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Autore: BeautifulMessInside    22/03/2013    5 recensioni
"Non hai paura di morire?" - "Non ho molte ragioni per vivere."
Cara non sarebbe dovuta salire su quell'aereo, non sapendo che Joseph Michaelson, detto il Lupo, sarebbe stato sul suo stesso volo.
Joseph non avrebbe dovuto salvare la ragazza, non sapendo chi lei fosse. Ma Joseph non ha idea di chi sia Cara e lei non può sapere che lui davvero farà il grosso sbaglio di salvarla.
Assassini, famiglie potenti, attrazioni pericolose e segreti nascosti in una storia dove non tutto è come sembra.
Genere: Angst, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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cap7

Ciaoooo! Questo capitolo era in sospeso da un po’, ma sto avendo uno dei mesi più incasinati della mia vita! Oggi ho così deciso di mollare tutto il resto, starmene a casa in pigiama e finirlo una volta per tutte.

Vi ringrazio come sempre! Siete la mia motivazione e la mia costanza!

 

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Avevano raggiunto il centro della città in macchina. Adesso era chiaro anche a Cara che si trovavano a New Orleans, era riuscita facilmente a riconoscerla, benché fosse premuta all’angolo del sedile posteriore della berlina scura, il più lontano possibile dal sorrisetto psicotico di Nathaniel.

Scesi in una via qualsiasi, Joseph aveva abbandonato l’auto per primo, sicuro che suo fratello avrebbe provveduto alla ragazza. L’idea che le tenesse le mani addosso, quasi sbavando all’idea di farle del male, era piuttosto fastidiosa, pertanto aveva deciso di restare almeno quattro o cinque passi avanti a loro. Non guardare gli avrebbe consentito di rimanere lucido.

Dopo una breve camminata per la strada deserta si trovarono faccia a faccia con un anonimo palazzo di mattoni rossicci. Al primo piano l’insegna spenta indicava la presenza di uno jazz bar, lo Sweet Lorraine. Appeso alla vetrina dondolava un cartello rosso con la grande scritta CLOSED in bianco.

Joseph spinse comunque sulla porta e questa gli si aprì davanti senza resistenze. Entrò tranquillo e spigliato come fosse a casa sua. Bé, tecnicamente quel posto era davvero casa sua. Nathaniel lo seguì in silenzio strattonando Cara e tenendole la mano libera premuta sulla bocca. Non si sa mai che avesse la stupida idea di urlare e farsi uccidere in mezzo alla strada.

Non appena la porta si richiuse con un breve ticchettio metallico, una voce di uomo li accolse da lontano

“Siamo chiusi!”

Joseph sembrò non farci nemmeno caso, raggiunse il retro del lungo bancone in legno e si versò un’abbondante dose di bourbon.

Dal retro del locale venne fuori questo tizio, lo stesso che aveva parlato poco prima. Era un ragazzo piuttosto alto, dal fisico scolpito e dalla pelle ambrata, probabilmente frutto di una benedetta unione genetica tra bianco e nero.

“Hey, ho detto che siamo…”

Il suo sguardo torvo si sciolse in un sorriso

“Joseph!”

L’assassino ricambiò l’espressione, abbandonando il bicchiere per raggiungere il ragazzo. Scambiarono una specie di stretta segreta da confraternita, concludendo con un amichevole reciproca pacca sulla spalla.

“Si vociferava che avessi tirato le cuoia amico!”

“Così si dice.”

Il ragazzo sbottonò velocemente il bottone più alto della sua camicia bianca e si abbassò per tirar fuori una bottiglia dalla dispensa.

“L’occasione merita qualcosa di speciale.”

Allineando sul bancone tre piccoli bicchieri di vetro da shot, rivolse finalmente l’attenzione alle altre due presenze nel locale. Sollevò la bottiglia a mo’ di saluto, accompagnando il gesto con un cenno della testa

“Nathaniel…”

Riempì i bicchierini e posò i suoi grandi occhi scuri su Cara

“…Uno anche per la vostra ospite?”

Il giovane Michaelson avvicinò la bocca all’orecchio sinistro della ragazza

“Che ne dici tesoro, vuoi farti un goccetto prima del tuo ultimo desiderio?”

Cara non poteva rispondere perché il palmo di lui era ancora saldamente spalmato sulla sua faccia. Si limitò a guardarlo, stavolta più con sdegno che non paura.

Nathaniel ridacchiò prima di spingerla con forza all’angolo della stanza accanto al bancone. Le puntò l’indice dritto in viso

“Se provi a muoverti o a strillare ti farò soffrire il doppio.”

Lei abbassò gli occhi senza rispondere, massaggiando la spalla che aveva sbattuto contro il muro a mattoncini. Joseph le lanciò un’occhiata veloce. Doveva restare calmo. Freddo e razionale.

Mandarono giù un altro paio di shottini lodando, di tanto in tanto, l’amabilità del liquore invecchiato ben trentacinque anni. Il barista spostò qualche bottiglia dalla mensola più alta ed aprì una specie di cassettino nel muro, fermamente serrato. Ne svelò il contenuto porgendo a Joseph due chiavi attaccate ad un cerchietto di metallo.

“Eccoti le chiavi dell’appartamento. Lo troverai esattamente come l’hai lasciato.”

Joseph le strinse nella mano con un mezzo sorriso

“Grazie Xavier.”

Cara era rimasta nell’angolo ad osservare la scena in silenzio, lasciandosi distrarre per qualche secondo dall’atmosfera del posto. I muri in pietra naturale circondavano la piccola sala in parquet lucido, il soffitto aveva la volta a botte ed il grande lampadario di cristalli al centro, tocco elegante benché azzardato, illuminava i piccoli tavoli di legno. All’altro capo della stanza c’era poi il palco, con sopra due sgabelli con l’imbottitura rossa e qualche bottiglia vuota abbandonata. Non poté non immaginare un’improvvisata jam session, il suono sinuoso dei sassofoni e l’intensa puzza di sigari e fumo.

“Muoviti bambolina.”

Nathaniel l’afferrò per il braccio, riportandola alla realtà con un brivido di freddo. Ancora una volta Joseph guidò la marcia tenendosi avanti al gruppo, attraversando il retro del locale fino ad aprire la stretta porta in fondo che dava su una rampa di scale. Salirono almeno trenta gradini nella polvere prima di arrivare al grosso portone in cima. L’assassino sbloccò le due serrature con le chiavi che gli aveva dato Xavier ed entrò, aspettandoli al di là della soglia.

L’ambiente all’interno era diverso da ciò che Cara si sarebbe aspettata, di certo completamente in antitesi all’apparenza trasandata del palazzo e all’atmosfera jazz del bar al piano di sotto. L’entrata apriva infatti su un salotto con i divani bianchi dallo stile moderno, il tutto ovattato dalla semioscurità.

“Casa dolce casa, eh?”

Esordì Nathaniel spingendola dentro ed accomodandosi su uno dei cuscini. Joseph richiuse a chiave la porta. Quello era il suo appartamento. Solo suo. L’unico posto in cui potesse starsene beato in solitudine. Il fatto che si trovasse sopra il club lo rendeva abbastanza anonimo, potendo sempre contare sul controllo e la discrezione di Xavier. In cambio, i Michaelson garantivano ordine e protezione per il suo locale.

“Non metterti troppo comodo, siamo solo di passaggio.”

L’altro sospirò incrociando i piedi sul tavolino

“Esatto. Prendi le armi, uccidi la ragazza, fuggi più veloce della luce.”

L’assassino sparì dietro una delle porte, lasciando Cara in piedi al centro della stanza, vittima delle fantasie sadiche di Nate. Lei se ne stava lì, senza muoversi, non aveva più detto una parola da quando avevano lasciato il vecchio hotel.

“Che succede bambolina? Non vuoi nemmeno provare a pregarmi un po’?”

Cara si strinse nelle braccia

“Servirebbe a qualcosa?”

Lui sfoderò un ghigno compiaciuto. Se non fosse stato per la crudeltà che emanava a fiotti da ogni poro, lo si sarebbe davvero potuto definire un gran bel ragazzo.

“Intelligente. Ottima qualità. Sopravvalutata nelle donne comunque.”

Ecco, se non fosse stato per la crudeltà e per l’ostentato presuntuoso maschilismo congenito. Cara non trattenne un chiaro suono di disgusto. Nathaniel allora aggrottò le sopracciglia e lasciò la sua comoda posizione per venirle vicino. Strinse gli occhi come se la stesse scrutando a fondo

“Dimmi. Com’è che riservi i modi da gattina in calore solo a mio fratello?”

Cara incrociò i suoi occhi scuri e deglutì, facendosi indietro di un passo. Nello stesso momento Joseph riapparve con una specie di valigia in mano, interrompendo sul nascere l’indagine dell’altro Michaelson.

L’assassino aprì la valigetta e guardò con ammirazione i due pugnali che vi riposavano dentro, avvolti nel velluto blu. Uno era più lungo, dalla lama affusolata ed appuntita, l’altro più piccolo, con la lama tonda e l’impugnatura in pelle nera.

“Qualcosa di più pratico magari?”

Nathaniel gli era già vicino. Joseph rimase a fissare le sue due armi preferite, già compagne di tante missioni e testimoni di altrettante morti. Suo fratello non avrebbe mai capito.

“Tu puoi prendere una delle pistole.”

L’altro annuì soddisfatto e si mosse verso il mobile alla sua destra, aprendo un cassetto e scoprendo una ricca collezione di semiautomatiche. Le scorse tutte passando sul metallo con la punta delle dita ed infine optò per la Desert Eagle. Non era una novità. Quel pistolone da quasi due chili era senza dubbio il suo preferito, soprattutto dopo aver visto Bill sparare a Beatrix con la stessa identica arma. Ah, Tarantino, un vero genio.

Calibrò il peso della pistola nella mano e, dopo aver fatto scattare la sicura, la puntò dritta verso Cara. Lei divenne una statua di marmo.

“Ora puoi andare Nate.”

Ancora una volta la voce provvidenziale di Joseph. L’altro ruotò la testa verso il fratello

“Prego?”

Joseph se ne stava di spalle alla scena, passando delicatamente la pelle di daino sui suoi pugnali. Non aveva bisogno di guardare per sapere cosa esattamente si stava svolgendo dietro di lui.

“L’auto ha bisogno del pieno. Vuoi pensarci tu?”

Aggiunse con tono distaccato. Nathaniel strinse le labbra in una linea sottile, spostando velocemente il tono del suo umore da euforico a irritato.

“Ma fai sul serio?!”

Finalmente Joseph interruppe la sia mansione e si voltò, serio ed impassibile. Nate abbassò il braccio ed alzò il tono della voce

“Sei davvero rimbecillito fratello? Guardala…”

Sollevò di nuovo la pistola per indicare Cara

“…E’ solo una troietta qualsiasi!”

Joseph sbatté le palpebre lentamente, avanzando a lunghi passi verso Nathaniel

“Lasciaci. Fratello.”

Scandì una volta arrivato a pochi centimetri dal suo consanguineo. Nate, in risposta, gli lanciò una chiara occhiata di sfida. Adesso, ufficialmente, moriva dalla voglia di uccidere la ragazza. La guardò con la coda dell’occhio per un paio di secondi

“Non mi fido di lei.”

Joseph espirò rumorosamente, tornando sui suoi passi per afferrare uno dei pugnali, quello dalla lama lunga ed affusolata.

“Ci penso io. Tu torna a prendermi tra quindici minuti.”

Nathaniel lasciò cadere gli occhi sulla lama, ammirando la leggiadria con cui ruotava tra le dita del fratello, come fosse un pennello nella mano di un pittore pronto a creare un nuovo capolavoro. Protrasse le labbra cercando di trattenere il primo istinto di rabbia, resistendo alla tentazione di spararle un colpo in fronte e farla finita, fosse anche solo per far dispetto a Joseph.

“Bene…”

Concluse, sollevando il golf blu per piantare la pistola dietro l’orlo dei pantaloni. Di nuovo guardò Cara

“…Ma quando torno voglio vedere il suo sangue. Molto sangue.”

Precisò e prese la porta.

Joseph scosse il capo in silenzio, perso nei suoi pensieri per qualche secondo. Sollevò piano il coltello e sospirò, rivolgendo finalmente gli occhi a Cara. Lei, vicina al muro, resettò immediatamente l’impulso di ringraziarlo. Le sue pupille si persero, accecate dal riflesso della luce sulla lama.

L’assassino sembrò guardarsi brevemente intorno, poi mosse il primo passo verso di lei. Cara si riempì i polmoni, sentendo che dietro di lei non vi era altro che la parete. Incontrò gli occhi di lui

“Avrei preferito la pistola.”

Sarcasmo. Inappropriato, agitato sarcasmo. Le parole le uscirono di getto, spaventata e allo stesso irritata all’idea di dover essere necessariamente fatta a pezzi.

Lui sfoderò un sorriso a labbra strette, altrettanto fuori luogo.

Cara poggiò i palmi alla parete e mosse di fretta gli occhi, cercando di individuare qualsiasi porta, uscita o arma disponibile nel suo campo visivo. Si gettò velocemente verso destra, ma lui non ne sembrò sorpreso. Joseph la seguì con lo sguardo e si avvicinò ancora un po’, trovando immensamente divertenti i suoi tentativi di fuga.

Cara si morse le labbra per riuscire a trattenersi dall’immensa voglia di chiedere cosa cavolo avesse da ridere. Di nuovo si mosse di scatto, infilandosi dietro la prima porta disponibile. La sbatté forte cercando immediatamente la chiave da girare, ma non la trovò. Sollevando gli occhi al cielo decise di spalmarsi contro la porta e utilizzare la sua misera mole per tenerlo fuori.

“Perché vuoi rendere le cose più difficili?”

Lo sentì chiedere dall’altra parte, la sua voce lontana, come se non avesse ancora lasciato il soggiorno. Cara spinse la schiena contro il legno e si guardò attorno. Che stanza era quella? Non troppo grande, una sola piccola finestra chiusa, lunghe pareti completamente occupate da librerie, file e file di volumi perfettamente ordinati, due poltrone ed un tavolino da fumo per terminare l’arredamento.

L’assassino amava leggere, a quanto pare.

Cara sospirò di fronte all’inevitabile realtà, non c’erano mobili che potesse spostare per bloccare l’entrata. Lentamente si scostò dalla porta e raggiunse il centro della stanza. In altre circostanze avrebbe adorato poter passare il dito su quella lunga serie di copertine, apprezzando l’odore di carta e cultura. Non era mai stata una grande studentessa, tuttavia c’erano storie che aveva letto e mai dimenticato. Tragedie per lo più.

La maniglia si abbassò piano e lei ruotò adagio verso la soglia. Joseph le comparve dinanzi senza fretta, tenendo tra le mani il pugnale e qualcos’altro, una specie di groviglio di corda e… Cara socchiuse le palpebre per mettere meglio a fuoco, corda e nastro adesivo, spesso e scuro.

Bene. Ha in mente di legarmi prima.

Lui lasciò cadere a terra il rotolo di nastro e prese a far scorrere la corda tra le dita.

“Non ho mai detto che il coltello fosse per te.”

Precisò, usando la lama per tagliare la giusta misura di fune. Cara sollevò gli occhi nei suoi, ancora una volta incerta su cosa stesse per succederle. Istintivamente indietreggiò, finendo per inciampare in una delle poltrone. Maldestramente riprese l’equilibrio e mosse lo sguardo per capire quale fosse le sua posizione.

“Mettiti pure comoda.”

Aggiunse lui facendosi più vicino. La sua voce ed il suo viso non lasciavano trasparire umana emozione.

Cara rimase in piedi.

“Siediti.”

Insistette Joseph. Chiaramente non era un invito di cortesia.

Lei mandò giù il magone che le impegnava la gola. Le lunghe ciglia le tremavano appena, ma rimase con gli occhi incollati ai suoi per tutto il tempo, cercando la poltrona dietro di sé. Sentendo la pelle fredda della seduta dietro i polpacci, cercò i braccioli con la punta delle dita e lentamente, molto lentamente, si accomodò.

Joseph sembrò annuire. A piccoli passi raggiunse la seduta e poggiò il pugnale sul tavolo, prendendosi una breve pausa per ordinare i pensieri.

Cara non poté non fissare la lama abbandonata sul legno. 

“Non.. Non vuoi uccidermi?”

Domandò. Lui strinse più forte la corda che aveva in mano, la sua espressione si fece ancor più scura

“Voglio.”

Rispose tornando a guardare la ragazza

“Voglio davvero ucciderti. Probabilmente non ho mai desiderato tanto uccidere qualcuno.”

Cara strinse la presa attorno ai braccioli, attraversata dal freddo della sua voce composta. Lui le si pose dritto davanti, incombente come un vero lupo di fronte alla preda

“Ma c’è qualcosa…”

Joseph abbassò lo sguardo su di lei

“…Qualche strana, incomprensibile ragione che mi impedisce di farlo.”

Era semi-perso nei suoi pensieri, cercando di definire le fastidiose sensazioni che gli ribollivano dentro. Non riusciva a comprendere e, se già ciò non fosse abbastanza irritante, le sue presunte emozioni gli stavano impedendo di prendere la decisione più saggia. Saggia, necessaria ed apparentemente, anche più semplice.

 

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Nathaniel si spinse in strada sbuffando, ormai il suo umore e la sua giornata erano ufficialmente rovinati. Stupido Joseph. Un idiota rincoglionito succube dei suoi ormoni impazziti. Ok, a scanso di equivoci anche lui era solito apprezzare le belle donne, ma questo era decisamente troppo. Per i Michaelson le donne non sono altro che un corpo caldo da riempire e rivoltare, questa è una regola. Una regola. Non bastava Elia a sbavare dietro quella stronza di una russa? Adesso doveva cominciare anche lui? E per chi poi? Per una bionda qualunque piovuta dal cielo?

Scosse la testa. Il nuovo passatempo di suo fratello gli dava decisamente sui nervi. La ragazza aveva il viso d’angelo e di certo s’impegnava al massimo per sembrare una fragile creatura indifesa, ma l’idea che sotto sotto nascondesse qualcosa continuava a serpeggiare nella mente di Nate. Il modo in cui lei aveva risposto al suo sguardo quando erano da soli. Lo sdegno che non aveva minimamente nascosto mentre Joseph non guardava. Il velo d’arroganza nei suoi grandi occhioni blu... Mmmh… Doveva essere tolta di mezzo, il prima possibile.

Uno scricchiolio improvviso lo rimise sull’attenti. Nathaniel si irrigidì in mezzo alla strada, guardando rapidamente a destra e sinistra. Nulla. Assolutamente nulla. Raggiunse inconsapevolmente il calcio della pistola con la mano, tutti i suoi sensi allertati dalla netta sensazione di essere osservato. Scrutò a fondo i dintorni, ma non colse segno percettibile di presenza umana.

Quel silenzio pastoso non prometteva nulla di buono. Meglio sparire in fretta.

 

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 “Voglio davvero ucciderti. Probabilmente non ho mai desiderato tanto uccidere qualcuno… Ma c’è qualcosa… Qualche strana, incomprensibile ragione che mi impedisce di farlo.”

Cara sentì netta la tensione che la risaliva, dalla punta dei piedi fino ai capelli. Lui le era vicino, rischiosamente vicino. Il doppio pericolo di quella situazione imbottiva l’ormai minimo spazio tra loro. All’assassino sarebbe bastato allungare le mani per immobilizzarla o, peggio, strangolarla con la sua corda. A Cara sarebbe bastato allungare le mani per toccarlo ancora una volta, prospettiva per lei ancor più terrificante. Il ricordo del suo peso addosso era ancora ben chiaro, spalmato sulla sua pelle come una specie di elisir stupefacente. Era attratta dal suo assassino, attratta dal nemico. Peccato mortale.

Decise di spezzare l’impasse

“Quale…”

Scivolò appena sulla poltrona

“…Quale ragione?”

Domandò sottovoce.

Joseph inspirò profondamente, curvando piano la schiena fintanto che i loro occhi furono alla stessa altezza. Poggiò i palmi sui braccioli, ad un millimetro dalle sue mani.

“I tuoi occhi.”

Rispose, penetrando adagio nelle sue pupille dilatate dall’agitazione e dall’onda d’emozione improvvisa. Cara avrebbe voluto distogliere lo sguardo, ma non le riuscì.

“Non solo il colore…”

Riprese lui, scrutandola con impegno, affascinato dalle contrazioni involontarie delle sue iridi.

“…Hanno qualcosa… E’ come se stessero per rompersi.”

Lei sussultò appena

“Rompersi?”

Sussurrò. Di certo aveva scelto un termine piuttosto insolito per descrivere gli occhi di qualcuno.

Joseph inclinò appena la testa

“Come se avessi qualcosa dentro che preme per uscire. Come se fossi costantemente sul punto di esplodere.”

Cara sbatté più volte le palpebre, cercando di cancellare qualsiasi cosa lui stesse leggendo sulle sue cornee. Tanta minuziosa attenzione la rendeva nervosa, ma allo stesso tempo accarezzava la parte più presuntuosa e seduttiva della sua psiche.

“Che cosa vedi?”

Joseph sollevò appena l’angolo destro delle sue rosee labbra carnose, genuinamente intrigato dalla sua sfida

“Riconosco l’infelicità quando me la trovo davanti, ma non è solo questo…”

Si spinse ancor più vicino, lasciando nulla più che una manciata di centimetri tra i loro nasi

“…Dimmi Cara Phillis.. Qual è il tuo mistero?”

Lei socchiuse le labbra, il suo calore e la scia del suo respiro lento le arrivavano addosso

“Se te lo dico poi vorrai uccidermi davvero.”

Joseph sollevò il sopracciglio. La ragazzina dell’aereo stava forse flirtando con lui? Il rosso dipinto sulle sue guance lo accese come una miccia ancora una volta.

“Qual è il tuo piano allora…”

Si leccò le labbra arrivando a pochi millimetri da lei

“…Preferisci restare mia prigioniera per tutta la vita?”

Cara non disse nulla, ma strinse i braccioli con tutta la forza, respingendo l’urgenza di baciare quella bocca. Se fosse stato l’assassino a cedere per primo bene, avrebbe potuto incolpare lui e le circostanze ancora una volta, ma lei no, lei non poteva arrendersi.

Lasciando in vita quel bacio sospeso Joseph spostò le mani sulle sue e si lasciò cadere piano sulle ginocchia. Il suo viso adesso era più lontano, ma le sue dita erano pronte a riprendere il controllo della situazione. Lasciò girare la corda attorno al polso sinistro di Cara e strinse, spegnendo sul nascere il suo tentativo di ribellione. Lentamente raggiunse anche l’altro polso e lo legò assieme al primo, così che non potesse più muoversi.

 

Cara strattonò la corda cercando di produrre una qualche parola di senso compiuto. Le sue fauci erano completamente asciutte e nulla più ne venne fuori che una specie di infantile lallazione. Conosceva fin troppo bene quello sguardo negli occhi dell’assassino.

Prendendo per tacito consenso il suo silenzio, Joseph decise di trarre il massimo piacere dalla sua posizione di carceriere. Poggiò le mani sulle ginocchia di Cara e le lasciò scivolare giù, fino alle caviglie. Risalì poi lento e, con un gesto secco, la costrinse ad aprire le gambe, trovando posto in quel nuovo spazio. Le sue labbra si posarono subito sulla sua coscia destra, all’altezza della piega col ginocchio, lasciando il primo di una lunga serie di umidi baci.

Cara chiuse gli occhi sentendolo risalire verso il centro, il suo centro già in fiamme. Avrebbe dovuto scacciarlo, stringere e scalciare, ma l’eccitazione di quel momento stava sconvolgendo ogni pensiero razionale. Si lasciò sfuggire il suono a metà tra sospiro e gemito… Ancora una volta, meglio questo che farsi uccidere, giusto?

Joseph indugiò sulla sua pelle candida per sentirla tremare ancora un po’, mordendola appena per rubarle un altro gemito. L’avrebbe davvero volentieri tenuta lì, così, bagnata ed inerme per sempre.

 

Una specie di tonfo sordo proveniente dal piano di sotto interruppe la magia. L’assassino si ritrasse provando a riconoscere le vibrazioni nelle sue orecchie. Si tirò su di colpo cercando nell’orologio appeso alla parte un punto di riferimento temporale. Troppo tempo era passato da che Nathaniel aveva lasciato l’appartamento. Troppo tempo.

Aggrottò le sopracciglia e buttò un’occhiata a Cara.

“Tu resta qui.”

Raccomandò tornando con fatica alla sua espressione e freddezza di sempre. Uscì dalla stanza e si sbatté la porta dietro. Lo scatto della serratura costrinse Cara a corrugare la fronte e balzare in piedi. Afferrò la maniglia con qualche difficoltà, ma trovò la porta irrimediabilmente chiusa. Ma dove cavolo era la chiave quando serviva a lei?

Ancora una volta si ritrovò con la schiena contro l’infisso e sospirò. Stava per farlo, di nuovo. Sesso con l’assassino. Quella storia doveva finire, il prima possibile. Doveva trovare il modo di venirne fuori.

Sollevando lo sguardo trovò risposta alle sue preghiere. Nella fretta Joseph aveva dimenticato il suo pugnale sul tavolino. Sospirando, per una volta di sollievo, Cara si precipitò verso il mobile, più che pronta ad utilizzare la lama per liberarsi, innanzitutto della corda e poi, eventualmente, anche del suo rapitore.

 

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Xavier, intento ad impilare casse di liquori, sentì ancora una volta il ticchettio della porta del locale e ripeté la sua battuta d’esordio

“Siamo chiusi!”

Ottenendo nulla più che silenzio in risposta, lasciò la dispensa e si affacciò nella sala. I due corpulenti sconosciuti appena entrati se ne stavano in piedi di fronte al bancone, con i piedi solidamente piantati a terra.

Il barista tese i muscoli e si sforzò di sfoderare un’espressione cortese

“Apriamo tra un paio d’ore.”

Uno dei due, capelli biondi e lineamenti spigolosi, allentò la cinta dell’impermeabile

“Non siamo qui per bere…”

Esordì col suo accento spiccatamente russo

“…Dove è il lupo?”

Xavier si fece serio

“Siete male informati ragazzi. Il lupo è morto.”

L’altro intruso, grosso e moro, se ne uscì in una risata glaciale, mostrando senza preamboli la sua pistola. Il tizio dai capelli biondi insistette

“Ti consiglio di parlare. Subito.”

Xavier indietreggiò, scattando verso la dispensa per prendere le sue armi. Gli altri gli furono subito dietro e la breve colluttazione si concluse con qualche cassa rovesciata a terra ed il barista in ginocchio in un angolo.

“Parla.”

Ordinò lo sconosciuto sovietico, afferrando Xavier per la nuca così che la sua fronte fosse dritta al buco della pistola. Il ragazzo mandò giù il sapore di sangue e strinse i pugni. Il rapporto che lo legava a Joseph era più che un semplice contratto di collaborazione, era un’amicizia, una sincera amicizia che lo spingeva alla più solida lealtà. Non avrebbe barattato la sua vita con quella del lupo, anche perché, a giudicare dalle facce che aveva di fronte, c’era ben poco da barattare.

“Dove è??”

Gridò il russo dai capelli chiari, stringendo la presa ancora più forte. Xavier lo guardò dritto nelle pupille

“Va’ all’inferno bastardo.”

L’altro non si scompose di un millimetro anzi, accennò un sorriso compiaciuto. Con un gesto della mano invitò il suo complice a venire avanti e quest’ultimo, presa sicura e faccia di cera, piantò la pistola dritto in mezzo agli occhi del giovane barista.

 

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Joseph guardò fuori dalla finestra del soggiorno. Nulla sembrava fuori posto eppure era certo che qualcosa non andasse. Nathaniel doveva già essere lì e tutto doveva esser pronto per sparire. Con Pushkin non c’era da scherzare, ogni momento era fondamentale.

Il suono netto dello sparo lo colpì alle orecchie come un cazzotto. Tutti i suoi recettori risposero alla stimolo simultaneamente e l’istinto del pericolo lo drizzò come fil di ferro. Corse ad afferrare il coltello nella valigetta e si piazzò davanti alla porta dell’appartamento. Doveva essere rapido e silenzioso. Voltare a sinistra il più in fretta possibile, raggiungere la scala d’emergenza e correre fuori. Contrasse la mandibola e chiuse gli occhi per un momento, accarezzato dall’eco dello sparo. Xavier… Nathaniel… Chi c’era lì sotto? Per chi era quella pallottola?

Aprì la porta senza produrre suoni e si riempì i polmoni, pronto a trattenere i fiato e fuggire.

Non appena il pianerottolo si aprì davanti ai suoi occhi, anche le due losche figure gli riempirono la vista, ancora forti dell’adrenalina post-omicidio a sangue freddo.

“Dobryj vecher Lupo.”

Il biondo si prese la briga di salutare nella sua lingua madre, sventolandogli davanti una pistola. Joseph raccolse il saluto e sentì la carica salire, come fosse sul punto di mutare. L’assassino letale si stava risvegliando. Contraendo tutti i muscoli, privo di vero timore, Joseph si scagliò contro il primo russo, brandendo il coltello verso la giugulare. L’altro non si sforzò troppo, schivò appena il colpo e si lasciò sbattere al muro dalla forza del lupo, piantandosi tra lui e la parete con un botto secco.

Joseph lesse immediatamente le sue intenzioni, ma non ebbe il tempo materiale di reagire al secondo agguato da dietro. Il sovietico dai capelli scuri gli piantò un grosso ago nel collo e spinse nel suo sistema il liquido giallastro.

L’assassino si sentì invaso da un insopportabile calore improvviso e lasciò presto cadere il pugnale, incapace di reagire mentre il più grosso dei due lo trascinava dentro. Sembrava che le sue membra non rispondessero più ai comandi.

Una volta sbattuto sul divano come un sacco inerme, il biondo gli si parò davanti

“Miorilassante.”

Joseph imprecò nella sua testa contro tutti i santi che conosceva, il suo corpo era allenato ai farmaci, ma non a simili dosi. Sarebbe stato fuori gioco per un po’, giusto il tempo di smaltire il grosso della tossina.. e farsi massacrare dagli uomini di Pushkin.

“Non avete ancora imparato di non scherzare con mio signore.”

Esordì il tizio dai lineamenti spigolosi

“Voi avete preso Katrina…”

Continuò spostandosi sulla destra per lasciar spazio al compagno

“…Noi ci prenderemo te. E tuoi fratelli.”  

Il sovietico moro venne avanti caricando il colpo e scaricò un potente gancio destro sulla faccia di Joseph. Lui raccolse abbastanza forze per non cadere sul fianco, sputando sangue e saliva contro il suo aggressore. L’altro sorrise, aveva appena cominciato.

 

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Cara smise di roteare i polsi liberi non appena si accorse del trambusto fuori dalla sua stanza. Silenziosamente poggiò l’orecchio alla porta ed ascoltò la voce degli intrusi.

Criminali. Altri criminali. Russi. Crudeli.

Se ne stette lì, immobile contro il legno, presa d’improvviso dalla spirale dei ricordi. Il pericolo, la necessità di restare nascosta, il bisogno di trattenere il respiro per salvarsi la vita… Erano tutte sensazioni che aveva già sperimentato nella sua vita, ancora capaci di farla sentire una bambina indifesa. Quasi riusciva ad immaginarsi ancora dentro quel piccolo bagno immacolato.

Dai colpi era chiaro che stavano massacrando di botte Joseph. Al suono di ogni pugno Cara chiudeva gli occhi ed ammirava la forza e la leggerezza con cui incassava il dolore. Doveva davvero esserci abituato.

Il suo istinto alla compassione fu presto zittito dal fastidioso accento sovietico di uno degli uomini presenti.

Lo chiamavano Lupo.

E stavano cercando una certa Katrina.

Katrina.

Cara si spalmò completamente sulla porta e cercò di capire dove quella conversazione a senso unico volesse parare.

Lo scatto della sicura di una pistola rese chiare le intenzioni dei russi. Volevano uccidere l’assassino. Il suo assassino.

Cara strinse le dita attorno all’impugnatura del coltello di Joseph e poggiò l’altra mano sulla maniglia. La porta era chiusa, gli uomini ignoravano la sua presenza, se non avesse fatto alcun rumore probabilmente l’avrebbe scampata. Stavolta come allora. Purtroppo o per fortuna però, c’era una donna nuova e forte dentro la stanza, non più una bambina spaventata.

Respirò a fondo per tre volte, spingendo il diaframma in avanti, cercando di incamerare più ossigeno possibile.

Era finalmente tempo di fare i conti col passato.

 

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“Tu oggi muori Lupo.”

Sentenziò il biondo, ancora algido ed impettito nonostante la resistenza di Joseph alle loro torture. Poco importa che il bastardo non volesse parlare. Uno di meno sulla lista. Vladimijr ne sarebbe di certo stato contento e lui non aveva altra missione che rendere fiero il proprio signore.

Joseph rimase impassibile, fissando il bestione che gli puntava la pistola dritta in fronte. I suoi muscoli intorpiditi cominciavano a rispondere, se fosse riuscito a guadagnare qualche altro minuto avrebbe potuto ribaltare la situazione.

Lo scatto della sicura gli fece temere che non ci fosse più tempo.

Così finisce il Lupo, con una pallottola in fronte per colpa di una maledetta troia sovietica. Oh Elia, avrai il mio nome sulla coscienza per molto, molto tempo, almeno finché non faranno a pezzi anche te.

 

“Aiuto!”

La voce di donna, accompagnata da colpi disordinati contro la porta, costrinse il tizio ad interrompere la spinta dell’indice sul grilletto. Vistosamente spaesato rivolse lo sguardo al suo complice, ancora immobile con i timpani tesi verso la voce femminile.

“Aprite! Aprite! Fatemi uscire!”

Il russo biondo afferrò Joseph per la mandibola, spingendo forte il pollice contro la guancia tumefatta

“Chi è?”

L’assassino guardò al cielo indeciso. Doveva ringraziarla o assicurarsi che facesse una fine degna della sua stupidità? Possibile che fosse tanto sciocca da farsi scoprire e, peggio ancora, pensare che due animali a sangue freddo come quelli l’avrebbero aiutata?

“Nessuno.”

Rispose tra i denti.

Il russo, insoddisfatto, si avvicinò al richiamo della sconosciuta. Di certo non si trattava di Katrina. Meglio aprire e liberarsi anche di questo impiccio.

Tirò fuori la sua pistola, ruotò la chiave nella serratura e spinse la maniglia in un movimento fluido, per nulla scalfito dall’idea di dover aggiungere un ulteriore cadavere alla sua già lunga lista.

Aprì, nessuna tremante figura di donna gli si parò davanti, bensì il vuoto. Corrugò appena le sopracciglia e mosse un passo verso l’interno, senza avvertire il bisogno di puntare l’arma. Grave errore di valutazione.

Dall’angolo Cara gli balzò addosso come un’arpia, stringendo le unghie della mano sinistra al bavero del suo impermeabile ed affondando la lama, stretta a destra, dritta nella gola del russo. Un taglio netto e preciso delle vie respiratorie. Il biondo sovietico cadde in ginocchio, pronunciando nulla più che un rantolo. Già gonfio per la mancanza d’aria, si portò le dita a gola e viso, macchiandosi gli zigomi col suo stesso sangue. Continuando a rantolare, con le sue ultime forze, cercò di afferrare la ragazza sconosciuta che aveva di fronte.

Cara si limitò ad indietreggiare di un passo, lasciando sgocciolare il coltello sul parquet. Alla rabbiosa rassegnazione del russo rispose con un sorriso, un angelico sorriso compiaciuto.

Joseph riuscì finalmente a muovere tutte le dita, anche se il resto del corpo rifiutava di tirarsi su e scoprire cosa stesse accadendo nella sua piccola biblioteca. I rumori erano confusi e nessuno aveva ancora sparato né parlato, l’energumeno tantomeno Cara, non che la ragazzina dell’aereo avesse qualche remota chance di sopravvivere.

Peccato averla persa così dopo tutto. Una ragione in più per mettere Pushkin al primo posto tra le sue prossime vittime.

Contro ogni sua possibile supposizione, Cara venne fuori dalla stanza per prima, l’abito sporco di sangue ed il suo pugnale stresso nella mano.

Il suo pugnale.

Joseph si maledì, credendo ancora che il sangue fosse suo e che la ragazza stesse sfilando dritta incontro alla morte.

“Hey!”

Cara richiamò l’attenzione del grosso tizio dai capelli scuri nascondendo l’arma dietro la schiena. Questi si voltò e rimase interdetto alla sua presenza, a giudicare dai lineamenti e dal candore della pelle, la sconosciuta avrebbe quasi potuto essere una di loro. Quasi. Il russo sollevò di nuovo la pistola e ruotò la mira verso di lei, pronto ad eliminarla senza secondi pensieri.

Cara sorrise di nuovo, aguzzando lo sguardo e lanciandosi contro l’avversario col pieno delle sue forze, pronta a far saltare la pistola dalla sua presa con un calcio ben assestato.

Joseph sgranò gli occhi davanti alla scena. Nella sua posizione di semi-paralisi si concesse, per una volta nella vita, di essere totalmente, incredibilmente, infinitamente sorpreso.

Rimase a fissare con attenzione e perplessità il film che andava consumandosi davanti a sé. Non riusciva a capire come fosse possibile.

Cara, con tre o quattro colpi ben assestati, mandò giù al tappeto anche il secondo uomo. Prima che potesse provare a rialzarsi di nuovo, gli piantò un calcio nella nuca e si inginocchiò, pronta a ficcare tutta la lama nel suo torace, sempre senza il minimo segno d’esitazione.

Il russo smise ben presto di contorcersi ed agonizzare, lasciando Cara immobile, in piedi accanto al suo cadavere. Lei se ne stette lì a riprendere fiato, il torace su e giù in lenti movimenti, mentre il dolore dei colpi presi iniziava a scemare.

Joseph si irrigidì contro il divano, cercando immediatamente di muovere quanti più muscoli possibile. Ennesimo tentativo inutile. Le sue gambe non avevano intenzione di camminare.

Cara si voltò verso di lui sentendolo muovere. I capelli scompigliati nascondevano i futuri lividi sul suo viso. Venne avanti saltando il corpo e raccolse lentamente la pistola della sua vittima, accovacciandosi e tornando su per guardare ancora l’assassino, gli occhi di lui appena più aperti del normale e le sopracciglia ravvicinate per l’espressione confusa.

Joseph mosse finalmente le braccia, ma non riuscì comunque a tirarsi su. L’incredulità del momento non gli permetteva di affilare pensieri logici.

La ragazzina dell’aereo aveva davvero ucciso i due scagnozzi di Pushkin!? Così, come se nulla fosse?

“Aiutami.”

Le chiese. In fin dei conti era in debito con lui, giusto? Sia che fosse una ragazzina innocente che una specie di Mr Hyde al femminile.

Cara sorrise con un sospiro, la fatica stava lentamente scomparendo, rimpiazzata da una nuova scarica di adrenalina. Lasciò roteare la pistola nella mano guardando il pavimento per qualche secondo

“In realtà…”

Esordì

“…Non credo di poterlo fare.”

Joseph sollevò il mento diventando una specie di blocco di marmo, i pugni stretti a tentare ancora una volta di rimettersi in piedi.

“Che vuoi fare allora?”

Domandò con voce bassa. Gli occhi puntanti sull’arma in suo possesso.

Cara inspirò fino a riempirsi lo sterno, sollevò piano la pistola all’altezza degli occhi di Joseph, la tenne dritta di fronte a sé e buttò fuori l’aria

“Credo che ti ucciderò… Lupo.”

Finalmente in grado di guardarla in viso, fu come scoprire una nuova persona, come se nuovi lineamenti si fossero mostrati sul viso della sua angelica ragazzina, come se un’anima nuova l’avesse abitata di colpo.

Un sorriso genuino, un sorriso compiaciuto, soddisfatto, cattivo.

Quella non era la ragazza maldestra che aveva salvato dall’aereo, il suo non era un mero tentativo di liberarsi e quello non era il colpo di fortuna e ribellione di un ostaggio. Il modo in cui si era mossa, forte e precisa, colpendo quei tizi solo nei punti giusti… Il modo in cui impugnava la pistola, braccia ferme, ginocchia leggermente piegate, gambe divaricate… La posizione di chi sa come si spara, la sicurezza di chi ha già sparato altre mille volte… La luce nei suoi occhi, divenuti di colpo blu come la notte, il sorrisetto difficile da tenere a freno, la completa mancanza di incertezze.

Il cuore gli si fermò nel petto.

Aveva addosso lo sguardo di un killer.

“Chi sei tu?”

 

 

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Et Voilà! Per caso non si è capito nulla alla fine di questo capitolo? Non so se sia un bene oppure un male a questo punto, comunque vi assicuro che darò un senso a tutto!

Questo è il punto di svolta che attendevo sin dall’inizio. Voi che ne pensate? Largo spazio alle vostre ipotesi!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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