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Autore: ClarinetteM    19/03/2013    5 recensioni
C'è una vecchia leggenda che gira al porto. Narra di una donna capace di dominare il vento e si sa, l'idea di vele sempre gonfie fa gola a qualsiasi lupo di mare. Per controllare il suo potere basta catturarla e marchiarla a fuoco: niente di più facile per Bran, il Capitano senza onore.
Ma lei ha una missione da compiere, tre dee assetate di vendetta da accontentare e un destino che travolgerà entrambi.
Dal Cap. 3:
Non fu l’ultimo, rauco ordine della Vecchia a indurre Nora a guardare verso il cortile. Fu un sospiro d’aria fredda che le passò accanto, rapido e nato dal nulla. Furono un grido e il rumore di un corpo che crollava a terra. Un ragazzo che Nora riconobbe senza esitazione alcuna: era la giovane guardia che le aveva offerto da bere dopo il suo primo colloquio con le tre donne, alla festa. Il giovane che, nonostante lei l’avesse degnato a stento di un grazie e di uno sguardo, si era offerto di accompagnarla alle sue stanze.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2


  Semmai qualcuno avesse osato gettare un occhio sulle strade di Città Vate, quella notte, avrebbe potuto ammirare uno spettacolo a dir poco indimenticabile. Nessuno, tuttavia, trovò il coraggio di affacciarsi alle finestre, tanto più che ogni porta, ogni abbaino, ogni singola fessura che dava sul mondo esterno era stata sigillata quella stessa mattina, quando la nave pirata era stata avvistata all'orizzonte.
  Così non un cittadino riuscì a vedere quel che Bran e la sua ciurma combinarono, assistiti dal cielo stellato e dalla luna che, enorme, si stagliava contro l'orizzonte.
  Razziarono il razziabile, distrussero il distruggibile e naturalmente, una volta occupata la locanda, bevvero molto più del bevibile. Non un bicchiere di rum sfuggì a quelle gole arse dalla salsedine e nemmeno grog, vino e birra furono risparmiati.
  Era appunto finita l'ultima pinta quando Joe, detto Il Guercio per via della benda che gli copriva l'occhio sinistro, decise di scendere nelle cantine per raccattare gli ultimi rimasugli di alcol, lasciando i suoi scellerati compagni a godersi fuoco e rognone arrostito.
  Era una ciurma che nulla aveva di straordinario, una tipica accozzaglia di lupi di mare avidi di ricchezze. Un insieme, insomma, di uomini un tempo di bella presenza e ancor più belle speranze ora ridotti ad avanzi di galera abbruttiti e senza l'ombra di una fede o di un futuro degno di questo nome.
Se ne stavano spanciati nella penombra, piedi sul tavolo e boccale ormai prosciugato ancora sotto al naso. C'era chi già dormiva, chi affilava coltelli, lama su lama, chi raccontava, come ogni volta, la solita storia. Stesso tono. Stesse parole. Stesso finale.
  C'era poi un'ombra solitaria seduta nell'angolo più remoto della sala. Fumava una lunga e scura pipa da cui si levavano densi rivoletti di fumo mentre, spingendosi con un piede contro il ripiano di un tavolo, si dondolava pigramente. Fu proprio questa figura che, al contrario delle altre, non reagì al trambusto che si scatenò nel giro di un istante.
  Un tonfo. Un grido di dolore. Un urlo di vittoria.
  Joe risalì le scale vecchie e scricchiolanti della cantina spingendo davanti a sé quello che a prima vista sembrava un ragazzo molto magro, da poco uscito dall'adolescenza.
  «Guardate, ho trovato un topolino» disse dando un ultimo spintone al giovane uomo che, avendo entrambe le mani impegnate a reggere un grosso involto contro il petto, rischiò di cadere gambe all'aria nel bel mezzo della locanda. Si guardò attorno, la capigliatura color paglia tutta arruffata e gli occhi nocciola sbarrati.
  «STATE LONTANI DA ME, CANI!» gridò, ansimante, puntando su ciascun pirata uno sguardo spavaldo. Lo sguardo di una tigre presa in gabbia. Tuttavia, la sola cosa che riuscì a ottenere dalla sua scellerata platea fu un coro di risate e di ironiche urla di terrore.
  «Ma che paura che ci fai, bel biondino!» lo canzonò Joe, aggirandone la figura. «Questa sera mi sento generoso» riprese a dire, il volto bruciato dal sole a una spanna da quello del ragazzo. «Perciò ti offrirò la possibilità di uscire da questo postaccio sano e salvo.» Incrociò le mani dietro alla schiena. Squadrò il ragazzo da capo a piedi. Fece un passo indietro, quindi proseguì: «A patto che tu mi offra qualcosa in cambio della tua vita, s'intende.» E sorrise, quasi indulgente.
  Al vedersi posta di fronte la faccia del pirata, priva di un occhio com'era e portatrice di una tale proposta, il giovane s'irrigidì senza tuttavia perdere la sua espressione agguerrita.
  «Non ho nulla da barattare con la mia vita» prese a dire con la voce che nascondeva a stento un fremito fatto di rabbia e frustrazione. «Nulla che gente come voi potrebbe considerare degno d'interesse, comunque» aggiunse, sprezzante.
  «O be’, allora...» Joe si strinse tra le spalle e, alzata la mano destra, fece cenno d'avvicinarsi a un uomo dalla pelle color dell'ebano. Un omone, a dirla tutta. Grande e grosso, tutto muscoli, la testa rasata, un anello d'oro al naso e, cosa più interessante per la sorte del ragazzo, una lucida sciabola stretta nella sinistra.
  «Ti avevo promesso un premio per la presa del fortino di questo pomeriggio» gli disse Joe, già muovendo verso il resto dei compagni seduti ai tavoli, pronti a godersi lo spettacolo. «Divertiti col topolino.»
  Come non aspettando altro il pirata nero grugnì, si piazzò di fronte al giovane e levò la sciabola, pronto a colpire quella piccola preda accartocciata contro il muro.
  Il ragazzo chiuse gli occhi, come pronto all'impatto. Impatto che, però, non avvenne.
  Fu una voce a sostituirne il taglio. Una voce graffiante e morbida assieme, dai tratti baritonali, simile all'infrangersi del mare in tempesta contro la scogliera.
  «Basta così» disse. Un imperativo che veniva dall'angolo più remoto della sala, là dove una sedia aveva smesso di dondolare. Il suo occupante si era alzato e aveva preso, pian piano, a uscire dall'ombra. Prima la mano sinistra, che poggiò la pipa su uno sgabello, quindi il busto e infine il volto.
  Fu sufficiente un suo cenno perché la sciabola venisse abbassata e uno sguardo per intimare al padrone della stessa di tornare al suo posto. Nella locanda scese il silenzio.
  «Cos'hai lì?» la testa di Bran indicò l'involto che il ragazzo ancora stringeva contro il petto mentre, intorno, la ciurma taceva.
  Forse rincuorato dalla scampata morte, il ragazzo riprese a respirare e alzò gli occhi nocciola sul Capitano senza onore.
  «Un libro » rispose, senza però staccare il grosso volume dal petto. «Sono uno scrittore.»
  «Uno scrittore» Bran masticò la parola senza troppa convinzione. «Facciamo così, scrittore» riprese a camminare diretto verso lo sgabello già occupato dal Guercio. Quest’ultimo, senza nemmeno attendere un suo cenno, gli lasciò il posto.
  «Ora tu ci leggerai una delle tue storie» un ordine, più che un invito. «Se sarà di mio gradimento, avrai salva la vita. Altrimenti...» la ciurma si rianimò a quella minaccia tutt’altro che velata. Il Capitano senza onore, dal canto suo, si mise a cavalcioni dello sgabello. Un eloquente cenno della mano indicò al ragazzo che poteva cominciare. Questi si morse l’interno della guancia come se, per la prima volta da quando Joe l’aveva trascinato su per le scale, fosse incerto sul da farsi. Chiunque, al vedersi di fronte quella marmaglia, avrebbe obbedito e iniziato a leggere con voce tremante. Chiunque.
  Non lui. Lui sorrise e il viso pallido gli si imporporò appena. «Ai vostri ordini» si esibì addirittura in un inchino prima di liberare il volume dagli stracci in cui era avvolto e sedere per terra, a gambe incrociate, senza degnare ulteriormente della sua attenzione il resto della sala. Si prese del tempo per sfogliare le pagine poggiate sulle brache di tela rossa quindi, individuata quella che doveva essere una storia di suo gradimento, cominciò a leggere:

  «C’era una volta un paese fatto di mare, barche, reti e pescatori. E di una spiaggia.
  Lì viveva una bella fanciulla con i capelli color della sabbia e due occhi verdi di muschio. Era solita, ogni mattina prima dell’alba, passeggiare sulla riva del mare in compagnia dei gabbiani, in attesa del giorno.
  Fu proprio una di quelle mattine che il giovane Timoth la vide per la prima volta. E fu proprio una di quelle mattine che egli se ne innamorò. La vide mentre sedeva sulla riva del mare, le gambe seminude a giocare con la risacca. La vide mentre disegnava col dito indice fantasie inconsistenti sulla sabbia, effimere o forse così profonde da indurre il mare a portarle con sé.  La vide al crepuscolo, in quell’attimo di infinita incertezza tra il buio e la luce: quando la notte indugia e il giorno ancora dorme.
  Le si avvicinò, confondendo le sue orme con quelle dei gabbiani. La baciò. Fu sua.
  Quando, tuttavia, Timoth andò a chiedere in sposa la sua bella fanciulla, fu un no secco quello che ricevette in risposta.
  “Mia figlia porta con sé una ricca dote” gli disse, infatti, il padre di lei. “Tu non sei altro che un poveraccio, indegno e avido di denaro altrui. Va’ a cercarti altrove un bel pollo da spennare.”
  E così, Timoth e la fanciulla dagli occhi color muschio continuarono a incontrarsi ogni giorno al crepuscolo, di nascosto.
  Passò un mese. Giunse una nave di ricchi mercanti. Cercavano un mozzo.
  “Andrò con loro!” Disse Timoth alla sua amata. “Farò fortuna e tornerò per sposarti. Tu aspettami e vedrai, costruirò la nostra felicità.”
  Così fece. Partì.
»


  Lo scrittore si interruppe per qualche istante e Bran, che fino a quel momento lo aveva fissato con una punta di vago interesse nello sguardo, ne approfittò per guardarsi attorno. La sua ciurma taceva, intenta ad ascoltare quella storia che, ben lungi dall’essere originale, sembrava comunque averla incantata. Doveva essere la voce di quel ragazzo, si disse Bran: pacata, ipnotica quanto quella di una madre tutta presa a raccontare una sciocca fiaba della buona notte. E, inspiegabilmente, i suoi duri compagni si erano quietati man mano che l’improvvisato cantastorie proseguiva nel narrare quegli eventi che sapevano di mare e forse, per qualcuno, di ricordi. Solo due volti non erano stati conquistati da un’espressione rapita: quello di un uomo bruno in prima fila che fissava corrucciato il ragazzo e, neanche a dirlo, quello del Capitano senza onore che esibiva una smorfia contratta, quasi dolorante. Irritata. La sua mano destra tamburellava, nervosa, sull’elsa della spada che gli pendeva, nel fodero dorato, dal fianco sinistro.
  «Continua.» Intimò in un ringhio basso e il giovane scrittore, schiaritosi la voce, proseguì nella sua lettura, col sorriso sulle labbra:

  «A nulla valsero le suppliche della fanciulla, Timoth prese il mare e lei lo attese, giorno dopo giorno, sulla spiaggia, dritta come un fuso, l’abito bianco drappeggiato dall’aria salmastra e gli occhi verdi fissi sull’orizzonte.
  Ci fu una notte di tempesta. La nave su cui si era imbarcato Timoth fece naufragio. Si capovolse, ingoiata dai flutti. Nessuno sopravvisse.
  Passarono, intanto, le settimane. I mesi. Gli anni. La fanciulla era ancora lì, sulla spiaggia, ad aspettare quel suo innocente amore che non sapeva di aver ormai perduto. Pian piano, la sabbia e il sale le coprirono la pelle. Conchiglie si annodarono fra i capelli. Alghe le cinsero le braccia. Il vento catturò le morbide pieghe della sua veste.
  Le rubò il respiro.
  Fu di ritorno dalla battuta notturna che i pescatori trovarono, nel bel mezzo della spiaggia, una roccia. Aveva la forma di una giovane donna rivolta al mare. Gli occhi, fatti di muschio, ancora fissi sull’orizzonte.
  Ad attendere il loro amore, per sempre.
»


  Si udirono, nel breve istante che seguì la conclusione della storia, parecchi nasi tirare su, impegnati a ricacciare in gola lacrime inappropriate per quella sfilza di vecchi lupi di mare.
  Bran si guardò intorno, di nuovo. Fece scorrere gli occhi di pece sui suoi uomini per poi piantarli sul ragazzo seduto a terra.
  «Alzati» gli disse, la voce colma di una tranquillità ostentata.
  Il giovane obbedì. Tornò a stringere al petto il suo tesoro fatto di pagine e mosse verso il Capitano senza onore. Proprio nello stesso istante in cui un suono secco annunciava la chiusura del libro, il gigante nero armato di sciabola si lasciò sfuggire un singhiozzo soffocato che non sfuggì al ragazzo, il cui sorriso si fece più largo.
  «Che diavoleria è mai questa?» Bran si alzò dallo sgabello e guardò, inorridito, quel pezzo d’uomo sciogliersi in lacrime. E non era l’unico. «Che cos’hai fatto alla mia ciurma, ragazzino?» Gli ci volle un attimo per sguainare la spada e puntagliela alla gola.
  «È interessante vedere che anche i pirati hanno un cuore, non è vero?» domandò il giovane scrittore per tutta risposta, per nulla spaventato dalla lama che gli sfiorava l’incavo della gola. Continuava a sorridere, irriverente, la testa color paglia inclinata da un lato, il viso rilassato in un’espressione saccente e alquanto divertita, nonostante la situazione.
  «Chiunque sappia amare rimane incantato dalle mie storie e a quanto pare...» portò l’indice della sinistra a sfiorare la punta della spada, «il Capitano senza onore non ne è capace.»
  «Mi conosci.» Bran mosse la spada a scacciare il dito dello scrittore, infastidito dalla sua insolenza. «La mia fama mi precede.» Spinse delicatamente contro il collo e una goccia scarlatta macchiò il metallo. Il gemito del ragazzo si perse in una risata.
  «Uccidimi, uccidimi pure» lo spronò, sordo al vociare dei pirati. «Ma ti avverto, Bran Il Senza Onore: se mi torcerai anche un solo capello, una terribile maledizione si abbatterà su di te e sui tuoi uomini.» Il tono del ragazzo era già di per sé una minaccia, un sibilo pericoloso e suadente. Questa volta toccò a Bran ridere. Un suono gutturale, teso.
  «Tu? Tu osi minacciare me
  «Se mi uccidi, Bran Il Senza Onore» continuò lo scrittore lasciandogli a malapena il tempo di porre la sua domanda, «non vivrai più un solo giorno di pace finché il tuo cuore non sarà toccato dall’amore. Se mi uccidi...» e nel dirlo compì un mezzo passo in contro alla punta della spada che penetrò con più sicurezza nella pelle morbida, «sarai condannato a portare avanti quella che, fino ad oggi, è stata la mia maledizione: scrivere su questo libro, ogni giorno, una storia che parli d’amore.» La voce del ragazzo assunse una nota sprezzante nel pronunciare quell’ultima parola che si perse tra le risa sguaiate dei pirati, divertiti da quel ragazzino che osava minacciare in maniera tanto infantile il loro capitano.
  Anche il sorriso di Bran si riaccese, ma lo scrittore non gli diede il tempo di ribattere: «Se passerà anche un solo giorno senza che una storia venga scritta di tuo pugno, questi avanzi di galera ti si rivolteranno contro e la tua nave verrà distrutta, pezzo dopo pezzo» spiegò, serafico, sporgendosi ancora un po’ in avanti, verso il Capitano, «prima che tu abbia il tempo di dire ammutinamen...»
  Neppure lui ebbe il tempo di finire. In uno scatto Bran affondò la spada. Recise la testa del ragazzo, di netto.
  «Lo spettacolo è finito, torniamo in mare.» Le labbra, innaturalmente rosse per via del sangue che gli aveva macchiato il viso, andarono a riflettere lo stesso ghigno che sfigurava i volti dei suoi degni compari. Finalmente, non poté trattenersi dal pensare al ricordo di come erano ridotti fino a qualche minuto prima. Rimase a osservarli uscire dalla taverna. Attese di rimanere solo, quindi si chinò: accanto alla testa bionda giaceva il libro, la copertina immacolata nonostante fosse immerso in una pozza di sangue.
  Bran lo raccolse. Lo aprì. Sfogliò le pagine: erano bianche.

_____

Sono un po' in ritardo, lo so, ma la revisione di questo capitolo mi ha fatto impazzire. Ci sono un sacco di riferimenti che dovrò riprendere, man mano che la storia proseguirà, e stare attenta a tutti è stata davvero un'impresa ardua.
Ma comunque...
Abbiamo lasciato la bellissima e vanitosissima Nora (alias la Principessa dell'Aceto) a vedersela con le voci nella sua testa e siamo tornati da quell'adorabile pezzo d'uomo che è Bran.
Bran che viene maledetto per la prima volta da uno scrittore che, forse forse, non è (era, anzi) proprio quello che vuole (voleva) far credere. Se la sua maledizione avrà effetto o se si è trattato solo di un tentativo (non riuscito, n.d.r. U.U) di salvarsi il collo lo vedremo più avanti. Secondo voi?
Quel che è certo è che i suoi uomini si sono rimbambiti mentre ascoltavano il ragazzino e che il Capitano non l'ha presa molto bene.

Un appunto: la storia della ragazza abbandonata dal suo amore e trasformata in una statua è ispirata alla leggenda pugliese (di Vieste, a essere precisi) del Pizzomunno (se siete curiosi trovate l'originale qui.


Come al solito, mi farebbe piacere sapere se il capitolo vi è piaciuto e se avete consigli da darmi. A questo proposito ringrazio di cuore chi ha inserito la storia fra le seguite e, in particolare, LoveForHachi e Tess 36 per aver recensito il Capitolo 1.
A presto e grazie di aver letto!


 

   
 
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