Fuori piove - Come in un cliché

C’è, sul tavolo di fronte, un invito a un matrimonio con il tuo indirizzo scritto sopra. Dentro, un tipografo crudele – crudele per te, che avresti voluto lavare via l’inchiostro – ha stampigliato in lettere eleganti i nomi degli sposi. A passarci su le dita, potresti sentire il solco sulla carta, che ha la stessa forma di quello che ti porti dentro.
Lucy Quinn Fabray.
Vedi, allo specchio, il tuo volto troppo bianco; va bene così, è una recita; ma non sarebbe davvero servito il cerone, se non fosse stato per le luci della ribalta. Quelle sì, sono calde e arrossano la faccia, come i baci di un’adolescente impacciata.
Lei ti mordeva le labbra, passandoti le mani tra i capelli, mentre in sottofondo, da un vecchio vinile, Liza Minnelli cantava che la vita è un cabaret e ti raccomandava di assaggiare il vino e tu pensavi che nessun nettare potesse dare più assuefazione della bocca che ti baciava, delle dita che ti slacciavano la camicetta da brava ragazza per farti scoprire un lato meno innocente dell’amore.