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Autore: Mannu    30/09/2007    1 recensioni
Un mercenario senza padrone, una giovane adepta di una setta dimenticata, una strega dalle oscure intenzioni. Dove incontreranno il loro destino?
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'I libri della grande Taliba'
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Libro Sesto - Il Sogno del Drago - 1
1.

Come sempre il mercenario si destò alle prime luce dell'alba. Era un mattino gelido, il cielo era popolato da rare nuvole e il freddo gli aveva morso le membra tutta la notte, ma non ferocemente come si sarebbe aspettato. Forse qualcuno col sonno leggero aveva alimentato il fuoco anche nel cuore della notte come altre volte era accaduto in quei giorni di viaggio: i suoi compagni di viaggio imposti dal capo del villaggio dormivano a turni per non perderlo d'occhio.
Poco avvezzo a trastullarsi nella quiete che segue il risveglio e già dimenticati gli agi delle lenzuola profumate e la tenera dolce carne delle donne che per sette notti consecutive avevano giaciuto con lui, Qarago si apprestò ad affrontare un nuovo giorno e scacciò il sonno residuo. Ma ancor prima di aprire gli occhi i suoi sensi dettero l'allarme. Al naso gli arrivò per un solo istante un odore a lui ben noto ma che non sentiva da tempo: cadaveri bruciati. Pensò che dovesse essere il luogo dove aveva scelto di accamparsi, il centro di un villaggio completamente bruciato. Ma il suo acuto spirito di osservazione lo contraddisse in un lampo: il giorno prima non aveva percepito alcun odore di bruciato e quell'odore di carne carbonizzata non potevano essere assolutamente gli avanzi della cena buttati nel fuoco la sera prima. Si rese poi conto di un suono insolito, una sorta di fruscio che però non era certo il vento tra gli alberi, visto che erano tutti spogli e piuttosto lontani. Quel fruscio veniva da un punto vicino a lui. Fece tutte queste osservazioni in un battito di ciglia e, abituato com'era a prendere rapide decisioni in battaglia, trasse subito la conclusione che doveva esserci compagnia.
Quello che i suoi occhi videro non se lo sarebbe scordato fino alla vecchiaia, ammesso di averne ancora una a disposizione. Non un plotone di soldati, nemmeno un esercito schierato contro lui solo avrebbe potuto spaventarlo così. A pochi passi da lui, oltre il falò spento, oltre i poveri resti carbonizzati dei tre sgherri di scorta, due dei quali rimasti nella stessa posizione in cui li aveva visti coricarsi la sera prima, acquattato e sornione come un gattone domestico stava un enorme drago alato. E lo guardava.
Aveva gli stessi colori di una normale lucertolina, di quelle lunghe un palmo che aveva sempre visto arrampicarsi sui muri per stare al sole. Ma questa creatura era tanto lunga che sulla schiena avrebbero potuto trovare comodamente posto sei o più uomini di robusta corporatura. Alla lunghezza totale contribuiva notevolmente una lunga coda terminante con un affilato sperone corneo ricurvo simile a un doppio amo da pesca che in quel momento danzava ritto in aria come un serpente pronto ad attaccare. Anche il collo della bestia incredibile era lungo e sinuoso: esattamente come la coda, prometteva di essere costituito da grossi e poderosi muscoli. L'intero corpo era ricoperto da squame e scaglie che parevano durissime e molti corni e spine di diverse dimensioni spuntavano dovunque, acuminate e letali armi difensive. Perfino la testa, orrenda e feroce, era irta di numerosi corni e il muso terminava con una sorta di rostro appena accennato. Incastrati sotto la fronte corazzata e difesa da piccoli corni, ai lati della testa c'erano due occhi gialli da serpente che saettavano velocemente in tutte le direzioni. Proprio mentre Qarago li stava osservando impietrito, una palpebra trasparente si chiuse con movimento orizzontale sull'occhio e subito un'altra palpebra spessa, pesante e opaca calò dall'alto: il mercenario ebbe la sensazione che il grande drago gli avesse fatto l'occhiolino.
- Salve.
Qarago aveva già fatto un notevole balzo all'indietro alla vista del mostro: le sue gambe avevano reagito così velocemente nel farlo saettare fuori dal suo giaciglio che le mani non avevano avuto il tempo di aggrapparsi alle armi che ora distavano pochi passi. In quella condizione anche un solo passo equivaleva a una distanza incolmabile. Riuscì quindi a stento a dominare le proprie gambe che ancora volevano darsi a una fuga precipitosa e incontrollata: ci riuscì col pensiero che era comunque già morto. Qualsiasi velocità riuscisse a raggiungere nella fuga, non poteva competere con quella di un drago volante. All'udire la voce però qualcosa scattò dentro Qarago. Rafi era ancora un fagotto di coperte, i cavalli non davano il minimo segno di paura e nemmeno di nervosismo e il drago aveva salutato educatamente col suo vocione profondo e gutturale e un lieve difetto di pronuncia.
- Ho detto: salve...
Qarago si rese appena conto del fatto che l'incredibile mostruosa creatura di cui fino al giorno precedente non era nemmeno certa l'esistenza stava parlando con lui. Era paralizzato dal terrore: non riusciva a staccare lo sguardo dalle numerose spine e dai corni che armavano la bestia, dalla coda muscolosa che ora strisciava in terra creando mucchi di polvere e sassi dalla curiosa forma di serpente, dalle ali membranose piegate e chiuse simili a quelle di un pipistrello, dai cadaveri bruciati davanti a lui. Vide il drago inclinare la testa da un lato come se volesse guardarlo meglio.
- Non ti farò nulla... se conosco questa gente, ti avranno raccontato una montagna di balle.
Non aveva mosso la bocca, il collo flessuoso e il ventre si muovevano per la respirazione, eppure il drago aveva parlato. La povera mente del mercenario, sconvolta da quella visione, non sapeva più a cosa aggrapparsi e concluse molto banalmente che se il drago parlava, era possibile rispondergli. Ma la gola era bloccata dal terrore e Qarago si accorse di non avere più una sola goccia di saliva in bocca. Ma come poteva Rafi continuare a dormire?
- Non mi credi? Non pensi che se avessi voluto uccidervi tutti saresti già morto?
Il drago aveva ragione da vendere ma Qarago non riuscì a sentirsi tranquillizzato da quelle amichevoli parole. Il fagotto di coperte sotto le quali riposava Rafi si mosse e Qarago credette di sentire il suo cuore fermarsi.
La giovane gettò indietro le coperte e si alzò a sedere dando esattamente le spalle al silenzioso drago che, eccezion fatta per la coda perennemente in movimento, non si era mai mosso. Strofinatasi gli occhi posò il suo sguardo sul mercenario che stava in piedi a diversi passi di distanza da lei in un atteggiamento inequivocabile: l'atteggiamento di massimo allarme di chi disarmato si trovi di fronte un nemico. Forse ancora mezza addormentata, forse per via della splendida quiete del mattino nascente, Rafi che ancora teneva le gambe nascoste dalle coperte non si fece allarmare più di tanto.
- Maestro, che accade?
Non ottenendo alcuna risposta da Qarago paralizzato, corrugò la fronte e si voltò nella direzione in cui il mercenario volgeva lo sguardo. Lo strillo acutissimo della giovane lacerò l'aria e fece spaventare i cavalli che nitrirono fortemente e cercarono di liberarsi strattonando le briglie. Qarago si spaventò al pensiero di perdere i cavalli ma tutto quello che riuscì a fare fu voltare la testa nella loro direzione e osservare passivo i loro tentativi di liberarsi, che per fortuna rimasero senza esito.
Rafi, ora definitivamente sveglia, cercò di allontanarsi più in fretta possibile: il mostro era a pochi passi da lei. Ma la sua fuga fu disordinata e maldestra: inciampò nelle coperte e per ben due volte cadde carponi, raggiungendo una distanza maggiore con affanno. Qarago notò che non si era allontanata dal mostro molto di più di quanto aveva fatto lui. Il drago inclinò la testa verso Rafi come per guardarla meglio.
- Buongiorno a te, giovane combattente.
Qarago scoprì che stava cominciando ad abituarsi all'idea che il drago potesse parlare. Non poteva essere certo né un caso né un'allucinazione: il drago non solo parlava, ma lo faceva anche a proposito.
- C-co-osa cerchi... da n-noi? - riuscì a dire il mercenario. Ascoltando la sua voce si rese conto di non aver mai usato in vita sua quel tono così indeciso e timoroso, molto vicino alla supplica e la cosa gli fece scaldare il petto per l'ira. Sì, si disse, forse l'ira riuscirà a trarmi d'impaccio.
- Da voi nulla – rispose il drago – Era la presenza di questi signori a preoccuparmi. Li ho riconosciuti subito.
Qarago volse lo sguardo verso Rafi. Indossava la sua pesante tunica di lana bianca e i gambali. Prima di coricarsi non si era nemmeno tolta le spesse fasce che le cingevano le gambe dalle caviglie all'inguine. Non lo faceva mai. Ora il suo viso affilato era stravolto, incorniciato dai capelli scarmigliati sfuggiti ai nastri che li tenevano stretti, gli occhi dilatati puntati verso la creatura. Ma non era solo terrore e spavento quello che leggeva su quel volto solitamente così poco espressivo.
- Mi accontenterò della vostra parola d'onore, signori – riprese il drago – che non cercherete di mettere in atto gli sciagurati propositi che questi tre furfanti avevano nei miei confronti.
- Come puoi dire questo? - scattò Qarago, contento di non aver balbettato questa volta. La sua voce però era ancora incrinata dalla paura che gli serrava la gola e le membra.
Il drago sollevò una zampa anteriore e indicò con un dito terminante in un lungo e ricurvo artiglio i tre cadaveri bruciati davanti a lui, uno a uno.
- Mal Tiago figlio di Hindek, Tuco Jon figlio di Gast e Rino Loomp figlio di Darmo, meglio noto come Jojomo, cioè “svuotatore di barili”. Scacciai i padri dei loro padri da queste terre poiché avevano deciso di farmi la festa una volta per tutte.
Qarago sentì le budella sciogliersi: avere la certezza non solo dell'esistenza della Creatura Innominabile di Abe Kano ma anche di tutti i fatti che gli erano stati raccontati, era davvero tutta un'altra cosa. D'un tratto il mercenario si accorse che Rafi si stava muovendo e spostò la sua attenzione su di lei. Con suo grande stupore la giovane si stava avvicinando al drago e camminava incerta, quasi come sonnambula. Sul viso non appariva più traccia di emozione alcuna ma Qarago si accorse che gli angoli della bocca le tremavano.
- Rafi? - Qarago non riuscì a mettere potenza nella voce quanta ne avrebbe desiderata e il nome della sua compagna di ventura uscì dalla sua gola come una sorta di sussurro.
La giovane giunta a pochi passi dai cadaveri carbonizzati si gettò in ginocchio e aperte le braccia esclamò:
- Creatore!
Il drago sollevò la testa e la inclinò per guardare Rafi. Il collo si flesse fino a formare due panciute curve. Alcune spine sul collo si aprirono a raggiera, altre giunsero fin quasi a toccarsi con le punte.
- Prego? - rombò il drago, ora dubbioso e incredulo.
- Sono tua serva, Creatore. Tu dal fango mi hai plasmata nella notte quando Tutto è Uno. Il Sole hai sollevato e la vita mi hai donato.
- Ah, la Sorellanza... - bofonchiò il drago, rilassandosi – Avrei dovuto immaginarlo...
- Tra mille e mille mi hai chiamata, il Tuo cuore batte nel mio petto! - riprese Rafi. Qarago dedusse che doveva trattarsi di una sorta di formula rituale: non aveva mai sentito Rafi parlare così. Sembrava recitare a memoria.
- Scusa, nobile guerriero ma... sono oggetto di culto.
Il drago fece seguire quelle parole da tre spaventosi suoni rauchi e gutturali, chiaramente l'imitazione di una risatina. Si sollevò dalla posizione accucciata assumendo un atteggiamento più consono al momento.
- Riprendi ciò che è tuo! - esclamò Rafi. Qarago la vide portarsi le mani al petto e sentì la tunica lacerarsi di colpo.
- Prendo ciò che è mio e che ti donai nella notte quando Tutto è Uno. - disse il drago, sconvolgendo ulteriormente il povero Qarago. Non solo era la materializzazione di una leggenda, non solo era oggetto di culto e consapevole di esserlo, ma conosceva perfino la liturgia di quel culto!
Il mercenario ebbe quasi un capogiro: il drago aveva sollevato una zampa irta di artigli lunghi come daghe e grossi come i pali di un recinto per cavalli e la tendeva verso il petto indifeso di Rafi che stava tremando visibilmente. Qarago, che osservava la scena stando alle spalle della giovane, leggermente spostato a destra, non vide l'artiglio raggiungere la pelle della folle giovane ma seppe che quello era giunto a destinazione dal sobbalzo che scosse il corpo intero di lei, in ginocchio davanti al drago, la schiena inarcata all'indietro. Sentiva di non poter fare nulla. Nulla se non guardare.
- Prendo dal tuo petto il mio cuore e te ne faccio nuovo dono, nuova carne e nuova vita – disse il drago continuando la formula di quella folle cerimonia.
- Vivi ora la nuova vita, vivi ora la nuova carne; porta nel petto il mio dono, fanne un'arma, fanne uno scudo, fanne una torre, la tua torre - ciò detto, il drago ritirò la zampa e si impettì.
- Sarai la mia arma, sarò la tua torre! - esclamò a voce alta Rafi. A Qarago parve un'invasata da banchetto, di quelle che per qualche moneta si offrono di parlare agli spiriti dei morti e alle stelle, dando responsi ambigui adatti a ogni momento.
Qarago si accorse di non sentire più paura; le membra si stavano sciogliendo dai rigidi nodi del terrore evocato dall'enorme rettile alato, il suo cuore stava rallentando, il suo respiro tornava regolare. Riuscì a scattare con l'abituale prontezza quando vide Rafi accasciarsi sul fianco e giacere immobile.
La sollevò da terra tenendola per le spalle e, attraverso lo strappo nella tunica di lana pesante che lei stessa aveva praticato a mani nude, notò immediatamente la ferita sanguinante tra i piccoli seni ancora acerbi, esattamente al centro del torace. Sollevò lo sguardo verso il drago.
- Niente di grave... deve aver perso i sensi per l'emozione, era molto suggestionata.
- E questa ferita? È opera tua? - chiese Qarago meravigliando se stesso per la decisione con cui si era rivolto all'enorme essere.
- Certo, fa parte della cerimonia. È poco più del graffio di un gatto. Potrebbe avere un po' di febbre, ma null'altro.
Il mercenario posò Rafi sul giaciglio e, bagnato un lembo dell'abito che lei soleva indossare sotto la corazza con l'acqua di una borraccia, lavò il sangue dal petto per pulire la ferita. Scoprì così con sua grande sorpresa che il drago aveva inciso la pelle bianca della giovane col suo artiglio tracciando un simbolo. Semplice ed efficace, era il simbolo del drago.
- All'inizio si usavano dei medaglioni d'oro, ma si smarrivano troppo facilmente – si giustificò il drago.
Qarago osservò la ferita: era rossa e già gonfia, ma non profonda. Temeva che potesse provocare un'infezione e la lavò ancora versandovi sopra acqua. Rafi riprese i sensi proprio mentre Qarago le asciugava il petto ferito. Con uno scatto si sottrasse alle cure e tirò i lembi dello strappo nella tunica per coprire la propria nudità, guardando in cagnesco il mercenario che ancora stringeva in mano un lembo dell'abito insanguinato.

Accoccolato vicino ai due, il drago aveva posato la testa al suolo vicino a Rafi e, sotto lo sguardo inquieto di Qarago, aveva raccontato una storia mentre la giovane lo accarezzava dietro le orecchie membranose proprio come avrebbe fatto con un cane o un gatto.
Il drago rivelò di chiamarsi Dokko: come tutti i draghi era molto longevo e conduceva la maggioranza della sua vita in solitudine, evitando possibilmente qualsiasi contatto con gli esseri umani. Dokko rivelò come fin da piccino, quando cioè era grande come un puledrino, aveva imparato a temere quegli strani animali in grado di cavalcare, costruire villaggi, città, fortezze, in grado di navigare, di accendere fuochi (cosa che a lui veniva spontanea); ciononostante era incuriosito e attratto da loro. Gli altri suoi simili avevano inutilmente tentato di avvisarlo ma presto accadde l'inevitabile: Dokko ebbe il suo primo incontro ravvicinato. Il drago raccontò di come aveva tentato, senza risultato, di dimostrarsi ben intenzionato nei confronti di quei curiosi esseri chiamati uomini e di come fu costretto a fuggire dopo averne uccisi alcuni col suo fuoco.
La cosa lo aveva sconvolto: era fuggito lontano in preda al rimorso, ripromettendosi di non avvicinarsi mai più a un essere umano. Ma proprio sul picco roccioso che aveva eletto come suo posatoio preferito era destino che l'incontro si ripetesse. Lui era ancora un drago adolescente ma dal suo primo incontro erano passate ben due generazioni di uomini: scoprì così incontrando una sacerdotessa eremita della Sorellanza come fosse per lui possibile porre rimedio al danno provocato. Non solo non arse l'anziana sacerdotessa ma, sorpreso dalla deferenza da lei dimostrata nei suoi confronti, trascorse gli ultimi anni di vita dell'eremita apprendendo da quella quanto più possibile riguardo gli uomini. Solo diverso tempo dopo si rese conto di quanto distorte fossero le informazioni che aveva avuto dalla sacerdotessa, ma anche di questo Dokko fece tesoro. Scoprì come imitare il verso degli uomini e quindi a comprenderne l'intelligenza e il pensiero. Divenne nemico dei vili e malvagi, ma si teneva ugualmente alla larga da coloro che avrebbe voluto aiutare, rendendosi conto di terrorizzare tutti col proprio aspetto.
Nemmeno quando gli umani distrussero il suo primo nido e uccisero l'uovo deposto da Tessa, la sua compagna, riuscì a odiare davvero gli umani. Nemmeno quando incontrando altri draghi apprese della persecuzione degli umani nei confronti della sua specie riuscì a unirsi a coloro dei suoi simili che andarono a cercare vendetta. Trascorse parte della gioventù isolato, riuscendo a generare per ben due volte prole fortunata insieme a Tessa.
Terminò ricordando l'episodio del villaggio distrutto; aveva attaccato gli antenati di Abe Kano poiché erano diventati pericolosi per lui e Tessa, che aspettava di deporre il terzo uovo. Lui che aveva una memoria portentosa, come tutti i draghi, non aveva tardato a riconoscere nei tre sgherri che accompagnavano Qarago e Rafi i discendenti di coloro che avevano tentato di uccidere Tessa e non aveva perso troppo tempo. Quando poi Rafi gli si era gettata davanti in ginocchio chiamandolo Creatore, la sua memoria aveva immediatamente richiamato le formule della sacerdotessa eremita e, ricordata ogni singola parola di quella assurda cerimonia, aveva recitato la formula certo di avere davanti come minimo una Iniziata. Quando Dokko smise di parlare con la sua voce cavernosa e gutturale, Qarago si accorse che Rafi aveva smesso di accarezzarlo e piangeva silenziosamente, lasciando scivolare sulle guance grosse lacrime che si raccoglievano sul mento affilato e gocciolavano sulle squame della grossa testa del drago. Bisbigliò qualcosa. Gli era parso che la giovane si stesse rivolgendo a lui.
- Madre Haza Et'Hander, una delle tre Fondatrici dell'Ordine della Sorellanza.
- Fondatrici? - si meravigliò Qarago: considerava la Sorellanza come qualcosa di sempre esistito.
- Il nostro più antico codice scritto narra che più di dodici generazioni fa, Madre Haza Et'Hander abbandonò le due Sorelle nel Tempio Fortezza della Sorellanza e tutte le discepole per divenire eremita e cercare il Creatore. Non fece mai più ritorno.
- La trovai morta una mattina d'inverno. Era troppo vecchia per vivere ancora – brontolò Dokko il più sommessamente possibile.
   
 
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