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Autore: elsie    19/09/2007    1 recensioni
"Potevano salvarsi entrambi, oppure perdersi entrambi. L'unica cosa che rimaneva da fare ora, l'unica cosa che rimaneva da fare era entrare nel fuoco..." Pyro incontra una ragazza al Xavier Institute e insieme dovranno prendere la decisione più importante della loro vita. Basato su X-Men 2. PyroOC
Genere: Romantico, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ItF14

Disclaimer: Pyro e gli X-men non appartengono a me ma a Stan Lee e a Jack Kirby, alla Marvel Comics e alla Twentieth Century Fox, che ha acquistato i diritti per il film. Possiedo invece, dato che l’ho creata io, il personaggio di Meredith St.Clair.

Ci stiamo lentamente avviando verso la fine della storia: come ho detto la scorsa volta, questo capitolo è il penultimo. Spero che vi piaccia!

......................................................................................

Meredith attraversò i corridoi dell’X-Jet ed entrò nella piccola cambusa in cerca di qualcosa da mangiare, e trovò Logan, anche lui con tutta l’aria di essersi appena alzato, intento a prepararsi un caffè.

“Buongiorno...” biascicò Meredith sedendosi a su una delle panche d’acciaio accanto al tavolo.

“Buongiorno, Meredith.” rispose Logan prendendo il bricco del caffé dallo scaldavivande. “Vuoi mangiare qualcosa? Il latte è nel frigorifero. Credo che ci sia anche una scatola di cereali, da qualche parte.”

“A dire la verità prenderei più volentieri un po’ di caffé.” rispose lei. Non era più una bambina, e che diamine.

Logan non obiettò. Si limitò a riempire due tazze di caffè fumante, ne porse una a Meredith e si sedette sulla panca opposta a lei. Lei strinse tra le mani la tazza bollente, poi alzò lo sguardo su Logan.

“Professore?”

“Sì?”

“Ha presente ieri a casa dei genitori di Bobby? Quando sono scesa dicendo che stava arrivando la polizia?”

Logan annuì. “Sì. A proposito, come facevi a saperlo?”

Meredith trasse un lungo respiro. “Ecco, appunto di questo volevo parlarle.”

Gli raccontò di quello che era successo nel bagno e di come avesse letto nella mente di Tom quando gli aveva messo la mano sugli occhi.

“Cosa crede che sia successo, professore?” chiese Meredith con una certa ansia.

Logan alzò le spalle. “La telepatia non è il mio campo, Meredith. Dovresti chiedere alla dottoressa Grey.”

“Non ho ancora avuto occasione di farlo.” replicò lei. “Secondo lei, è possibile che io non sia in grado di leggere il pensiero a distanza, ma che abbia bisogno di un contatto fisico per farlo? Non mi era mai successo di avere un’immagine così chiara.” Ci pensò su un istante. “Beh, ad essere sincera, ieri è stata in assoluto la prima volta in cui ho visto qualcosa. Di solito sento e basta.”

Logan sembrò considerare la questione. “Non ho mai sentito di una mutazione del genere, ma ovviamente perché no? Tutto è possibile.”

La porta si aprì e la professoressa Munroe mise dentro la testa. “Logan.” chiamò. “Vieni.”

Richiuse la porta e Logan sbuffò, alzandosi. Quando aveva la mano sulla maniglia della porta, Meredith lo richiamò.

“Professore, questo Stryker... Sì, insomma, lui può...”

Logan le sorrise. “No, non può. Non potrà, quando arriveremo là noi.” Le strizzò l’occhio. “Stiamo andando ad Alkali Lake appunto per prenderlo a calci in culo e riportare a casa i nostri ragazzi. Non preoccuparti di Stryker.”

Uscì dalla stanza e Meredith guardò dentro la sua tazza di caffè. Si sentiva strana. No, strana non era la parola giusta. Diversa.

Come se la sua vecchia pelle le fosse scivolata via di dosso e ora avesse un corpo nuovo, totalmente differente. Si chiese se questo cambiamento fosse visibile dall’esterno, se qualcuno che la conoscesse bene, come Bobby o Marie, avrebbe potuto guardarla e accorgersi che lei era diversa da ieri sera.

Ieri sera... Meredith non era tipo da farsi troppe illusioni riguardo al primo rapporto sessuale. Sapeva che, a dispetto di quello che volevano far credere i film d'amore e i romanzi rosa, nella vita reale si tratta di una faccenda piuttosto dolorosa, e sì, anche sanguinolenta. Quando si era svegliata, quella mattina, aveva scoperto con orrore che aveva le mutandine sporche di sangue. Si era augurata che le lenzuola dell'infermeria non ne fossero macchiate, altrimenti sarebbe stato un bel problema spiegare alla dottoressa Grey la provenienza di quel sangue.

Era stato bello. Lo era stato davvero, anche se non in senso... ehm... puramente tecnico. Non aveva provato piacere, se non timidamente, verso la fine, quando il dolore era un po' scemato. Non che ne fosse rimasta delusa: solo le eroine dei romanzi rosa hanno degli splendidi orgasmi multipli la prima volta che fanno sesso. Meredith era abbastanza sveglia da non aspettarsi di venire durante la sua prima volta; ma si era aspettata che fosse speciale, e unica, e con John lo era stato. Non era stato perfetto, ma era perfetto per lei, per loro, e Meredith non avrebbe potuto essere più felice di così. Una volta aveva letto che non esiste cosa più bella al mondo che fare l'amore con qualcuno che ami davvero, e, in questo specifico e particolare caso, il libro aveva ragione.

Meredith sorrise tra sé e sé. Avevano tutto il tempo di migliorare i dettagli pratici. Certe cose si imparano con l’allenamento e, ora che avevano cominciato, lei aveva intenzione di fare l’amore con John centinaia di altre volte. Migliaia di altre volte.
Ma per farlo avrebbero dovuto aspettare che la situazione si normalizzasse e potessero tornare a scuola. Era sicura al novantanove per cento di non essere nel periodo fertile del suo ciclo, ma era stato stupido, ovviamente, e irresponsabile, fare sesso senza usare alcun tipo di protezione. Non intendeva correre il rischio un'altra volta.

La porta cigolò sui cardini, ed apparve Marie. Quando vide Meredith rimase per un attimo impietrita sulla soglia, ma poi si riprese ed entrò. “Ciao.” sibilò cautamente senza guardarla.

“Ciao.” rispose Meredith, altrettanto imbarazzata.

Marie si mise a frugare in uno degli armadietti d’acciaio, evidentemente cercando di fare quanto più rumore possibile per coprire il silenzio che era calato tra loro. Meredith continuò a guardare nella sua tazza di caffé, divisa tra il suo orgoglio e il senso di colpa che continuava a farsi sempre più pesante.

“Ehm, hai visto Logan?” chiese Marie sedendosi sulla panca che fronteggiava la sua, ma circa mezzo metro più a destra.

“E’ appena uscito.” rispose Meredith lanciandole uno sguardo furtivo.

“Ah, ok.”

Seguì un'altra lunga pausa in cui entrambe trangugiarono il loro caffè in silenzio.

“Bobby?” domandò brevemente Meredith, questa volta sforzandosi di guardare Marie in faccia.

Lei inghiottì un sorso di caffè. “E’ andato a trovare John.” rispose, evitando però di incrociare lo sguardo di Meredith.

Lei guardò di nuovo nella sua tazza, delusa dalla reazione di Marie. Anche se lo zucchero era ormai sciolto da un pezzo mescolò di nuovo nervosamente il caffè, più che altro per distogliere il pensiero da quel peso che le opprimeva il cuore.

“Sai, sta meglio.” disse improvvisamente Marie. Meredith alzò di scatto la testa e la guardò, e Marie arrossì ma evitò di abbassare gli occhi. “John, intendo. Abbiamo incrociato la dottoressa Grey, dice che oggi si può alzare...” Esitò. “Ma... ma di certo tu lo sai già.”

Meredith si affrettò a scuotere la testa. “No, è da ieri sera che non vedo la Grey.”

Marie tornò a guardare il suo caffè.

“Grazie per avermelo detto.” aggiunse Meredith dopo un po’, arrossendo.

Marie la guardò. “Di niente.”

Calò di nuovo un profondo silenzio. Meredith si alzò all’improvviso, forse un po’ troppo velocemente, e Marie si voltò a guardarla un po’ sconcertata.

“Beh, è meglio che vada a trovare John.” disse avviandosi verso la porta.

“Certo.” bisbigliò Marie. “Allora, a dopo.” aggiunse mentre Meredith stava già uscendo.

Le sembrò di sentire una nota di ansiosa speranza nella voce di Marie, e Meredith ne fu sollevata. Allora non era l’unica a desiderare che tutto tornasse come prima...

“A dopo.” rispose con un leggero sorriso.

Si avviò verso l’infermeria, cercando di ricordare quale fosse il corridoio giusto: l’X-Jet assomigliava davvero a un enorme labirinto di acciaio in cui era molto facile perdersi. Con una certa inquietudine sperò di non incappare di nuovo in Magneto. Ancora non si riusciva a spiegare quella strana sensazione che aveva provato ieri sera, quando lui le aveva sorriso in quel modo, e non voleva che succedesse di nuovo. Con un lieve sussulto, si rese conto che non aveva paura di ciò che avrebbe potuto fare Magneto; aveva paura di ciò che avrebbe potuto fare lei.

D’improvviso girò l’angolo e quasi sbattè contro qualcuno. Quando alzò lo sguardo, vide che era John, bellissimo e sorridente.

“Buongiorno.” le sussurrò mentre avvicinava le labbra alle sue per darle un bacio.

Meredith gli gettò le braccia al collo e lo attirò a sé, arrendendosi al suo bacio e lasciando che tutte le sensazioni e i ricordi della notte precedente le ritornassero alla memoria. Il corpo di John era caldo e duro premuto contro il suo, e le sue labbra erano delicate ma risolute. Quando John fece per tirarsi indietro e porre fine al bacio, Meredith gli mordicchiò con delicatezza il labbro inferiore e gli sorrise.

“Buongiorno.” rispose con una risatina maliziosa. “Vedo che sei in piedi. Ed io che pensavo di averti sfiancato ieri notte...”

John scoppiò a ridere. “Oh no, per niente.” Abbassò la voce ad un sussurro basso e sexy. “Anzi, troviamoci una cabina vuota e tranquilla, così ti posso mostrare quante altre energie mi restano...”

Meredith piegò leggermente la testa di lato e lo guardò negli occhi. “Vorrei, John, lo vorrei davvero tanto. Ma non ti sembra che abbiamo corso già abbastanza rischi?”

Lui spalancò gli occhi. “Perché, tu credi che potremmo...” chiese con una certa inquietudine nella voce.

Meredith scosse la testa. “No, non penso.” Fece una smorfia. “Ma non tenterei la sorte un’altra volta.”

John sospirò. “E va bene, d’accordo...”

La strinse tra le braccia e Meredith appoggiò il mento sulla sua spalla e chiuse gli occhi, facendosi cullare dal respiro del suo ragazzo.

“Sono il tuo primo uomo.” le sussurrò John nell’orecchio, con una punta di orgoglio nella voce.

Meredith lo strinse più forte contro di sé. “L’unico.” rispose. John le baciò i capelli.

“Avrei voluto svegliarmi con te questa mattina.” mormorò Meredith.

Si erano concessi solo qualche minuto di tenerezze dopo che avevano finito, e lei aveva trovato così bello starsene stretti l’uno nelle braccia dell’altra, scambiandosi baci e carezze e godendosi quella sensazione di coinvolgente, totale intimità.
Ma il timore di addormentarsi e di farsi scoprire dalla dottoressa Grey il mattino dopo era stato abbastanza forte da spingere Meredith, seppur controvoglia, a tornare nella sua cabina.

Una serie di umidi baci sul collo la distrasse dai suoi pensieri. Rabbrividendo, Meredith sorrise e passò le dita tra i capelli di John.

“Guarda che non attacca.” sussurrò. “Niente bis finche non torniamo all’Istituto.”

Lui continuò a baciarla. “Davvero? Neanche se stiamo molto molto attenti?” le sussurrò nell’orecchio, e poi le percorse il collo con la lingua.

Meredith ansimò, sorpresa, e le sue mani si serrarono istintivamente. Maledetto John Allerdyce e l’effetto che aveva su di lei! Con quel tono sexy e quei suoi giochetti le stava rendendo molto più difficile mantenere la sua decisione...

“Non è uno scherzo, John.” rispose, cercando di mantenere un tono quanto più serio e controllato possibile, ma sentì chiaramente la sua voce tremare per il desiderio.

Lui le sfiorò di nuovo il collo con le labbra, poi morse delicatamente il pezzetto di spalla che la sua maglietta lasciava scoperto.

“John!” gemette Meredith, e pensò che se lui non l’avesse tenuta abbracciata le sue ginocchia non l’avrebbero retta e sarebbe caduta per terra.

Lui alzò il viso dalla sua spalla e le sorrise, compiaciuto per essere riuscito a farle perdere il controllo. "Sì, hai ragione.” rispose prendendole il viso tra le mani. “Ma non credere...” Le diede un bacio sulle labbra. “...di essertela cavata...” Un altro bacio. “...così facilmente. Ho appena iniziato...” Bacio. “...con te, signorina...” Bacio. “...e quando torneremo a scuola...” Bacio. “...te lo dimostrerò."

Meredith sorrise. “Lo spero proprio.” rispose, e mettendogli una mano dietro la nuca lo attirò a sé per un bacio appassionato.

****

“E così sei in grado di vedere nella mente delle persone quando le tocchi.” disse la dottoressa Grey mentre lei e Meredith erano sedute in una delle salette dell’X-Jet. Erano in volo diretti ad Alkali Lake. “Sai, sono un po’ delusa da me stessa. Avrei potuto pensarci molto tempo fa.”

“Perché,” rispose Meredith, un po’ in ansia. “è normale?”

La dottoressa Grey la guardò. “Se per “normale” intendi comune, allora no, non è normale. Ma è meno raro di quanto uno pensi.”

“Ma a me non basta toccare qualcuno per leggere nella sua mente.” insisté Meredith, ancora poco convinta. “Voglio dire, tocco le persone di continuo, ma non vedo i loro pensieri. E’ stato solo quando ho messo la mano sugli occhi di Tom Drake che...” Esitò. “...è successo.”

La dottoressa incrociò la braccia, pensierosa. “Beh, questo è raro.” disse infine. “Ma non vedo perché dovrebbe essere un problema. Perché questa cosa ti preoccupa tanto?”

Meredith scosse la testa. “Non sono preoccupata.” rispose decisa. “E’ che vorrei capire. Perché è stato così chiaro ieri, mentre di solito riesco solo a captare brani di frasi come una radio rotta?”

“Potrei dirti che è una questione di allenamento. Ma non credo che a questo punto basterebbe come spiegazione.” le disse Jean Grey.

Meredith si ricordò che erano passati almeno tre o quattro mesi dall’ultima volta che si era allenata nella lettura del pensiero, e sarebbe stato un bel guaio se la dottoressa Grey avesse saputo la verità, dato che fino a quel momento era convinta dell’esatto contrario.

Non leggermi nel pensiero... pregò Meredith senza neppure accorgersene. Non leggermi nel pensiero... Non leggermi nel pensiero... Non leggermi nel pensiero... Non leggermi nel pensiero...

La dottoressa Grey girò la testa di scatto e si coprì gli occhi come se Meredith l’avesse colpita.

“Mi dispiace.” si affrettò a scusarsi Meredith. Ripensandoci, forse un po’ di allenamento non le avrebbe fatto male. “Mi dispiace davvero, non l’ho fatto apposta. Io...”

“Non fa niente, Meredith. Capita.” rispose Jean Grey sbattendo un paio di volte le palpebre e tornando a guardare Meredith. “Comunque, per rispondere alla tua domanda, credo che alla fin fine si tratti proprio di questo: la tua telepatia funziona molto, molto meglio se sei a contatto diretto con il soggetto, in particolare con i suoi occhi. Gli occhi perché, ovviamente, sono un centro ricettivo molto importante.”

“Non le vorrei sembrare insistente,” continuò Meredith. Voleva vederci chiaro in questa storia e per lei c’erano ancora troppi dettagli oscuri. “ma perché di tanto in tanto mi capita di ascoltare i pensieri degli altri?”

La dottoressa ci pensò su per qualche istante prima di rispondere. “La telepatia è pur sempre telepatia. Teoricamente, dovresti riuscire a leggere la mente delle persone, e comunicare con loro, senza bisogno di contatto fisico. Non devi sentirti sminuita per questo, Meredith.” disse anticipando la domanda che lei aveva già aperto la bocca per formulare. “Ti rendi conto di che abilità tu possegga, essendo in grado di manipolare la volontà e le percezioni altrui? Non c’è da meravigliarsi se questo potere assorbe gran parte delle energie destinate alle altre tue abilità. Sei sempre in grado di muovere le cose col pensiero, non è vero?”

Meredith annuì. “Certo.”

La dottoressa Grey si rilassò contro lo schienale d’acciaio della sedia. “In natura tutto si equilibra.” iniziò guardando un punto imprecisato oltre la spalla di Meredith. “Un predatore non può essere troppo superiore alle sue potenziali prede, o diventerebbe troppo pericoloso. Troppo potente. Ci deve essere la possibilità per le vittime di sfuggire alla cattura, o tutto il meccanismo che regola la sopravvivenza delle specie andrebbe a rotoli. Ovviamente, si fa per dire.” si affrettò ad aggiungere la dottoressa quando vide lo sguardo di Meredith. “Mi esprimevo in termini puramente astratti.”

Meredith guardò per terra, spaventata e confusa. “Allora... Questo significa che...”

“Non significa nulla, Meredith, a parte che sei in grado di leggere nella mente delle persone quando copri loro gli occhi con una mano.” rispose la Grey. “E’ una delle tue abilità, e non vedo perché...”

In quel momento bussarono alla porta, e Bobby mise dentro la testa. “Dottoressa, gli altri vorrebbero parlarle. Siamo quasi arrivati.” disse dopo un fugace sguardo a Meredith. Lei e Bobby non si erano più scambiati una parola dopo la lite del giorno precedente.

“Sì, arrivo.” rispose la Grey, e Bobby sparì veloce come era apparso. La dottoressa si alzò e si rivolse a Meredith. “Ci occuperemo approfonditamente di questa cosa con il professor Xavier, non appena torneremo a scuola. Nel frattempo, stai tranquilla e non angustiarti, d’accordo Meredith?”

“D’accordo.” rispose lei, ma la sua mente era già altrove. A malapena sentì la porta richiudersi e la dottoressa uscire.

Un predatore. Ecco che cos’era. Un’assassina. Una fottuta macchina da guerra.

Era sicura che la dottoressa non avesse scelto quelle parole a caso. Jean Grey non faceva mai niente per caso. Se le aveva parlato di prede e vittime e predatori un motivo c’era.

C’è una linea sottilissima che separa la necessità dall’abuso, le aveva detto a suo tempo il professor Xavier. Era forse possibile che, magari senza rendersene conto, lei l’avesse superata?
E se l’aveva fatto, quand’è che era successo?

Improvvisamente ricordò un episodio che era accaduto molti anni prima, e che Meredith pensava di aver dimenticato.

Quando l’avevano mandata a New York, dopo che suo padre si era ammalato di cancro e Hannah Barrymore l’aveva riaffidata ai servizi sociali, in orfanotrofio aveva incontrato una ragazza, Alex Hagen, di qualche anno più grande di lei.

Meredith era arrivata solo da una settimana e stava attraversando il cortile dell’istituto (era l’intervallo, questo se lo ricordava bene, ma non riusciva proprio a ricordare dove fosse diretta) quando Alex aveva raccolto da terra un pugno di fango e glielo aveva tirato addosso, così, senza preavviso né giustificazione, senza nessun altro motivo se non quello di umiliarla.

Un coro di risate si era levato dalle altre ragazze. Non era una risata allegra, né divertita. Più che una risata, sembrava il richiamo di un branco di iene che guardava un leone fare a pezzi un cucciolo. C’era della paura in quella risata, e anche del sollievo: finché Alex non finiva di tormentare Meredith loro sapevano di essere al sicuro.

Alex aveva preso un’altra manciata di fango e l’aveva colpita di nuovo. “Sei un mostro!” le aveva urlato contro con un ghigno di scherno. “Ecco perché ti hanno mandata via! Sei un mostro schifoso e nessuno ti vuole!”

Evidentemente il fatto che Alex l’avesse qualificata come mostro intoccabile era sufficiente perché le altre si sentissero in diritto di partecipare al linciaggio. Meredith non avrebbe saputo dire chi fu la prima ad iniziare, ma ben presto fu colpita da un’altra manciata di fango, e poi un’altra e un’altra ancora, finché non fu bersagliata da una pioggia di terra bagnata e appiccicosa, sui capelli, sul viso e sui vestiti, e dalle sue assalitrici si era levato un coro che si faceva sempre più intenso, sempre più intenso e sempre più crudele: “Mos-tro! Mos-tro! Mos-tro! Mos-tro!”

Meredith non aveva detto nulla, non aveva fatto nulla. Non aveva cercato di difendersi, né di scappare; non aveva neppure alzato le braccia per proteggersi il viso dal fango. Si era semplicemente voltata e, mentre il fango gettato dalle altre ragazze continuava a colpirla sui capelli, sulla schiena e sulla nuca, era tornata nell’edificio e si era diretta al bagno per farsi una doccia.

Aveva aspettato di essere assegnata al turno di pulizia nelle cucine assieme ad Alex Hagen. Meredith aveva le braccia immerse fino ai gomiti nell’acqua calda e stava lavando i piatti mentre Alex, dietro di lei, stava passando lo straccio sul pavimento sporco, ringhiando di tanto in tanto qualche frase di scherno in direzione di Meredith. Ad un tratto una pesante padella di ferro si era staccata dal suo gancio ed era volata in direzione di Alex, colpendola all’altezza delle reni. Alex aveva fatto cadere il mocio, gridando di sorpresa e di dolore, e allora un mestolo sollevatosi dalla pila dei piatti sporchi le era piombato addosso e Alex aveva strillato di nuovo, questa volta solo per il dolore.

Meredith aveva continuato tranquillamente a lavare i piatti mentre tutte le stoviglie, le pentole e il vasellame della cucina volavano via dai loro cassetti e dalle loro mensole e si abbattevano su Alex che gridava terrorizzata, la sua voce parzialmente coperta dal rumore sordo dei colpi, dal clangore delle pentole che cadevano sul pavimento e dal rompersi di piatti e bicchieri.

Meredith aveva chiuso il rubinetto e si era asciugata lentamente le mani con uno strofinaccio. Poi si era voltata e aveva camminato tranquillamente in direzione di Alex, seduta per terra a qualche metro da lei. Il pavimento della cucina era un disastro.

I capelli di Alex erano scivolati via dalla coda in cui erano raccolti e ora le ricadevano in disordine sugli occhi e sulle spalle, mentre un sottile rivolo di sangue le colava da una narice. Aveva le labbra tumefatte e i suoi vestiti erano strappati in più punti, mostrando sotto escoriazioni e lividi. Sembrava incapace di smettere di ansimare e quando aveva visto Meredith avanzare verso di lei i suoi occhi si erano spalancati e aveva cercato di strisciare lontano, ma era finita con le spalle contro la cucina a gas. Vi si era acquattata contro e aveva piagnucolato quando Meredith le si era inginocchiata accanto.

“Se mi tiri di nuovo addosso qualcosa, o mi urli qualcosa, o fai qualunque altra cosa, io ti ammazzo.” aveva detto Meredith con calma.

Alex aveva spalancato gli occhi. La palpebra destra era rossa e gonfia; probabilmente sarebbe diventata nera entro la notte. Difficilmente Alex sarebbe stata in grado di aprire l’occhio destro la mattina seguente.

“Hai capito?” aveva continuato Meredith.

Alex aveva annuito mentre una lacrima le solcava il volto tumefatto. Meredith le aveva afferrato una ciocca di capelli e le aveva dato uno strattone. Alex aveva piagnucolato più forte.

“Ti ho chiesto se hai capito.” le aveva ripetuto Meredith con un sussurro.

Alex aveva deglutito un paio di volte, evidentemente cercando di racimolare tutto il coraggio che le restava per rispondere. “Sì, sì, ho capito.” aveva farfugliato infine. Da come fischiavano le sue esse doveva avere un incisivo spezzato.

Meredith era tornata al lavello e aveva ricominciato a lavare i piatti come se niente fosse accaduto. Dietro di sé poteva sentire Alex singhiozzare mentre sistemava i tegami che erano a terra e spazzava via dal pavimento i cocci dei piatti e il vetro dei bicchieri che si erano frantumati.

Da quel giorno nessuno le aveva più urlato contro o le aveva tirato addosso qualcosa. Se Alex la incontrava nei corridoi impallidiva e cambiava strada.

“Meredith.” chiamò la voce di Marie.

Lei si voltò, sollevata che qualcuno fosse venuto ad interrompere il filo dei suoi ricordi. Non voleva indugiare col pensiero su Alex Hagen o su quello che era successo in cucina.

“Siamo arrivati ad Alkali Lake.” proseguì Marie. “Vogliono che andiamo tutti di là, nella sala comandi. Ci devono parlare.”

Meredith si alzò e Marie fece per uscire dalla stanza. “Aspetta.” le disse improvvisamente Meredith, e Marie si voltò.

“Scusami per ieri” le suggerì una voce nel suo cervello. “Scusami se ho gridato.” Avanti, sono solo poche parole. Dillo.

Ormai era arrivata alla porta, dove Marie la stava aspettando guardandola in viso. Meredith si morse il labbro.

Dillo! Oh avanti, Meredith! Se non lo dici, te ne pentirai. Sai benissimo che te ne pentirai.

“Io...” iniziò, troppo imbarazzata per reggere lo sguardo di Marie.

Marie le strinse il braccio e Meredith sentì il calore della sua mano attraverso i guanti che indossava.

“Andiamo di là insieme, ti va?” le suggerì Marie con un sorriso.

Meredith annuì. “Certo.”

Si incamminarono fianco a fianco lungo il corridoio che portava alla sala comandi dell’ X-Jet. Ad un certo punto Meredith parlò.

“Sai...” iniziò a bassa voce, incapace di tenere ancora per sé la cosa. “Ieri notte John ed io...”

Marie sorrise. “Lo so. Sei uscita nel cuore della notte e sei tornata tutta arruffata.” Ridacchiò. “Allora, com’è stato? Un sogno, vero?” le domandò con una leggera nota di invidia nella voce.

Meredith scosse la testa. “No, non direi. Fa un male d’inferno. Non ti perdi poi molto.”

Marie la guardò sospettosa. “Ma dai, lo dici solo per farmi stare tranquilla.”

“No, dico sul serio.”

“Davvero?” si stupì Marie. “Non è stato bello? Neanche un pochino?”

Meredith cercò di formulare una risposta che fosse coerente. “Beh, è stato bello farlo con John, stare insieme così in quel modo, così... vicini e...” Si rese conto che non sarebbe riuscita a spiegarlo a parole nemmeno in un milione di anni. Come faceva a descrivere a Marie cosa si prova a essere tutt’uno con la persona che ami? “Sai, è stato come se lui facesse da sempre parte di me, del mio corpo, della mia anima, e fosse semplicemente tornato al suo posto...” azzardò.

Marie spalancò gli occhi. “Wow.”

“Beh, fisicamente, però, non è che sia stato poi così fantastico.” si affrettò ad aggiungere.

Marie fece una smorfia. “Fa davvero così male?” chiese.

Meredith annuì. “Sì. John è stato delicato e tutto, ma ha fatto lo stesso molto male.” Fece una pausa. “E non all’inizio e basta, come dicono in giro. Per tutto il tempo.”

“Lo fai sembrare una cosa orribile.” replicò Marie.

“No!” si affrettò a rispondere Meredith. “No, non è stato affatto orribile, anzi. E’ stato meraviglioso.”

Marie scoppiò a ridere, e Meredith la seguì a ruota. Era davvero felice che fossero riuscite ad aggiustare le cose dopo il litigio del giorno precedente. Non sarebbe mai riuscita a perdonarsi se avesse distrutto la sua amicizia con Marie solo per dar retta al suo stupido orgoglio. Meno male che Marie era meno stupida e meno orgogliosa di lei...

Arrivarono alla porta della sala comandi e Marie fece per aprirla.

“Aspetta.” le chiese di nuovo Meredith. “Non dirlo a nessuno, ok? Nemmeno a Bobby.”

Marie impallidì leggermente e si torse il suo ciuffo di capelli bianchi attorno all’indice. “Ah... Ok...” mormorò guardando per terra.

Meredith la fissò. “Non... Bobby non lo sa, vero?” domandò con un vago tremito di terrore nella voce.

“Beh...” iniziò Marie. “i ragazzi sono ragazzi.”

Gli occhi di Meredith si spalancarono. “Vuoi dire che è stato John a dirglielo?”

Marie annuì. “Stamattina, quando Bobby è andato a trovarlo in infermeria.”

Meredith si appoggiò alla parete. Lo uccido, pensò. Lentamente e dolorosamente.

In quel momento la porta si aprì e apparve Logan. “Allora, voi due, che state aspettando? Un invito scritto?”

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Non è il massimo come capitolo, questo sono pronta ad ammetterlo. In origine il capitolo 14 e il capitolo 15 erano fusi insieme, ma ho dovuto dividerli in due parti separate perchè era davvero troppo lungo. Quindi il capitolo 14 è diventato una sorta di capitolo di raccordo che... bah, non lo so. Spero di rifarmi con il capitolo finale. Vi giuro che ce la sto mettendo tutta.

Il rapporto Meredith-John ha sfiorato il pericoloso livello di guardia "coniglietti rosa" e la cosa non mi piace per niente. John era forse un po' troppo smielato, ma cercate di capirlo: ha fatto sesso ieri notte, e si sa che quando si parla di sesso gli uomini si rincoglioniscono completamente. Rimandate l'invio delle email bomba ancora di qualche giorno, ok? Tanto Meredith ha inaugurato un periodo di astinenza, quindi volente o nolente a John toccherà rimettere la testa a posto!

Tra due-tre giorni, penso, sarò pronta con il quindicesimo e ultimo capitolo. Allora, voi come credete che finirà? Anche in questa "realtà parallela" avranno luogo gli avvenimenti di X Men 2, o l'autrice deciderà di cambiare la carte in tavola? Le scommesse sono aperte!

Se volete scoprirlo, non vi resta che aspettare. Un bacio a tutti e a presto!
  
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