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Autore: Sselene    20/03/2013    2 recensioni
Daisy Queen, quieta 43enne senza nessuna particolarità, viene trovata brutalmente assassinata poco lontana da casa e i detective Tiberius Sheller e Cameron Warren non ci mettono molto a trovare una pista che li conduce al nipote della stessa. Pare esserci un traditore in famiglia, ma potrebbe non essere chi sembra.
Quarta storia della saga di Detroit Police Department.
Genere: Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Detroit Police Department'
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La donna si fermò al rumore, voltandosi a guardare dietro di sé, ma la strada era completamente vuota ed appariva totalmente tranquilla.
Con un piccolo sospiro scosse il capo, cercando di scostarsi da dosso quella strana inquietudine che l’aveva assalita, ricominciando a camminare, con passo molto più veloce di prima.
Doveva solo arrivare a casa e poi sarebbe stata al sicuro.
Un altro rumore la fece voltare di nuovo, con un sussulto.
Che qualcuno la stesse seguendo era ormai ovvio.
Respirò profondamente, avanzando ancora il passo e ritrovandosi in pochi istanti a correre. La gamba prese a dolorarle, rallentandola molto.
Sentì dei passi accostarsi a lei e si volse di scatto, quasi urlando. Poi sospirò.
“Hey…” Mormorò con un sorriso. “Hey, mi hai spaventata… cosa c’è, hai perso la strada?”
L’altra persona non disse nulla, avanzando di un passo. Il pugnale che stringeva tra le dita brillò sotto la luce dei lampioni.
La donna schiuse le labbra, per emettere un grido, ma la voce gli morì in gola quando la lama le si conficcò nello stomaco.
 
Un fracasso tremendo, un suono confuso di cocci infranti e distruzione varia, risuonò nella casa silenziosa, portando i due uomini a svegliarsi di soprassalto, saltando a sedere sul letto.
La mano di Tiberius raggiunse immediatamente il cassetto del comodino, aprendolo per tirarne fuori una pistola.
“Magari è solo Christine.” Ipotizzò Cameron.
Portò la mano su quella del compagno, stringendogliela.
“Sono solo io!”
Li raggiunse pochi istanti dopo la voce della giovane Sheller, dal salotto.
Tiberius sospirò, alzando gli occhi al cielo.
“Che hai combinato?” Domandò a voce alta.
Posò di nuovo la pistola e si alzò dal letto, seguito poco dopo dal californiano. Si rivestirono in fretta, uscendo poi dalla stanza per dirigersi nel salotto.
Lì li accolse l’immagine di Christine, inginocchiata a terra, intenta a raccogliere i cocci del vaso contenente il cactus che solitamente decorava l’angolo del salone.
“Scusami, pa’…” Mormorò la ragazza. “Ero ancora mezza addormentata e ci sono finita contro.”
L’uomo sospirò, accostandolesi e inginocchiandolesi accanto, per aiutarla a raccogliere i cocci.
“Tu stai bene?”
“Sì, non mi sono fatta niente.”
“Metto a fare il caffè.” Propose Warren, dirigendosi già in cucina. “Tu hai già fatto colazione, Chrissie?”
“Sì, l’ho fatta a casa di Debbie.” Confermò lei.
“Sei tornata ora?” Chiese il padre.
“Sì.”
“Ti hanno accompagnata?”
Christine rise, scotendo il capo.
“Papà, so tornare da casa di Debbie senza perdermi!” Rispose ridendo.
“Davvero?” Ribatté lui. “Non pareva quando ti sei persa andandoci.”
La ragazzina strinse le labbra, chinando lo sguardo.
“Avevo sbagliato pullman.” Borbottò come scusante.
“Cosa che ti capita raramente, non è vero?” La prese in giro Tiberius.
“Papà!” Sbottò lei, alzando poi il viso. “Cameron! Papà mi tratta male!”
“Prima del caffè non voglio sapere niente!” Rispose il californiano a voce alta.
Christine sbuffò e si alzò in piedi. Si diresse in cucina, gettando i cocci nella spazzatura.
“Dovresti essere dalla mia parte, o potrei non farti più dormire con mio padre.” Borbottò.
“Come?” Rise Cameron.
“Beh, potrei rimanere shockata!” Esclamò lei.
“Tu sei già shockata.”
La ragazzina alzò uno sguardo gelido sul detective che, in risposta, le sorrise ampiamente.
“Ti voglio bene.” Mormorò questi, chinandosi a baciarle i capelli.
Lei si limitò a mugugnare qualche cosa, poi si ritrasse.
“Vado a dormire, con le altre abbiamo passato la notte sveglie.” Rivelò.
Mosse appena una mano per salutare i due uomini, correndo poi nella sua stanza.
“Sono contento andiate così d’accordo.” Mormorò Tiberius.
“Sono contento anch’io.” Confermò Cameron, con un sorriso.
Si avvicinò al compagno, posandogli una mano sul viso per accostare il viso al suo.
Il cellulare squillò in quel momento.
“Dannazione…” Borbottò Sheller.
“Tranquillo, è il mio.” Lo rassicurò l’altro uomo.
Con passo sicuro uscì dalla cucina ed entrò nel salotto, avvicinandosi al tavolino da caffè dove giaceva il rumoroso cellulare. Lo prese, portandoselo all’orecchio.
“Detective Warren.”
Momenti di silenzio, mentre il californiano alzava gli occhi al cielo, trattenendo a stento un sospiro.
“Sì, arrivo. No, chiamo io il detective Sheller, non preoccuparti.”
Chiuse il telefono, buttandolo sui cuscini del divano.
“Abbiamo un caso. Una donna è stata trovata accoltellata nel West Side.” Spiegò.
“Che bello.” Ironizzò Tiberius.
Si passò una mano sul viso, sospirando profondamente.
“Vado a vestirmi.”
 
Tiberius uscì dall’auto, osservando il gruppo di poliziotti che cercava di tenere dei curiosi lontano dalla scena del crimine.
La macchina di Cameron si fermò dietro la sua pochi istanti dopo e in pochi momenti il detective l’aveva affiancato.
“Deborah vive qui vicino, sai?” Mormorò Sheller. “Poteva essere Christine.”
“Poteva essere chiunque, Tibbs.” Ribatté il californiano con calma.
Gli sorrise, battendogli appena una mano sulla spalla.
“Troviamo l’assassino e Chrissie sarà un pochino più sicura.”
Tiberius annuì, avvicinandosi insieme al collega al cadavere.
La vittima era una donna sulla cinquantina, con i capelli rossi e gli occhi verdi spalancati sul cielo. Il sangue le aveva macchiato completamente la maglia di lana bianca e le era uscito anche dalla bocca.
“Dunque?” Chiese il detective, osservando la dottoressa Jordan.
Mercedes si alzò in piedi, per guardarlo negli occhi mentre gli parlava.
“Daisy Queen. 43 anni. Quattordici coltellate sparse sul petto, quasi tutte non mortali, tranne per una che le ha lacerato un polmone, causa della morte.” Spiegò.
“E’ morta… affogata? Con il suo sangue?” Domandò Cameron.
La dottoressa esitò qualche istante, ma poi annuì con un cenno del capo.
“Potresti dire così, dato che non hai alcuna conoscenza in merito.” Ammise con una certa sufficienza. “Ma è un edema emorragico.” Precisò.
Warren alzò gli occhi al cielo, facendo per dire qualcosa, ma Tiberius glielo impedì, intromettendosi.
“Sospetti sull’aggressore?” Chiese.
“Destrorso, non molto alto, probabilmente una donna, ma ce lo confermerà il DNA.” Rispose Mercedes.
“Abbiamo del DNA?” Ripeté il detective, sorpreso.
“La vittima aveva della pelle sotto le unghie, probabilmente ha graffiato l’aggressore.” Spiegò la donna.
“Allora speriamo che ci sia un riscontro nel database.”
La dottoressa si limitò a sorridere lievemente, osservando il cadavere.
“Sarebbe un caso davvero facile, se ci fosse un riscontro.” Mormorò.
Tiberius annuì appena.
Sarebbe stato bello avere finalmente un caso semplice ed immediato.
“Mi faccia sapere appena sa qualcosa, dottoressa Jordan.”
“Come sempre, detective.” Rispose lei con un sorriso.
Sheller annuì ancora, lievemente, poi si allontanò verso dei poliziotti.
“Arrivederci detective Sheller, detective Warren.” Salutò la dottoressa.
“Mercedes.” Ricambiò il saluto Cameron, con un sorriso.
La donna alzò lo sguardo al cielo, sospirando pesantemente, ma non commentò all’ennesimo utilizzo inappropriato del suo nome proprio.
“Chi ha trovato il cadavere?” Chiese Tiberius, accostandosi ad un poliziotto.
“Il nipote, Thomas Queen.” Rispose l’agente.
Con un cenno del capo indicò un ventenne poco distante, con i capelli castani arruffati e gli occhi azzurri gonfiati ed arrossati dal pianto che pareva essersi interrotto solo da pochi istanti.
Gli si accostò.
“Thomas Queen?” Chiamò.
Il ragazzo tirò su con il naso, mentre alzava lo sguardo su di lui, e annuì mestamente.
“Sono io.”
Cameron gli prese la mano sinistra con la propria, osservando il braccialetto che portava.
“ThKing?” Lesse ad alta voce.
“E’ il mio nick.” Spiegò Thomas. “Su internet, sa...”
“Sì, anche Christine ne ha un paio, si usano per riconoscersi online.” Spiegò Tiberius.
Il californiano rise divertito, lasciando andare la mano del ragazzo.
“Lo so, anch’io ne ho qualcuno.” Rivelò con un mezzo sorriso. “Può spiegarci cos’è successo?” Chiese poi, rivolto al ragazzino.
“Ero sceso di casa per incontrare alcuni amici in piazza, ho preso questo vicolo perché è una specie di scorciatoia e…”
La voce gli morì in gola mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime.
“All’inizio non avevo neanche notato fosse mia zia…”
Un singhiozzo gli bloccò la frase a metà.
Si aggrappò con una mano al braccio di Cameron, nascondendosi contro il suo petto mentre si sfogava liberamente. Il californiano sospirò mestamente, posandogli una mano sul capo.
“Mi dispiace.” Mormorò.
“Ha toccato il cadavere?” Domandò Tiberius, dopo qualche momento.
Thomas non rispose.
“Thom?” Lo chiamò dolcemente Warren.
Il giovane scosse leggermente il capo.
“Le ho solo poggiato le dita sul collo, per sentire il battito.” Spiegò.
Il secondo detective si affrettò a segnare quell’informazione sul taccuino.
“Ti viene in mente qualcuno che potesse avercela con tua zia?” Chiese.
“No!” Esclamò il giovane Queen. “Mia zia era… era una persona normale, forse stava antipatica a qualcuno, ma da qui ad ucciderla!” Aggiunse a voce ancora più alta.
“Sai cosa facesse tua zia qui?” Cambiò discorso il detective.
“Lei vive in quel palazzo.” Spiegò Thomas, indicando un edificio poco distante.
Gli occhi gli si riempirono di nuovo di lacrime.
“Era quasi a casa…” Soffiò.
“Viveva da sola?” Insistette Tiberius.
Il ventenne annuì.
“Sì, lei… lei aveva solo mia madre e me…” Mormorò.
“Grazie per l’aiuto.” S’intromise Cameron, carezzandogli i capelli. “Ti faremo sapere appena scopriamo qualcosa e puoi star certo che troveremo l’assassino.”
Il giovane si asciugò rapidamente le guance con le mani, annuendo appena.
“Sì…” Mormorò. “Grazie.”
“Hai bisogno di un passaggio per tornare a casa?” Chiese il detective.
“No, io… preferisco tornare a piedi.”
Un singhiozzo sommesso gli scivolò dalle labbra.
“Come lo dico a mamma?”
“Possiamo dirglielo noi.” Propose il californiano.
“No.” Ribatté il ragazzo. “Devo dirglielo io.”
Sorrise leggermente, poi si allontanò lungo la strada.
“L’hai già eliminato dalla lista dei sospetti?” Chiese Tiberius dopo un po’.
“Mi sembra sincero.” Confermò Cameron. “E poi la dottoressa ha detto che probabilmente è stata una donna.” Aggiunse.
“Probabilmente, non per forza.” Precisò Sheller.
Il californiano si limitò a scrollare le spalle.
“Mi sembra sincero.” Ripeté.
Tiberius non commentò ulteriormente.
“Diamo un’occhiata alla casa?” Propose.
L’altro detective annuì.
“Mi sembra un’ottima idea.” Ammise.
Con le mani nelle tasche, si avviò al palazzo che il giovane Queen aveva precedentemente indicato, seguito dal collega. Entrandovi furono accolti immediatamente dalla voce del portiere, un uomo sulla cinquantina senza capelli e con gli occhi castani.
“Buongiorno, posso aiutarvi?”
“Buongiorno, io sono il detective Sheller e lui è il detective Warren.” Si presentò il detective. “Dovremmo entrare nell’appartamento di Daisy Queen.”
L’uomo si accigliò, alzandosi.
“Come mai?” Chiese. “E’ successo qualcosa a Daisy?”
“Purtroppo la signora Queen è stata assassinata questa mattina.” Rivelò Tiberius.
“Assassinata?” Ripeté il portiere sconvolto. “Ma chi avrebbe fatto qualcosa del genere? Era una donna tranquilla, quieta… non ha mai dato fastidio a nessuno!”
“E’ quello che vogliamo scoprire.” Spiegò Sheller. “Per questo dobbiamo entrare nel suo appartamento. Ci può aiutare, signor…?”
“Lorein.” Completò l’uomo. “Don Lorein.”
“Signor Lorein.” Ripeté il detective. “Può farci entrare nell’appartamento della signora Queen?”
“Certo.” Confermò l’altro.
Prese le chiavi dalla parete dietro la scrivania, poi uscì dal gabbiotto, avviandosi alle scale.
“E’ al quinto piano, ma purtroppo non abbiamo l’ascensore.” Spiegò con tono mortificato.
“Non è un problema, non si preoccupi.” Lo rassicurò Tiberius.
“C’è una bella vista da qui.” Aggiunse Cameron.
Sheller si volse immediatamente verso di lui, scoprendolo a osservare attentamente il suo fondoschiena, e si passò in orizzontale la mano sulla gola per fargli cenno di tacere. Il californiano si limitò a sorridere ampiamente.
“Cosa ci può dire della signora Queen?” Chiese, per distogliere l’attenzione del collega da sé. “Aveva un compagno, qualche amico che veniva a trovarla spesso?”
“No, nessuno.” Rispose Don. “Solo il nipote passava spesso e so che a volte lei andava a prenderlo anche a scuola. Erano davvero molto uniti.”
Si fermò, come pensasse a qualcosa solo in quel momento.
“Lui lo sa?”
“Parla di Thomas Queen?” Chiese Tiberius.
“Sì, di Tommy.” Confermò il portiere.
“E’ stato lui a trovare il corpo. Era abbastanza scosso.”
“Povero Tommy, erano così uniti…” Mormorò tra sé e sé l’uomo, scotendo il capo.
Salì l’ultima rampa di scale, fermandosi davanti ad una porta.
“Ecco, l’appartamento è questo.” Spiegò.
Infilò la chiave nella porta e la aprì, spalancandola sull’interno per permettere ai due detective di entrare.
La casa era piccola, ma perfetta per viverci da soli, con un’atmosfera serena, un arredamento che non spiccava in alcun modo, molto pulita ed ordinata.
“Grazie, Don. Ci guardiamo un po’ intorno e ti richiameremo se avremo di nuovo bisogno di te.” Disse Cameron con un sorriso.
Il portiere annuì.
“Chiudete a chiave quando uscite, per favore. Non vorrei rubassero qualcosa.”
Posò le chiavi su un mobile vicino alla porta, poi scese di nuovo le scale.
“Amava davvero molto il nipote.” Notò Tiberius.
Prese dal mobile una foto incorniciata, rappresentante la vittima e suo nipote, strettamente abbracciati l’uno all’altro.
“Aveva più di quarant’anni ed era sola, probabilmente vedeva in Thomas il figlio che non riusciva ad avere e Thom pare apprezzasse molto tutte queste attenzioni.” Ipotizzò Cameron.
“Probabile.” Confermò l’altro detective.
Posò la fotografia e riprese ad avanzare nella casa, entrando nel salone, guardandosi intorno.
“Tu vorresti dei figli?” Domandò con voce neutra.
Warren gli rivolse appena un’occhiata, studiando qualche istante il suo viso, per dare un’esatta collocazione a quella domanda.
“Scoprendomi gay in giovane età ho rinunciato abbastanza presto all’idea di avere dei figli.” Ammise. “E poi non credo che saprei gestire dei bambini, non credo di essere adatto a fare il padre.”
“Con Chrissie te la cavi bene, però.” Ribatté Tiberius, intanto che apriva i cassetti per sbirciarci dentro, alla ricerca di qualche indizio.
“Chrissie è quasi maggiorenne.” Fece notare il californiano. “E poi suo padre sei tu, io sono il compagno del padre e sarà così per sempre, perché è un po’ troppo grande per iniziare a chiamare un altro uomo ‘papà’, almeno credo.”
Sheller non rispose ulteriormente.
“Do un’occhiata in camera da letto, vuoi controllare se c’è qualcosa di particolare nel bagno?”
“Certo.” Confermò il secondo detective, allontanandosi nel bagno.
Tiberius entrò nella camera da letto, iniziando ad aprire i cassetti.
Nel secondo cassetto del comodino trovò un’agenda. La aprì, cercando l’ultima pagina scritta.
 
2 novembre
Neanche oggi ho avuto il coraggio di chiedergli un appuntamento.
Si pensa che più si va avanti con l’età, più le cose diventino semplici, ma io mi sento sempre come un adolescente incapace e non so se riuscirò ad uscirne.
 
Scorrendo oltre con lo sguardo, il detective si rese conto che non c’era molto altro di interessante in quella pagina.
“Il bagno è pulito.” Informò Cameron.
Si fermò sulla porta, osservandolo qualche istante.
“Quella è la sua agenda? Aveva qualche appuntamento?” Chiese.
“E’ il suo diario.” Rispose Sheller. “Gli ultimi appunti sono di ieri, ma non c’è niente di interessante. Forse nei giorni precedenti c’è qualcosa che può portarci sulla giusta strada.”
“Portiamolo in centrale, allora.”
Tiberius annuì soltanto, guardandosi intorno.
“Non credo troveremo qualcosa di utile in questa casa.” Mormorò appena seccato.
“No, non credo neanch’io.” Confermò Cameron, guardandosi solo appena intorno.
“Vieni in macchina con me?” Chiese Sheller.
Il californiano si volse verso il collega, inarcando le sopracciglia.
“Perché mi fai venire sulle scene del crimine con la mia auto se poi me la fai lasciare lì?” Domandò.
“Beh, se venissimo in macchina insieme…”
“Qualcuno sospetterebbe.” Concluse Warren, ormai avvezzo a quella scusa. “Non sia mai.” Aggiunse a voce più bassa.
Uscirono dall’appartamento in silenzio e, mentre Tiberius si dedicava a chiudere la porta a chiave, Cameron si affrettò giù per le scale. Quando Sheller uscì dal palazzo, dopo aver brevemente salutato il portiere, il collega lo aspettava già dentro l’auto.
Si sistemò al posto di guida, lanciando un’occhiata al compagno.
“Quindi hai un nickname anche tu?” Si ritrovò a chiedere.
Il californiano gli rivolse un’occhiata sorpresa, ma poi rise, annuendo.
“Sì. Sai, per i forum di bondage, quelli sadomaso…”
Tiberius strinse le dita sul volante, sgranando impercettibilmente gli occhi.
“Come?” Soffiò.
Warren cominciò a ridere più forte.
“Tibbs, ma dai, ti prendo in giro!” Esclamò tra le risa. “Frequento un paio di forum per giovani omosessuali in crisi. Molti ragazzi amano parlarne su internet ancora più che al telefono perché garantisce più anonimato, dato che nessuno sente neanche la loro voce.”
“Ti prodighi molto per… la comunità gay, diciamo…” Notò l’altro detective, cercando di riprendere una sorta di contegno.
“Sì… quando ho scoperto la mia omosessualità sono stato aiutato tantissimo da alcune persone e ora, come Rore, faccio del mio meglio per aiutare come posso.”
“Rore?” Ripeté Sheller.
“E’ il mio nickname. Cameron Warren. Rore” Spiegò il californiano, sottolineando le sillabe interessanti ai fini della spiegazione. “Mia sorella mi chiamava sempre così.”
“E tu come la chiamavi? Lire?” Domandò divertito Tiberius.
“Lisha.” Rispose l’altro detective, con un sorriso. “Avevamo cognomi diversi.”
A causa della sua natura di investigatore, Tiberius non poté non collegare quella sillaba al modo in cui, solo un paio di settimane prima, quel receptionist aveva chiamato il suo collega: Marshall.
“Come mai?” Chiese quasi disinteressato.
Cameron si limitò a stringersi nelle spalle.
“Conosco anche il nickname di tua figlia, lo sai? Mi è capitato di incontrarla, qualche volta, sui forum. Anche lei prova ad aiutare.” Cambiò discorso.
“Sì?” Lo assecondò Tiberius. “E la tieni sotto controllo?”
Il californiano rise.
“Faccio del mio meglio.” Confermò con un sorriso. “Ma se la cava benissimo da sola.”
 
La sera li raggiunse ancora in ufficio, ancora intenti a scartabellare tra il diario e le ultime chiamate effettuate e ricevute dalla vittima, senza trovare nulla che potesse in qualche modo aiutarli.
“Sembra una persona qualsiasi.” Mormorò Cameron dopo un po’, passandosi le mani sugli occhi. “Forse l’hanno scelta a caso e possiamo solo aspettare e sperare che il DNA che ha sotto le unghie ci porti da qualcuno.” Aggiunse.
Tiberius sospirò, poggiandosi all’indietro sulla sedia, lasciando cadere sulla scrivania i fogli che aveva davanti.
“Forse.” Concesse. “Chiamo il laboratorio.”
“Lascia perdere.” Ribatté  Cameron. “Ci chiameranno loro quando avranno qualcosa.”
Sheller sospirò, passandosi una mano tra i capelli.
“Allora vado a fare una ricerca, vedo cosa esce con il nome che esce così spesso sul diario, Robert Dellaway.”
“Okay, vedo se trovo qualcosa di utile qui.” Ribatté solo il Californiano.
L’altro detective annuì appena, poi si incamminò lungo il corridoio, lanciando solo un’ultima occhiata alla zona dove sedeva il collega, prima di infilarsi nella stanza di Keine.
“Hey, Juliet. Dovresti fare una ricerca per me.”
La donna si passò appena una mano tra i capelli rossi, alzando lo sguardo su di lui, sorridendogli.
“Sono qui solo per te, Tiberius.” Rise. “Dimmi pure.”
Tiberius si guardò un po’ intorno, assicurandosi che non ci fossero orecchie indiscrete ad ascoltarlo, poi si chinò sull’agente.
“Cameron Marshall.” Disse.
Quel nome continuava a vorticargli in testa, soprattutto da quando Cameron gli aveva rivelato il soprannome che dava alla sorella. Lisha. Elisabeth Marshall.
“Nato dove e quando?” Chiese professionalmente lei.
“Nato a Huntington Beach. Il 12 agosto nel 1973.” Rispose Sheller.
Keine alzò uno sguardo molto sorpreso su di lui, poi inarcò le sopracciglia.
“Ed è assolutamente un caso che questo Cameron sia nato nello stesso posto e nello stesso giorno del nostro Cameron, non è vero?” Domandò tra il divertito e il curioso.
Il detective mosse appena una mano, allontanando quelle domande.
“Fa’ solo questa ricerca, Juliet.” Sbottò.
La donna si strinse nelle spalle, inserendo i dati rivelati e rimanendo in silenzio mentre il computer effettuava la ricerca.
“C’è un risultato.” Informò, per poi accigliarsi. “Ma… è secretato…”
Tiberius si accigliò a quella rivelazione, del tutto inattesa, chinandosi sul computer per osservare con i propri occhi l’avviso che avvertiva dell’impossibilità di aprire il file.
“E’ decisamente secretato.” Mormorò.
“Robert Dellaway è secretato?”
Entrambi trasalirono a quella voce, volgendosi in fretta verso la porta.
Cameron li osservò perplessi a quella reazione.
“Robert Dellaway è secretato?” Ripeté, accostandosi a loro.
“Tiberius mi ha fatto cercare Cameron Marshall.” Spifferò in un attimo Kaine, con la voce decisamente troppo alta.
Il californiano rimase qualche istante in silenzio, sorpreso da quella rivelazione, poi scoppiò a ridere.
“Ah, mi sorprendi sempre, Tibbs.”
“Non sei arrabbiato?” Domandò incerta Juliet.
“Sarebbe ipocrita, da parte mia, ci sono così tanti segreti nel mio passato che non ho mai rivelato a nessuno.” Ammise Warren con estrema semplicità.
“E pensi di parlarmene?” Domandò incerto Tiberius.
“Prima o poi.” Rispose il californiano, poi ci pensò e rise. “A meno che tu non le scopra prima, certo.” Aggiunse.
Sheller si accigliò a quella frase: Cameron gli stava dando il via libera per impicciarsi nel suo passato? Non si sarebbe certo lasciato sfuggire l’occasione.
“Ora, Juliet, faresti una ricerca davvero utile per il caso e faresti una ricerca per Robert Dellaway, iniziando a limitare la ricerca al West Side?” Disse ancora il Californiano, rivolgendosi alla donna.
“Certamente, Cameron.” Confermò lei, inserendo i parametri della ricerca.
Il californiano approfittò dei momenti di pausa per lanciare un’occhiata al collega.
“Devo iniziare ad essere geloso di questo Cameron Marshall? Un Cameron soltanto non ti basta, nella vita?” Domandò divertito.
Tiberius sbuffò appena.,
“Beh, se sei tu Cameron Marshall, allora non devi preoccuparti.” Fece notare.
L’altro detective rise, scotendo il capo.
“Io mi chiamo Cameron Warren.” Poi, per evitare ulteriori domande, si rivolse alla donna che era rimasta silente, in quello scambio di battute. “Hai trovato qualcuno?”
“Sì, c’è un riscontro.” Confermò Juliet. “Robert Dellaway, 41 anni, vive nel West Side e lavora in un piccolo supermercato poco lontano dall’appartamento della vittima.”
“Bene, iniziamo a parlare con lui, magari potrà dirci qualcosa.” Propose Tiberius, segnandosi l’indirizzo sull’immancabile blocco note.
 
Il supermercato dove Robert Dellaway lavorava era veramente piccolo, ma non era una sorpresa che fosse molto frequentato: i commessi apparivano rilassati e gentili, molto più che nelle grandi catene. E Robert Dellaway, facilmente individuabile vicino le verdure, era un uomo davvero affascinante.
“Il signor Robert Dellaway?” Domandò Tiberius per sicurezza.
L’uomo alzò lo sguardo su di lui e gli offrì un grande sorriso.
“Sono io.” Confermò. “Come posso aiutarvi?”
“Sono il detective Sheller e lui è il detective Warren.” Spiegò ancora Sheller, presentando sé stesso e il collega. “Dovremmo farle alcune domande.”
“Katie sta bene?” Domandò l’uomo, improvvisamente ansioso.
I due detective si scambiarono un’occhiata perplessa.
“Chi è Katie?” Chiese educatamente Cameron.
“La figlia dei miei vicini, ieri ha fatto una storia assurda per non andare a scuola, ho pensato che magari avesse dei problemi seri con qualcuno. Sapete come vanno le cose, ormai, i ragazzini non sono più quelli di una volta.” Spiegò Robert, decisamente teso, torcendosi nervosamente le mani. “Ma non siete qui per lei, non è vero?” Aggiunse speranzoso.
“No, signore, infatti.” Confermò Tiberius.
Il commesso chiuse un attimo gli occhi, sospirando sollevato.
“Grazie a Dio.” Mormorò.
Rivolse di nuovo la sua attenzione ai due uomini, esitando un attimo.
“Di cosa volete parlarmi, allora?” Domandò.
“Daisy Queen.” Rispose Sheller, mostrandogli intanto una foto. “La conosce?”
“Certamente, è una nostra cliente molto affezionata.” Rispose l’uomo. “Le è successo qualcosa?”
“E’ morta, stanotte.”
Robert sgranò sorpreso gli occhi, poi si passò le mani sul viso.
“Dio…” Mormorò. “Era… era una così cara donna, incredibilmente gentile, chi mai potrebbe averle fatto questo?”
“E’ quello che vogliamo scoprire, signor Dellaway. E speravamo lei potesse aiutarci.” Ribatté a voce bassa Cameron, posandogli una mano sul braccio.
“Io non vedo come potrei…” Rispose Robert. “Era solo una cliente, a volte parlavamo di musica, di cinema, di libri, ma mai niente di personale. Mi ha parlato di suo nipote, a volte, ma mai niente di più approfondito.”
“Non le ha mai dato segno di essere nervosa? Non le ha mai parlato di qualcuno che l’aveva infastidita? Anche piccole cose.” Insistette Warren.
Il commesso tacque, pensandoci attentamente, corrucciando la fronte nella concentrazione, ma poi scosse il capo.
“Era solo una cliente.” Mormorò. “Una cara donna, squisita, ma solo una cliente. Non avevamo alcun rapporto se non di reciproca cortesia.” Tacque qualche istante, chinando lo sguardo. “Mi… dispiace di non poter essere maggiormente d’aiuto. Vorrei potervi aiutare.” Aggiunse mestamente.
“Non si preoccupi, ha fatto tutto quello che poteva.” Lo rassicurò il californiano con un sorriso.
“Se le viene in mente qualcosa, qualsiasi cosa, per favore ci chiami.” Aggiunse Tiberius, passandogli un biglietto da visita.
L’uomo lo prese, annuendo.
“Certamente, detective.” Confermò. “Arrivederci.”
“Arrivederci.”
I due detective si allontanarono, sospirando lievemente.
“Vicolo cieco.” Borbottò seccato Tiberius.
“Non è triste?” Domandò retoricamente Cameron. “Il diario di Daisy era pieno di pensieri su Robert e per Robert non era niente più che una qualsiasi cliente.”
“Daisy non ha mai provato ad essere qualcosa in più.” Ribatté l’altro detective.
“Vero.” Ammise il californiano, aprendo l’auto e sistemandosi al posto del guidatore senza neanche chiedere il permesso al collega. “Cosa facciamo adesso?”
“Torniamo a casa.” Rispose semplicemente Tiberius. “Rivedremo il caso domani, con più tranquillità e lucidità e vedremo cosa fare.”
 
In casa li accolse la voce ben alta di Christine, che camminava lungo il corridoio con un’espressione quasi furente, gettando la mano che non reggeva il telefono per aria.
“E quindi? Vuoi lasciare che scelgano cosa devi essere?”
Tiberius chiuse silenziosamente la porta alle spalle di Cameron, osservando la figlia, che gli rivolse appena un’occhiata.
“No, Mason, no, non è una buona idea! Non è meglio così!” Una pausa, mentre alzava gli occhi al cielo. “No, Mason, io capisco, ma… Mason? Mason?” Guardò il telefono, sorpresa. “Mi ha chiuso il telefono in faccia!”
Il padre le si avvicinò, passandole un braccio attorno alle spalle per portarla nel salone.
“Cos’è successo? Perché litigavate?” Domandò dolcemente.
“Non stavamo litigando.” Ribatté la ragazzina. “Mason ha rivelato ai suoi genitori di essere gay e loro si sono incazzati da morire e adesso lui vuole trovarsi una ragazza per farli contenti. Io gli ho detto che non dovrebbe permettere a qualcun altro di scegliere come deve vivere, ma lui dice che io non capisco, perché tanto mio padre è gay!”
“Io non sono gay.” S’intromise Tiberius.
Christine lanciò appena un’occhiata a lui, poi a Cameron, che si era fermato poco distante, e poi di nuovo a lui.
“Va bene, continua.” Borbottò solo il detective, senza insistere.
“Non c’è molto altro da dire.” Sospirò la giovane Sheller. “Ha ragione lui, io non capisco, ma non voglio che stia male!” Sospirò ancora, sedendosi sul divano. “Non so come aiutarlo.”
“Beh, sei fortunata.” La rassicurò Tiberius. “Hai l’esperto Rore ad aiutarti.”
Christine inarcò perplessa le sopracciglia.
“Come?” Chiese solo.
“Rore è il mio nickname.” Spiegò Cameron, sistemandosi in poltrona.
“E come siete arrivati a parlare di nickname?” Domandò curiosamente la ragazzina.
“Il ragazzo che ha trovato la vittima, nonché nipote della stessa, ha un braccialetto con il suo nickname, ThKing.” Rivelò Tiberius, carezzando i capelli della figlia che trasalì.
“La zia di Thomas è morta?” Domandò incredula, con una mano alle labbra.
I due detective si scambiarono un’occhiata.
“Conosci Thomas Queen?” Chiese il padre, improvvisamente professionale.
“Beh, noi… frequentiamo gli stessi forum di scrittura, a volte ci siamo incontrati per un caffè. Ci capita spesso di incontrarci per strada perché vive vicino casa di Debbie.” Rispose Christine, passandosi una mano tra i capelli. “Dio, starà malissimo, sua zia era così importante per lui, le dedicava tutte le sue poesie.” Sospirò, scotendo il capo. “Com’è morta?”
“L’hanno accoltellata.”
La giovane Sheller schiuse sorpresa le labbra, accigliandosi un po’.
“Oh, che curiosa coincidenza…” Mormorò.
“Che coincidenza?” La esortò Cameron.
“Beh… la settimana scorsa Thomas ha pubblicato un post su un forum che frequentiamo entrambi, chiedendo, data la densità dei muscoli umani, quanta fatica faceva un coltello a penetrare in un corpo.” Raccontò Christine. “Ma è sicuramente solo una coincidenza!”
I due detective si scambiarono solo una rapida occhiata.
 
“Però il DNA sotto le unghie della vittima è femminile.” Ricordò Cameron, mentre sorseggiava il caffè, seduto alla scrivania. “E’ una grande incongruenza.”
Tiberius si limitò a stringersi nelle spalle.
“Potrebbe aver ferito una donna in qualsiasi altro momento della giornata.” Rispose semplicemente.
Il californiano ci pensò qualche attimo, poi si strinse nelle spalle, senza commentare.
Arrivati in centrale, la prima cosa che avevano fatto era stata mandare un paio di agenti a prelevare Thomas Queen per poterlo interrogare.
“Tu pensi che sia il colpevole?” Domandò ancora Cameron dopo qualche momento di silenzio.
“Forse.” Rispose Sheller con un piccolo sospiro. “Tu come fai ad essere convinto di no?” Aggiunse.
“Non lo so, mi sembrava sinceramente scosso dalla morte della zia.” Spiegò Warren. “E poi perché lo avrebbe fatto? Per poterci scrivere una poesia sopra?”
“Per provare nuove emozioni.” Ribatté Tiberius. “Abbiamo avuto un caso del genere.” Ricordò a voce più bassa.
Se da un lato amava ricordare quel caso, che aveva portato lui e Cameron ad avere una storia, dall’altro odiava riportarlo alla mente del collega essendo così strettamente collegato al suicidio della sorella.
Cameron, comunque, non ne parve turbato.
“E’ vero.” Ammise solamente.
Gli agenti Rossi e Moore entrarono in quel momento, scortando un terrorizzato Thomas Queen.
“Detective.” Salutarono in coro.
“Ah, bene, siete arrivati.” Mormorò Tiberius, alzandosi. “Accompagnate il signor Queen in sala interrogatori.”
“Ma perché?” Domandò confuso il giovane. “Che ho fatto?”
“Dobbiamo solo farti alcune domande su un dettaglio di cui siamo venuti a conoscenza ieri.” Gli spiegò Cameron con un sorriso rassicurante. “Niente di cui preoccuparti.”
“Io non ho ucciso mia zia.” Balbettò Thomas con voce tremante.
“Parliamone seduti, Thomas, ti va?” Insistette il californiano, posandogli una mano sulla spalla per accompagnarlo verso la sala degli interrogatori. “Ti hanno detto i tuoi diritti?”
Queen annuì un attimo, guardando il detective.
“Mia madre ha chiamato un avvocato.” Ammise.
“Certo, puoi aspettare finché non arriva per rispondere alle nostre domande.” Concesse il detective, facendogli cenno di accomodarsi e sedendosi dall’altro lato del tavolo insieme a Tiberius. “Ma se non hai niente da nascondere non c’è nessun pericolo a rispondere alle nostre domande.”
Il giovane non rispose.
“Facciamo così.” Parlò ancora Cameron dopo qualche momento di silenzio. “Noi ti facciamo delle domande e tu se vuoi rispondere, rispondi, altrimenti no, va bene?”
Thomas annuì lentamente.
“Bene…” Mormorò Warren, sistemandosi meglio sulla sedia. “Abbiamo saputo che il 23 hai pubblicato un post su un forum chiedendo quali sensazioni dovesse dare accoltellare una persona, considerando la resistenza del corpo umano.” Cominciò a voce bassa.
Il ragazzo strinse i denti, trattenendo un singhiozzo, posandosi una mano sugli occhi mentre annuiva lentamente.
“E’ vero.” Ammise con voce tremante.
“Perché non ce l’hai detto prima, Thomas?”
“Non lo so.” Sospirò lui. “Credevo avreste subito pensato male.”
“Ti rendi conto che nasconderci una cosa del genere ci rende quanto meno sospettosi, non è vero?” S’intromise Tiberius, cercando di adeguare il suo tono a quello rassicurante del collega.
Thomas si limitò ad annuire, asciugandosi le guance.
“Perché hai fatto una domanda del genere?” Chiese ancora il californiano.
“Me… me l’ha chiesto una ragazza…” Ammise il giovane.
I due detective si lanciarono appena un’occhiata.
“Chi, esattamente?” Insistette Warren.
“Io… non lo so…” Sospirò Thomas. “Ero in una…” Si schiarì la gola. “Chat erotica e questa ragazza mi ha detto che se riuscivo a trovare la risposta alla sua domanda, allora mi avrebbe mandato delle sue foto… di nudo.” Spiegò con la voce che gli tremava visibilmente.
I due detective tacquero qualche istante, mantenendo delle espressioni assolutamente neutre.
“Capisco.” Mormorò solo Cameron, dopo qualche momento. “Dovremmo sapere il nome della chat e il nick di questa ragazza.” Aggiunse, mentre Tiberius prendeva da tasca l’immancabile taccuino.
“La chat è WebSex.com… la ragazza si chiamava Syssy84, con due ipsilon.” Rivelò Thomas, a voce bassa, evidentemente in imbarazzo.
“Dovremmo anche sapere esattamente quando questa ragazza l’ha contatta.” Continuò il californiano.
“Il 22 verso le 8 e mezza.” Rispose il giovane, deglutendo.
In quell’istante la porta si spalancò, facendo entrare una donna sulla cinquantina, con i capelli mori raccolti in una coda.
“Il mio cliente non risponderà più ad una sola vostra domanda.” Sentenziò severa.
“Oh, ha risposto a tutto quello che volevamo sapere, avvocato.” La rassicurò Cameron con un sorriso. “E’ libero di andare.”
L’avvocato schiuse sorpresa le labbra, guardando il detective, poi il suo cliente.
“Bene.” Disse solo. “Andiamo, signor Queen.”
Il giovane si alzò, esitando un attimo nel lanciare uno sguardo ai detective.
“Pensate che la ragazza della chat abbia ucciso mia zia?” Domandò incerto.
“E’ difficile stabilirlo, ma sicuramente è una coincidenza interessante.” Confermò Tiberius.
Thomas annuì solamente, poi seguì il suo avvocato fuori dalla sala.
“Il fatto che qualcun altro gli abbia posto quella domanda non vuol dire che poi non possa essere stato lui a metterla in pratica.” Mormorò Cameron, quando il ragazzo fu lontano.
“Sono d’accordo.” Confermò il suo collega. “Ma intanto vediamo chi è questa Syssy.”
“Syssy… ufficialmente è il soprannome di Cecilia, Frances o Priscilla, ma può essere usato anche per Elizabeth o qualsiasi nome contenente una s, anche Christine.” Spiegò Warren, pensieroso.
“Ti prego.” Sbottò Tiberius. “Evita di usare il nome di mia figlia insieme al nickname di una ragazza in una chat erotica.”
Cameron si limitò a stringersi nelle spalle.
“Comunque la WebSex.com segna sempre gli IP degli utenti che si collegano, quindi non sarà difficile trovare l’indirizzo di questa Syssy94.” Aggiunse dopo qualche momento.
L’altro detective gli rivolse un’occhiata sorpresa.
“Sì? Come lo sai?” Domandò.
“Ho lavorato lì, per qualche tempo.” Rispose il californiano, ridendo poi all’espressione sconvolta del collega. “Vivevamo soli io e mia sorella, c’era bisogno di soldi.”
“Davvero? Non vivevi con i tuoi? Come mai?” S’interessò Tiberius, immediatamente in modalità detective.
Cameron lo guardò, poi gli sorrise, alzandosi in piedi.
“E’ meglio se andiamo ad indagare.” Disse solamente, uscendo dalla stanza.
 
Gli uffici della WebSex.com erano posizionati al settimo piano di un palazzo non abbastanza alto per essere considerato grattacielo, ma decisamente imponente.
L’ascensore si apriva su una zona semi circolare al centro della quale era posizionata una scrivania della stessa forma, con seduta una giovane donna dai corti capelli rossi.
“Salve.” Salutò Tiberius, avvicinandosi alla scrivania.
La donna alzò appena una mano, facendogli cenno di attendere mentre batteva le dita sulla tastiera del computer, poi portò lo sguardo su di lui, con un sorriso evidentemente stanco.
“Buonasera.” Salutò cortesemente. “Come posso aiutarla?”
“Sono il detective Tiberius Sheller.” Spiegò lui, mostrando il distintivo. “Lui è il detective Cameron Warren. Vorremmo parlare con chi si occupa dei controlli della chat.”
La donna osservò attentamente il distintivo di Tiberius, poi glielo ridiede, rivolgendosi all’altro detective.
“Dovrei vedere anche il suo distintivo.”
“Certamente.” Confermò il californiano, prendendo il distintivo dalla tasca interna della giacca per porgerlo alla donna. “Quanta poca fiducia.” Aggiunse divertito.
La segretaria gli sorrise appena, osservando il badge, prima di ridarglielo.
“Se sapesse quante persone vengono a infastidirci, detective, capirebbe.” Disse solo, per poi volgersi con lo sguardo su Tiberius. “Di cosa avete bisogno, esattamente?” Domandò.
“Abbiamo bisogno di conoscere l’ip di una persona che si è connessa alla chat.” Spiegò chiaramente il detective.
“Allora dovete andare a destra, la seconda porta a sinistra. Lì vi aiuterà Derek… voglio dire, il signor Fince.” Ribatté la segretaria, indicando il corridoio alla destra della scrivania con un cenno della mano.
“Grazie mille.” Mormorò Tiberius, allontanandosi verso la direzione indicata insieme al collega.
La seconda porta a sinistra si apriva su una grande stanza più o meno quadrata, riempita da scrivanie alle quali sedevano uomini e donne intenti a leggere attentamente qualcosa sugli schermi dei computer.
Un uomo dai capelli biondi si alzò dal suo computer, avvicinandosi a loro.
“Posso aiutarvi?” Domandò.
“Salve, sono il detective Tiberius Sheller, lui è il detective Cameron Warren.” Presentò Tiberius, mostrando all’uomo il distintivo nello stesso momento del collega. “Li è il signor Derek Fince? Dovremmo farle una domanda.”
Derek osservò con estrema attenzione i distintivi, poi li porse nuovamente ai proprietari, annuendo.
“Sono io. Come posso aiutarvi?”
“Stiamo indagando su una persona che si è collegata a questa chat  il 22 del mese scorso. Dovremmo rintracciarla e pensavamo voi poteste aiutarci.” Spiegò Sheller, quietamente.
L’uomo annuì, avvicinandosi di nuovo al computer.
“Certo. Mi serve solo sapere l’orario e il nickname.” Disse.
“Circa alle 8 e mezza. Il nickname è Syssy94, con due y.” Rispose il detective.
Per qualche istante Fince rimase in silenzio, osservando lo schermo, poi annuì.
“L’ho trovata, sì. Accesso alle 20.36 e poi ha iniziato a parlare con ThKing.” Rivelò. “Ho il suo indirizzo ip, posso rintracciare l’indirizzo.”
“Sì, è quello che ci serve.” Confermò Sheller, volgendo poi lo sguardo attorno a sé, osservando le persone lavorare, lanciando solo ogni tanto un’occhiata curiosa nella loro direzione.
Derek annuì, digitando qualche tasto, poi si scostò.
“Okay, eccolo.”
Cameron si fece avanti, osservando l’indirizzo comparso sullo schermo e trasalì, schiudendo sorpreso le labbra.
“Che succede?” Domandò curiosamente Tiberius, cercando di avvicinarsi.
“E’ l’indirizzo di casa tua, Tibbs.” Mormorò il californiano.
L’altro detective osservò lui, poi lo schermo. L’indirizzo era decisamente quello di casa sua.
 
“Mercoledì 22 è quando siamo stati a teatro.” Mormorò dopo molto silenzio Cameron, battendo le dita sul volante. “E poi siamo stati fuori, abbiamo lasciato Christine sola fino alle tre.”
“E quindi?” Sbottò infastidito Tiberius. “Pensi che ne abbia approfittato per andare in una chat erotica a chiedere ad un ragazzo che sensazione dà assassinare qualcuno? Per poi assassinare davvero qualcuno e metterci sulla pista giusta?”
“Non sto dicendo questo, Tibbs.” Ribatté il californiano, cercando di mantenere un tono quieto e persino rassicurante. “Dico solo che c’era solo lei, in casa. Che dobbiamo parlarle, forse… c’è qualcosa che non ci ha detto. O che non ha ritenuto importante dirci.”
Sheller rimase in silenzio, guardando fuori dal finestrino, poi sospirò, chiudendo gli occhi.
“Dobbiamo chiamare la centrale, far portare Christine, per interrogarla.” Mormorò stancamente.
“Chiamo io, va bene?” Si propose subito Cameron, accostando già vicino al marciapiede.
Il collega si limitò ad annuire in silenzio, con lo sguardo fisso sul paesaggio esterno.
Il californiano lo osservò qualche istante, poi prese il cellulare dalla tasca della giacca, componendo il numero della centrale e portandoselo all’orecchio.
“Sono il detective Warren.” Si presentò quando l’agente lo salutò dall’altro lato della linea. “Ho bisogno che venga portata in centrale Christine Sheller, è… coinvolta in un caso di omicidio che sto seguendo.” Qualche attimo di silenzio. “Sì, lo so benissimo. Portala in centrale il prima possibile.” Chiuse la chiamata, prima che dall’altro lato potessero rispondere e si rimise il telefono in tasca.
Lanciò uno sguardo al partner, che non aveva mai distolto lo sguardo dal finestrino.
“Andrà tutto bene, Tibbs.” Mormorò, posandogli una mano sul collo, carezzandoglielo. “Sono sicuro che Chrissie non è assolutamente coinvolta in tutta questa situazione.”
“Era vicino il luogo dell’omicidio all’orario dell’omicidio.” Ricordò a voce bassa Tiberius.
“Semplici coincidenze.” Lo rassicurò Cameron. “Vedrai che lei saprà darci una spiegazione.”
Sheller rimase in silenzio qualche momento, poi annuì, sistemandosi di nuovo in maniera eretta contro il sedile.
“Hai ragione.” Ammise con voce più ferma. “Hai ragione, sicuramente c’è una spiegazione. Andiamo a parlare con Christine.”
Il californiano annuì, allungandosi a baciargli delicatamente le labbra.
“Andiamo.” Ripeté rassicurante.
 
“Detective.”
Entrambi i detective si fermarono appena fuori dall’ascensore, portando lo sguardo sull’uomo dai capelli e barba grigi e gli occhi verdi che si stava avvicinando.
“Capitano.” Salutarono in coro.
Il Capitano Backer si fermò davanti a Tiberius, osservandolo.
“Detective, ho saputo che ha fatto delle ricerche su Cameron Marshall.” Iniziò.
“Sì.” Ammise il detective dopo qualche istante.
“Vorrei Lei la smettesse immediatamente.” Ordinò l’uomo.
Tiberius rimase in silenzio qualche istante, poi sospirò, senza alcun desiderio di proseguire quella discussione.
“Va bene, capitano.”
“Va tutto bene, detective Sheller?” Domandò Backer, perplesso.
Per qualche attimo ancora il detective rimase in silenzio, scambiandosi un’occhiata con il collega, poi guardò il capitano.
“Christine, mia figlia… è coinvolta nel caso di omicidio di cui io e Cameron ci stiamo occupando.” Spiegò, cercando di mantenere la voce il più neutra possibile.
Sebbene fosse sempre molto controllato, il capitano non poté non sgranare gli occhi a quella rivelazione, osservando attentamente entrambi i detective.
“Non puoi occuparti…” Cominciò a dire.
“Si occuperà Cameron dell’interrogatorio.” Lo interruppe Tiberius.
“Cameron è troppo coinvolto.”
“So fare il mio lavoro, capitano.” S’intromise il californiano.
Il capitano rimase in silenzio qualche momento, ma poi annuì lievemente.
“Va bene.” Concesse. “Ma guarderò l’interrogatorio e lei starà con me, detective Sheller.”
Il detective annuì brevemente.
“Sì, capitano.”
L’ascensore si riaprì di nuovo.
“Papà!”
Inspirando profondamente, Tiberius si volse, osservando la figlia, scortata da due poliziotti con uno sguardo totalmente confuso e perduto.
“Papà, che succede?”
Le si avvicinò, prendendole il viso tra le mani, dolcemente.
“Christine, tesoro, va tutto bene.” La rassicurò teneramente. “Ora Cameron ti farà alcune domande e tu dovrai rispondergli, ma va tutto bene, okay? Sono solo delle domande, è che è uscito il tuo nome parlando con Thomas Queen, ma nessuno ti sta accusando di niente, okay? Sono solo delle domande.”
Nonostante le parole quiete del padre, però, Christine non pareva affatto rassicurata.
“Sono sospettata di omicidio?” Domandò con un filo di voce.
“Sono solo delle domande, Christine.” Ripeté dolcemente Tiberius. “Solo delle domande.”
Inspirando profondamente, la giovane Sheller annuì, portando poi lo sguardo su Cameron, sorridendogli pallidamente.
“Vacci piano, con me.” Mormorò.
Warren forzò una breve risatina, posandole una mano sul capo.
“Certo, Chrissie. Andiamo.”
Con un movimento delicato la spinse lungo il corridoio, lanciando un’ultima occhiata al collega, prima di seguirla per accompagnarla nella sala degli interrogatori. Dopo qualche momento, anche Tiberius e Backer li seguirono, infilandosi nella stanzetta al di là del finto specchio.
“Mia figlia è innocente.” Disse con convinzione il detective, mentre osservava la figlia e il collega accomodarsi al tavolo.
“Ne sono certo, Tiberius.” Ribatté il capitano, attivando l’audio.
L’attenzione fu immediatamente spostata sull’interrogatorio oltre il vetro.
“Cominciamo subito, Christine.” Mormorò rassicurante il californiano, poggiandosi con gli avambracci al tavolo di metallo. “Dov’eri l’altroieri mattina verso le sei-sette del mattino?”
“Sono uscita da casa di Debbie verso le sei e un quarto, sono andata alla fermata del pullman e ho aspettato per circa venti minuti.” Rispose Christine, respirando profondamente.
“C’era qualcuno, con te?”
La ragazza tacque un istante.
“Beh, io e Lizzie siamo uscite insieme, ma poi abbiamo preso due strade diverse.” Concesse.
“Quindi nessuno può confermare che tu abbia effettivamente preso il pullman appena uscita da casa di Debbie?” Precisò il detective.
“No.” Ammise Christine, riluttante.
“Conoscevi Thomas Queen?” Chiese Cameron, cambiando apparentemente discorso.
La giovane Sheller annuì.
“Sì.”
“E conoscevi sua zia, la signora Daisy Queen?”
“Di… di vista, sì.” Ammise lei. “Ma non c’eravamo mai incontrate.” Aggiunse.
La porta si aprì e un poliziotto si affacciò nella stanza.
“Detective Warren, abbiamo trovato qualcosa.” Mormorò.
Il californiano annuì leggermente, alzandosi.
“Scusami un attimo.” Mormorò rivolto alla sospettata, uscendo poi dalla stanza.
Christine ne approfittò immediatamente per alzarsi e avvicinarsi al finto specchio che sostituiva una delle pareti.
“Papà…” Mormorò con gli occhi immediatamente colmi di lacrime, posando le mani sul vetro. “Papà, non sono stata io, io non ho fatto niente, te lo giuro.”
Dall’altro lato, Tiberius si ritrovò a posare le proprie mani su quelle della figlia.
“Lo so, Chrissie, lo so.” Sussurrò rassicurante, sebbene lei non potesse sentirlo.
“Christine.”
La ragazzina si volse verso il detective che era rientrato, tenendo tra le mani una busta trasparente con dentro un panno bianco.
“Abbiamo trovato qualcosa nel tuo armadio.” Spiegò lui.
“Che cosa?” Domandò lei, rassegnata.
Cameron si accostò di nuovo al tavolo, aprendo la busta delle prove per tirarne fuori il contenuto, spiegandolo sul metallo per mostrare una felpa bianca completamente sporca di sangue.
“Questa è tua.” Constatò.
Tiberius trattenne il fiato, sfiorando il vetro con le dita. Quella felpa insanguinata era un regalo che proprio Cameron aveva fatto a Christine e lei l’adorava.
“E’… è mia, sì.” Confermò la ragazzina, passandosi una mano tra i capelli. “Ma l’ho prestata a Lizzie e non… non me l’aveva ancora riportata.” Aggiunse.
“E c’è qualcuno che può confermarlo?” Domandò il detective.
“Beh…” Lei esitò. “Lizzie?” Propose.
Cameron rimase in silenzio, mentre piegava di nuovo la felpa, sistemandola nella busta.
“Perché non ti siedi, Chrissie?”
La giovane Sheller si sedette in silenzio, passandosi le maniche della maglia sulle guance rigate.
“Mercoledì 22 sei entrata in una chat erotica e hai parlato con Thomas Queen.”
Trasalì, sgranando gli occhi, mentre le guance le si tingevano di un intenso color porpora.
“Io non ho mai fatto niente del genere!” Esclamò con una voce incredibilmente acuta. “Io non potrei! Non uso il computer per quelle cose, lo sai!”
“Abbiamo i dati che lo dimostrano, Chrissie. Mercoledì 22 alle otto e mezza ti sei collegata alla chat WebSex con il nick Syssy94 e hai parlato con Thomas Queen, dicendogli che se ti avesse detto che sensazione dà accoltellare qualcuno, tu gli avresti mandato delle foto di te… nuda.” Raccontò Cameron, esitando nel pronunciare l’ultima parola.
“Io non ho fatto niente del genere!” Ribatté a voce alta la ragazza, passandosi poi le mani sul viso. “Io non ho fatto niente del genere, lo giuro.” Rimase in silenzio, sospirando rassegnata, poi, improvvisamente, un’espressione di pura gioia le colorò il viso. “Io non ero in casa!” Esclamò entusiasta.
“Come?” Riuscì solo a mormorare il detective, sorpreso.
“Il 22 è quando tu e papà siete andati a teatro, non è vero?” Domandò improvvisamente incerta lei.
“Sì, esatto. Ti abbiamo lasciato sola fino alle tre, circa.” Ricordò Warren.
“Alle otto sono scesa da casa per compare le pizze e non sono uscita dalla pizzeria prima delle nove. E la pizzeria ha una videocamera di sicurezza, sicuramente mi ha ripreso!”
Cameron rimase fermo qualche istante, poi si alzò, aprendo la porta.
“Agente Rossi.” Chiamò.
L’agente si accostò a lui.
“Deve controllare l’alibi della signorina Sheller mercoledì 22 alle otto e mezza. Era alla pizzeria…” Cameron si volse verso la ragazza seduta. “Eri dal Vero Rob?” Chiese.
Lei annuì rapidamente.
“Vado subito, detective.” Mormorò l’agente, prima di allontanarsi in fretta.
Il detective tornò a sedersi al tavolo.
“C’era qualcuno in casa?” Domandò.
Christine tacque, poi sospirò, passandosi una mano tra i capelli.
“Lizzie.” Mormorò con la voce improvvisamente tremante.
Il nome di Lizzie era apparso troppo spesso in quella discussione, era chiaro a tutti.
“Elizabeth Peacock, non è vero?” domandò Warren.
“Sì…” confermò la ragazza. “Ma non credo proprio c’entri qualcosa con quest’omicidio!” Aggiunse.
Cameron non commentò, alzandosi.
“Perché non vai da tuo padre, adesso?” Le disse dolcemente.
Tiberius non attese neanche che il capitano gli desse il permesso, prima di uscire di corsa dalla stanza e spalancare la porta di quella dell’interrogatorio.
“Chrissie.”
“Papà!” Esclamò la ragazzina, saltando in piedi e gettandosi contro di lui, nascondendosi contro il suo petto mentre scoppiava a piangere.
“Va tutto bene, piccola mia, amore mio, va tutto bene.” La coccolò la voce dolce dell’uomo, mentre le sue mani si muovevano sulla sua schiena e tra i suoi capelli. “Va tutto bene.”
“Faccio portare qui Elizabeth.” Mormorò a mezza voce Cameron, non del tutto certo di volersi far sentire, uscendo dalla stanza.
Tiberius quasi non gli badò, limitandosi a tenere stretta tra le braccia la figlia, aggrappandosi a lei con il terrore che potesse svanire in un attimo, cullandola teneramente, rassicurandola per rassicurarsi a sua volta.
Fu dopo un po’ che Cameron si riavvicinò a loro, posando una mano sulla spalla del partner.
“Il pizzaiolo ricorda Christine. Ho mandato un paio di agenti a controllare il nastro della telecamera, ma dovrebbe essere tutto sistemato. Stanno portando Elizabeth, così possiamo interrogarla.”
Tiberius non mostrò neanche di averlo sentito, ma Christine si scostò dal padre, abbracciando il secondo detective.
“Grazie.” Mormorò.
Cameron esitò un istante, poi chiuse gli occhi, passando le braccia attorno al corpo della ragazza.
“Mi dispiace, Chrissie, dovevo farti quelle domande… non ho mai pensato fossi tu la colpevole.” Sussurrò.
“Lo so, lo so.” Lo rassicurò lei, per poi ridere, anche se con la voce ancora roca di lacrime. “Ti pare che… che devo essere io a rassicurare te, eh? Ti pare?”
Il californiano rise lievemente, carezzando il viso della giovane, ma non disse nulla.
“Tiberius!”
Il trio si volse sorpreso verso la donna che si fermò, improvvisamente incerta.
“Dottoressa Jordan.” Mormorò sorpreso Sheller, rimanendo qualche istante fermo, poi si schiarì la gola. “Dottoressa, lei è mia figlia Christine. Chrissie, lei è la dottoressa Jordan.”
“E’ un piacere, dottoressa.” Salutò la ragazza con un sorriso, asciugandosi le guance bagnate. “Le direi che mio padre parla spesso di Lei, ma in realtà è Cameron che lo fa. E Lei è davvero bella come dice.”
La donna rise appena, evidentemente forzata, mentre scoccava un’occhiata infastidita a Warren.
“Non oso immaginare cosa dica di me.” Ribatté costringendosi ad un tono leggero.
“Che Lei è davvero brava nel suo lavoro. E che è molto bella, questo lo ripete in continuazione.” Spiegò la giovane Sheller, lanciando un’occhiata al californiano. “Ammetto che se non me l’avesse detto, non avrei mai pensato che Came fosse gay.” Ammise.
“Il detective Warren non è gay.” Rise più convinta la dottoressa.
“Sì che lo è.” “Sì che lo sono.” Risposero quasi in coro Cameron e Christine.
Mercedes portò sorpresa lo sguardo sul californiano, boccheggiando qualche istante.
“Tu sei… gay?” Ripeté incredula.
“Ah-ha.” Confermò Warren con un sorriso. “Ma questo non vuol dire che non possa apprezzare una bella donna come te, Mercedes.” Aggiunse.
Jordan rimase in silenzio qualche istante, poi scosse il capo, volgendo la sua attenzione a Tiberius.
“Beh, io… ero solo passata a… vedere come stavi, perché avevo sentito…” Esitò, senza sapere esattamente come esprimere i concetti che le vorticavano in testa. “Beh, sono felice che vada tutto bene. Torno a lavoro.”
“Dottoressa, aspetti.” La fermò il detective. “Posso chiederle un favore?”
La donna annuì lievemente.
“Certamente, detective Sheller.”
“Stiamo aspettando un sospettato, quando arriva potresti occuparti di mia figlia durante l’interrogatorio?” Chiese Tiberius.
“Tibbs, mi occupo io dell’interrogatorio.” S’intromise immediatamente Cameron.
“No, voglio esserci anch’io.” Ribatté l’altro detective, serio.
Avevano cercato di incastrare sua figlia, non sarebbe rimasto a guardare.
“Resterò io con Christine, non c’è problema.” Disse dopo qualche momento Mercedes, rispondendo come se Cameron non si fosse mai intromesso.
“Vedrà che non sarò un peso, Dottoressa.” Aggiunse Christine con un sorriso. “Ci sono un paio di cose che sicuramente vorrà sapere su mio padre.”
“Chrissie…” La rimproverò il detective, ma lei si limitò a sorridere, mentre si allontanava con la dottoressa.
Lui la osservò allontanarsi per qualche momento, poi si rivolse al collega, che aveva lo sguardo posto su di lui.
“Non… non avrei saputo cosa fare, se fosse stata lei, Cameron…” Mormorò.
“Ma non è stata lei.” Il californiano ribatté. “Non è stata lei, perché lei non farebbe mai niente del genere, lo sappiamo benissimo entrambi.”
Tiberius si limitò ad annuire appena, riportando lo sguardo sulla direzione nella quale la figlia si era allontanata, inspirando profondamente.
“Sì.” Ammise. “Sì, infatti.” Rimase in silenzio qualche momento, poi scosse il capo, riprendendo l’espressione professionale che gli era caratteristica. “Ma se è stata Lizzie, perché mettere in mezzo Chrissie? Perché farlo dal suo pc, perché usare la sua felpa e perché mettergliela nel’armadio per incastrarla?” Sebbene cercasse di mantenersi assolutamente neutro, era impossibile non notare la nota di panico e rabbia che gli tingeva la voce.
“Non lo so, Tibbs.” Cameron rispose, posandogli una mano sull’avambraccio. “Non lo so.”
Tiberius rimase in silenzio ancora, osservando il compagno come cercasse una risposta sul suo viso, poi si accostò lievemente a lui.
“Detective.”
Si volsero entrambi, osservando i due poliziotti che scortavano una ragazza con i capelli mori tagliati incredibilmente corti e gli occhi chiari.
“Lizzie.” La salutò Tiberius, cercando di non chiudersi in un’eccessiva freddezza.
“Signor Sheller.” Rispose lei, accennando un sorriso. “Che cosa ci faccio qui?”
“Dobbiamo farti alcune domande. Vieni.” Rispose il detective, rientrando nella sala degli interrogatori e sedendosi al tavolo, mentre il collega gli si sedeva accanto. Fece cenno ad Elizabeth di sedersi e lei lo fece, senza fiatare.
“Forse Chrissie ti avrà detto che stiamo indagando sull’omicidio di Daisy Queen.” Cominciò a dire.
“La zia di Thomas, sì.” Confermò la ragazza.
“Conoscevi Thomas?” S’intromise Cameron.
“Frequentiamo alcuni forum di scrittura insieme, io, lui e Chris. A volte siamo andati insieme a prendere un caffè.” Spiegò lei.
“Conoscevi Daisy Queen?” Chiese Tiberius.
“Di vista.” Ammise Lizzie. “Thomas parlava sempre di lei e ci fece vedere delle foto. Una volta l’abbiamo incrociata perché lo stavo riaccompagnando a casa e lei vive… viveva lì vicino.”
“Sai perché sei qui, Elizabeth?” Cambiò argomento il detective.
“Non ne ho idea, signor… detective.”
“Durante l’indagine è uscito il tuo nome. Il sangue della vittima è stato trovato su una felpa che Christine ti ha prestato.” Spiegò lui.
“La felpa bianca? Gliel’ho ridata.” Ribatté Elizabeth.
“Lei dice di no.” Rispose Tiberius.
“Se possedessi una felpa sporca del sangue di una vittima d’omicidio, anch’io direi di no.” Rise lievemente la ragazza, passandosi una mano tra i capelli.
“Qualche tempo prima dell’omicidio, Thomas ha pubblicato su un forum una domanda, chiedendo che sensazione desse accoltellare una persona.” Prese la parola Cameron.
“Sì, l’ho letta.” Ammise la ragazza. “Pensate sia stato lui?”
“No. E’ stata una ragazza a chiedergli di porre quella domanda. Una ragazza su una chat erotica.” Rispose Tiberius.
“Una chat erotica? Santo cielo.” Mormorò sorpresa lei.
“Una ragazza che è entrata in chat dal computer di casa mia.”
“Chris…?” Sussurrò Lizzie, confusa.
Sheller rise, scuotendo lievemente il capo.
“Sei una brava attrice, Elizabeth, ma sappiamo che in quel momento c’eri solo tu in casa nostra, l’alibi di Christine è confermato.” Ribatté Tiberius.
La ragazza si inumidì le labbra con la punta della lingua, rimanendo in silenzio qualche momento.
“Questo non dimostra niente.” Disse quietamente.
“Forse. Ma mi chiedo se la penserai ancora così quando ci assicureremo che la vittima ha sotto le unghie il tuo DNA.” Rispose il detective.
La ragazza ci pensò qualche momento, inclinando il capo di lato, pensierosa per qualche istante, poi sorrise, con un sorriso incredibilmente luminoso, poggiandosi allo schienale della sedia.
“In un certo senso, è stata Christine a spingermi a farlo.” Cominciò a raccontare, guardando con poco interesse la mano posata sul tavolo. “Non importa cosa scrivessi e quanto impegno ci mettessi, continuava a ripetere che sì, non era male, ma potevo fare meglio, che dovevo scrivere di ciò che sapevo, dovevo capire a fondo le emozioni dei personaggi di cui parlavo. Così ho deciso di farlo, di sperimentare.”
I due detective si lanciarono appena un’occhiata, cercando di tenere sotto controllo la sorpresa. Avevano sperato, ma nessuno dei due si aspettava una confessione così rapida.
“Perché mettere in mezzo Thomas e Christine?” Domandò Cameron.
“Per allontanarvi da me, ovviamente. Thomas era comodo perché lo conosco abbastanza bene e ha sempre scritto poesie inquietanti e quindi era un buon capro espiatorio.” Spiegò lei.
“Non hai pensato che ci avrebbe detto della ragazza?” Chiese Tiberius.
“Sì, per questo ho cercato di incastrare Christine, nel caso foste arrivati al suo indirizzo.”
“Perché proprio Christine?” Insistette il detective.
“Perché è la figlia di un poliziotto.” Rispose Lizzie, con semplicità. “Credevo avreste insabbiato il caso, per non doverla perseguire.”
L’uomo boccheggiò qualche istante, senza sapere cosa dire, riscuotendosi solo quando sentì il collega alzarsi ed andare alla porta, chiamando un paio di poliziotti.
“Devi scrivere la tua confessione e firmare.” Spiegò il californiano, mentre l’agente Rossi portava dentro ciò che serviva.
“Certo, non c’è problema.” Rispose semplicemente lei, passandosi una mano tra i capelli. “Diventerò famosissima, scrivendo dalla prigione.” Aggiunse con un sorriso.
Cameron schiuse sorpreso le labbra, lanciando un’occhiata al collega che, senza aggiungere altro, si alzò ed uscì, allontanandosi.
“Incredibile, è completamente folle.” Soffiò, guardando il californiano. “La conosco da anni, come ho fatto a non accorgermene?”
“Certe cose nascono poco a poco.” Rispose Warren, sebbene non sembrasse eccessivamente convinto neanche lui stesso.
Tiberius si limitò a scuotere il capo, avviandosi a lunghi passi verso la sua scrivania. Come immaginava, sua figlia e la dottoressa Jordan erano lì, intente a parlare e ridere.
“Di che parlate?” Chiese, accostandosi a loro, posando una mano sul capo della figlia che alzò immediatamente lo sguardo su di lui, ogni traccia di risata scomparsa.
“Era lei?” Domandò con la voce tremante.
Il padre esitò, ma poi annuì lievemente.
“Sì. Ha confessato.” Ammise.
“Ma perché? E perché mettere in mezzo me? Credevo fossimo amiche!” Strillò lei.
“Lei… lei pensava che avremmo insabbiato il caso. Pensava non avremmo mai potuto perseguirti legalmente per un omicidio.” Spiegò il detective.
“Si vede che non vi conosce.” Mormorò Christine, ridendo appena mentre lacrime cominciavano a scenderle sulle guance. “E’… è così assurdo… pensavo di conoscerla… pensavo fossimo amiche…”
Tiberius le passò le braccia attorno al corpo, stringendola forte contro di sé, baciandole i capelli.
“Mi dispiace, amore mio.” Mormorò contro il suo capo.
“Ma perché l’ha fatto?” Domandò la ragazza tra le lacrime, guardando Cameron come aspettandosi una risposta di lui.
“Ha detto che… voleva capire cosa si provasse, per poterlo scrivere al meglio.” Rispose il californiano, incredibilmente incerto.
“Ha… ha ucciso una persona per poter scrivere? Ha rischiato di mandare in prigione me o Thomas per poter scrivere?” Ripeté lei con voce incredula.
Tiberius e Cameron si rivolsero appena una rapida occhiata.
“Andiamo a casa, Chrissie.” Mormorò Sheller, stringendo di nuovo la figlia contro di sé.
Lei annuì, nascondendo il viso contro il suo petto, ma si scostò quasi subito, lanciando un’occhiata al californiano.
“Cameron, puoi… puoi non passare per casa nostra, oggi?” Domandò incerta.
“Certamente, Chrissie, non c’è problema.” La rassicurò lui con un sorriso dolce. “Passa un po’ di tempo con tuo padre, noi ci vediamo qualche altra volta.”
Christine annuì, avvicinandosi a lui per abbracciarlo e baciargli la guancia.
“Ciao.” Mormorò. “Arrivederci, Mercedes.”
“Arrivederci, Christine.” Rispose la dottoressa Jordan con un sorriso dolce. “Detective.”
“Dottoressa.” Salutò Tiberius, facendole un cenno con il capo. Si fermò accanto a Cameron, esitando e posandogli poi una mano sulla spalla, saldamente. “Credo mi prenderò un paio di giorni di ferie.” Ammise. “Ci sentiamo.”
“Chiamami quando vuoi.” Confermò il californiano, con un sorriso.
Sheller annuì, battendogli un paio di volte la mano sulla spalla, poi si allontanò verso gli ascensori, passando un braccio attorno alle spalle della figlia.
   
 
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