“Life
shouldn’t be a struggle, you know, life should be a flowing smooth thing.
This
isn’t a hard world to live in, this isn’t a hard dimension to live in.
If
you surround yourself with the right people, and if you do the right things,
and if you’re as good of a person as you’re capable of being to other people,
you’ll
find that the world will make a space for you.
What
happens to you is dictated by the things you think about, and you should always
think of good things, and always look for the good in the world.
If
you look for the bad in the world you’ll always find something bad,
but
if you look for the good in the world, you’ll find it.
It’s
there.”
— John Frusciante
The will to usually collide with water
from the sounds of emptiness you hold in the heart of silence
{Estrus, Curtains, Empyrean and Lefr-Intaglio EP}
[tipo d’inquadratura: “particolare”; mani che emergono dal buio e che fanno
scorrere cartelli con varie scritte]
Sabam.
FM.
Dieci dal burro sangue voodoo.
Uprane.
666.
Senza titolo
Senza titolo.
[Senza titolo]
Senza titolo!
“Senza titolo”
Senza titolo;
{Senza titolo}
Senza titolo…
Senza titolo?
:Senza titolo
Senza titolo,
(Senza titolo)
Senza titolo
[tipo d’inquadratura: “particolare”; soggetto ripreso: mani che sfiorano le
corde di uno strumento]
Interno
2 di un edificio.
C’è un uomo che suona una chitarra. Al contrario.
Non lo fa per scimmiottare un dio mancino e di colore, né per un
improvviso moto egocentrico.
Suona e basta.
[tipo d’inquadratura: “figura intera”; soggetto ripreso: uomo che suona]
A vederlo così, seduto sullo sgabello, la
cassa armonica che non poggia sulle cosce ma che gli sfiora lo zigomo sinistro,
pare quasi di stare al cospetto di una figura irreale.
Eppure lui è qui, un po’ etereo e perso,
con gli occhi socchiusi e i capelli che gli incorniciano il viso, donandogli
l’ormai nota aria naïve che lo contraddistingue.
Eppure lui non è qui, nonostante i muscoli
tesi e i contorni definiti della sua figura testimonino il contrario.
È uno -00Fantasma27.
Canta una canzone che solo lui conosce, e
le parole gli sfuggono irriverenti dalle labbra.
Canta
una canzone perché è mercoledì ed è solo, canta una canzone perché vorrebbe farsi
rapire da quella sirena, ma lei non è ancora arrivata.
E lui l’aspetta, cantando una canzone nera, una canzone della prostituzione, una canzone
moribonda.
[tipo d’inquadratura: “dettaglio”; soggetto ripreso: corde di una chitarra]
Poco importa se sia un blues della pelle o se dietro l’angolo ci sia un Fallimento33 Oggetto ad attenderlo: farlo è essenziale.
Perché, quando quest’uomo suona, il tempo sembra andare indietro, si
accartoccia fino ad assumere una forma elicoidale,
ed i giorni si voltano ad osservare quello che, a prima vista, è
solo un semplice esercizio, ma che in
realtà è speranza.
Le corde pizzicate non sono altro che fortificazioni erette intorno a sé per
proteggersi dalla battaglia del tempo,
dagli assassini nascosti dietro le tende, dal macello monotono conosciuto con il nome di “vita”.
[tipo d’inquadratura: “dettaglio”; soggetto ripreso: tavolino da tè su cui
sono sparse varie polaroid raffiguranti un ragazzo]
C’era un ragazzo il cui sorriso era un fucile e che aveva fatto del sesso interstatale uno degli scopi più importanti della propria vita,
oltre ovviamente al fare musica (ed era riuscito ad unire questi due concetti
cruciali declamando qualcosa riguardo una
vagina che andava a fuoco).
Viveva i giorni come gli capitavano, e il
suo motto era “la vita è un bagno:
entri, pisci su quel che ti capita e poi te ne esci, pregando di non finire
nella traiettoria di quello che c’è andato dopo di te… e in tutto questo il sesso ovviamente interpreta il ruolo
dell’acqua”.
Ma più il tempo passava e più il successo gli faceva colare sangue lungo
la linea del collo, la vita ormai ridotta ad un circuito terribilmente uguale e la consapevolezza di non poterne
fare parola con nessuno.
[soggetto ripreso: fronde di alberi mosse dal vento]
Fu così che la prima stagione della sua vita si concluse.
Così, senza alcun preavviso.
Il ragazzo privo di preoccupazioni aveva ceduto il passo all’altro, quello che
sembrava essere lontano ma che in
realtà se n’era rimasto in sordina per tutto quel tempo, in attesa di poter
vomitare ogni rimorso al momento più
opportuno.
Lo specchio si era rotto, mostrando a tutti com’era il
reale, e la verità piaceva gran poco.
Qualcuno rivoleva indietro quello di prima, pur sapendo che una richiesta del genere fosse
impossibile da soddisfare: una volta giù
dall’altezza su cui era stato fino a quel momento, per lui risalire sarebbe
risultato difficile.
… E comunque non rientrava tra le sue priorità, né
tantomeno fra gli interessi che voleva coltivare.
[tipo d’inquadratura: “mezza figura”;
soggetto ripreso: sequenza veloce di scatti aventi come soggetto un giovane
pallido e dal volto scavato, fatti tra il ‘94 e il ‘97]
Ma tra il mascara colato e una femminilità
ostentata un po’ per scherzo e un po’ per provocazione, l’involucro di
pelle si ricordava perfino di respirare.
Talvolta gli capitava di svegliarsi
ansante, pregando per un po’ d’aria,
e lo assaliva una voglia disperata di buttar giù muri e porte, convinto che così si sarebbe liberato delle
costrizioni che lo assalivano ancora, nonostante da tempo si fosse sbarazzato
di una moltitudine di –a suo dire- orpelli fastidiosi.
Non potendolo fare, si limitava a
borbottare “non c’è tempo, stanotte…”.
Poi, a fatica, cambiava fianco con una
lentezza esasperante e abbassava le palpebre stanche, saracinesche di un viso
smunto.
[tipo d’inquadratura: “dettaglio”; soggetto ripreso: animazione di un fiore
che si secca e si accartoccia su se stesso]
“Sto morendo? Non m’importa”
L’essere finito dentro una crepa l’aveva portato a convincersi di poter raggiungere
il limite del mondo a proprio
piacimento, di poter dissolvere
qualunque problema, di riuscire ad avere il controllo
di ogni situazione.
Ma dapprima vennero le occasioni perse, e poi l’entusiasmo
sempre più in discesa, lo stress sempre più opprimente…
Non era saturazione. Era vacuità.
Gli ci volle un po’ per capirlo, data la grande presa di potere che l’orgoglio
esercitava su di lui, ma ce la fece.
Era stata solamente una rovinosa caduta per terra, dettata dall’esigenza
di poter avere qualcuno al proprio fianco sempre pronto a dirgli “certo che si può, avevi forse qualche dubbio?” e dal bisogno di avere un posto in cui guidare la propria
immaginazione, a bordo di una bicicletta
sgangherata o di una caravella ormai
ammuffita dal tempo.
[soggetto ripreso: breve filmato datato 1999, in cui quattro musicisti
ridono e scherzano;
la telecamera indugia spesso su quello con i capelli lunghi e un accenno di
barba]
Prima
dell’inizio del successo (e del conseguente baratro)
auspicava che ogni persona trovasse
in lui un modello di riferimento, o perlomeno che questi lo invidiassero per il
colpo di fortuna che aveva avuto: non capitava tutti i giorni di poter suonare
con i musicisti venerati per mesi e mesi…
Ora voleva soltanto poter avere qualcuno
disposto a guidarlo, qualcuno con cui potersi sentire in sintonia o, come
diceva lui, in rima.
Il suo desiderio
venne esaudito.
Loro tornarono, tornarono per lui e non lo
lasciarono solo, accogliendolo con amore
e supportandolo, e fu come se non se ne fosse mai andato.
Certo, era cambiato, ma in positivo; sotto
tutti i graffi era rimasto comunque
qualcosa della persona di un tempo, e ogni esperienza lo aveva plasmato come l’acqua leviga il sasso.
E andando
dentro, scavando, ci si poteva persino imbattere in una sensazione piacevole che egli non
provava da troppo tempo, che forse non aveva provato mai: aveva finalmente
trovato il proprio posto nel mondo.
Era bastato assestare un calcio deciso alla merda che lo aveva
circondato fino ad allora, smetterla di
ostinarsi a chiudere gli occhi davanti alla cruda verità e ogni pezzo aveva
iniziato ad incastrarsi perfettamente nello spazio.
Ad averlo saputo prima…
Ora non c’erano più pareti soffocanti come prigioni o gli ammiratori deficienti fino al
midollo che erano soliti farsi in sua compagnia, troppo impegnati a idolatrarlo
o a succhiargli dosi di ero per potergli rivelare quanto in realtà la sua vita
facesse schifo.
Ed era meglio così. Infinitamente meglio.
[tipo d’inquadratura: figura intera; soggetto ripreso: giovane che gira su
se stesso con le braccia tese]
“Idiota? Beh, lo sono stato.
Ma ognuno di noi fa
degli sbagli o delle scelte che non tutti comprendono… e questo forse significa
che siamo tutti degli idioti?”
C’è un uomo che non ha mai frenato né tirato la leva: si è sempre tuffato a
capofitto nella propria vita e non rimpiange gli errori commessi, grandi o piccoli che questi siano.
“Se sarò sempre demoralizzato?
Guardami: me ne vado attraverso queste mura, mi sono lasciato indietro tutti quei giorni e
non ho avuto nessuna ricaduta…
Credo di non essere mai
stato più in pace di così.
Ho trovato il mio totale.”
L’essere
stato folle lo ha portato a valutare con lucidità ogni evento accadutogli,
senza incappare in nessuna dimenticanza.
“Sono sempre io.
Semplicemente, mi sono
guardato e quel che ho visto non mi è
piaciuto.
Non c’è stato alcun comunicato ufficiale da parte del mio
cervello o altre diavolerie…
Me ne sono accorto e
basta. Ho voluto provare a cambiare, trovare un’altra strada da percorrere…
Il risultato è questo, e
non mi dispiace.”
Può essere definito un delinquente? Un junkie? Un poppy man?
“La volontà di morte è un processo creativo ma, allo stesso tempo,
un ingranaggio infernale: una volta lì è difficile uscirne indenni.
La mia fortuna è stata
quella di rendermene conto prima che il prezzo da pagare diventasse troppo
grande…
L’insuccesso, la sconfitta sono tutti dimensioni della mia vita.
Ignorarli non porta
nulla di buono, ma accettarli aiuta a penetrare
il tempo…”
È veramente questa l’etichetta che
vogliamo appiccicargli addosso?
[soggetto ripreso: stesso paesaggio filmato durante le quattro stagioni]
“La natura cade, ma ogni anno la vediamo rialzarsi con maggiore
ostinazione…
E quanto bello è vederla
rinascere?
Così ho fatto io: sono
crollato per terra ma ho iniziato a strisciare fino a quando non mi sono
ritrovato nuovamente in piedi.
… una volta intorno a me
c’era solo il nulla: ora questo freddo è
scomparso.”
C’è un uomo che, quando parla, soppesa
attentamente ogni parola, non lasciandone nemmeno una al Caso; ogni tanto si
lascia sfuggire un “uh” perché la
mente è già lontana, diretta verso altri orizzonti, mentre la labbra stanno
ancora annaspando per concretizzare la matassa di pensieri.
Non si può mai sapere cosa gli frulli per
la testa (Anthony era solito dire che
il suo cervello fosse come una spiaggia
araba: affascinante ma con probabili insidie nascoste), e sono più i momenti in cui chi lo circonda
finge di capire tutti i suoi ragionamenti contorti che non quelli in cui li si
comprende sul serio.
“Ti senti soffocare? Salta la tua sbarra, esci dalla gabbia e
spogliati di ogni pregiudizio.”
Ciononostante, la gente ha presto imparato
ad apprezzare la sua rinnovata saggezza, quel suo essere pacato e lontano dai
riflettori come non lo è mai stato in vita sua: è la sua personalissima
rinascita o, com’è solito dire lui, una seconda
passeggiata lungo il percorso che qualcuno ha disegnato per ogni uomo.
“Ascoltare e dire, buio e luce…
Sono tutte facce della stessa medaglia. Movimento
univoco ed invisibile.”
La filosofia di vita che lo guida si può
riassumere in tre pensieri:
“Non devi serbare alcun
tipo di rancore né augurare il male ai
tuoi avversari perché, prima che tu te ne possa accorgere, il tempo sarà già finito.
E allora cosa ti potrà
rimanere?”
“Non importa quanto alto sia il piedistallo su cui
sei stato posto o quanto stupefacente sia stata la tua ascesa:
altrettanto rapida
potrebbe essere l’uscita di scena.”
“Non si deve vivere
all’ombra dei ricordi, perché il passato
svanisce sempre troppo in fretta.
Allo stesso tempo, si
deve avere la forza di non trascorrere una vita intera a ripetersi:
per cambiare ci vuole
coraggio, questo è vero, ma prima o poi si finisce sempre con l’averne abbastanza di se stessi.
Ecco, quello è il giorno 909, e non lo raccomando a
nessuno.”
[tipo d’inquadratura: “campo lungo”; soggetto ripreso: uomo che d’inverno
cammina sulla spiaggia]
C’è un uomo che ha spiegato a Sam che prima dell’alba l’oscurità non ha alcuna chance, ha incitato Ricky ad essere qualunque persona volesse essere e insegnato ad Anne a non nascondersi, perché ci sarà sempre qualcuno che la troverà.
A volte lo si può vedere mentre si lascia
trasportare dalla creatività tanto nominata, navigando cartelloni stradali o ricominciando
un insieme d’azioni già compiute. È come se stesse raffigurando in musica la propria esistenza ma, per farlo, dovesse
ripeterla daccapo.
Altre volte resta invece nei paraggi, ma chi lo conosce sa bene
che la sua mente sarà via per sempre,
via e dappertutto, nonostante
l’apparente attenzione che egli sembra prestare al proprio interlocutore o a
ciò che lo circonda.
“C’è un universo
completamente differente, nello spazio là
fuori.
Lì, la frenesia. Qui, aria.”
C’è un uomo che dalla vita ha avuto molto,
e i segni sul suo corpo possono comunicarcelo meglio di quanto possano fare le
sue labbra.
Sa quanto sia stato fortunato ma, allo
stesso tempo, può vantare la capacità di essere riuscito a forgiare un po’
della propria esistenza con le sue stesse mani e l’incrollabile forza di
volontà che da sempre lo anima.
Di sé lo si può sentir dire “D’altronde il
mio è solo un nome, no?”, anche se
lui stesso sa quanto quella manciata di lettere possa condizionare il ciclo
vitale dell’essere umano.
Il suo per primo.
[tipo d’inquadratura: “primissimo piano”; soggetto ripreso: volto dell’uomo
visto al caleidoscopio]
C’è un uomo che sta fuggendo incrociandosi, con la paura di avere un padrone, con la
paura di essere di qualcuno che lo
insegue ancora come un fantasma ostinatamente vivido, nonostante gli anni siano
passati e le rughe abbiano fatto la loro comparsa.
Ogni tanto lo assale ancora il terrore di
essere circondato solamente da persone
sostitute e di appartenere ad una sfera
di gente convinta di essere libera ma che in realtà non lo è affatto.
Per questo motivo ha ricominciato ad
essere irraggiungibile, mettendo nuovamente
in risalto l’altro sé e optando per
questa soluzione un po’ drastica ma
indubbiamente efficace.
Gli amici dicono che era nell’aria da un
po’ di tempo, che l’ansia di concludere
lo spazio e di rimanere schiavo
delle stesse cose la stava facendo da padrona, e lui non poteva sopportarlo.
Prima che gli istanti lo avessero, lui ha agito.
Alcuni affermano che tutto sia iniziato da
quando qualcuno gli ha detto “Nei tuoi
occhi vedo il nulla e il tutto”, altri invece sostengono che siano state le
circostanze a convincerlo che fosse arrivato il momento di rallentare per l’ennesima volta.
Noi non lo sapremo mai.
Sappiamo soltanto che il suo avvertimento è stato di monito a molti, e che non ha avuto bisogno di morire per raggiungere il
proprio Paradiso.
Ed è vero che dopo la fine ci sarà sicuramente qualcosa, ma se le persone
preziose come lui non sono affatto preoccupate di andarvi incontro, qualunque
sia il destino che le attende, questo non può far altro che rincuorarci.
[voce fuori campo: “23 secondi entrano nella fine”]
Ok, ok, ce la posso fare.
La verità è che forse anch’io l’avrei fatto, forse anch’io al posto suo avrei avuto la
forza di mandare all’aria anni e anni di piani e ambizioni, ma sicuramente non
nella sua maniera.
La verità è che nella sua luce, nella voce ormai ridotta ad un sussurro con cui sembra quasi accarezzare tutto ciò che lo
circonda, in un suo sorriso sfuggito
dalle strade che sta percorrendo e quasi abbracciando, lui la pace è
riuscito a raggiungerla.
La verità è che potrei ancora conoscere John.
[tipo d’inquadratura: “campo lungo”;
soggetto ripreso: figura che suona in una stanza, colpita dalla luce che
filtra dalla finestra]
C’è un uomo che suona una chitarra. Al
contrario.
Lasciandolo
si prova un immediato vuoto che disorienta
la mente, ma se ci voltassimo ancora una volta e lo vedessimo risplendere tra la polvere in controluce
e il buio di questa stanza, capiremmo che questo è forse l’ultimo inno, che oggi è
Ah Yom, il giorno, e che tanta purezza non merita affatto di essere
sporcata dalle nostre pretese.
(La verità è che non posso vedere finché non vedo i tuoi
occhi.)
but I know I’m
somewhere else, where the words on this page are better than the scribbling
nonsense they are;
Inauguro quest’angolo dedicato alle note precisando
che, quando mi è balenata in mente l’idea che fa da fulcro all’intera storia,
ho pensato inizialmente di utilizzarla per il cinquantesimo compleanno di John.
Ma è sorto subito un problema: quando Frusciante
compirà cinquant’anni, io ne avrò già ventisette.
Avrò ancora voglia di scrivere sui Red
Hot Chili Peppers? Ma soprattutto: avrò ancora voglia
di scrivere e basta?
Questa paranoia mi ha talmente angosciato che, onde
evitare d’incorrere in futuri rimpianti del tipo “ommioddio
quell’idea era meravigliosa e io sono stata così paraculo da voler aspettare e
adesso guarda qua, Frusci festeggia mezzo secolo di prodezza e figaggine e io non ho nessunissima voglia di onorarlo come
si deve”, ho deciso di scriverla con sette anni d’anticipo.
So che è una storia senza senso ma, ora come ora,
probabilmente è la “creatura” da me concepita a cui sono più affezionata:
dietro ci sono un sacco di lavoro febbrile, ricerche estenuanti e ansie a
bizzeffe, ma scrivendola è probabile che io stessa sia cresciuta.
So che è tutta farina del mio sacco, invenzione del
mio cervello malato, ma mi è quasi sembrato di riuscire a capire qualcosa in
più di John, delle sfaccettature che negli altri scritti non erano ancora
emerse e che invece ora sono riuscita a riportare in forma scritta, e questo
non può che farmi un immenso piacere.
Due note veloci (altrimenti ci capite ancora meno di quel che
riuscireste a fare grazie al mio aiuto) e poi passo ai ringraziamenti.
1)
Poppy man:
non sono riuscita a tradurre perfettamente questa definizione (“uomo poppettaro, fissato con il pop”?), e quindi mi sono
affidata alla mia consueta inventiva LOL Se “poppy”
significa “papavero”, perché “poppy man” non dovrebbe
significare “dipendente dall’oppio (estratto dal papavero)”? :D Gente,
prendetela come capita, io non mi spingo più in là come livello di pazzia,
comprendetemi LOL
2) Giorno 909: “909 is a derogatory reference to the California Inland Empire, taken
from its area code. It generally means "far away and not worth going to." It has been popularized in
slang by the radio deejays Kevin and Bean, who constantly dis on the 909 and
all its residents as unsavory.” Spero sia
comprensibile :D Nella storia, con questo termine John si riferisce al giorno
in cui qualunque essere umano ne abbia abbastanza di se stesso: un giorno lontano ma che non merita di
essere raggiunto, per l’appunto.
3)
Ah Yom in
ebraico significa “il giorno”.
Ora posso passare finalmente ai ringraziamenti: ringrazio innanzitutto mio fratello Daniel, perché
continua a sopportare la mia ossessione per John e i miei continui scleri su
qualunque cosa e, cosa ancor più importante, per l’aiuto decisamente non
indifferente che mi ha dato nel tradurre un sacco di termini. Se questa storia
è riuscita a materializzarsi in tempo per il compleanno del Frusciante, è anche
merito suo.
Inoltre ringrazio Cath, che
mi è stata vicina/mi ha sostenuto psicologicamente/ha ascoltato i miei vari
scleri sul parto di questa faticosissima fanfiction
e, nonostante tutto, non si è mai dimostrata scocciata. Nemmeno una
volta piccina. Mi auguro di farti diventare membro del fandom
dei RHCP al più presto, che le premesse ci sono tutte!
Altre precisazioni?
No. (Izzy Stradlin, vedi di uscire all’istante da questa
stramaledetta storia altrimenti faccio una strage, vade
retro!)
Yes, ce ne sono altre.
Teoricamente la storia è scritta come se si stesse
girando un documentario dedicato a John (gli appunti sparsi della sceneggiatura
lo dimostrano), narrato da un punto di vista esterno e con citazioni (assolutamente
inventate di sana pianta, badate bene) del soggetto del filmato; presenta però
dei punti in cui la forma originale lascia spazio ad un altro tipo di
narrazione (nel penultimo paragrafo la narrazione non è più impersonale, e la
frase finale potrebbe benissimo essere stata estrapolata da una lettera diretta
a Frusciante).
Sinceramente, a me piace così.
Mi piace che sia sconclusionata, a tratti perfino
nonsense e che qualche volta ricordi forse un pochino anche la poesia, perché
credo che queste tre definizioni rappresentino bene delle sfumature di John:
sarà stato sconclusionato e anche un filino senza senso, ma la poesia celata
nella sua anima è innegabile.
Ultimo punto, e non meno importante: penso che tutti
voi abbiate capito perché molti termini nella storia siano in corsivo, vero?
Per i più tordi: evidenziate il testo racchiuso tra
l’inizio e la fine dello spoiler, plz.
[SPOILER] I termini in corsivo sono
titoli e (più raramente) citazioni dei testi delle canzoni di John Frusciante.
Ebbene sì, questa storia racchiude tutta la sua discografia. Almeno, fino al 5
marzo 2013 :D [/SPOILER]
Contenti?
Adesso la pianto, seriamente.
Che altro dire? Auguro dei radiosi 43 anni all’uomo che mi ha praticamente
sconvolto la vita e che, nonostante io non approvi molte delle sue discutibili
scelte, può vantarsi d’incarnare alla perfezione il modello del mio uomo
ideale. :’)
Happy birthday, John Anthony Frusciante.
Grazie a chiunque recensirà, apprezzerà o si limiterà semplicemente a
leggere: grazie davvero di cuore.
Dazed;