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Autore: AuraDuchannes    11/03/2013    2 recensioni
[Seconda classificata al contest "Il primo bacio non si scorda mai" di Clover _ Armstrong]
Gloria è fragile come un oggetto di vetro, pronto a frantumarsi per la più piccola cosa. Rebecca è la sua amica più cara, l'unica persona che lei abbia mai amato. Gloria nasconde un terribile segreto: si autolesiona da quasi tre anni, dopo un trauma subito dalla scomparsa dei genitori.
E Rebecca l'aiuterà a ricomporre se stessa.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
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She is the saint on all the sinners.

She is the saint on all the sinners.


Gloria, where are you Gloria?
You found a home
In all your scars and ammunition
You made your bed in salad days
Amongst the ruin
Ashes to ashes of our youth .




Il terrore mi blocca il respiro in gola. Con le mani tremanti, afferro quell'oggetto che mi ha fatto così tanta compagnia in questo periodo di tristezza ed inadeguatezza; l'unica via per sfuggire ai problemi. Mi scopro il braccio destro, alzando la manica con i denti mentre i miei polpastrelli stringono con forza quella piccola lametta che sono riuscita a ricavare da un temperino.
Lentamente, fin troppo lentamente, la lama mi squarcia la carne. Stringo i denti, per il dolore, ma quando il sangue esce, tiro un sospiro e mi rilasso, con la schiena addossata al muro.
Tutte le lacrime che mi ero imposta di non versare in classe si liberano in un pianto muto e liberatorio. I singhiozzi mi scuotono il petto, sebbene cerchi in qualsiasi modo possibile di non provocare alcun rumore. Soffoco un urlo premendo le mani sulla bocca. Ormai è così da quanto tempo? Tre anni? Probabilmente tre anni.
Da quando i miei genitori sono deceduti, in un banalissimo e scontatissimo incidente d'auto. Quanta gente moriva per della ferraglia montata male? Quante altre persone subivano ciò che subivo io per colpa di difetti di fabbrica? Di stupidi errori di distrazione?
Mi stringo le gambe al petto, dondolandomi avanti e indietro, come se fossi una bambina e qualcun'altro mi stesse cullando dolcemente. Solo che non sono più una bambina. E non ci sarà mai più qualcuno che mi vorrà cullare.
Questo pensiero mi provoca fitte di dolore allo stomaco così intense che per ridurle devo di nuovo ricorrere alla lametta. E così, passo quell'oggettino insignificante e freddo altre due, tre, quattro, cinque volte sul polso, finché la pozza di sangue che si è formata accanto al water diventa troppo grande da poterla pulire.
Ma non mi fermo.
Continuo, come un automa, senza rendermi veramente conto di ciò che faccio. Tra la coltre di nebbia che il dolore mi ha causato, riesco solo a distinguere qualcosa. Un sorriso di mio padre, fiero del mio rendimento scolastico. Una carezza di mia madre, sul viso, che ella mi donò quando una sera tornai a casa piangendo perché la mia migliore amica mi aveva scaricata per strada.
E poi, un urlo. E subito dopo, il buio totale.


«Secondo te è sempre così? Insomma, l'amore sarà sempre uno stupido inseguimento che ci renderà solo più stanchi e deboli?»
Rebecca rotola sul fianco, poggiando un gomito al cuscino e guardandomi dritta negli occhi.
«Perché dici questo?» il suo tono è tranquillo, e i suoi occhi color cioccolato non tradiscono alcuna preoccupazione. Chissà se sono sempre stati così, quegli occhi. Sempre così calmi, così posati. Così tranquillizzanti.
Decido di parlare, di darle una spiegazione. «Guardami. Ho amato un ragazzo, e ora ne sono uscita distrutta. Ho amato i miei genitori, e ora ne sono uscita distrutta. L'amore non fa nulla di buono, l'amore è solo capace di renderci fiacchi e tristi.» ho un attimo di esitazione «Tu hai mai amato, Rebecca?»
Mi sorride. Quel sorriso è capace di sciogliermi come il sole farebbe con un ghiacciolo. «Non lo so. Non penso di essere capace di amare.» detto ciò, si gira dall'altro lato del letto, continuando a leggere ciò che avevo interrotto col mio pensiero espresso ad alta voce.
«Non penso che tu non sia capace di amare. Tutti siamo capaci di amare.»
Lei si gira di scatto verso di me, quasi come se avessi pronunciato qualche parola dannata.
«Gloria, io non potrò mai amare nessuno, ficcatelo bene in testa. Non provo sentimenti.» il suo sguardo ora si è fatto più affilato. Osservo con minuziosa attenzione ogni dettaglio del suo viso. I suoi capelli, di un bel castano scuro, le incorniciano il viso rendendola più bella di quanto voglia ammettere a sè stessa. Ha un nasino perfetto, piccolo e grazioso, labbra che sembrano essere state disegnate da Giotto in persona per quanto sono belle e perfette.
Distolgo lo sguardo dal suo viso, improvvisamente, come se avessi preso una scossa elettrica. Lo rivolgo al soffitto di quella camera immacolata, cosparsa di foto di famiglia, ritratti, disegni vari. Rebecca ama disegnare.
E' capace di disegnare qualsiasi cosa, da un semplice ramoscello ad un maestoso paesaggio. A volte mi perdo nell'osservare la sua mano, sicura, tracciare archi e linee rette su quei fogli bianchi, nell'osservare quel lavoro ai miei occhi ancora non ben definito che poi, quando assume una sua piega, diventa così splendido da togliere il fiato.
«Già. Forse è meglio così, non provare alcun sentimento intendo.» Mi giro sul fianco, prendendo il libro di Storia dell'Arte che avevo poggiato sul comodino.
Lei sbuffa, e mi abbraccia da dietro. «Se riuscissi a provare qualsiasi tipo di sentimento, lo proverei per te. Lo sai. Sei la mia migliore amica.» sento il suo sorriso contro la mia spalla, e mi rilasso.
I suoi polpastrelli accarezzano quella cicatrice che mi porto ormai da tempo, sulla guancia. Un regalino di quel maledetto incidente.
Mi rilasso ancor di più a quel contatto e rilasso i muscoli, tesi fino a quel momento. Le sue dita continuano a toccarmi lembi di pelle scoperti dalla canotta, finché non interrompe quel meraviglioso contatto.
Mi volto verso di lei, i nostri visi sono pericolosamente vicini. Sento il suo respiro fresco sulle labbra.
«Ehy, Gloria.» sussurra.
«Mh?» cerco terribilmente di mantenere il controllo, costringendo me stessa a guardarla negli occhi.
«Sei la santa fra tutti i peccatori.»
Mi lascia un lieve bacio sulla tempia, dopodiché si alza dal letto e mi lascia sola, in quella stanza enorme e così vuota senza lei.


I miei occhi si abituano con molta lentezza alla luce che li accecano con veemenza. Cerco di alzarmi, ovunque mi trovi, ma due mani salde mi bloccano per le braccia e mi costringono a ristendermi.
«Non puoi alzarti.»
La sua voce mi arriva alle orecchie come musica. E' Rebecca. Lei, il mio angelo custode. La donna che non proverà mai nessun tipo di emozione per me ma che riesce a farmi stare bene pur standomi accanto. Ma poi mi rendo conto che ha un tono triste, malinconico. Cerco di guardarla negli occhi, ma lei guarda con insistenza un punto fisso da qualche parte della stanza.
E poi capisco.
Una fitta di dolore mi colpisce, stavolta alla gola, bloccandomi il respiro. Ho bisogno di aria fresca, voglio uscire. Mi alzo, lentamente, e cerco di raggiungere la porta; ha uno sguardo così distante e vacuo che sembra non rendersi conto neanche di dove si trovi.
Ma poi la sua mano mi blocca per il polso destro. La mia espressione neutra si tramuta in una smorfia di dolore. I suoi occhi passano dai miei al mio polso. Mi lascia andare, lentamente, quasi avesse paura che possa spiccare il volo da un momento all'altro.
«Potevi dirmelo.» è il suo solo bisbiglio. Noto con dolore che delle occhiaie profonde le cerchiano gli occhi. Probabilmente è rimasta sveglia tutta la notte, a farmi la guardia.
Il suo sguardo, per la prima volta da quando ci conosciamo, rivela qualche tipo di sentimento. E' triste, è arrabbiata con me per quello che le ho nascosto. E' delusa, forse, ma anche rammaricata per non averlo capito prima.
Restiamo ferme a guardarci negli occhi per un secondo che sembra infinito.
Poi la sua mano si posa fra i miei capelli, con lentezza, e le sue dita si stringono attorno ad una ciocca particolarmente rossa. Il mio verde placido si fonde col suo castano cioccolato profondo.
«Non hai la minima idea di quanto stia soffrendo in questo momento.» la sua voce è incrinata dal dolore. Resto zitta, immobile, non rispondo. Non saprei, d'altronde, cosa rispondere. «Strano, vero? Ti ho sempre detto che non provavo nessun tipo di emozione, e ora le sto vivendo tutte, all'improvviso.» fa un sorriso amaro, continuando a giocare con la mia ciocca di capelli.
«Ch...che tipo di emozioni?» balbetto, non riuscendo a staccare i miei occhi dai suoi.
«Ti odio.»
Il suo sussurro veloce mi spezza il cuore in tanti piccoli frammenti. La guardo, senza nascondere le mie emozioni e con la bocca lievemente aperta. Il suo sorriso ampio mi confonde, finché non pronuncia le ultime parole
«Ma ti amo, anche.»
Le mie labbra si avventano sulle sue, frettolosamente, come solo una ragazzina imperfetta può fare. Le sue braccia forti mi stringono la vita, mentre le nostre labbra si incontrano più e più volte. Le sue mani salgono sul mio viso, stringendolo appena, senza staccare l'una le labbra dall'altra.  "Il mio primo bacio. Questo è il mio primo bacio" penso in continuazione, mentre la sua bocca si muove vorace sulla mia.
La mia lingua entra timidamente nella sua bocca, sfiorando il palato e continuando ad approfondire sempre più il contatto. Dietro le palpebre chiuse, riesco a vedere mille colori che non vedevo più da tempo per via della tristezza e della nostalgia che avevano preso il sopravvento su di me, rendendomi impossibile ogni minima gioia o felicità.
Le nostre lingue danzano, prima piano poi sempre più velocemente, e mi riscopro desiderosa di più contatto; la mia schiena sbatte su una superficie liscia, inizialmente provo fastidio ma poi, capendo che è un lettino d'ospedale, mi ci arrampico sopra, tenendo stretto fra le mani il viso di Rebecca e trascinandola con me.
I nostri corpi si sfiorano, desiderosi, le nostre labbra si fondono sempre in più baci, finché non s'infuocano e decidiamo di dedicarci ad altro.
La sua bocca si sposta vorace sul mio collo, lasciando piccoli segni a forma di mezzaluna. Inarco la schiena, desiderando sempre più contatto. I nostri occhi si incontrano per un secondo, arrossati e lucidi.
Mi sfila la veste dell'ospedale, piano. Osserva con lentezza disarmante tutto il mio corpo, restandone incantata per non so quale motivo. Le sue labbra si tuffano di nuovo sulle mie, e io non posso far altro che ricambiare quel bacio.
Il cuore mi batte fortissimo, non riesco a farlo cessare. Poi il suo sguardo cade, distrattamente, sul mio braccio destro; e i suoi occhi si riempiono di lacrime.
«Questi... questi non dovresti averceli.» sussurra con la voce rotta dal pianto.
Io la guardo, senza proferire parola, finché non mi accorgo che le sue labbra si stanno posando sul mio polso. Cerco di capire perché lo stia facendo, ma poi me ne rendo conto; sta baciando le mie cicatrici.
Gli occhi mi si riempiono istintivamente di lacrime amare, mentre le sue labbra sfiorano tutte le cicatrici che ricoprono il mio braccio destro. Posa un bacio sulla cicatrice che mi sono procurata dopo aver saputo la notizia della morte dei miei, sfiora timidamente con le labbra la cicatrice che mi sono procurata dopo che una ragazza mi lasciò grossi lividi violacei fuori scuola, sfiora tutte quelle cicatrici che hanno inciso una storia sulla mia pelle.
Lascia un bacio sulla mia vita.
La prendo delicatamente per i capelli e, singhiozzando, le regalo un lungo bacio che sembra non finire mai.
Quando ci stacchiamo, mi sussurra
«Tu sei la santa fra tutti i peccatori.». Poi sorride.
E in quel momento, so che avrei ricordato quell'attimo per sempre.

  
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