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Autore: SavannahWalker    14/03/2013    0 recensioni
"Io dico, amore mio, di distruggere tutto! Taglia tutte le funi e fammi cadere! Oh, tesoro mio, proprio in questo momento. E' la mia difficile richiesta."
Un piccolo viaggio di una persona che riesce a trovare la forza di andare avanti contando solo su se stessa, ricordando quel piccolo monito che si ripeteva spesso.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- SKINNY LOVE -


Neve fredda si poggiava sulle guancie, camminava e osservava le grandi case ai due lati della strada deserta. Villette interamente bianche con finestre appannate che non permettevano di vedere cosa c’era all’interno, ma davano idea che ci abitasse qualcuno, qualcuno che non aveva il coraggio di uscire. Qualcuno che aveva paura. Continuava a camminare lasciando dei buchi profondi, delle porte aperte verso mille fili di pensiero collegati tra di loro. Pensieri che ormai si confondono ma rimanendo limpidi, un film in ripetizione ma con diapositive rovinate perché certe si sono dimenticate... O volutamente cancellate. Continuava a camminare affondando i piedi sulla neve, senza mai guardarsi indietro, pensando a quanta strada doveva ancora percorrere. Si trovò davanti ad una stanza. Si guardò intorno con aria stupita, cosa mai poteva farci una stanza in mezzo alla strada?
La stanza era composta da tre pareti senza finestre che circondavano un grande letto rotondo a baldacchino. Si avvicinò verso di essa e notò che sulle pareti vi erano delle foto, foto sfuocate di primi piani, di figure intere e di paesaggi. Ognuna di esse lasciava intravedere un dettaglio: un sorriso, una lacrima, un mare mosso. Trasmettevano emozioni confuse che sembravano seguire un filo logico che non capì. Sì girò verso il letto e si accorse che c’era qualcosa, scostò le tende rosse e vide due bambole. Bambole di porcellana che davano le spalle, non avevano ne capelli ne vestiti, niente che desse un segno di appartenenza. Cominciò a girare intorno al letto per vederne la faccia ma da qualsiasi angolazione le guardasse, le davano sempre le spalle. Non si capacitava di come fosse possibile, sembrava quasi volessero prendere in giro. Si sentì afferrare la mano da un’altra più piccola e fredda che la condusse fuori dalla stanza dove non vi era più la strada percorsa prima. Continuava a girare la testa di qua e di là, ma il paesaggio pareva tutto uguale, come se non avesse prospettiva. Tutte le foto che prima erano nella stanza ora erano al suolo in un misto di vetri e cornici rotte, si udivano delle voci venire fuori da quei pochi resti rimasti. Urla, risate, musica che non parevano poi così lontani, una sorta di richiamo. Si lasciò trasportare da quella piccola mano senza mai voltarsi. Attraversò un cumulo di macerie che dedusse fossero quelle della stanza che, effetivamente, non c’era più. Si girò per chiedere spiegazioni e si accorse che la mano che teneva era quella di un bambino. Un bambino di all’incirca quattro anni con capelli corti castano chiaro, occhi scuri e pelle quasi diafana, stava raccogliendo qualcosa da terra. Raccolse le bambole di porcellana dalle macerie e le scuoteva giocandoci, avvicinandole come per farle abbracciare, mentre con gli occhi fissava i suoi, nonostante sorridesse i suo occhi non mostravano emozioni. Il bambino si avvicinò lasciandole cadere, protese le braccia e si strinse forte alle sue gambe. Sebbene sembrasse senz’anima quell’abbraccio diffuse molteplici emozioni comprensibili a fior di pelle. Alzò lo sguardo al cielo grigio e delle goccie di pioggia fina si posarono sulle ciglia. Il bambino si staccò e si allontanò, più aumentava la pioggia più la sua figura di dissolveva come una nuvola di fumo.
Si alzò un vento freddo e un parasole rotolò li vicino fermandosi ai suoi piedi, in attesa. Fece gesto di raccoglierlo ma si spostò qualche metro più avanti. Continuava a cercare di afferrarlo ma questi continuava a spostarsi segnando un cammino da percorrere. Passò attraverso tramite vicoli chediventavano sempre più stretti, finché uscendone da uno si ritrovò di fianco a dei gradini di un palazzo. Vi si sedette trovando riparo dalla pioggia nonostante non sentisse i vestiti bagnati o il vento gelido e, osservando meglio, si accorse di essere nel centro di una città. I palazzi tutt’intorno prediligevano una tonalità grigia, come le finestre e perfino le porte. Non capiva se era una vera e propria città perché non aveva l’aria abbandonata, ma non vi era una sola persona nei paraggi. Si accesero una ad una delle luci, una sorta di fiammelle gialle, che illuminavano un poco le strade facendo scorgere appena delle figure biancastre. Si muovevano lentamente senza far rumore, fluttuando come degli spiriti. Si salutavano tra loro, dei bambini correvano e delle vecchiette parlottavano tra di loro conformi a qualsiasi società umana, ma non avevano nulla di vagamente “terreno”. 
Osservò per un po’ quel via vai di “anime” tanto che quella che sembrava una giovane donna si fermò a raccogliere il parasole, senza accorgersi della sua presenza. Decise di alzarsi e continuare il suo girovagare procedendo verso delle scale che si trovavano ai lati di una salita. Dopo un lasso di tempo che parve infinito si trovò di fronte un grande lago dove vicino c’era un grande albero e un immesa distesa di prato verde. Si avvicinò all’acqua e nonostante la pioggia fitta riuscì a vedere la sua figura riflessa chiaramente sulla superficie. Toccò il riflesso del suo viso increspando appena l’acqua che era calda. Alle sue spalle non vi era più la città ma un continuo dello spazio verde di cui non vedeva il limite. Mise i piedi a mollo per molto tempo, tanto che non notò che aveva smesso di piovere. Decise di sedersi alle radici di quel grande albero visto prima. 
Appoggiò la schiena sulla corteccia umida e sentì qualcosa muoversi dentro di essa, sapeva a cosa andava incontro. Guardò avanti a se e vide i buchi che tanto la tormentavano lungo tutto il prato, numerosi fili correvano verso i suoi polsi e le sue caviglie bloccandoli. Tutto quello che racchiudevano si muoveva dentro di essi, pronto ad uscire fuori per far fronte alla realtà. Il legame con il passato, il rimorso, i dubbi non risolti e quelli per il futuro. Voci lontane riecheggiavano nella sua testa, ricordi giravano veloci. Lasciò che per un po’ percorressero la sua mente, non aveva paura perché erano parte della sua persona anche se avevano creato un blocco. Un blocco così pesante che non poteva essere spostato, costringendo a rimuginare su tutto quel dolore e quella felicità provati prima. Un dolore protatto per lungo tempo e una felicità restia tranne che per pochi istanti. Poi si ricordò che c’era qualcosa che poteva abbattere quel blocco ma non riusciva a ricordarlo precisamente. Un monito ormai quasi dimenticato. I fili cominciarono a disfarsi, più la mente tornava lucida più i buchi dietro i suoi passi si chiudevano trascinando quei fili roventi. L’albero su cui si appoggiava si frantumò come se fosse stato fatto di cristallo. Si lasciò cadere in avanti per poi rigirarsi sulla schiena. Ora lo ricordava, continuava a ripetere quelle parole. 
Tutt’intorno cominciarono a spuntare dei fiorellini gialli. Uno ad uno fiorivano e venivano riflessi nel cielo, creando piccoli squarci di luce tra le nuvole grigie. L’intero prato si riempì poco a poco.
Capì che era quella la sua destinazione ultima. Non sentiva più nessun peso, sentiva crescere una nuova forza. Si presentava una strada nuova verso la speranza di vedere cose c’è oltre il dolore. Di non provarlo più. Aveva trovato l’inizio dell’equilibrio.

"Io dico, amore mio, di distruggere tutto!
Taglia tutte le funi e fammi cadere!
Oh, tesoro mio, proprio in questo momento.
E' la mia difficile richiesta."







NdA - Savannah Blue

Ci tenevo a scusarmi se l'italiano può risultare pessimo ma non volevo sottolineare il carattere maschile o femminile del personaggio della storia (A te lettore, la scelta) attrraverso pronomi personali e simili. Questa OS vede il viaggio tenendo conto dell'ottica di quello buddhista (Per chi volesse capirne di più cerchi Le Quattro Nobili Verità) dove il fine ultimo e "l'illuminazione" ovvero la cessazione del dolore.
   
 
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