Fanfic su artisti musicali > Marilyn Manson
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Autore: L Change the World    11/03/2013    1 recensioni
Un giorno speciale come un anniversario non può non essere accompagnato da un regalo altrettanto speciale. Un dono inaspettato, certo, ma estremamente dolce...
Dal testo:
"Aprì l’ombrello e si avviò in una via alberata poco distante e un po’ nascosta. Si fermò. Alzò lo sguardo.
’Numero 45… Dev’essere questo.' Fece spallucce, ed entrò."
Leggete e recensite, se vi va ;) Le introduzioni non sono il mio forte, ne avete una prova proprio qua sopra e.e dato che è la mia prima fanfiction in questa categoria, fatemi sentire realizzata :3 Vi voglio bene!
Genere: Fluff, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fuori, il tempo non era granché. La pioggia fitta ed intensa batteva contro il finestrino del treno, colorando il paesaggio di un grigio sfumato. Brian Warner era seduto al suo posto, guardando fuori con aria assorta, il cappuccio sollevato per non farsi riconoscere dagli altri passeggeri. Non aveva voglia di parlare, né tantomeno di firmare autografi o farsi foto con quella faccia impresentabile. Si era svegliato alle 5:00 del mattino, lasciando la sua fidanzata che dormiva beata nel loro letto, si era infilato giacca e pantaloni rigorosamente neri e si era diretto verso la stazione. Si sentiva un po’ perso senza il suo trucco, lo doveva ammettere, ma in quel momento non era Marilyn Manson. E quello era un giorno speciale.  Esattamente cinque anni prima aveva conosciuto la sua ragazza, e oggi era il loro anniversario. Sorrise all’idea, pensando che quei cinque anni erano stati i più belli della sua vita. Dita aveva reso le sue giornate migliori, ed era per questo che la amava ogni giorno di più.
A risvegliarlo dai suoi pensieri fu un’inquietante voce metallica che risuonò per tutto il treno, informandoli che la fermata era vicina. Brian raccolse il suo zaino da sotto il sedile e aspettò. Quando le porte si aprirono, fu il primo a scendere, dirigendosi frettolosamente verso l’uscita. Era quasi alla porta, quando mise un piede su una pozza bagnata e scivolò vistosamente, sentendosi un emerito idiota. Mentre stava per cacciare fuori una bestemmia coi fiocchi, due mani lo rimisero in equilibro.
“Attento, amico!” gli disse un ragazzo sulla trentina.
“Ehm, grazie…” rispose Brian fugacemente. Non l’avesse mai fatto.
“Ehi, ma tu sei Marilyn Manson! Ma sì, ti riconoscerei tra mille! Oh mio Dio, non ci posso credere!! Amico ,sei un mito, un vero genio!”
“No, ehi…”
“Ho tutti i tuoi album, sai?! Sono uno più bello dell’altro, accidenti! Ho anche una tua foto gigante e…”
“Senti” disse bruscamente Brian “sto un po’ di fretta, ok? Ecco.” Tirò fuori un pezzo di carta e un pennarello, ci scribacchiò su una brutta copia della sua firma e gliela porse, liquidandolo all’istante “E’ stato un piacere conoscerti.”
“Sei un grande, Manson!” gli gridò dietro il ragazzo on un sorrisetto ebete stampato in faccia. Suo malgrado, anche Brian sorrise.
Aprì l’ombrello e si avviò in una via alberata poco distante e un po’ nascosta. Si fermò. Alzò lo sguardo.
’Numero 45… Dev’essere questo.” Fece spallucce, ed entrò.
Il posto era enorme: un ampio ingresso precedeva una stanza dalle dimensioni imperiali nella quale spiccavano gabbie per uccelli, teche e acquari di ogni forma e dimensione. Si guardò intorno e scorse il vecchio proprietario che stava versando il mangime ad alcune tartarughe d’acqua.
“Buongiorno.” lo apostrofò Brian.
“Oh!” disse l’uomo, sorpreso “Buongiorno. Dica, cosa desidera?”
“Volevo vedere un gatto.”
“Prego, mi segua.” Il vecchio gli fece cenno e lo portò sul retro. Uscirono e attraversarono un cortile molto curato nonostante l’impeto del temporale. “Sono stato costretto a chiuderli tutti dentro, sa, con questo tempo.”
Il proprietario lo guidò attraverso porte e corridoi, fino ad arrivare ad una stanza illuminata a giorno. Chiusa che fu la porta, Brian si voltò e qualcosa come una cinquantina di minuscoli occhietti cominciarono a fissarlo. Era il paradiso. Piccole recinzioni dividevano i gatti per razza, dai persiani ai siamesi ai norvegesi. Più andava avanti, più Brian sentiva la felicità e l’eccitazione invadergli il cuore. Desiderava un gatto da molto tempo, e vederli tutti riuniti lì gli dava una gioia immensa. Il vecchio aveva attaccato a parlare, ma solo una parte di Brian lo ascoltava. Poi, successe qualcosa di sorprendente ed inaspettato. Il suo sguardo incontrò due cuccioli, uno bianco, uno nero, che si contendevano un soffice gomitolo di lana blu. Si avvicinò, e i due gatti smisero di giocare e gli andarono incontro spingendo con il musino il gomitolo. Il cuore di Brian si sciolse definitivamente. Si accasciò per terra come un bambino e cominciò a giocare con i due gattini, grattandoli dietro le orecchie e parlando loro con una vocina idiota, smielata e acuta che non sapeva di avere, tutto ciò con il sottofondo delle spiegazioni dettagliate ad appassionate del vecchio.
Dopo circa un’ora, Brian prese in braccio i due gatti e si voltò verso il proprietario che ancora ciarlava:“Li prendo. Entrambi.”
Entrando in treno, cercò di rendere irriconoscibili i due trasportini coprendoli con la sua giacca. Batteva i denti per il freddo, ma a malapena se ne accorse. Ripose i trasportini sui sedili interni e si buttò sul posto rimanente, un sorriso a trentadue denti che gli irradiava il viso, ma che attirava non poche occhiate interrogative. Quando ebbe un attimo di privacy, scostò la giacca e intravise i due micini accoccolati e immersi in un sonno beato. Rimase incantato. Li studiò, ammirò ogni singola parte di quei corpicini inesperti, ma pieni di vita, li guardò mentre cambiavano posizione e sognavano agitando la coda. Sembravano proprio lui e Dita: il maschio, marrone scuro e nero, e la femmina, così bianca e pura. Era destino, non poteva essere altrimenti. Si mise a pensare ai nomi: cercò nomi facili, corti, ma sembravano tutti terribilmente inadeguati. Alla fine ebbe le idee chiare. Lily White, la gatta bianca come la veste di un angelo, ed Aleister, il gatto scuro che portava il nome di Aleister Crowley, fondatore moderno dell’occultismo e fonte d’ispirazione per il satanismo, un uomo che costituiva una vera ‘ossessione’ per Brian.
Il cantante appoggiò lo zaino all’ingresso, salì in camera, trovò la fidanzata appena sveglia avvolta tra le coperte. Con delicatezza, appoggiò Lily e Aleister sul soffice materasso, mentre gli occhi di Dita si illuminavano di sorpresa. Sì, era un giorno decisamente speciale.
  
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