenza.

Indietreggiò di un passo, valutando l’idea di dire qualcosa.

Lui le fu addosso prima che potesse parlare, afferrandola per le spalle e sbattendola al muro. Cara rimbalzò contro la parete fredda, incapace di opporre resistenza a quell’attacco inaspettato. Le iridi azzurre di Joseph erano sparite, totalmente ingurgitate dalle pupille dilatate, frutto dell’alcool in cui aveva cercato di annegarsi.

Il suo peso la inchiodò contro l’intonaco, mentre le sue mani tiravano su il vestito senza alcuna cerimonia. Usando i piedi la costrinse ad aprire le gambe, emettendo una specie di grugnito al suo tentativo di resistenza. Le premette l’avambraccio contro la trachea, obbligandola al muro mentre lui, con la mano libera, slacciava la cintura.

Sarebbe stata una cosa veloce. L’unica cosa che voleva era sprofondare in un corpo caldo, stringere qualcosa di vivo tra le mani, entrare nelle sue viscere e lasciarci dentro tutta quella rabbia. Tutto quel dolore. Sporcarla per sentirsi pulito. Farle male per stare meglio.

Cara prese a dimenarsi, stringendo le unghie attorno al braccio che le impediva il respiro, facendolo sanguinare, cercando disperatamente di strapparlo via. L’accenno di umanità che aveva intravisto sembrava sparito, sepolto dietro una furia senza volto.

Joseph esitò per un breve secondo, assaporando quel dolce dolore. Il suo rigetto era piacevole. Rassicurante. La ragazzina in quel momento doveva odiarlo e tutto il suo odio era meritato, anzi, per sicurezza, avrebbe fatto in modo di meritarlo davvero tutto.

Afferrandola ancora una volta con decisione, la spinse sul materasso.

“No…Ti prego no.”

Ignorando completamente la richiesta le si buttò sopra, per nulla disturbato dai suoi pugni sulla schiena.

Cara tirò indietro la testa, cercando di evitare la sua bocca. Le labbra di Joseph, al sapore di doppio malto e sigarette, lasciarono una scia bagnata sul suo collo, mordendo e succhiando ogni porzione di pelle disponibile. Con un movimento deciso di bacino aveva preso posto tra le sue cosce, strusciandosi con violenza contro di lei.

La ragazza cercò di respingerlo ancora una volta, provando in ogni modo a farsi sentire. Tutto ciò che le uscì di bocca fu una lunga scia di no, alcuni urlati, altri appena sussurrati.

Joseph proseguì cercando di ignorare quel suono continuo, strinse uno dei suoi seni nella mano e riuscì finalmente a strapparle un lamento diverso. Ancora una volta raggiunse i pantaloni e provò a venirne fuori. L’ultimo strato che lo separava da lei era quel maledetto bikini nero.

Cara riuscì a portare le mani al petto dell’assassino e spinse più forte che poté. Il peso di lui oscillò appena. Chiudendo gli occhi portò i palmi alle sue spalle e lo chiuse in una specie di abbraccio stonato.

“Ti prego fermati Joseph.”

Lui sembrò paralizzarsi di colpo. Il suono del suo nome di battesimo pronunciato da quelle labbra lo inchiodò al letto.

Cara sospirò. Le parole erano uscite da sole una dietro l’altra. La scelta di chiamarlo Joseph spinta dalla naturale ed istintiva necessità di abbattere qualche barriera in un momento rubato, ma comunque intimo.

Joseph riprese parte del controllo, sentendo ancora viva e vegeta la fiamma del risentimento che lo aveva spinto fin lì. Rimase nella sua posizione di comando, spingendo tutta la sua virilità contro di lei, rendendo ben chiaro che il momento non era sfuggito. Sollevando una mano, strinse il viso di Cara tra le dita e la guardò dritta negli occhi

“Se non mi lasci fare questo, ho paura che potrei farti male davvero.”

Lei riprese fiato, scrutando quegli occhi velati. Parte della rabbia era scemata, lasciando spazio ad una luce scura, più difficile da decifrare. Era come se il suo fosse un bisogno, non fisico, ma spirituale. Non voleva farle male, ma doveva averla, anche contro la sua volontà.

Cara mosse le dita e sentì i suoi muscoli contratti sotto i polpastrelli. Non c’era fibra in lui che non fosse tormentata.

In questo erano più simili che mai.

Sbatté le palpebre lentamente, portando piano le mani fino al suo polso

“Non così…”

Sospirò, spingendo delicatamente via la mano che le teneva il viso

“…Solo non così.”

Ribadì, mentre lui piantava i gomiti ai lati del suo capo, lasciando che fossero faccia a faccia.

Cara si morse piano il labbro, sentendo che qualcosa stava iniziando a muoversi anche dentro di lei. Fece forza sugli addominali e si tirò su, abbastanza da sfiorare le labbra dell’assassino con le proprie, stavolta in un gesto lento e delicato. Il sapore deciso della sua bocca non le sembrò più tanto spiacevole.

Joseph rimase interdetto per un attimo, scoprendo una morbidezza che prima non era riuscito a sentire. Desiderandone ancora. Ardentemente. Ripeté il gesto, catturando il labbro inferiore di Cara tra le sue. Lei rispose al bacio, muovendosi ad un ritmo pacato, riportando piano la schiena sulla coperta, trascinandolo giù con lei.

L’assassino ne tracciò i contorni con la punta della lingua, poi affondò nella sua bocca, prendendosi tutto il tempo per abituarsi a quel calore. Cara spinse impercettibilmente sulle sue spalle attirandolo a sé, perdendosi in un bacio morbido e caldo, finalmente degno di quel nome.

Joseph lasciò scorrere la mano sul suo collo, sulle spalle e poi sul seno, passando delicatamente il pollice sulla parte più sensibile. Cara rispose con un leggero colpo di reni, sorpresa quanto lui della facilità con cui il suo corpo sembrava rispondere alla stimolazione. Si staccò dal bacio per riprendere aria ed infilò le dita sotto la maglietta dell’assassino, svelando una pelle liscia e calda, avvolta su muscoli forti e contratti.

L’azione aumentò presto di ritmo, trovando la mano di Joseph sullo stomaco scoperto di Cara, scosso da brevi respiri affannosi. Il movimento continuò inesorabile, fin quando le sue dita riuscirono finalmente ad infilarsi sotto i confini del bikini, trovando ciò che tanto avevano bramato. Lei sussultò, quel contatto inaspettatamente piacevole, come se lo avesse atteso da altrettanto tempo. Joseph non trattenne un gemito d’apprezzamento, scoprendola già pronta per lui. Decise comunque di regalarle un assaggio della sua maestria, conquistata accumulando piacevoli randez-vous senza alcun significato.

Cara inarcò la schiena schiudendo le labbra. Avrebbe dovuto odiarlo, ma non poteva non ammettere a sé stessa che nessuno mai l’aveva toccata in quel modo. Aveva dentro solo le sue dita e già si sentiva sul punto di esplodere.  

Lo sentì muoversi, spostando il peso del corpo su un solo ginocchio. L’inconfondibile rumore della zip riempì quel secondo di silenzio. Cara rimase a guardarlo, persa ancora una volta nello strazio dei suoi occhi. Gli accarezzò piano il viso, buttando giù un altro mattone dall’enorme muro tra loro. Lo sentì spostare il costume con la punta delle dita ed entrare in lei. Chiuse gli occhi, stringendo d’istinto i muscoli.

“Apri gli occhi.”

La riprese lui, con voce bassa, ma decisa. Aveva bisogno di guardarla in quel momento, bisogno di capire dai suoi occhi se lo stesse odiando, se lo avrebbe respinto, se avrebbe immaginato o desiderato di essere in un qualsiasi altro posto piuttosto che lì, sotto di lui.

Si mosse piano, un centimetro alla volta, sperando, in un angolo non troppo buio della sua mente, che Cara riprendesse a scalciare. In quel caso avrebbe saputo perfettamente cosa fare e come sentirsi… Ma in questo… La ragazzina dell’aereo non era una prostituta, tanto meno una donna da quattro soldi di quelle che era solito rimorchiare nei bar. Lei era vera,  normale, ed inevitabilmente avrebbe letto tra le righe di quell’amplesso, chiedendogli qualcosa in cambio.

Scacciò quel pensiero gustando ogni sensazione che l’interno del suo corpo riusciva a donargli. Il viso di Cara andava tingendosi di un rosso sempre più acceso, i suoi lineamenti ancor più belli di quanto Joseph potesse ricordare. Doveva averla. Dal momento in cui gli era passata accanto sull’aereo lui doveva averla.

Quella consapevolezza spezzò la dolce stasi del loro avvicinamento. L’assassino allontanò da sé le mani della ragazza e le immobilizzò al materasso con le sue sopra, facendo forza sulle ginocchia per aumentare il ritmo delle sue spinte. Joseph nascose il viso nell’incavo del collo di Cara e lei chiuse di nuovo gli occhi, godendo allo stesso tempo della frizione tra i loro corpi e dei suoi gemiti di piacere, ovattati dalla posizione, ma chiari e continui, come una sorta di sensuale canzone a far da sottofondo.

Il cervello sembrava essersi spento, ogni percezione, ogni sensazione, arrivava esclusivamente dalla pelle, dagli organi interni, dalle labbra che riuscivano a sfiorare i suoi capelli.

Joseph la strinse alla vita, attirandola a sé, rendendo quel contatto il più profondo possibile. In quel momento l’odio di suo padre non aveva più importanza, la morte di sua madre sembrava un evento lontano ed i lividi dei colpi presi non bruciavano più. La ragazzina stava prendendosi tutto, non solo il suo corpo, ma anche i suoi tormenti. Si tirò su per guardarla ancora, osservando la sua reazione ad ogni spinta, cercando di carpire e memorizzare ogni piccolo suono che riusciva a sfuggire dalle sue labbra. Stava godendo, godeva anche lei, ma di certo non glielo avrebbe dato a vedere così facilmente. La sua ragazzina ostinata e cocciuta.

Con un’ombra di sorriso in bocca ed incapace di contenersi ancora, Joseph premette tutto sé stesso dentro Cara, congelando ogni altro movimento, per assaporare gli spasmi del proprio corpo che andava svuotandosi. Cara era rimasta immobile insieme a lui, con le palpebre ancora calate e le mani tremanti, casualmente poggiate sui fianchi dell’uomo che l’aveva appena posseduta.

Quello era un momento eterno. Di lì in poi tutto sarebbe stato nuovamente un casino.

Joseph rotolò piano accanto a lei, tirando giù la maglia e su la zip dei jeans. Cara sentì lo stesso immediato bisogno di coprirsi, già convinta che non avrebbe pronunciato parola. Se avesse detto qualcosa, qualsiasi cosa, l’imbarazzo, la vergogna e forse il rimorso, l’avrebbero assalita, facendole desiderare di sparire all’istante.

Lui tornò in piedi, sistemando con nonchalance i propri vestiti. Era fatta. Aveva raggiunto lo scopo, grattato il suo prurito, vinto l’ennesima sfida col suo ego infinito. Nel momento in cui si fosse deciso a guardarla di nuovo, non avrebbe visto nulla più che una donna qualsiasi, senza alcuna attrattiva rimasta. Quel pensiero, tranquillizzante sulla carta, lo teneva di fatto impalato, rivolto alla finestra.

E se invece fosse avvenuto il contrario? Joseph si leccò le labbra, riuscendo ancora a sentire il sapore di Cara. Se ne avesse voluto ancora? Se si fosse trovato a desiderarla una volta in più? E magari un’altra, ed un’altra ancora? Si passò la mano sul viso, indeciso su quale fosse la prospettiva più spaventosa.

Cara si strinse nelle braccia, cercando di farsi piccola. I suoi muscoli interni stavano ancora cercando di riadattarsi al vuoto, mentre lei provava a riordinare le idee. Il pensiero di aver fatto l’amore con lui.. O meglio, sesso con lui, la faceva sentire violata, più in combutta con sé stessa che con l’assassino. D’altra parte era stata proprio lei a cedere, a farsi prendere senza resistenze. Il fatto che Joseph avesse abbassato la guardia, che si fosse comportato più come un uomo che come un carceriere, quello poteva essere un vantaggio per lei, giusto? O probabilmente voleva dire tutto il contrario. Forse, ottenuto ciò che voleva, non avrebbe più avuto ragioni per tenerla in vita.

Quando Joseph si voltò nella sua direzione, il suo sguardo indecifrabile le provocò un brivido improvviso.

Cara alzò piano gli occhi

“Mi ucciderai adesso?”

Domandò in un bisbiglio. Lui parve colpito, addirittura quasi ferito per un secondo. Sollevò le sopracciglia

“Credi davvero che io sia un tale mostro?”

Rispose, restituendole il punto di domanda. Cara abbassò lo sguardo, prendendosi il tempo di pensarci davvero.

“Io…”

Iniziò incerta, quasi in imbarazzo a quel punto

“…Io non so cosa pensare.”

Masticò le sue stesse labbra

“Se non vuoi uccidermi… Allora perché non mi lasci andare a casa?”

Joseph sospirò avvicinandosi di nuovo, sedendosi piano sul letto, accanto a lei, ma stavolta ad una distanza ragionevole.

“Non posso lasciarti andare. Sai troppe cose di me, della mia famiglia, di quello che faccio.”

“Non dirò niente.”

Lui sorrise. Quante volte se l’era sentito dire? Quante persone l’avevano pregato di lasciarle vivere, giurando su dio e sulle loro madri che non avrebbero mai aperto bocca? Se avesse ascoltato qualcuno di loro, sicuramente sarebbe già morto o rinchiuso da tempo.

Restò lì in silenzio, senza bisogno di ribadire il suo no. Cara riempì i polmoni fino all’orlo, guardando in qualsiasi direzione tranne la sua.

“Io non capisco… Mi hai salvata. Più di una volta, ma…Perché?”

Gli occhi di Joseph se li sentiva addosso, a differenza di lei l’assassino non sembrava affatto a disagio anzi, pareva che a stento riuscisse a trattenersi dal sorridere. Non che avesse problemi di autostima, quello era chiaro.

“Io…”

Cara trattenne il labbro superiore tra i denti, valutando se fosse il caso di pronunciare ad alta voce quella scemenza.

“…Io ti piaccio?”

Stavolta lui sorrise davvero

“Sono un Michaelson. A noi non piacciono le persone. Noi non amiamo.. E non teniamo a nessuno. I sentimenti sono solo debolezze.”

Mentre parlava il suo sorriso era scomparso, rimpiazzato da una maschera fredda.

Non hai tutti i torti pensò Cara, ma decise di tenere la bocca ben serrata. Si era già resa abbastanza ridicola con la sua ultima domanda. Annuì in silenzio tornando a fissare il nulla.

Joseph si tirò su, cercando ancora una volta qualcosa di interessante al di là delle inferriate. Con la coda dell’occhio poteva ancora vederla, la testa bassa, i lunghi capelli che scendevano morbidi verso il pavimento, le ginocchia serrate, i piedi nudi poggiati al pavimento solo con la punta. Non riuscì a trattenersi

“Sei bella…”

Esordì senza muoversi

“…Sei forte. Hai l’aspetto di un angelo. Piaceresti a qualsiasi uomo.”

Concluse, senza dare alla sua voce alcun tono particolare, nulla che potesse far trasparire i suoi pensieri.

Cara sollevò piano il viso, sorpresa ed indecisa. Era il tipo di ragazza che snobba i complimenti gratuiti, ma quelle poche parole erano riuscite a sfiorarla, del tutto inattese ed inopportune. Gli angoli della sua bocca si sollevarono in un sorriso solamente accennato

“Grazie.”

Rispose, la voce appena percettibile.

Joseph colse al volo quel piccolo cambio d’espressione, realizzando che era la prima volta, in tutto il loro tempo, che vedeva sul suo viso qualcosa di diverso dalla paura. Lo stomaco gli si torse sotto le costole e solo allora  ne fu certo. Ne voleva ancora. Voleva ancora guardarla, ancora toccarla, sentire di nuovo il calore del suo corpo addosso al proprio.

Strinse gli occhi imprecando contro quel momento, come se avesse appena scoperto che un tumore mortale gli stava crescendo dentro. Quella sensazione gli era del tutto estranea ed il suo organismo avrebbe attivato ogni singola cellula al fine di rigettarla.

Era sbagliato. Inaccettabile. Doveva fare in modo che sparisse, il prima possibile. Doveva uscire di lì.

Mosse i primi passi veloci, ma la porta della stanza gli si aprì contro prima che arrivasse alla soglia.

Nathaniel sporse la testa col suo caratteristico sorriso stampato in volto. Il pullover blue navy ne sottolineava il contrasto tra pelle chiara e capelli scuri, abbinandosi perfettamente alla finitura cromata della mazza da baseball che stringeva nella mano destra.

Si guardò intorno

“Ammetto di essere deluso. Speravo di interrompere una scena ben più interessante…”

Lanciò un’occhiata a Cara

“…Tipo lei nuda e tu…”

Guardò suo fratello per un secondo. Arricciò il naso ed emise un chiaro segno di disgusto

“No. Tutto sommato meglio così.”

Joseph roteò gli occhi al soffitto

“Cosa vuoi Nate?”

Lui giocherellò con la mazza, passandola da una mano all’altra

“Come avrai intuito, ho interrotto il mio allenamento settimanale per venirti a prendere.”

“Perché?”

“Indovina chi è arrivato in città?”

Joseph divenne la personificazione della serietà

“Pushkin.”

Rispose. Più un’affermazione che una domanda. Nathaniel prese a fissare Cara, lasciando che la sua mente vagasse mentre la sua lingua esponeva la questione

“La notizia della tua sfortunata dipartita si è sparsa in fretta e pare che il vecchio muoia dalla voglia di offrire le sue personali condoglianze al nostro affranto papi.”

“Non verrebbe mai qui. Non per questo.”

Il più giovane riportò gli occhi su Joseph

“Lo so.”

Mosse qualche passo nella stanza prima di riprendere

“Date le sfortunate circostanze, potrebbe sembrare che la scomparsa di Katrina e la tua morte rendano pari le nostre famiglie… Personalmente però, credo che un trattato di pace sia l’ultimo punto al suo ordine del giorno, direttamente sotto “massacrarci tutti” e “far tornare di moda il colbacco”.”

Joseph sospirò, palesemente esasperato.

“Quindi?”

“Se ne occuperà il caro papi. Noi ce ne andiamo. Veloci come la luce.”

Joseph annuì. Benché una nuova ragione per innervosirsi fosse l’ultima delle sue necessità, sparire era esattamente ciò di cui aveva bisogno. 

Guardò Cara, rimasta in silenzio per tutto il tempo. Sì, doveva sparire. E così anche lei. Fuori dalla vista, fuori dai pensieri.

“Bene.”

Aggiunse, pronto a seguire suo fratello in capo al mondo. Nathaniel si schiarì la voce indicando l’angolo con un gesto della testa.

“Che ne facciamo della tua bambolina?”

Joseph non la guardò nemmeno

“Lasciamola qui.”

Cara spalancò gli occhi. Morire di stenti in un vecchio palazzo abbandonato?

Nate aggrottò le sopracciglia

“Davvero Jo? Ci metterà almeno una settimana a morire.. E non è divertente se non possiamo stare qui a guardare!”

Cara balzò in piedi d’istinto, nel suo petto il rumore netto di un’esplosione. Per qualche assurda ragione stava davvero aspettando che lui dicesse qualcosa. Joseph le restò di spalle, senza pronunciare alcun suono.

Nathaniel si mosse invece verso di lei. Sollevò un sopracciglio

“Di certo è un peccato…”

Esitò per un secondo, mostrando un’espressione vagamente simile alla pietà. Sparì immediatamente.

“…Ma togliamoci il pensiero!”

Concluse sollevando la mazza sopra la testa per caricare il colpo. Cara spalancò la bocca per urlare, ma nulla ne venne fuori. Istintivamente si coprì il viso con le braccia cercando di indietreggiare. Dio.. Avrebbe davvero fatto male.

“Aspetta.”

Eccola. Finalmente la voce dell’assassino. Nathaniel bloccò il gesto a mezz’aria, voltando la testa con nonchalance

“Cosa?”

Joseph sapeva che sarebbe stato un grosso errore, ma dovette comunque girarsi e guardare. La ragazza si lasciò cadere sul letto, visibilmente sul punto di svenire o vomitare.

Nate sfoderò il sorrisetto, suo marchio di fabbrica

“Ma non mi dire! ...E’ davvero così brava a letto?”

Joseph scosse la testa, cercando di spegnere ogni alito di umanità. Cosa diavolo le aveva fatto quella donna?

“Non puoi farlo qui…”

Si giustificò

“…L’ultima volta Rosalinda ha impiegato tre giorni per togliere il sangue dalla moquette.. E credimi Nate, l’ultima cosa che potrei sopportare adesso è il suo fastidiosissimo accento spagnolo nelle orecchie.”

Nathaniel corrugò la fronte pensando alla chiara immagine della loro corpulenta domestica ultrasessantenne. Odiava sentirla bofonchiare in una lingua sconosciuta.

“Sono d’accordo.”

Concluse tirando giù l’arma.

“Dove allora?”

Joseph impedì a sé stesso di incrociare gli occhi di Cara, fosse stato anche solo per una frazione di secondo.

“La portiamo all’appartamento. Devo comunque fermarmi a prendere un paio di cose.”

Nate ridacchiò afferrando la ragazza per il polso. Doveva essere davvero un bocconcino saporito se suo fratello si stava rammollendo come un adolescente in calore. Magari avrebbe avuto il tempo di “dare un morso alla mela” anche lui prima di fracassarle il cranio.  

Joseph attraversò la porta per primo. Nella sua testa il flashback di una scena appena vissuta

I suoi occhi blu si erano sollevati lentamente da terra

Mi ucciderai adesso?”

Le aveva chiesto in un bisbiglio.

“Credi davvero che io sia un tale mostro?”

Sì, ragazzina. E’ questo quello che sono. Un mostro.

 

 

 

 

  

   

 

 

 

 

 

 

 

  
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