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Autore: mamie    08/03/2013    6 recensioni
Cercavo ispirazione in una figura femminile per l'8 marzo e mi è venuta in mente... La bella addormentata. Quanto di meno adatto possibile. Sapete, vero, come finisce la principessa nella storia originale? Con un marito che non c'è mai quando serve e una suocera orchessa che vuole mangiarsi i nipotini (poi va be', c'è il lieto fine, ma insomma!).
E se invece... ?
Storiellina leggermente demenziale, vagamente ispirata ai racconti di Sapkowski. Buon otto marzo a tutte.
[Terza classificata al contest "C'era una volta" di Himitsu no yoru.]
[Partecipa allo SfigaFandom Fest di FW].
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nota: terza classificata al contest C'era una volta di Himitsu no yoru
Partecipa alla challenge La settimana degli AU di Jerkchester.

UN SONNO DI CENT’ANNI
 
Le spine erano velenose, lo sapeva.  Talmente velenose che, anche con le sue pozioni, rischiava di stare male se l’avessero ferito. Il sottobosco era intricato e, appena stroncato via un ramo, ne spuntavano due al suo posto. Dai rami tagliati grondava sangue. Il castello sembrava irraggiungibile. Un vapore verde lo circondava come fiato di palude, le torri diroccate si intravedevano a tratti, simili ai denti rotti di un gigante.
Si maledisse ancora una volta per avere accettato un incarico del genere. Il giovanotto pagava bene e voleva la principessa prigioniera. Quella che, secondo la leggenda, dormiva da cento anni. L’avrebbe pagato persino se nel castello ci fosse stato solo lo scheletro rinsecchito della fanciulla. Gli era sembrato un buon affare.
Quando sentì il graffio della prima spina, l’affare cominciò a non sembrargli più tanto buono. Il veleno gli dava la nausea, lo rallentava, gli faceva girare la testa. Inevitabilmente seguirono altri graffi.
Si faceva strada in modo sempre più goffo riuscendo a malapena ad aprirsi un varco che subito si richiudeva alle sue spalle. Aveva cominciato a respirare pesantemente e anche la vista cominciava a tratti ad offuscarsi. Maledette spine.
Solo quando, inciampando nel primo gradino, si lasciò andare lungo disteso sulla scalinata, capì di essere finalmente arrivato. Il castello incombeva sulla sua testa come un maligno incantesimo, ma il portone di legno marcio era aperto. Per fortuna, perché non avrebbe avuto la forza di sfondarlo né di arrampicarsi sulle pietre mangiate dal muschio.
Il cortile era vuoto, coperto di sporcizia. Si passò una mano sugli occhi cercando di schiarirsi la vista. La torre più alta… dove accidenti era l’ingresso della torre più alta?
Neanche quello era chiuso. Una scala a chiocciola puzzolente di muffa saliva a spirale nel buio. Be’, almeno il buio non era un problema.
Cominciò a salire con cautela i gradini scivolosi. Non c’erano finestre, la scala pareva interminabile, gli girava ancora la testa. Un paio di volte dovette appoggiarsi al muro per non rischiare di ruzzolare di nuovo indietro. Dopo quello che gli parve un tempo lunghissimo trovò finalmente la porta. Anche quella era aperta e dalla stanza veniva una debole luce.
La luce era quella di una finestrella solo in parte schermata da un’impannata. Cadeva direttamente sul letto a baldacchino. Ricco, ma polveroso e mangiato dai tarli. Geralt si aspettava di trovarvi dentro un cadavere rinsecchito e nient’altro. Un sonno di cento anni!
 
La ragazza nel letto sembrava appena addormentata. Fresca, come se invece che nel letto polveroso di un castello in rovina stesse dormendo in un prato fiorito e coperto di rugiada. Bella, di quella bellezza perfetta che i ragazzi sognano quando sentono raccontare le antiche storie. Irreale, come l’incantesimo che la teneva imprigionata.
E ora? Doveva baciarla?
Si limitò ad allungare una mano fino a toccare la chioma bionda, di un biondo ricco come l’oro.
La ragazza aprì gli occhi, blu naturalmente, blu e profondi come il cielo d’inverno. E sorrise.
 
***
 
- Dunque, ho dormito per cento anni?
Geralt si astenne dal farle notare che era vestita alla moda che poteva essere stata della sua bisnonna. Se aveva imparato qualcosa da Yennefer era di evitare accuratamente qualsiasi commento sui capi di abbigliamento di una donna.
- Raccontatemi, cavaliere. Cosa è successo in questi cento anni? È stata abolita la legge salica? Regna finalmente la pace? Le strade sono sicure? Le prostitute godono della giusta considerazione? E questo giovane che dice di amarmi tanto, perché non è venuto lui a liberarmi?
Aveva una voce morbida, leggermente roca, molto più vecchia della sua età. Geralt, se avesse potuto, sarebbe arrossito. Aveva fatto la sua ambasceria nel modo più garbato possibile, ma l’effetto non era stato quello sperato. La ragazza lo aveva invitato a sedersi su uno sgabello scricchiolante e aveva cominciato a tempestarlo di domande. Domande a cui lo strigo era stato costretto a rispondere negativamente ogni volta. Era sfinito, gli girava ancora la testa e quella ragazzina petulante, invece di essergli grata per la liberazione, sembrava volergli fare un minuzioso esame per vedere se fosse veramente adatto al ruolo di liberatore.
Alla fine fu costretto a supplicare almeno un sorso d’acqua.
- Oh, scusatemi – rispose lei. – Sono stata veramente inospitale!
Bastò un gesto della mano per far comparire una brocca di cristallo piena d’acqua fresca e due coppe preziose. C’erano anche una bottiglia di vino e un cesto con della frutta che pareva appena colta.
L’acqua gli recò un momentaneo sollievo. La ragazza lo guardava, assorta.
- Voi siete un uomo strano.
Geralt non sapeva cosa rispondere.
- Mi piacete, sì, ma non credo che verrò con voi.
Lo strigo alzò la testa per guardarla meglio negli occhi, stupito.
- Oh, non guardatemi così. Siete stato veramente coraggioso ad arrivare fin qui, specialmente perché l’avete fatto per conto di qualcun altro ma, vedete, non dovete dare troppo credito alle vecchie storie. Nessuna vecchia fata mi ha lanciato un incantesimo… In effetti, credo di essere io la vecchia fata.
Geralt si alzò in piedi, lentamente.
- Sì, sono io. Sapete, non mi è mai piaciuto il mondo com’era. Non c’era posto per una come me. Ho preferito il sonno e i sogni. I sogni sono pericolosi, ma possono anche essere confortanti, se non c’è nient’altro che si possa fare.  Ah, e non venitemi a dire che bisogna lottare per realizzarli. So io quanto ho lottato. Appena pareva di averli toccati si dissolvevano come cenere. No. Preferisco dormire. A quanto mi avete detto, il mondo in cent’anni è rimasto quello che era prima. Addio, signore. Lasciatemi pure ai miei sogni… Possiate voi realizzare i vostri.
E, alzandosi con grazia, gli aveva indicato con un gesto inequivocabile la porta.
 
***
 
Il giovanotto era rimasto molto deluso. Forse aveva addirittura sospettato Geralt di avergli raccontato delle fandonie. Comunque, era stato di parola e aveva pagato, e questa era una gran bella notizia. Poteva almeno comprarsi una camicia nuova. L’altra era stata ridotta a brandelli dal dannato roveto. E, accidenti, poteva prendersi una sbronza come si deve.
 
- Dandelion, pensi che sia giusto continuare a sognare senza fare mai niente?
- Eh?
Il menestrello, non ancora del tutto ubriaco, sospirò. Geralt aveva notoriamente la sbornia triste.
- Sì, ritirarsi dalla competizione, dire “io non ci sto”, non fare niente per realizzare i propri sogni…
- Ah! Pensi di andare in pensione?
- Idiota.
- Ma che ho detto?
Il trovatore bevve un altro boccale quasi senza fiatare e ruttò sonoramente.
- No. – Si decise a rispondere. – Non penso che sia giusto. Penso che ciascuno debba lottare e fare quello che può con quello che ha…
Tirò su un altro sospiro.
- No, non penso che sia giusto – ripeté. – Ma penso che sia comprensibile. Il mondo, in genere, quando cerchi di realizzare i tuoi sogni, ti dà un calcio nel culo.
- Vero – commentò Geralt finendo anche lui il suo boccale e, cosa assolutamente insolita per lui, posò la testa sulle braccia e si addormentò sul tavolo, cominciando a sognare una foresta spinosa e una fanciulla addormentata che aspettava, ogni cento anni, che cambiasse un mondo che non cambiava mai.
  
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