A
whole new
world
Umiko-chan.
«Io volevo solo che
qualcuno giocasse con me...»
Il bambino ci provava, piegandosi sulle ginocchia per darsi
la spinta, per andare sempre più alto. Il suo obbiettivo era
il piccolo
computer palmare che i tre ragazzi, ridacchiando, si lanciavano tra
loro come
fosse un pallone.
Glielo aveva regalato il padre appena il mese prima, e lo
aveva sempre trattato come fosse il gioiello più raro e
prezioso della Terra:
il suo primo computer.
Aveva sempre sognato di averne uno, e ora la sua
speranza volava in aria pericolosamente.
«Siete degli idioti, smettetela!», urlò,
arrabbiato. «È
fragile, finirete per romperlo!»
Sentì le lacrime salire aggressivamente. Succedeva ogni
giorno, durante la pausa pranzo, quei tre lo avvicinavano per
importunarlo. Era
il loro svago giornaliero.
Avrebbe voluto picchiarli, ma lui era così piccolo in
confronto a quei tre colossi di quinta. Cosa avrebbe potuto fare un
bambino di
appena otto anni contro quei ragazzi, più grandi,
più forti, più numerosi?
«Sentilo, il piccoletto!», esclamò uno,
piuttosto divertito.
«Ma tu sai con chi hai a che fare, microbo?»,
domandò un
altro, provocandolo.
«Ridatemi il mio computer!», ribatté il
piccolo Akihiko,
ignorandoli.
«Di cosa te ne fai?», gli chiese il terzo.
«Sei solo un
moccioso!»
Afferrò il piccolo palmare che il compagno gli aveva
lanciato, nascondendolo dietro la schiena.
Il bambino gli si lanciò contro, iniziando a coprirlo di
pugni pieni di rabbia.
«Basta, basta!» urlava, mentre le lacrime
scorrevano
furiosamente sulle sue guance.
Il bullo scoppiò a ridere. «Lo vuoi davvero?
Allora
prendilo!»
Il palmare volò in aria per qualche metro, indirizzato ad
uno dei suoi compagni; ma questo, che non se l’aspettava,
mancò la presa e il
computer cadde a terra.
«Ops!», mormorò ironico, osservando
quello che rimaneva
dell’oggetto.
I tre si allontanarono, ridendo soddisfatti. Akihiko si
avvicinò, prendendo tra le mani il piccolo rottame che fino
a poco tempo prima
era il suo tesoro più grande.
Lo schermo era incrinato e la scheda interna
irrimediabilmente danneggiata: non c’era modo di ripararlo.
Le spalle gracili erano scosse dai singhiozzi, le guance
rigate dalle copiose lacrime cariche di odio e di rabbia.
L’avrebbero pagata cara, quegli idioti. Non capivano quando
quell’oggetto fosse importante per lui, non capivano niente.
Ma lui era stufo
di farsi mettere i piedi in testa, di farsi trattare in quel modo.
Si sedette sulla sua panchina preferita, all’ombra del
mandorlo in fiore. Osservava i bambini, i suoi compagni di classe,
giocare:
ridevano, si rincorrevano - sembravano divertirsi così tanto!
Lui, invece, era sempre così solo...
«Ehi, Akihiko-kun!»
Si voltò verso quella voce, asciugandosi freneticamente le
lacrime con la manica.
«Oh, Azusa-chan...»
La bambina gli sorrise amorevolmente, sedendosi accanto a
lui.
«Hai già mangiato? Se vuoi possiamo dividere il
mio
bento...»
L’occhio della piccola cadde sul computer semidistrutto che
l’amico stringeva possessivamente a sé. Sembrava
essere così triste...
Gli strinse forte la mano, cercando di infondergli un po’ di
energia. Il piccolo Akihiko arrossì, evitando lo sguardo
serio della bambina.
«Ancora loro, Akihiko?», gli chiese, preoccupata.
«Devi parlarne
con qualcuno, con la maestra, magari...»
«Io... voglio creare un nuovo mondo, Azusa. Un mondo in cui
non ci siano ingiustizie, dove tutti possano divertirsi e vivere
serenamente,
dove anche i più deboli possano diventare forti e possano
combattere per quello
in cui credono», dichiarò. La bambina lo
osservava, stupita.
«Sai, il mio papà mi ha raccontato che
è possibile creare
dei mondi con il computer e poi, tramite internet, le persone
potrebbero
accedervi. Ti rendi conto, Azusa?».
Le prese le mani tra le sue; nei suoi occhi brillava la
speranza di un sogno.
La piccola sorrise, contagiata dall’entusiasmo
dell’amico.
«Allora, lo vuoi un po’ del mio bento o
no?»
Be’, eccomi qua. Finalmente
Magari fatemi sapere, lasciate
Alla prossima!