Storie originali > Avventura
Ricorda la storia  |      
Autore: WarHamster    10/03/2013    10 recensioni
Non è che Red Coulson fosse particolarmente coraggioso o, al contrario, troppo lento per piazzarsi prontamente dietro una persiana socchiusa.
Semplicemente il vecchio Tom gli aveva detto di badare alle capre e lui aveva ubbidito, se n’era rimasto seduto sulla paglia all'ombra della ricovero dei cavalli con le capre tutte intorno che ripulivano quei pochi fili d’erba secca sulla strada.
Genere: Avventura, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Autore: MaelstromDawn (Frandra)
Titolo della storia: His name is King
Fandom: originale (non sono certa di dove collocarla) avventura
Rating: verde
Genere: vagamente azione, sentimentale (in un certo senso)
Tipologia: one shot
Avvertimenti: linguaggio a tratti gergale
Introduzione: Non è che Red Coulson fosse particolarmente coraggioso o, al contrario, troppo lento per piazzarsi prontamente dietro una persiana socchiusa.
Semplicemente il vecchio Tom gli aveva detto di badare alle capre e lui aveva ubbidito, se n’era rimasto seduto sulla paglia all’ombra del ricovero dei cavalli con le capre tutte intorno che ripulivano quei pochi fili d’erba secca sulla strada.



Prima classificata al contest "Datemi un sogno in cui vivere perchè la realtà mi sta uccidendo" indetto da Edelvais Verdefoglia sul forum di EFP
Pertecipa al contest "Beating of your heart" indetto da My Pride e al contest "My favourite character" indetto da Fanny_Rimes
Note dell'autore: non sono estremamente soddisfatta di questo lavoro, ma ormai è fatta. Ho sfruttato molto il mio amore per il genere western (Leone in primis) e nel testo ci sono un po’ di citazioni e note varie che ho segnalato alla fine. Ho scelto di utilizzare il prompt intendendo il tradimento nel senso di promessa non mantenuta, in questo modo la vittima che il protagonista vuole vendicare è anche il traditore e chi subirà la vendetta è colui che a reso la vittima un traditore... santo cielo, così sembra terribilmente complicato...
Alternati al testo vi sono i versi di una canzone (His name is King (Il suo nome è King) - Luis Bacalov Edda Dell’Orso) consiglio di ascoltarla prima della lettura e poi immaginarla cantata da Johnny Cash durante la lettura, so che può sembrare strano ma... beh, lo è.
Buona lettura ^^







 

His name was King
He had a horse
Along the countryside
I saw him ride

 

Era un pomeriggio di fine agosto a Daugherty, un pomeriggio di fine agosto maledettamente caldo e secco ˗ come tutti i giorni di quella caldissima estate ˗ e quando la terra è secca, in Texas, vuol dire che basta l’alito di una formica per tirare su un’onda di sabbia.

Quel pomeriggio, alle porte di Daugherty, era arrivato un turbine così alto che il banchiere ˗ che di deserto ne sapeva quanto il fabbro Smith di fatture e investimenti ˗ l’aveva scambiato per un tornado.
Un uomo era uscito dalla polvere in sella ad un cavallo con il manto dorato e le froge larghe quanto un pugno; non sto mentendo, io l’ho visto, un diavolo risputato dall’inferno in sella ad una bestia d’oro.

Il suo nome era King, “King e basta” avrebbe poi risposto allo sceriffo Willard Cliff, e nell’esatto istante in cui era smontato da cavallo poggiando il piede sulla terra polverosa della strada principale tutte le finestre si erano chiuse, gli unici tre bambini del paese erano spariti in casa e dietro ogni spiraglio si era appostato qualcuno armato.
A Daugherty dagli undici anni in su, che tu sia uomo o donna, si impara a sparare ˗ solo la moglie del banchiere non sa nemmeno come si imbraccia un fucile, ma lei non conta, non è nemmeno texana ˗ e chiunque avesse a disposizione un’arma in quel momento la stava puntando verso il nuovo arrivato.

Mi ci gioco l’unico orecchio che mi rimane che King sapesse perfettamente di essere sotto tiro, ma non si scompose minimamente, legò la sua giumenta alla barra del saloon e le tolse la sella per poggiarla a terra.
Solo allora si voltò a guardare l’unico altro diavolo rimasto sulla via.

 
Non è che Red Coulson fosse particolarmente coraggioso o, al contrario, troppo lento per piazzarsi prontamente dietro una persiana socchiusa.
Semplicemente il vecchio Tom gli aveva detto di badare alle capre e lui aveva ubbidito, se n’era rimasto seduto sulla paglia all’ombra del ricovero dei cavalli con le capre tutte intorno che ripulivano quei pochi fili d’erba secca sulla strada.

L’aveva chiamato Red il vecchio Tom Coulson, quando una carovana gliel’aveva lasciato nella stalla che non aveva nemmeno cinque anni e tutto quello che si sapeva di lui era che aveva i capelli dello stesso colore della ruggine che incrosta le canne dei fucili se non ci fai attenzione. Coulson sarà anche stato un allevatore rozzo e testardo, ma non aveva avuto cuore di buttarlo fuori, tanto più che all’epoca non c’erano famiglie che potessero accoglierlo, e poi avere qualcuno che gli desse una mano mentre gli anni cominciavano a farsi sentire non gli era sembrata una cattiva idea, così il bambino sconosciuto era diventato Red Coulson.

Aveva solo sedici anni, allora, e se ne stava mezzo sdraiato sulla paglia con i piedi incrociati mentre si accendeva una cicca rimediata chissà dove con aria da vero uomo. Aveva un Winchester di almeno quinta mano accanto e, anche se a guardarlo così non ci si sarebbe scommesso un soldo bucato, sapeva usarlo discretamente.
Ad ogni modo, il nuovo arrivato era andato verso di lui con quella Colt argentata che gli penzolava al fianco e non prometteva nulla di buono, invece si era infilato in bocca uno di quei sigari sottili che se non si tira troppo a fondo ci mettono mesi a consumarsi e gli aveva chiesto semplicemente «Hai da accendere, ragazzo?».

A quel punto tutta Daugherty aveva ripreso a respirare e, mentre Red Coulson ˗ sempre senza fare una piega ˗ gli passava la scatola di fiammiferi, un po’ alla volta avevamo rinfoderato le armi e ce n’eravamo tornati ai nostri soliti posti.
Non è che fossimo poco ospitali, a quello ci pensava già il deserto, è solo che quando si vede una canna da sei pollici vicino a una mano che sembra sapere il fatto suo non ci si aspetta nulla di buono...

Molto tempo dopo, quando Red Coulson mi raccontò la storia di King, gli chiesi se quel giorno avesse avuto paura e lui, che era uno che diceva le cose come stanno, mi aveva detto che se ci aveva messo così tanto ad accendersi la cicca non era certo per il vento ˗ che era poco più che una bava d’aria ˗, ma perché tremava come un vitellino che va al macello. Lì sul momento era sembrato a tutti molto coraggioso, a tutti meno che a King, lui aveva soltanto sorriso, in fondo non era cattivo come sembrava.



He had a gun
I knew him well
Oh, I heard him singing
I knew he loved someone


 

Le giornate erano tornate a scorrere placide e tranquille a Daugherty. King, lo straniero, si guadagnava qualcosa lavorando dal vecchio fabbro Smith, tirava su una miseria e passava ore a cuocersi al maglio, però continuava a pagare l’affitto della sua stanza a Susan Mole perciò nessuno gli diceva nulla.

Era un ragazzo educato, ma non si può dire che avesse molti amici; qualche volta si fermava sotto il portico del saloon e mi ascoltava suonare la chitarra, ma generalmente non mi rivolgeva che un semplice saluto.
Una volta soltanto ricordo di avergli effettivamente parlato ed è stato per chiedergli della sua cavalla: passato il primo momento di stupore tutto il paese aveva preso a guardare con curiosità quella strana bestia. Chi l’aveva mai visto un cavallo che brillava al sole come una pepita?
King aveva mordicchiato un po’ il mezzo sigaro guardando la giumenta che raccoglieva qualche filo d’erba stecchito nel recinto di fianco alla rimessa «Viene dall’Arabia, li chiamano Akhal Tekè, i cavalli celesti, i levrieri del deserto. Li vendeva un banditore a Greenville». Aveva tirato una profonda boccata di fumo e per un attimo mi era parso di vedere ammirazione ˗ e anche una punta di tenerezza ˗ nel suo sguardo «Può correre tutto il giorno nel deserto senza mollare, quando galoppa sembra che abbia le ali ai piedi, la mia ragazza».
Si chiamava proprio così quella giumenta, My Lady, la mia ragazza.
Quella fu l’unica conversazione vera e propria che ebbi con King, ma dopotutto, come ho già detto, non era un tipo molto socievole.

C’erano soltanto due persone con cui s’intrattenesse e uno era lo sceriffo Willard Cliff.
Il buon Willard, nonostante la stella che teneva nel taschino “per non bucarsi la camicia”, non era uno strenuo sostenitore della legge e gli uomini che avevano avuto l’onore di soggiornare dietro le sbarre della prigione di Daugherty si potevano contare sulla punta delle dita. King si fermava al suo ufficio sempre mezz’ora dopo l’arrivo della posta e dopo cinque minuti al massimo ne era fuori.
Nessuno sapeva di cosa discutesse con Willard Cliff ˗ e nessuno voleva chiederlo allo sceriffo ˗, ma aveva cominciato a spargersi la voce che il nuovo fabbro di Daugherty altri non fosse che un cacciatore di taglie. “Un coyote appostato in attesa del coniglio più grasso, ecco cos’è!” aveva berciato Alfred Hogsman agitando il suo sigaro puzzolente.
Bisognava ammettere che quella pistola che si portava sempre appresso qualche sospetto l’avesse fatto venire un po’ a tutti, ma il falegname Hogsman venne zittito in fretta, se fosse stato davvero un cacciatore di teste che cose ci avrebbe fatto in un posto sperduto come Daugherty?

Restava il fatto che una volta a settimana King andasse a fare visita allo sceriffo e nessuno sapesse bene perché; solo dopo, quando mi fu raccontata la sua storia, mi ritrovai a dare ragione al vecchio Alfred e al suo sigaro nauseabondo. King era proprio un coyote che faceva la posta, solo che il suo grasso coniglio ancora non si era fatto vedere...

L’altra persona con cui lo straniero faceva comunella era la prima faccia umana che avesse visto a Daugherty.
Red Coulson non sembrava il tipo di persona che si accompagnasse a quelli come King, eppure parevano andare incredibilmente d’accordo.
A vederli insieme facevano proprio un bel paio, se ne stavano sulla veranda della pensione di Susan Mole; King a cavalcioni di una sedia, facendo dondolare una bottiglia di whisky e con il cappello tirato indietro, sembrava un indiano con quei capelli lunghi e disordinati e la faccia cotta sia dal sole che dalla fucina ˗ che a forza di lavorarci dentro era diventato mezzo atermico e tutto quello che si metteva addosso era un gilet di pelle logoro sopra le braghe di fustagno.
Red invece se ne stava seduto per terra, con le gambe allungate sul palchetto e la paglia stretta fra le labbra; ogni tanto aveva i capelli bagnati fradici, quando Lorna, la proprietaria del saloon, lo ficcava a forza in una tinozza e lo obbligava a lavarsi, “Deve farsi bello per trovare moglie” diceva, come se ci fosse molta scelta, l’unica persona con meno di trent’anni e più di quattro era Elizabeth Clover, la figlia del farmacista. Già allora, però, qualcosa mi diceva che il giovane Coulson non avrebbe mai infilato la fede al dito di Betty Clover.

Stavano lì sulla veranda, uno bevendo e l’altro fumando, scambiandosi ogni tanto qualche parola e ridendo a voce bassa finché la paglia di Red non spiccava incandescente nel buio, allora si alzavano quasi in sincrono, mi passavano davanti facendomi in cenno di saluto e sparivano nel casotto di fianco al fienile dove viveva il giovane Coulson.
Passava ancora mezz’ora, non di più, il tempo di suonare qualche canzone nel buio della notte e King usciva richiudendo la porta cigolante, si calcava il cappello in testa e accendeva il suo mezzo sigaro.

Non c’era nessun’altro a cui King fosse legato a Daugherty, ma forse qualcuno al di là del deserto c’era, o almeno questo era ciò che pensai l’ultima sera in cui lo vidi.

Era uscito come al solito dalla stanza di Red, aveva tirato una boccata dal suo sigaro e si era fermato un attimo ad ascoltarmi suonare.

“The river never will run dry,
Not the rocks melt with the sun;
And I’ll never prove false to the girl I love”.

Così faceva quella canzone e sorprendentemente lui cantò con me gli ultimi versi.
«Till all these things be done, my dear,
Till all these things be done».

Cos’è che dovesse fare e da chi lo stesse portando lontano ancora non lo sapevo, potevo solo immaginare che avesse abbandonato qualcuno prima di cominciare il suo viaggio.

Capii che mi stavo sbagliando il mattino seguente, quando fu chiaro chi stesse lasciando indietro.


His name was King
He had a brother
His only brother
A peaceful guy


 

Il giorno dopo una delle prime cose di cui ci accorgemmo fu l’assenza di My Lady nel suo recinto.
La prima cosa a cui si pensò fu un furto e l’agitazione si sparse rapidamente mentre Willard Cliff si apprestava a chiamare King.
Solo Red Coulson non sembrava affatto turbato, era partito con le sue capre come al solito per portarle a brucare sterpaglie appena fuori dal paese.

Lo sceriffo tornò solo, aveva con sé soltanto un foglio accuratamente ripiegato e non appena lo aprì apprestandosi a leggerlo la gente si accalcò all’entrata del saloon.
Vi era talmente tanta curiosità che persino io smisi di pizzicare le corde della chitarra fermandomi come non facevo da quasi vent’anni, da quando avevo ceduto il saloon ˗ eredità di mio padre ˗ a Lorna Baxter in cambio di una stanza, due pasti caldi al giorno e una sedia a dondolo sul palchetto dove poter suonare in pace.

Red aveva continuato a portare le sue capre fuori Daugherty non curandosi minimamente di quanto stesse succedendo; era strano che quel ragazzo così legato allo straniero non si preoccupasse affatto di ciò che avrebbe potuto essergli successo.
Forse si comportava così semplicemente  perché sapeva che fine avesse fatto King ben prima che Willard Cliff leggesse la lettera in cui chiedeva al fabbro Smith di lasciare la parte di stipendio che ancora non aveva intascato a Susan Mole per pagarle l’affitto, nient’altro, era un tipo di poche parole dopotutto.

Quella sera, e tutte quelle a venire, fu piuttosto strano vedere Red solo sul porticato, abbandonato sulla sedia dove di solito si appostava il suo compare, con la cicca che gli si consumava lentamente fra le dita e la bottiglia di whisky attaccata alla bocca.
Una di quelle sere, qualche tempo dopo la partenza di King, in cui aveva esagerato un po’ troppo con il liquore, si era trascinato giù dal palchetto barcollando verso la sua stanza mentre aspirava quel poco di sigaretta che gli rimaneva e aveva finito per aggrapparsi alla balaustra del saloon pur di non cadere a terra.

«Piantala di suonare quella nenia, Joe. Fa sanguinare le orecchie».

Più che le orecchie sembrava proprio che a quel figliolo sanguinasse il cuore.
Era rovinato sui gradini mentre tentava di spegnersi la cicca sotto lo stivale e aveva scosso la bottiglia tentando di capire se contenesse ancora qualcosa.
Gli chiesi se andasse tutto bene e lui si accartocciò su se stesso appoggiandosi la faccia alle ginocchia come fanno i bambini «Bene» aveva bofonchiato «Ma tu cambia canzone».
Si era lasciato scivolare lungo la trave del portico mentre continuavo a suonare gli ultimi accordi di True Lover’s Farewell senza cantarla. Aveva la faccia rossa come se si fosse scottato al sole, si vedeva che non era abituato a bere, e si rigirava fra le mani qualcosa che teneva legata al collo con uno spago.

Era un proiettile, un grosso calibro, proprio come la pistola di King, e lo teneva sollevato alla luce della lanterna come se dovesse contenere chissà quali risposte.
«Sai cos’è?» mi chiese tendendolo verso di me, non risposi, dopotutto era una domanda retorica, «Questo non è un semplice proiettile del tamburo di King».
Se lo fece saltare sul palmo prima di stringerlo nuovamente fra le dita «È una metafora dell’umanità» disse solennemente prima di scoppiare a ridere, chissà se sapeva veramente cosa volesse dire metafora. «Così mi ha detto, il piombo è una metafora dell’umanità. Rappresenta la creatività, perché Gut... Gutten... un tedesco ci ha fatto i caratteri da stampa, e rappresenta la distruzione, perché ci fanno questi» disse esponendolo nuovamente al bagliore della lanterna.
«È un metallo che racchiude in sé i due volti dell’uomo, quello che crea e quello che distrugge, ha detto, e lui ha un volto soltanto, per questo se n’è andato, perché non può creare finché non ha distrutto» si lasciò cadere pesantemente sul palchetto sbattendo la testa contro il legno e storcendo la bocca per il dolore.
«Lo sapevi che in Europa c’è gente che col piombo ci prevede il futuro?» chiese mentre la sua voce cominciava a traballare. Continuai ad arpeggiare mentre Red si passava una mano sulla faccia «Forse hanno ragione, sai? Se guardo questo, di piombo, ce lo vedo bene che futuro avrà quello lì. Ah, King non metterà mai più piede a Daugherty, finirà ammazzato prima e tutto ciò che mi resterà sarà uno stupido proiettile e quattro chiacchiere sull’onore e la famiglia».

Si lasciò cadere il proiettile sul petto e sospirò profondamente prima di voltarsi a guardarmi «Sai, King aveva un fratello».
In quel momento capii che stava per raccontarmi una storia che nessun altro a Daugherty avrebbe mai avuto l’onore di ascoltare, così, per la seconda volta in vent’anni, smisi di suonare.


One day they found him
His shirt was red
Two shiny bullets
They found his brother dead


 

Dopo la sua partenza, ancor più di quando era a Daugherty, le ipotesi su chi fosse King e che cosa fosse intento a fare si sprecarono. Ciò su cui tutti concordavano era che se era filato via di notte e senza salutare era perché nascondesse qualcosa, ma da lì in poi partivano le elucubrazioni più disparate, c’era chi diceva che fosse un ladro in attesa di godersi una cospicua refurtiva, altri sostenevano che fosse un bandito desideroso di starsene fuori dai guai per un po’, i più fantasiosi erano arrivati ad ipotizzare che stesse preparando un attentato e qualcuno aveva timidamente supposto che fosse un mezzosangue in cerca di fortuna, ma era stato bellamente ignorato. Non so quale fosse la meno probabile, ma bisogna riconoscere che a Daugherty oltre alla sabbia e alle capre hanno anche una buona dose di fantasia.

L’unico che sapesse la verità, l’unico che gli fosse rimasto attaccato come una sanguisuga del Mississippi per tutto il tempo che era rimasto in paese, non accennava a parlarne, almeno fino a quella sera.

Il racconto di Red Coulson cominciò sulle montagne del Wyoming, nei pascoli dove venivano portate le mandrie d’estate.
King aveva un fratello, più piccolo di lui di quattro anni, si chiamava Ray e la prima cosa che Red disse di lui fu che l’aveva tradito. Ricordo bene che non capii subito a cosa si riferisse, ma supposi immediatamente che lo straniero lo stesse cercando per vendicarsi, avevo una certa esperienza in faide famigliari, dopotutto era stato mio fratello Steve a farmi saltare un orecchio con un pallettone quando papà aveva lasciato al figlio musicista vagabondo ˗ e a detta di tutti perdigiorno ˗ il saloon.

Mi sbagliavo, King era stato sì tradito, ma non nel modo in cui ci si sarebbe aspettati. Lo straniero amava talmente tanto il suo fratellino che gli aveva fatto giurare di non dargli mai il dispiacere di doverlo seppellire.
Ma quella di non andare all’altro mondo è la promessa più difficile da mantenere e Ray non l’aveva fatto, lasciando suo fratello solo, adirato e tradito.

King e Ray erano mandriani, portavano le bestie ai pascoli e si assicuravano di tenere lontani lupi e ladri, era un lavoro duro e li teneva distanti dal mondo, ma loro se la cavavano bene. Una volta ogni due settimane a turno scendevano a valle a recuperare vettovaglie e sapone, ci voleva un giorno intero a scendere e uno e mezzo a salire così uno dei due rimaneva di guardia al pascolo per tutta la notte mentre l’altro era per strada.

Una mattina King, tornato al pascolo, trovò le bestie disseminate per i prati e i boschi senza nessuno a governarle, i cani oziavano sdraiati all’ombra e di Ray non vi era traccia.
Il primo pensiero che lo colse fu che un ladro avesse tentato di rubare del bestiame e suo fratello lo stesse inseguendo, allora radunò le bestie e prese a cercarne le tracce nei boschi intorno.

Quando il sole pomeridiano era già alto nel cielo di Ray non vi era nemmeno l’ombra, King chiese allora l’aiuto dei mandriani dei pascoli vicini e insieme batterono i boschi, finché la notte non cominciò a calare impedendo di continuare.

«Lo trovarono il mattino dopo e non c’era più nulla da fare, era immerso in un bagno di sangue, con gli occhi sbarrati e due proiettili nel petto».

Red si tolse una sigaretta fumata per metà dal taschino della camicia e vi avvicinò un fiammifero acceso, l’unico suono udibile era lo sfrigolare della fiamma mentre tirava per farla attecchire.

«Era una promessa stupida, non farsi ammazzare, non prima di lui almeno, ma per lui era comunque un tradimento e non poteva permettere che il suo fratellino se ne andasse al creatore da infedele» mentre raccontava sembrava essere lontano mille miglia da lì e dopo l’ultima frase parve tornare nuovamente al portico del saloon di Lorna Baxter.

Tutti diedero la colpa ad un ladro, ma King le bestie le aveva contate, e non ne mancava nemmeno una, chi aveva ucciso Ray non aveva altro da rubare se non la vita di suo fratello.


You can’t see King
Oh, he’s riding
You can’t see King
That man in searching


 

Erano ormai passati mesi da quando King si era defilato nel buio della notte e non si erano più avute notizie di lui, gran parte del paese pareva addirittura aver scordato quel bizzarro straniero.
Solo Red Coulson sembrava ancora covare la speranza di vederlo tornare in una nube di polvere, così come era arrivato. Mentre Lorna tentava di convincerlo a sposare Betty Clover, il giovane Coulson passava le sue serate attendendo King.
Ogni tanto si voltava verso di me lanciandomi un’occhiataccia se azzardavo a intonare True Lover’s Farewell, ma tutto sommato a un occhio poco attento poteva sembrare quello di sempre, cosa poco probabile in effetti, visto il pasticcio in cui era andato a cacciarsi il suo compare.

Quello che qualche irriducibile continuava a fare anche quando dello straniero non si ricordava troppo bene nemmeno che faccia avesse era scommettere su cosa facesse dallo sceriffo Willard Cliff, certe abitudini erano dure a morire. Alfred Hogsman persisteva nel dire, agitando quel suo sigaro maleodorante, che fosse un cacciatore di taglie ed era arrivato persino ad azzardare quante teste si fosse preso e quanto ci avesse guadagnato.
Dal canto mio mi limitavo a continuare a suonare e sorridere all’ombra del cappello.

Mi pareva proprio di vederlo, il giorno prima della sua partenza, come me lo aveva raccontato Red, il giorno in cui la sua paziente attesa era stata ripagata.
Quel pomeriggio King si era recato dallo sceriffo come faceva ogni settimana e, come tutte le altre volte aveva varcato nuovamente la soglia entro pochi minuti. La differenza stava in ciò che custodiva gelosamente in tasca, il coyote aveva finalmente trovato le tracce del suo grasso coniglio.

Era un foglio spiegazzato, ciò che nascondeva King, un avviso di taglia arrivato fresco fresco quella mattina.
Non è che quella testa valesse poi molto,ma non erano i soldi ad attrarlo, non era per quelli che King aveva tanto atteso.

Henry Cartwright, era quello il nome sull’avviso di taglia, ed era anche il nome di chi aveva freddato suo fratello quella notte.
Era un mandriano anche lui, ma aveva perso il lavoro per aver rivenduto un paio di capi spacciandoli per sbranati dai lupi, così King e Ray avevano preso il suo posto e quello del suo compare.
Ma non si era rassegnato e la storia era finita con due pallettoni nel petto di Ray e Henry Cartwright libero di fuggire senza che nessuno lo accusasse, perché la parola di King non contava poi molto. Quello che lo sceriffo del posto aveva dichiarato un caso chiuso per King era invece appena aperto.

Lasciò il lavoro, raccolse i risparmi e cominciò a inseguire l’assassino di Ray.
Cartwright si spostava sempre più a sud, inconsapevole di averlo alle calcagna, voleva soltanto cambiare aria per timore della legge, quando invece avrebbe dovuto temere ben altro.
A Greenville King aveva comprato My Lady, un cavallo che potesse attraversare il deserto senza mai fermarsi, e aveva continuato a rincorrerlo finché Cartwright non aveva finito per accorgersi di lui e cominciare a scappare davvero.

L’aveva perso a Garland e si era fermato lì finché non gli era giunta voce che il suo vecchio amico avesse tentato di assaltare una diligenza a Odessa, tempo qualche mese e sulla sua testa sarebbe pesata una taglia, allora avrebbe potuto farlo fuori senza che le sue mani si sporcassero, metaforicamente parlando.
Perché avesse scelto proprio Daugherty per attendere il suo momento era un mistero persino per lui, da quanto diceva Red non riuscendo a trovare lavoro a Odessa si era trovato a vagare per il deserto e il nostro era stato il primo paese in vista.

È curioso come talvolta la mano del fato ci porti fortune inaspettate, sempre se fortuna si poteva definire l’amicizia di un uomo come King, sempre se amicizia era ciò che li legava.


Got to fight his anger
Find in his eye
Sure to find that killer
Looking for the man


 

Quando Red si era alzato barcollando avevo dato per scontato che il racconto fosse finito, ma lui si era seduto sui gradini a guardare le stelle e aveva ripreso.
Ricordo perfettamente cosa disse, forse perché non era propriamente parte della storia, o forse perché fu un argomento che non toccammo mai più, ma ricordo quasi ogni singola parola.

«Quello di King non è semplice desiderio di vendetta» cominciò e il suo sguardo si fece un po’ più spento «Lui desidera uccidere quell’uomo, lo vuole con tutto se stesso, vuole piantargli due proiettili in corpo per lavare via il tradimento di suo fratello» sospirò profondamente restando per un po’ in silenzio.
«Fino a quando non l’avrà fatto non ci sarà spazio per altro se non rabbia e dolore in lui. Il suo sogno è liberarsene, ricominciare a vivere, trovare qualcosa che riempia la sua vita. Quando avrà compiuto la sua vendetta e riscattato il tradimento allora ci sarà spazio per me, per questo mi ha promesso che tornerà» fumò l’ultima nota della cicca e la spense a terra prima di alzarsi puntellandosi alla trave.
«Io non dimenticherò ciò che ha detto e se non dovesse tornare avrò anch’io qualcosa di cui vendicarmi».

Si avviò con un po’ più di stabilità al suo casotto e non mi rimase altro da fare se non riprendere a suonare.
Non mi importava poi molto di cosa ci fosse fra lui e King, solo mi dispiaceva per Red, che stava lì a crucciarsi, e per Lorna, che non lo avrebbe mai visto sposare Betty Clover.

A metà strada Red si fermò «King non ha paura di morire, non ha alcun timore di ciò che potrebbe succedergli. Mentre mi raccontava ciò che avrebbe fatto a Henry Cartwright il suo cuore ha continuato a battere come un orologio, regolare e preciso. Era il suono della determinazione, della volontà ferrea, e non lo scorderò mai».


He had a gun
I knew him well
Oh, and when he shot
Oh, that man, he never miss


 

Una volta il vecchio Coulson, Hogsman e qualche altro balordo avevano avuto la brillante idea di passare la serata a forare latte a colpi di fucile, il rumore che facevano era infernale, ma quel ch’era peggio non riuscivano a centrare i bersagli ˗decisamente troppo piccoli e troppo lontani per le loro mediocri capacità da tiratori˗ e la cosa minacciava di tirarla per le lunghe.

Mentre strimpellavo una melodia che nemmeno riuscivo a sentire, King era uscito dal saloon per andare a mettersi al solito posto in compagnia di Red e gli improvvisati cecchini l’avevano immediatamente invitato ad unirsi a loro.
Contrariamente a quanto mi aspettassi lo straniero non si era fatto pregare, anzi, sembrava addirittura felice di potersi sgranchire un po’ il dito. Si era piazzato a gambe larghe a trenta passi dalla fila di latte, le aveva guardate per un attimo e poi aveva preso a sparare, così, come se fosse facile quanto sbattere le ciglia, teneva la mano di piatto sul cane e lo accarezzava ad ogni colpo.
Sei proiettili, sei latte, con un tamburo aveva tirato giù più bersagli di quanti non ne avessero stesi Hogsman e compagnia bella coi loro fucili.

Non mi trattenni dal ridacchiare mentre qualcuno di loro bofonchiava «È giovane, ha gli occhi freschi».
Giovane o no, King sapeva il fatto suo, l’ho visto sparare molto raramente dopo quella sera, ma ciò che non l’ho mai visto fare fu mancare il bersaglio.

Quell’episodio mi venne in mente una mattina di fine agosto in cui la terra era tornata ad essere più secca di quegli orrendi biscotti che la moglie del banchiere si ostinava a preparare a ogni Ringraziamento, il perché era scritto sulla pagina in cui venivano elencati i criminali assicurati alle patrie galere ˗ o alle pallottole di qualche cacciatore ˗ di un giornale che era passato da parecchie mani prima di arrivare nelle mie.

Mi ricordai di quella sera perché leggere il nome di Henry Cartwright non mi sorprese affatto, come ho già detto, King non aveva mai sbagliato un colpo, e di certo non avrebbe cominciato con il più importante della sua vita...

Non dissi nulla a Red Coulson di quel nome sul giornale, ancora oggi non sono poi così certo del perché, ma avevo il timore che quel ragazzetto si riempisse di false speranze e non volevo vederlo triste.
Quel nome significava che King ce l’aveva fatta e allora l’unica incognita restava se avrebbe mantenuto la sua promessa o se sarebbe diventato a sua volta un traditore.


Ride on, King, ride

 

Era un pomeriggio di settembre a Daugherty, ma faceva caldo nemmeno fosse agosto, e la terra era secca come ad agosto, e la sabbia si alzava per l’alito di una formica, perché è così che andavano le cose in Texas.

All’orizzonte si alzò un turbine, molti pensarono a una diligenza, il banchiere continuò a sostenere che fosse un tornado, io e Red Coulson sperammo in silenzio.
Ad ogni modo ognuno si armò, perché nel frattempo non eravamo diventati più fiduciosi nel prossimo. Anche Red da dietro una botte prendeva la mira con il suo Winchester, giusto perché di capre da guardare quel giorno non ne aveva.

Avevamo tutti un po’ la sensazione di averla già vissuta quella scena e forse perché era proprio così.
Quando la polvere cominciò a diradarsi un uomo si fece avanti in sella ad un cavallo e, lo so che avrei dovuto esserci abituato, ma sembrava proprio un diavolo risputato dall’inferno in sella ad una cavalla d’oro.

Red lasciò cadere il fucile saltando la botte e fu talmente lesto che per poco Hogsman non lo impallinò per riflesso condizionato.
Il resto del paese lo squadrò smarrito per un attimo prima di mettere bene a fuoco chi fosse il nuovo arrivato, che poi proprio nuovo non era.

King lasciò che gli saltasse addosso per abbracciarlo e sorrise quando lo vide sfregarsi gli occhi, “per la polvere” si sarebbe poi giustificato.
Alla fine lo straniero aveva mantenuto la sua promessa e non credo di aver mai visto Red così felice.
Gli si avvicinò di nuovo appoggiandogli le mani sulle spalle «Ci sarà sempre qualcosa che potrà essere lasciata indietro, come il tuo passato finora, ma io non voglio dimenticare tutto. Non il tuo sogno, non le tue parole... o il battito del tuo cuore. Bentornato».

 
Lorna Baxter rischiò la sincope quando il giovane Coulson le disse che sarebbe partito con King e il farmacista dovette farle annusare dei Sali perché smettesse di ripetere le parole “corredo” e “ricami sbagliati”.
Hogsman continuò a borbottare che avrebbero fatto entrambi una brutta fine e il vecchio Coulson si asciugò una lacrimuccia quando il suo pargoletto adottivo gli restituì quei pochi spicci che si era tirato su in tutti quegli anni per comprare il suo vecchio mulo.

Si fermarono a Daugherty non più di due settimane, il tempo di rifornirsi di tutto il necessario per un lungo viaggio e poi partirono.
Li guardai allontanarsi finché la sabbia non li inghiottì, erano ancora una strana coppia, un ragazzetto su un mulo e uno che sembra un mezzosangue su un cavallo dorato, ma, tutto sommato, facevano proprio un bel paio.


You got the man.

 
 
 
 
 
Note semi(in)utili:
- Daugherty è una città texana immaginaria che compare nel film “Django Unchained” di Quentin Tarantino
- le froge sono le narici del cavallo in termini da intenditore
- il Winchester è il fucile di Ramon Rojo in “Per un pugno di dollari” di Sergio Leone
- il sigaro è una citazione a tutti i personaggi di Eastwood nella Trilogia del Dollaro
- gli Akhal Tekè sono seriamente dorati (foto) e il loro nome significa “cavalli celesti” ma vengono anche chiamati levrieri del deseto
- il cognome Baxter è quello di una delle due famiglie antagoniste in “Per un pugno di dollari”
- il narratore si chiama Joe, che è uno dei modi in cui chiamano l’uomo senza nome (Clint Eastwood) nella Trilogia del Dollaro
- il modo di sparare di King è quello tipico da film western (lo usa il Biondo ne “Il buono, il brutto, il cattivo” di Sergio Leone, Joe in "Per un pugno di dollari" e il Monco in "Per qualche dollaro in più")
- King sembra un mezzosangue, perché lo è, ecco perché non gli credevano quando accusava Cartwright
- Joe non ha nemmeno una battuta di discorso diretto, la cosa è voluta ^^
   
 
Leggi le 10 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Avventura / Vai alla pagina dell'autore: WarHamster