Lo squillo del cellulare sveglia Axel Arisson, l’investigatore.
 Il suo superiore lo avev appena costretto ad una settimana di vacanza per riposare, infatti lo stress non avrebbe fatto bene a nessuno, così gli disse, . In parte,  pensava lui, aveva ragione, ma non l’avrebbe mai ammesso davanti al capo.


Quello che Axel non gli avrebbe mai detto era che soffriva di una malattia strana, la quale però non aveva ancora un nome, non era infatti stata diagnosticata ad abbastanza persone per essere considerata una malattia curabile o non. Gli davano pillole “calmanti” così le chiamavano, ma in realtà non servivano a nulla, era come prendere della droga, ti estraniava dal mondo e vedevi tutto in modo diverso, non era quindi una cura che lui era pronto ad utilizzare sempre. E in ogni caso aveva smesso di prendere le pillole perché il suo fegato ormai aveva smesso di sopportarle da tempo.
 
< Riessen ?>  rispose al cellulare con voce ancora impastata.
< Axel, devi venire subito in centrale >
< Dammi quindici minuti > risponde a Jason, il suo collega americano dalle larghe spalle, gli occhi blu oceano e l’accento strano. Scende dal letto e comincia a preparare il caffè mentre si fa una doccia veloce. Si veste mentre beve il caffè ancora scottante e si tuffa nel traffico mattutino assieme alla sua auto. Arriva in centrale dopo venti minuti dalla chiamata di Jason, a causa di tutti quelli ingorghi stradali che gli fanno saltare i nervi ogni volta. Di cambiare città, però, non ci pensa neanche.
 
< Sei in ritardo > gli dice Jason con la faccia scura.
< Scusa, il traffico > cerca di giustificarsi, ma capisce il collega: un’urgenza è un’urgenza. Jason lo conduce nel proprio ufficio e gli porge una cartelletta giallo scuro con qualche macchia di succo. Il biondo Riessen la apre, corruga la fronte e i suoi occhi scuri si increspano: aveva già sentito parlare di quello strano caso, tuttavia, stranamente non aveva mai avuto motivo di indagare ulteriormente.