Le pianure di Reach erano state da sempre, fin da quando i primi coloni si erano stabiliti sul pianeta, una delle poche visione più belle di qualunque cosa la mente umana avesse potuto concepire.
Uno di quei paesaggi che calmano i cuori più inquieti e tormentati: ettari ed ettari di verdi distese d'erba, ricoperte da limpidi laghi sui quali la calda luce del sole si rifrangeva, dando all'acqua mille riflessi luminosi ed abbaglianti.
Six rimembrava ancora la prima volta che aveva visto quello spettacolo, quanto lui, un Spartan addestrato alla guerra ed al massacro, era rimasto incantato vedendo le specie native del pianeta correre indisturbate, pascolando rilassate fra i verdi steli.
Ricordava il sole scintillante nel cielo come un faro, mentre una dolce luce soffusa entrava nell'elmo della sua armatura dalla visiera.
Noble Six ricordava molto bene, perché ormai di esse rimaneva soltanto il ricordo, oltre alla nuda e fredda terra brulla e dissestata, attraversata qua e là da enormi ragnatele di terra, vetrificata dalle astronavi aliene, come grotteschi e scintillanti ragni di cristallo.
Il sole, l'unica cosa che perfino i Covenant, a dispetto della loro follia, o fanatismo, non avevano toccato, temendone le conseguenze, solcava il cielo come tanti mesi fa, prima della guerra.
Eppure i suoi raggi non riuscivano a penetrare la folta cappa di polvere e terra sollevata dagli invasori; ormai solo loro rimanevano: i marine UNSC, i difensori di quel pianeta, erano da tempo caduti od abbastanza fortunati da essere riusciti a scappare via da quell'inferno in terra.
Tutti tranne lui.
Da tempo l'unico sangue che Noble aveva incontrato nella sua fuga era quello alieno che lui stesso aveva versato e quello rappreso dei suoi compagni caduti da tempo.
Ed ora, in quel accampamento dove solo i cadaveri dei suoi occupanti l'avevano accolto, Six aveva deciso di restare.
Stanco, era talmente stanco di fuggire.
Mentre saliva sulla torre d'osservazione del avamposto, una squadrata torre di metallo dove gli ultimi difensori del campo avevano montato tre mitragliatici, a Noble venne in mente una delle frasi più celebri tra gli ODST "Gli spartan solo come pistole, senz'anima, basta premere il grilletto"
Niente di più falso.
Jorge era morto per salvare Reach
Kat uccisa mentre cercava di mettere in salvo i resti di quel pianeta abbandonato da Dio.
Carter caduto per dare speranza a lui ed Emile.
Jun disperso scortando la dottoressa Halsey
Emile trapassato per portare in salvo la Pillar Of Autumn.
Non uno, non uno di loro era morto per se stesso, non uno era stato cosi egoista.
Eppure Six, mentre vedeva i battaglioni Covenant avanzare verso la base, si corresse.
Nessuno eccetto lui, perché lui oggi sarebbe morto per se stesso.
Nel pugno strise le targhette dell'intero team Noble: le aveva recuperate tutte dopo la morte degli altri Spartan.
Sarebbe morto prendendosi la sua vendetta, uccidendo quanti più Covenant possibile, la discesa verso l'inferno, lo sapeva, non sarebbe più gradita di quel giorno e di certo vi sarebbe disceso in compagnia.
Con la coda dell'occhio Six vidè un'Elite avvicinarsi alla torre; rapido saltò dalla ringhiera della costruzione, atterando come un angelo della morte sul capo dell'alieno, spaccandogli il cranio.
Infine prese dal fianco prese un fucile, pronto a danzare il suo ultimo ballo.