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Autore: Anacarnil    11/03/2013    1 recensioni
Questa one-shot, come molte altre che probabilmente pubblicherò, merita una spiegazione particolare che con giochi di parole ammalianti e descrizione accattivante non ha nulla a che vedere.
Da scrittore in erba quale sono, adoro sperimentare, e i temi delle mie sperimentazioni vertono molto spesso sulle ditorsioni psicologiche dell'uomo medio, o su condizioni di vita umana paradossali e sovente cariche di un significato o una riflessione filosofica. Mi viene naturale esplorare i vari dettagli della psiche umana, e in particolar modo la componente più profonda del subconscio, Questo racconto, l'ultimo in termini cronologici ma il primo che presento qui su EFP, ha un tema particolare e molti significati reconditi, e sarei contento se qualcuno dei lettori si cimentasse nel tentativo di scoprire il tema e i vari indizi che ho disseminato in giro per le pagine.
Ho scritto questo racconto sulle note di questo brano:
http://www.youtube.com/watch?v=iPICu5DliR0
Siete liberi di ascoltarlo durante la lettura per incrementare il livello di immedesimazione.
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mainyu.

Scostò il volto dal terreno umido e viscido, le labbra tremanti mentre sollevava il capo e si voltava. La superficie specchiata, sospesa nel vuoto della foresta, pareva ancora mossa dalle increspature. Terminò di ingoiare, si rialzò a fatica, rimettendosi in piedi con difficoltà, vacillando sulle gambe malferme. 

Guardò avanti.

Vi era una luce pulsante in quella radura, e premeva impertinente contro la sua percezione. Il terreno si muoveva, si sollevava, si gonfiava e sgonfiava quasi fosse il polmone di una creatura gigantesca.

Mainyu.

La voce ai margini dei suoi sensi si ripeté, sibilante, bassa, cupa. Deglutì ancora, azzardò un passo in avanti, rovinò al suolo. Tornò a fissare il sentiero che si snodava nella foresta. 

Decise di cominciare il suo percorso carponi, su quella terra che era un tripudio di colori, specchiata nel cielo attraversato da caleidoscopiche visioni, da tinte di blu, di viola e arancio, che si mescolavano e si ritraevano scottate, e si sposavano ancora in un amalgama perfetto a seconda della sua posizione.

Il dolore passò.

Mainyu.

Mainyu.

L'allegria lo pervase, inondando i suoi sensi.

Era esattamente dove voleva essere. 

Mainyu.

Scosse il capo, si alzò, animato da un'energia straripante, sussurrò anch'egli: Mainyu.

E poi cominciò a correre, librandosi sul terreno e sull'erba viola e rossa e blu, eccitato dalla possibilità di esplorare quel nuovo mondo.

Piano, l'ombra di un ghigno si distese sul suo volto tirato. 

Si guardò le mani, che si allungavano ad abbracciare il terreno, toccavano la fragilità della Terra e divenivano parte di essa. L'estasi aumentava mentre si rendeva conto di divenire parte del tutto.

Blu, rosso, giallo, verde.

Mainyu.

"Mainyu. Mainyu."

Cosa significava?

Il mondo roteò davanti alla sua percezione perfetta, ed egli si trovò a correre sospeso a testa in giù, a vedere con gli occhi degli alberi, a penetrare la terra come fosse l'erba che oscilla alla carezza del vento turbinante.

Per un attimo decise di volare. E volò, alto.

Mainyu.

Il mondo era ai suoi piedi, l'universo davanti. Un sentiero si dipanava in quel grande amalgama di colori che andavano mischiandosi, roteando come preda di una ruota dentata, vibrando e sparendo, e abbagliandolo l'attimo successivo. Decise che il sentiero era disegnato per lui e per nessun altro. 

Volò avanti, adocchiando le chiome cangianti della foresta. 

Non seppe dire per quanto si era librato in volo, con la percezione che sfumava ed un attimo era il mondo, un attimo una stella, un attimo se stesso, in una sequenza interminabile di sensazioni forti e quiete, placide e dirompenti.

Mainyu.

Davanti a sé ora si allargavano come olio su tela nuove immagini, nuove percezioni.

Le abbracciò.

Il ghigno si distese ancora, estatico, mentre il mondo tornava a ruotare attorno alla sua persona, regnante incontrastato di quell'esercizio del ludibrio.

Ke. Ke. Ke.

Una montagna si disegnava or ora avanti a sé, lontana, vicina, con le vette aguzze ed i pinnacoli ed i crinali colorati. Non vi era un solo colore mancante, ogni sfumatura prendeva vita e si spegneva, e ricompariva in un altro punto, prima espandendosi in cerchio, poi mutando e restringendosi, poi esplodendo in schizzi su ogni superficie a perdita d'occhio.

Mainyu.

Respirò, e respirando si capovolse. Tornò a camminare sul cielo.

Nel cielo vi era un'unico punto nero in mezzo a quel mare di colori. Per un attimo si fermò, indeciso, fissando diffidente quel punto lontano, indeciso sul da farsi. 

Sorrise.

Sorrise.

E penetrò la galleria curioso con il semplice pensiero.

Andò avanti nel pertugio che si allargava, e la luce che egli trasportava fece scudo all'oscurità che si addensava attorno alla sua visuale. Continuava a camminare a testa in giù, ed il germe della paura, quando si rese conto di essere circondato dall'oscurità, lo pervase. Per un attimo le labbra tremarono e non fu più parte del tutto, fu se stesso. Troppo se stesso. Tremò, continuando a camminare, lasciando saettare gli occhi, o quel che rimaneva dei suoi occhi attorno a sé. Egli era colore, attorno aveva luce.

Tentacoli di buio cercavano la breccia vulnerabile nelle sue difese lucenti. Piano, si insinuavano oltre la sua percezione, lo solleticavano. Deglutì. Non vi era altro se non egli, il colore e l'oscurità attorno. Ogni forma era sparita, miscelatasi col tutto e resa nulla dall'onirico nero.

Mainyu.

Tornò ad ascoltare.

Mainyu.

La voce era tornata.

Era lì, impalpabile, quasi essa stessa fosse l'oscurità. E sussurrava. Sussurrava. Sussurrava.

Ke.

Lelelelelelele.

Lelelele.

Aaaaaaaaaah.

Mainyu.

Si voltò di scatto, fermandosi.

Qualcosa premeva ai confini del suo io.

Sembrava cozzare terribilmente con la pace che egli voleva emanare.

Due occhi.

Urlò

Cercò la

via

d'uscita

dal labirinto

nero che 

voleva inglobare

lo

non

Mainyu.

Deglutì, tremando come una foglia e dibattendosi. Ogni traccia di colore andava sparendo.

La voce era vicina.

Sussurrava

Sussurrava

Mainyu.

Mainyu.

Mainyu.

NO!

Agitò le braccia, era troppo vicina.

Due occhi lo fissarono biechi nel buio.

Non rimaneva altro.

Era solo, il colore l'aveva abbandonato.

Il colore l'aveva abbandonato.

Gli occhi si fecero più vicini, ed il mondo si capovolse ancora.

Camminando a testa in giù, prova ad indietreggiare, una mano avanti a respingere gli occhi. 

NO!

NO!

Mainyu.

Sudava, fremeva, tremava, gemeva.

Uno strattone, qualcosa che premeva sulla pancia, come un uncino. I COLORI!

Qualcosa tornò a turbinare nella sua percezione. Ed egli fu di nuovo tutto e di nuovo se stesso.

Gli occhi sparirono in un guizzo.

Tutto bene?

Adocchiò i colori che correvano come insetti sulle superfici. Le forme.

Vi era qualcuno nella sua visuale.

Tutto bene? Sembri ...

Indietreggiò, spaventato. Ma si accorse che era solo una creatura di quel mondo. Sorrise, espirò, lo stuono, provo a rialzarsì.

La creatura sorrise. Aveva otto braccia e nove mani, una spuntava dalla testa. 

E mostrava a sua volta il sorriso più bello e radioso che egli potesse ricordare.

Una delle mani corse gentile a sorreggerlo.

Ti aiuto io.

Ed egli fu aiutato.

E rivide i colori, e rivide le forme che si mischiavano, e tornò a camminare sul mondo e nel cielo, accompagnato da quello che lui credeva fosse un folletto.

Il folletto lo portò lontano, e la terra tornava a gonfiarsi e si sgonfiava qui e saliva lì, quasi bollendo. Sì, la terra bolliva, ed egli poteva perdere l'equilibrio dell'uccisione.

Dell'uccisione?

Mainyu.

Era tornato.

Non ci fece caso. Lì stava bene.

Il folletto lo portò al suo villaggio, dove le case colorate si mischiavano l'una all'altra e si scindevano più piccole o più grandi. Era bello, una di loro era sospesa nel colore, altre due, poi tre, o due, scivolavano capovolte in un sentiero di petali.

Il cielo era tornato a roteare nella sua caleidoscopica formazione.

Mainyu.

I folletti lo accolsero, furono tutti felici.

Vi erano quelli grandi, quelli piccoli.

Mainyu.

Mainyu.

Gli occhi.

L'uccisione?

Vide meglio i loro occhi, e i loro sorrisi radiosi.

Scorse un ghigno malefico sul volto liscio, ed ognuno aveva un aspetto differente, mostruoso.

Mainyu.

Mainyu.

Mainyu.

Mainyu.

La voce sussurrava.

I ghigni si distesero.

Rabbrividì terrorizzato. I folletti si accalcavano attorno a lui. Avevano perso le sembianze, negli occhi si celava la malvagità.

Volevano ucciderlo.

L'uccisione?

Gli occhi.

Decise di impugnare il colore. Si aggrappò ad esso, ne fece un'arma. Colpì il primo, che divenne grigio e buio,.

MORTE.

Il folletto morente provò ad azzannarlo con la sua fila di canini.

L'uccisione?

Mainyu.

Egli lo schivò, corse via, in quel mondo tumultuoso che si tingeva di grigio.

L'oscurità iniziava ad inseguirlo. 

Lontano dietro di sé la percezione perdeva colore. Il colore stava morendo.

Era tutto un inganno.

Le case mostrarono i denti, lo osservavano crudeli.

Qualcuno dei folletti si avvicinò. Egli li colpì col colore, continuando a correre.

Le lunghezze aumentarono, lo spazio si dilatò. terrorizzato da quella frenesia, si guardò le spalle. Il grigio correva, il nero avanzava. Mangiavano il colore.

NO!

Mainyu.

Colpì ancora, lacerando le carni dei folletti malvagi. I demoni.

Li devastò uno per uno mentre cercavano di saltargli addosso.

Il sole si mosse, cominciò a vorticare, si spostò nel cielo che perdeva tono.

La montagna.

L'uccisione?

Gli occhi.

Mainyu.

Corse, corse, corse.

LELELELELELE

Doveva sfuggire all'ultimo folletto, diventava grosso, troppo grosso, e il colore svaniva! Tornò a correre capovolto, poi sui muri delle case, sfuggendo al tempo tiranno. Il mondo giocò un brutto scherzo. Continuò ad allungarsi. Poi pensò alla montagna, e questa si avvicinò.

Corse, corse.

KE

AH

LELELELE

Alalalala

La sommità era vicina, o inarrivabile?

Corse, non bado più ad altro.

Ma tremava, aveva paura. Che aveva fatto?

Il folletto lo inseguiva, digrignando i denti. Doveva divorarlo. Il mondo si fece grigio.

Mainyu.

MAINYU!

Giunse alla sommità. Ce l'aveva fatta. Ora poteva volare. Un ultimo sguardo terrorizzato al folletto che sopraggiungeva. Le urla, le grida, la disperazione.

Volò.

 

 

Era una notte afosa. Doveva essere una come tante. L'elicottero delle forze armate si spostò tra i grattacieli della città- Le urla riecheggiavano ancora nell'aria mentre il soldato, pronto, imbracciava il mitragliatore gatling. Giunsero sulla zona dell'evento, sorvolandola in cerchio. Troppo tardi. Il soldato perse un battito, deglutì.

Nel piazzale della città, campeggiavano i tratti di una figura demoniaca. Un volto disegnato nel sangue dei bambini e delle vittime, gigantesco. L'omicida si stava proprio ora gettando dall'edificio più alto della piazza. Atterrò in un crepitio di ossa lì dove mancava l'ultima parte del disegno. L'ultimo occhio. 

Il volto demoniaco ammiccò. Sotto di esso, densa, la scritta:

MAINYU

   
 
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