- SKINNY LOVE -
Neve fredda si poggiava sulle guancie, camminava e osservava le grandi
case ai due lati della strada deserta. Villette interamente bianche con
finestre appannate che non permettevano di vedere cosa c’era
all’interno, ma davano idea che ci abitasse qualcuno,
qualcuno che non aveva il coraggio di uscire. Qualcuno che aveva paura.
Continuava a camminare lasciando dei buchi profondi, delle porte aperte
verso mille fili di pensiero collegati tra di loro. Pensieri che ormai
si confondono ma rimanendo limpidi, un film in ripetizione ma con
diapositive rovinate perché certe si sono dimenticate... O
volutamente cancellate. Continuava a camminare affondando i piedi sulla
neve, senza mai guardarsi indietro, pensando a quanta strada doveva
ancora percorrere. Si trovò davanti ad una stanza. Si
guardò intorno con aria stupita, cosa mai poteva farci una
stanza in mezzo alla strada?
La stanza era composta da tre pareti senza finestre che circondavano un
grande letto rotondo a baldacchino. Si avvicinò verso di
essa e notò che sulle pareti vi erano delle foto, foto
sfuocate di primi piani, di figure intere e di paesaggi. Ognuna di esse
lasciava intravedere un dettaglio: un sorriso, una lacrima, un mare
mosso. Trasmettevano emozioni confuse che sembravano seguire un filo
logico che non capì. Sì girò verso il
letto e si accorse che c’era qualcosa, scostò le
tende rosse e vide due bambole. Bambole di porcellana che davano le
spalle, non avevano ne capelli ne vestiti, niente che desse un segno di
appartenenza. Cominciò a girare intorno al letto per vederne
la faccia ma da qualsiasi angolazione le guardasse, le davano sempre le
spalle. Non si capacitava di come fosse possibile, sembrava quasi
volessero prendere in giro. Si sentì afferrare la mano da
un’altra più piccola e fredda che la condusse
fuori dalla stanza dove non vi era più la strada percorsa
prima. Continuava a girare la testa di qua e di là, ma il
paesaggio pareva tutto uguale, come se non avesse prospettiva. Tutte le
foto che prima erano nella stanza ora erano al suolo in un misto di
vetri e cornici rotte, si udivano delle voci venire fuori da quei pochi
resti rimasti. Urla, risate, musica che non parevano poi
così lontani, una sorta di richiamo. Si lasciò
trasportare da quella piccola mano senza mai voltarsi.
Attraversò un cumulo di macerie che dedusse fossero quelle
della stanza che, effetivamente, non c’era più. Si
girò per chiedere spiegazioni e si accorse che la mano che
teneva era quella di un bambino. Un bambino di all’incirca
quattro anni con capelli corti castano chiaro, occhi scuri e pelle
quasi diafana, stava raccogliendo qualcosa da terra. Raccolse le
bambole di porcellana dalle macerie e le scuoteva giocandoci,
avvicinandole come per farle abbracciare, mentre con gli occhi fissava
i suoi, nonostante sorridesse i suo occhi non mostravano emozioni. Il
bambino si avvicinò lasciandole cadere, protese le braccia e
si strinse forte alle sue gambe. Sebbene sembrasse senz’anima
quell’abbraccio diffuse molteplici emozioni comprensibili a
fior di pelle. Alzò lo sguardo al cielo grigio e delle
goccie di pioggia fina si posarono sulle ciglia. Il bambino si
staccò e si allontanò, più aumentava
la pioggia più la sua figura di dissolveva come una nuvola
di fumo.
Si alzò un vento freddo e un parasole rotolò li
vicino fermandosi ai suoi piedi, in attesa. Fece gesto di raccoglierlo
ma si spostò qualche metro più avanti. Continuava
a cercare di afferrarlo ma questi continuava a spostarsi segnando un
cammino da percorrere. Passò attraverso tramite vicoli
chediventavano sempre più stretti, finché
uscendone da uno si ritrovò di fianco a dei gradini di un
palazzo. Vi si sedette trovando riparo dalla pioggia nonostante non
sentisse i vestiti bagnati o il vento gelido e, osservando meglio, si
accorse di essere nel centro di una città. I palazzi
tutt’intorno prediligevano una tonalità grigia,
come le finestre e perfino le porte. Non capiva se era una vera e
propria città perché non aveva l’aria
abbandonata, ma non vi era una sola persona nei paraggi. Si accesero
una ad una delle luci, una sorta di fiammelle gialle, che illuminavano
un poco le strade facendo scorgere appena delle figure biancastre. Si
muovevano lentamente senza far rumore, fluttuando come degli spiriti.
Si salutavano tra loro, dei bambini correvano e delle vecchiette
parlottavano tra di loro conformi a qualsiasi società umana,
ma non avevano nulla di vagamente
“terreno”.
Osservò per un po’ quel via vai di
“anime” tanto che quella che sembrava una giovane
donna si fermò a raccogliere il parasole, senza accorgersi
della sua presenza. Decise di alzarsi e continuare il suo girovagare
procedendo verso delle scale che si trovavano ai lati di una salita.
Dopo un lasso di tempo che parve infinito si trovò di fronte
un grande lago dove vicino c’era un grande albero e un immesa
distesa di prato verde. Si avvicinò all’acqua e
nonostante la pioggia fitta riuscì a vedere la sua figura
riflessa chiaramente sulla superficie. Toccò il riflesso del
suo viso increspando appena l’acqua che era calda. Alle sue
spalle non vi era più la città ma un continuo
dello spazio verde di cui non vedeva il limite. Mise i piedi a mollo
per molto tempo, tanto che non notò che aveva smesso di
piovere. Decise di sedersi alle radici di quel grande albero visto
prima.
Appoggiò la schiena sulla corteccia umida e sentì
qualcosa muoversi dentro di essa, sapeva a cosa andava incontro.
Guardò avanti a se e vide i buchi che tanto la tormentavano
lungo tutto il prato, numerosi fili correvano verso i suoi polsi e le
sue caviglie bloccandoli. Tutto quello che racchiudevano si muoveva
dentro di essi, pronto ad uscire fuori per far fronte alla
realtà. Il legame con il passato, il rimorso, i dubbi non
risolti e quelli per il futuro. Voci lontane riecheggiavano nella sua
testa, ricordi giravano veloci. Lasciò che per un
po’ percorressero la sua mente, non aveva paura
perché erano parte della sua persona anche se avevano creato
un blocco. Un blocco così pesante che non poteva essere
spostato, costringendo a rimuginare su tutto quel dolore e quella
felicità provati prima. Un dolore protatto per lungo tempo e
una felicità restia tranne che per pochi istanti. Poi si
ricordò che c’era qualcosa che poteva abbattere
quel blocco ma non riusciva a ricordarlo precisamente. Un monito ormai
quasi dimenticato. I fili cominciarono a disfarsi, più la
mente tornava lucida più i buchi dietro i suoi passi si
chiudevano trascinando quei fili roventi. L’albero su cui si
appoggiava si frantumò come se fosse stato fatto di
cristallo. Si lasciò cadere in avanti per poi rigirarsi
sulla schiena. Ora lo ricordava, continuava a ripetere quelle
parole.
Tutt’intorno cominciarono a spuntare dei fiorellini gialli.
Uno ad uno fiorivano e venivano riflessi nel cielo, creando piccoli
squarci di luce tra le nuvole grigie. L’intero prato si
riempì poco a poco.
Capì che era quella la sua destinazione ultima. Non sentiva
più nessun peso, sentiva crescere una nuova forza. Si
presentava una strada nuova verso la speranza di vedere cose
c’è oltre il dolore. Di non provarlo
più. Aveva trovato l’inizio
dell’equilibrio.
Oh, tesoro mio, proprio in questo momento.
E' la mia difficile richiesta."
NdA - Savannah Blue
Ci tenevo a scusarmi se l'italiano può risultare pessimo ma non volevo sottolineare il carattere maschile o femminile del personaggio della storia (A te lettore, la scelta) attrraverso pronomi personali e simili. Questa OS vede il viaggio tenendo conto dell'ottica di quello buddhista (Per chi volesse capirne di più cerchi Le Quattro Nobili Verità) dove il fine ultimo e "l'illuminazione" ovvero la cessazione del dolore.