Ciaoooo!
Questo capitolo era in sospeso da un po’, ma sto avendo uno dei mesi più
incasinati della mia vita! Oggi ho così deciso di mollare tutto il resto,
starmene a casa in pigiama e finirlo una volta per tutte.
Vi
ringrazio come sempre! Siete la mia motivazione e la mia costanza!
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Avevano raggiunto il centro
della città in macchina. Adesso era chiaro anche a Cara che si trovavano a New
Orleans, era riuscita facilmente a riconoscerla, benché fosse premuta
all’angolo del sedile posteriore della berlina scura, il più lontano possibile dal
sorrisetto psicotico di Nathaniel.
Scesi in una via qualsiasi,
Joseph aveva abbandonato l’auto per primo, sicuro che suo fratello avrebbe
provveduto alla ragazza. L’idea che le tenesse le mani addosso, quasi sbavando
all’idea di farle del male, era piuttosto fastidiosa, pertanto aveva deciso di
restare almeno quattro o cinque passi avanti a loro. Non guardare gli avrebbe
consentito di rimanere lucido.
Dopo una breve camminata per
la strada deserta si trovarono faccia a faccia con un anonimo palazzo di mattoni
rossicci. Al primo piano l’insegna spenta indicava la presenza di uno jazz bar,
lo Sweet Lorraine. Appeso alla
vetrina dondolava un cartello rosso con la grande scritta CLOSED in bianco.
Joseph spinse comunque sulla
porta e questa gli si aprì davanti senza resistenze. Entrò tranquillo e
spigliato come fosse a casa sua. Bé, tecnicamente quel posto era davvero casa
sua. Nathaniel lo seguì in silenzio strattonando Cara e tenendole la mano
libera premuta sulla bocca. Non si sa mai che avesse la stupida idea di urlare
e farsi uccidere in mezzo alla strada.
Non appena la porta si
richiuse con un breve ticchettio metallico, una voce di uomo li accolse da
lontano
“Siamo chiusi!”
Joseph sembrò non farci
nemmeno caso, raggiunse il retro del lungo bancone in legno e si versò
un’abbondante dose di bourbon.
Dal retro del locale venne
fuori questo tizio, lo stesso che aveva parlato poco prima. Era un ragazzo
piuttosto alto, dal fisico scolpito e dalla pelle ambrata, probabilmente frutto
di una benedetta unione genetica tra bianco e nero.
“Hey, ho detto che siamo…”
Il suo sguardo torvo si
sciolse in un sorriso
“Joseph!”
L’assassino ricambiò l’espressione,
abbandonando il bicchiere per raggiungere il ragazzo. Scambiarono una specie di
stretta segreta da confraternita, concludendo con un amichevole reciproca pacca
sulla spalla.
“Si vociferava che avessi
tirato le cuoia amico!”
“Così si dice.”
Il ragazzo sbottonò
velocemente il bottone più alto della sua camicia bianca e si abbassò per tirar
fuori una bottiglia dalla dispensa.
“L’occasione merita qualcosa
di speciale.”
Allineando sul bancone tre
piccoli bicchieri di vetro da shot, rivolse finalmente l’attenzione alle altre
due presenze nel locale. Sollevò la bottiglia a mo’ di saluto, accompagnando il
gesto con un cenno della testa
“Nathaniel…”
Riempì i bicchierini e posò
i suoi grandi occhi scuri su Cara
“…Uno anche per la vostra
ospite?”
Il giovane Michaelson
avvicinò la bocca all’orecchio sinistro della ragazza
“Che ne dici tesoro, vuoi
farti un goccetto prima del tuo ultimo desiderio?”
Cara non poteva rispondere
perché il palmo di lui era ancora saldamente spalmato sulla sua faccia. Si
limitò a guardarlo, stavolta più con sdegno che non paura.
Nathaniel ridacchiò prima di
spingerla con forza all’angolo della stanza accanto al bancone. Le puntò
l’indice dritto in viso
“Se provi a muoverti o a
strillare ti farò soffrire il doppio.”
Lei abbassò gli occhi senza
rispondere, massaggiando la spalla che aveva sbattuto contro il muro a
mattoncini. Joseph le lanciò un’occhiata veloce. Doveva restare calmo. Freddo e
razionale.
Mandarono giù un altro paio
di shottini lodando, di tanto in tanto, l’amabilità del liquore invecchiato ben
trentacinque anni. Il barista spostò qualche bottiglia dalla mensola più alta
ed aprì una specie di cassettino nel muro, fermamente serrato. Ne svelò il
contenuto porgendo a Joseph due chiavi attaccate ad un cerchietto di metallo.
“Eccoti le chiavi
dell’appartamento. Lo troverai esattamente come l’hai lasciato.”
Joseph le strinse nella mano
con un mezzo sorriso
“Grazie Xavier.”
Cara era rimasta nell’angolo
ad osservare la scena in silenzio, lasciandosi distrarre per qualche secondo
dall’atmosfera del posto. I muri in pietra naturale circondavano la piccola
sala in parquet lucido, il soffitto aveva la volta a botte ed il grande
lampadario di cristalli al centro, tocco elegante benché azzardato, illuminava
i piccoli tavoli di legno. All’altro capo della stanza c’era poi il palco, con
sopra due sgabelli con l’imbottitura rossa e qualche bottiglia vuota abbandonata.
Non poté non immaginare un’improvvisata jam session, il suono sinuoso dei
sassofoni e l’intensa puzza di sigari e fumo.
“Muoviti bambolina.”
Nathaniel l’afferrò per il
braccio, riportandola alla realtà con un brivido di freddo. Ancora una volta
Joseph guidò la marcia tenendosi avanti al gruppo, attraversando il retro del
locale fino ad aprire la stretta porta in fondo che dava su una rampa di scale.
Salirono almeno trenta gradini nella polvere prima di arrivare al grosso
portone in cima. L’assassino sbloccò le due serrature con le chiavi che gli
aveva dato Xavier ed entrò, aspettandoli al di là della soglia.
L’ambiente all’interno era
diverso da ciò che Cara si sarebbe aspettata, di certo completamente in
antitesi all’apparenza trasandata del palazzo e all’atmosfera jazz del bar al
piano di sotto. L’entrata apriva infatti su un salotto con i divani bianchi
dallo stile moderno, il tutto ovattato dalla semioscurità.
“Casa dolce casa, eh?”
Esordì Nathaniel spingendola
dentro ed accomodandosi su uno dei cuscini. Joseph richiuse a chiave la porta.
Quello era il suo appartamento. Solo suo. L’unico posto in cui potesse starsene
beato in solitudine. Il fatto che si trovasse sopra il club lo rendeva
abbastanza anonimo, potendo sempre contare sul controllo e la discrezione di
Xavier. In cambio, i Michaelson garantivano ordine e protezione per il suo
locale.
“Non metterti troppo comodo,
siamo solo di passaggio.”
L’altro sospirò incrociando
i piedi sul tavolino
“Esatto. Prendi le armi,
uccidi la ragazza, fuggi più veloce della luce.”
L’assassino sparì dietro una
delle porte, lasciando Cara in piedi al centro della stanza, vittima delle
fantasie sadiche di Nate. Lei se ne stava lì, senza muoversi, non aveva più
detto una parola da quando avevano lasciato il vecchio hotel.
“Che succede bambolina? Non
vuoi nemmeno provare a pregarmi un po’?”
Cara si strinse nelle
braccia
“Servirebbe a qualcosa?”
Lui sfoderò un ghigno
compiaciuto. Se non fosse stato per la crudeltà che emanava a fiotti da ogni
poro, lo si sarebbe davvero potuto definire un gran bel ragazzo.
“Intelligente. Ottima
qualità. Sopravvalutata nelle donne comunque.”
Ecco, se non fosse stato per
la crudeltà e per l’ostentato presuntuoso maschilismo congenito. Cara non
trattenne un chiaro suono di disgusto. Nathaniel allora aggrottò le
sopracciglia e lasciò la sua comoda posizione per venirle vicino. Strinse gli
occhi come se la stesse scrutando a fondo
“Dimmi. Com’è che riservi i
modi da gattina in calore solo a mio fratello?”
Cara incrociò i suoi occhi
scuri e deglutì, facendosi indietro di un passo. Nello stesso momento Joseph
riapparve con una specie di valigia in mano, interrompendo sul nascere
l’indagine dell’altro Michaelson.
L’assassino aprì la
valigetta e guardò con ammirazione i due pugnali che vi riposavano dentro,
avvolti nel velluto blu. Uno era più lungo, dalla lama affusolata ed appuntita,
l’altro più piccolo, con la lama tonda e l’impugnatura in pelle nera.
“Qualcosa di più pratico
magari?”
Nathaniel gli era già
vicino. Joseph rimase a fissare le sue due armi preferite, già compagne di tante
missioni e testimoni di altrettante morti. Suo fratello non avrebbe mai capito.
“Tu puoi prendere una delle
pistole.”
L’altro annuì soddisfatto e
si mosse verso il mobile alla sua destra, aprendo un cassetto e scoprendo una
ricca collezione di semiautomatiche. Le scorse tutte passando sul metallo con
la punta delle dita ed infine optò per la Desert Eagle. Non era una novità.
Quel pistolone da quasi due chili era senza dubbio il suo preferito,
soprattutto dopo aver visto Bill sparare a Beatrix con la stessa identica arma.
Ah, Tarantino, un vero genio.
Calibrò il peso della
pistola nella mano e, dopo aver fatto scattare la sicura, la puntò dritta verso
Cara. Lei divenne una statua di marmo.
“Ora puoi andare Nate.”
Ancora una volta la voce
provvidenziale di Joseph. L’altro ruotò la testa verso il fratello
“Prego?”
Joseph se ne stava di spalle
alla scena, passando delicatamente la pelle di daino sui suoi pugnali. Non
aveva bisogno di guardare per sapere cosa esattamente si stava svolgendo dietro
di lui.
“L’auto ha bisogno del
pieno. Vuoi pensarci tu?”
Aggiunse con tono
distaccato. Nathaniel strinse le labbra in una linea sottile, spostando
velocemente il tono del suo umore da euforico a irritato.
“Ma fai sul serio?!”
Finalmente Joseph interruppe
la sia mansione e si voltò, serio ed impassibile. Nate abbassò il braccio ed
alzò il tono della voce
“Sei davvero rimbecillito
fratello? Guardala…”
Sollevò di nuovo la pistola
per indicare Cara
“…E’ solo una troietta
qualsiasi!”
Joseph sbatté le palpebre
lentamente, avanzando a lunghi passi verso Nathaniel
“Lasciaci. Fratello.”
Scandì una volta arrivato a
pochi centimetri dal suo consanguineo. Nate, in risposta, gli lanciò una chiara
occhiata di sfida. Adesso, ufficialmente, moriva dalla voglia di uccidere la
ragazza. La guardò con la coda dell’occhio per un paio di secondi
“Non mi fido di lei.”
Joseph espirò rumorosamente,
tornando sui suoi passi per afferrare uno dei pugnali, quello dalla lama lunga
ed affusolata.
“Ci penso io. Tu torna a
prendermi tra quindici minuti.”
Nathaniel lasciò cadere gli
occhi sulla lama, ammirando la leggiadria con cui ruotava tra le dita del
fratello, come fosse un pennello nella mano di un pittore pronto a creare un
nuovo capolavoro. Protrasse le labbra cercando di trattenere il primo istinto
di rabbia, resistendo alla tentazione di spararle un colpo in fronte e farla
finita, fosse anche solo per far dispetto a Joseph.
“Bene…”
Concluse, sollevando il golf
blu per piantare la pistola dietro l’orlo dei pantaloni. Di nuovo guardò Cara
“…Ma quando torno voglio
vedere il suo sangue. Molto sangue.”
Precisò e prese la porta.
Joseph scosse il capo in
silenzio, perso nei suoi pensieri per qualche secondo. Sollevò piano il
coltello e sospirò, rivolgendo finalmente gli occhi a Cara. Lei, vicina al
muro, resettò immediatamente l’impulso di ringraziarlo. Le sue pupille si
persero, accecate dal riflesso della luce sulla lama.
L’assassino sembrò guardarsi
brevemente intorno, poi mosse il primo passo verso di lei. Cara si riempì i
polmoni, sentendo che dietro di lei non vi era altro che la parete. Incontrò
gli occhi di lui
“Avrei preferito la
pistola.”
Sarcasmo. Inappropriato,
agitato sarcasmo. Le parole le uscirono di getto, spaventata e allo stesso
irritata all’idea di dover essere necessariamente fatta a pezzi.
Lui sfoderò un sorriso a
labbra strette, altrettanto fuori luogo.
Cara poggiò i palmi alla
parete e mosse di fretta gli occhi, cercando di individuare qualsiasi porta,
uscita o arma disponibile nel suo campo visivo. Si gettò velocemente verso
destra, ma lui non ne sembrò sorpreso. Joseph la seguì con lo sguardo e si
avvicinò ancora un po’, trovando immensamente divertenti i suoi tentativi di
fuga.
Cara si morse le labbra per
riuscire a trattenersi dall’immensa voglia di chiedere cosa cavolo avesse da ridere.
Di nuovo si mosse di scatto, infilandosi dietro la prima porta disponibile. La
sbatté forte cercando immediatamente la chiave da girare, ma non la trovò.
Sollevando gli occhi al cielo decise di spalmarsi contro la porta e utilizzare
la sua misera mole per tenerlo fuori.
“Perché vuoi rendere le cose
più difficili?”
Lo sentì chiedere dall’altra
parte, la sua voce lontana, come se non avesse ancora lasciato il soggiorno.
Cara spinse la schiena contro il legno e si guardò attorno. Che stanza era
quella? Non troppo grande, una sola piccola finestra chiusa, lunghe pareti
completamente occupate da librerie, file e file di volumi perfettamente
ordinati, due poltrone ed un tavolino da fumo per terminare l’arredamento.
L’assassino amava leggere, a
quanto pare.
Cara sospirò di fronte
all’inevitabile realtà, non c’erano mobili che potesse spostare per bloccare
l’entrata. Lentamente si scostò dalla porta e raggiunse il centro della stanza.
In altre circostanze avrebbe adorato poter passare il dito su quella lunga
serie di copertine, apprezzando l’odore di carta e cultura. Non era mai stata
una grande studentessa, tuttavia c’erano storie che aveva letto e mai
dimenticato. Tragedie per lo più.
La maniglia si abbassò piano
e lei ruotò adagio verso la soglia. Joseph le comparve dinanzi senza fretta,
tenendo tra le mani il pugnale e qualcos’altro, una specie di groviglio di corda
e… Cara socchiuse le palpebre per mettere meglio a fuoco, corda e nastro
adesivo, spesso e scuro.
Bene. Ha in mente di legarmi
prima.
Lui lasciò cadere a terra il
rotolo di nastro e prese a far scorrere la corda tra le dita.
“Non ho mai detto che il
coltello fosse per te.”
Precisò, usando la lama per
tagliare la giusta misura di fune. Cara sollevò gli occhi nei suoi, ancora una
volta incerta su cosa stesse per succederle. Istintivamente indietreggiò,
finendo per inciampare in una delle poltrone. Maldestramente riprese
l’equilibrio e mosse lo sguardo per capire quale fosse le sua posizione.
“Mettiti pure comoda.”
Aggiunse lui facendosi più
vicino. La sua voce ed il suo viso non lasciavano trasparire umana emozione.
Cara rimase in piedi.
“Siediti.”
Insistette Joseph.
Chiaramente non era un invito di cortesia.
Lei mandò giù il magone che
le impegnava la gola. Le lunghe ciglia le tremavano appena, ma rimase con gli
occhi incollati ai suoi per tutto il tempo, cercando la poltrona dietro di sé.
Sentendo la pelle fredda della seduta dietro i polpacci, cercò i braccioli con
la punta delle dita e lentamente, molto lentamente, si accomodò.
Joseph sembrò annuire. A
piccoli passi raggiunse la seduta e poggiò il pugnale sul tavolo, prendendosi
una breve pausa per ordinare i pensieri.
Cara non poté non fissare la
lama abbandonata sul legno.
“Non.. Non vuoi uccidermi?”
Domandò. Lui strinse più
forte la corda che aveva in mano, la sua espressione si fece ancor più scura
“Voglio.”
Rispose tornando a guardare
la ragazza
“Voglio davvero ucciderti. Probabilmente
non ho mai desiderato tanto uccidere qualcuno.”
Cara strinse la presa
attorno ai braccioli, attraversata dal freddo della sua voce composta. Lui le
si pose dritto davanti, incombente come un vero lupo di fronte alla preda
“Ma c’è qualcosa…”
Joseph abbassò lo sguardo su
di lei
“…Qualche strana,
incomprensibile ragione che mi impedisce di farlo.”
Era semi-perso nei suoi
pensieri, cercando di definire le fastidiose sensazioni che gli ribollivano
dentro. Non riusciva a comprendere e, se già ciò non fosse abbastanza
irritante, le sue presunte emozioni gli stavano impedendo di prendere la decisione
più saggia. Saggia, necessaria ed apparentemente, anche più semplice.
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Nathaniel si spinse in
strada sbuffando, ormai il suo umore e la sua giornata erano ufficialmente
rovinati. Stupido Joseph. Un idiota rincoglionito succube dei suoi ormoni
impazziti. Ok, a scanso di equivoci anche lui era solito apprezzare le belle
donne, ma questo era decisamente troppo. Per i Michaelson le donne non sono
altro che un corpo caldo da riempire e rivoltare, questa è una regola. Una
regola. Non bastava Elia a sbavare dietro quella stronza di una russa? Adesso
doveva cominciare anche lui? E per chi poi? Per una bionda qualunque piovuta
dal cielo?
Scosse la testa. Il nuovo
passatempo di suo fratello gli dava decisamente sui nervi. La ragazza aveva il
viso d’angelo e di certo s’impegnava al massimo per sembrare una fragile
creatura indifesa, ma l’idea che sotto sotto nascondesse qualcosa continuava a
serpeggiare nella mente di Nate. Il modo in cui lei aveva risposto al suo
sguardo quando erano da soli. Lo sdegno che non aveva minimamente nascosto
mentre Joseph non guardava. Il velo d’arroganza nei suoi grandi occhioni blu...
Mmmh… Doveva essere tolta di mezzo, il prima possibile.
Uno scricchiolio improvviso
lo rimise sull’attenti. Nathaniel si irrigidì in mezzo alla strada, guardando
rapidamente a destra e sinistra. Nulla. Assolutamente nulla. Raggiunse
inconsapevolmente il calcio della pistola con la mano, tutti i suoi sensi
allertati dalla netta sensazione di essere osservato. Scrutò a fondo i
dintorni, ma non colse segno percettibile di presenza umana.
Quel silenzio pastoso non
prometteva nulla di buono. Meglio sparire in fretta.
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“Voglio davvero ucciderti. Probabilmente non
ho mai desiderato tanto uccidere qualcuno… Ma c’è qualcosa… Qualche strana,
incomprensibile ragione che mi impedisce di farlo.”
Cara sentì netta la tensione
che la risaliva, dalla punta dei piedi fino ai capelli. Lui le era vicino,
rischiosamente vicino. Il doppio pericolo di quella situazione imbottiva
l’ormai minimo spazio tra loro. All’assassino sarebbe bastato allungare le mani
per immobilizzarla o, peggio, strangolarla con la sua corda. A Cara sarebbe
bastato allungare le mani per toccarlo ancora una volta, prospettiva per lei
ancor più terrificante. Il ricordo del suo peso addosso era ancora ben chiaro,
spalmato sulla sua pelle come una specie di elisir stupefacente. Era attratta
dal suo assassino, attratta dal nemico. Peccato mortale.
Decise di spezzare l’impasse
“Quale…”
Scivolò appena sulla
poltrona
“…Quale ragione?”
Domandò sottovoce.
Joseph inspirò
profondamente, curvando piano la schiena fintanto che i loro occhi furono alla
stessa altezza. Poggiò i palmi sui braccioli, ad un millimetro dalle sue mani.
“I tuoi occhi.”
Rispose, penetrando adagio
nelle sue pupille dilatate dall’agitazione e dall’onda d’emozione improvvisa.
Cara avrebbe voluto distogliere lo sguardo, ma non le riuscì.
“Non solo il colore…”
Riprese lui, scrutandola con
impegno, affascinato dalle contrazioni involontarie delle sue iridi.
“…Hanno qualcosa… E’ come se
stessero per rompersi.”
Lei sussultò appena
“Rompersi?”
Sussurrò. Di certo aveva
scelto un termine piuttosto insolito per descrivere gli occhi di qualcuno.
Joseph inclinò appena la
testa
“Come se avessi qualcosa
dentro che preme per uscire. Come se fossi costantemente sul punto di
esplodere.”
Cara sbatté più volte le
palpebre, cercando di cancellare qualsiasi cosa lui stesse leggendo sulle sue
cornee. Tanta minuziosa attenzione la rendeva nervosa, ma allo stesso tempo
accarezzava la parte più presuntuosa e seduttiva della sua psiche.
“Che cosa vedi?”
Joseph sollevò appena
l’angolo destro delle sue rosee labbra carnose, genuinamente intrigato dalla
sua sfida
“Riconosco l’infelicità
quando me la trovo davanti, ma non è solo questo…”
Si spinse ancor più vicino,
lasciando nulla più che una manciata di centimetri tra i loro nasi
“…Dimmi Cara Phillis.. Qual
è il tuo mistero?”
Lei socchiuse le labbra, il
suo calore e la scia del suo respiro lento le arrivavano addosso
“Se te lo dico poi vorrai
uccidermi davvero.”
Joseph sollevò il sopracciglio.
La ragazzina dell’aereo stava forse flirtando con lui? Il rosso dipinto sulle
sue guance lo accese come una miccia ancora una volta.
“Qual è il tuo piano
allora…”
Si leccò le labbra arrivando
a pochi millimetri da lei
“…Preferisci restare mia prigioniera
per tutta la vita?”
Cara non disse nulla, ma strinse
i braccioli con tutta la forza, respingendo l’urgenza di baciare quella bocca.
Se fosse stato l’assassino a cedere per primo bene, avrebbe potuto incolpare
lui e le circostanze ancora una volta, ma lei no, lei non poteva arrendersi.
Lasciando in vita quel bacio
sospeso Joseph spostò le mani sulle sue e si lasciò cadere piano sulle
ginocchia. Il suo viso adesso era più lontano, ma le sue dita erano pronte a
riprendere il controllo della situazione. Lasciò girare la corda attorno al
polso sinistro di Cara e strinse, spegnendo sul nascere il suo tentativo di
ribellione. Lentamente raggiunse anche l’altro polso e lo legò assieme al
primo, così che non potesse più muoversi.
Cara strattonò la corda cercando
di produrre una qualche parola di senso compiuto. Le sue fauci erano
completamente asciutte e nulla più ne venne fuori che una specie di infantile
lallazione. Conosceva fin troppo bene quello sguardo negli occhi
dell’assassino.
Prendendo per tacito consenso
il suo silenzio, Joseph decise di trarre il massimo piacere dalla sua posizione
di carceriere. Poggiò le mani sulle ginocchia di Cara e le lasciò scivolare
giù, fino alle caviglie. Risalì poi lento e, con un gesto secco, la costrinse
ad aprire le gambe, trovando posto in quel nuovo spazio. Le sue labbra si
posarono subito sulla sua coscia destra, all’altezza della piega col ginocchio,
lasciando il primo di una lunga serie di umidi baci.
Cara chiuse gli occhi
sentendolo risalire verso il centro, il suo centro già in fiamme. Avrebbe
dovuto scacciarlo, stringere e scalciare, ma l’eccitazione di quel momento
stava sconvolgendo ogni pensiero razionale. Si lasciò sfuggire il suono a metà
tra sospiro e gemito… Ancora una volta, meglio questo che farsi uccidere,
giusto?
Joseph indugiò sulla sua
pelle candida per sentirla tremare ancora un po’, mordendola appena per rubarle
un altro gemito. L’avrebbe davvero volentieri tenuta lì, così, bagnata ed inerme
per sempre.
Una specie di tonfo sordo
proveniente dal piano di sotto interruppe la magia. L’assassino si ritrasse
provando a riconoscere le vibrazioni nelle sue orecchie. Si tirò su di colpo
cercando nell’orologio appeso alla parte un punto di riferimento temporale.
Troppo tempo era passato da che Nathaniel aveva lasciato l’appartamento. Troppo
tempo.
Aggrottò le sopracciglia e
buttò un’occhiata a Cara.
“Tu resta qui.”
Raccomandò tornando con
fatica alla sua espressione e freddezza di sempre. Uscì dalla stanza e si
sbatté la porta dietro. Lo scatto della serratura costrinse Cara a corrugare la
fronte e balzare in piedi. Afferrò la maniglia con qualche difficoltà, ma trovò
la porta irrimediabilmente chiusa. Ma dove cavolo era la chiave quando serviva
a lei?
Ancora una volta si ritrovò
con la schiena contro l’infisso e sospirò. Stava per farlo, di nuovo. Sesso con
l’assassino. Quella storia doveva finire, il prima possibile. Doveva trovare il
modo di venirne fuori.
Sollevando lo sguardo trovò
risposta alle sue preghiere. Nella fretta Joseph aveva dimenticato il suo
pugnale sul tavolino. Sospirando, per una volta di sollievo, Cara si precipitò
verso il mobile, più che pronta ad utilizzare la lama per liberarsi,
innanzitutto della corda e poi, eventualmente, anche del suo rapitore.
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Xavier, intento ad impilare
casse di liquori, sentì ancora una volta il ticchettio della porta del locale e
ripeté la sua battuta d’esordio
“Siamo chiusi!”
Ottenendo nulla più che
silenzio in risposta, lasciò la dispensa e si affacciò nella sala. I due
corpulenti sconosciuti appena entrati se ne stavano in piedi di fronte al
bancone, con i piedi solidamente piantati a terra.
Il barista tese i muscoli e
si sforzò di sfoderare un’espressione cortese
“Apriamo tra un paio d’ore.”
Uno dei due, capelli biondi
e lineamenti spigolosi, allentò la cinta dell’impermeabile
“Non siamo qui per bere…”
Esordì col suo accento
spiccatamente russo
“…Dove è il lupo?”
Xavier si fece serio
“Siete male informati
ragazzi. Il lupo è morto.”
L’altro intruso, grosso e
moro, se ne uscì in una risata glaciale, mostrando senza preamboli la sua
pistola. Il tizio dai capelli biondi insistette
“Ti consiglio di parlare.
Subito.”
Xavier indietreggiò,
scattando verso la dispensa per prendere le sue armi. Gli altri gli furono
subito dietro e la breve colluttazione si concluse con qualche cassa rovesciata
a terra ed il barista in ginocchio in un angolo.
“Parla.”
Ordinò lo sconosciuto
sovietico, afferrando Xavier per la nuca così che la sua fronte fosse dritta al
buco della pistola. Il ragazzo mandò giù il sapore di sangue e strinse i pugni.
Il rapporto che lo legava a Joseph era più che un semplice contratto di
collaborazione, era un’amicizia, una sincera amicizia che lo spingeva alla più
solida lealtà. Non avrebbe barattato la sua vita con quella del lupo, anche
perché, a giudicare dalle facce che aveva di fronte, c’era ben poco da barattare.
“Dove è??”
Gridò il russo dai capelli
chiari, stringendo la presa ancora più forte. Xavier lo guardò dritto nelle
pupille
“Va’ all’inferno bastardo.”
L’altro non si scompose di
un millimetro anzi, accennò un sorriso compiaciuto. Con un gesto della mano
invitò il suo complice a venire avanti e quest’ultimo, presa sicura e faccia di
cera, piantò la pistola dritto in mezzo agli occhi del giovane barista.
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Joseph guardò fuori dalla
finestra del soggiorno. Nulla sembrava fuori posto eppure era certo che
qualcosa non andasse. Nathaniel doveva già essere lì e tutto doveva esser
pronto per sparire. Con Pushkin non c’era da scherzare, ogni momento era
fondamentale.
Il suono netto dello sparo
lo colpì alle orecchie come un cazzotto. Tutti i suoi recettori risposero alla
stimolo simultaneamente e l’istinto del pericolo lo drizzò come fil di ferro.
Corse ad afferrare il coltello nella valigetta e si piazzò davanti alla porta
dell’appartamento. Doveva essere rapido e silenzioso. Voltare a sinistra il più
in fretta possibile, raggiungere la scala d’emergenza e correre fuori.
Contrasse la mandibola e chiuse gli occhi per un momento, accarezzato dall’eco
dello sparo. Xavier… Nathaniel… Chi c’era lì sotto? Per chi era quella
pallottola?
Aprì la porta senza produrre
suoni e si riempì i polmoni, pronto a trattenere i fiato e fuggire.
Non appena il pianerottolo
si aprì davanti ai suoi occhi, anche le due losche figure gli riempirono la
vista, ancora forti dell’adrenalina post-omicidio a sangue freddo.
“Dobryj vecher Lupo.”
Il biondo si prese la briga
di salutare nella sua lingua madre, sventolandogli davanti una pistola. Joseph
raccolse il saluto e sentì la carica salire, come fosse sul punto di mutare.
L’assassino letale si stava risvegliando. Contraendo tutti i muscoli, privo di
vero timore, Joseph si scagliò contro il primo russo, brandendo il coltello
verso la giugulare. L’altro non si sforzò troppo, schivò appena il colpo e si
lasciò sbattere al muro dalla forza del lupo, piantandosi tra lui e la parete con
un botto secco.
Joseph lesse immediatamente
le sue intenzioni, ma non ebbe il tempo materiale di reagire al secondo agguato
da dietro. Il sovietico dai capelli scuri gli piantò un grosso ago nel collo e
spinse nel suo sistema il liquido giallastro.
L’assassino si sentì invaso
da un insopportabile calore improvviso e lasciò presto cadere il pugnale,
incapace di reagire mentre il più grosso dei due lo trascinava dentro. Sembrava
che le sue membra non rispondessero più ai comandi.
Una volta sbattuto sul divano
come un sacco inerme, il biondo gli si parò davanti
“Miorilassante.”
Joseph imprecò nella sua
testa contro tutti i santi che conosceva, il suo corpo era allenato ai farmaci,
ma non a simili dosi. Sarebbe stato fuori gioco per un po’, giusto il tempo di
smaltire il grosso della tossina.. e farsi massacrare dagli uomini di Pushkin.
“Non avete ancora imparato
di non scherzare con mio signore.”
Esordì il tizio dai
lineamenti spigolosi
“Voi avete preso Katrina…”
Continuò spostandosi sulla
destra per lasciar spazio al compagno
“…Noi ci prenderemo te. E
tuoi fratelli.”
Il sovietico moro venne
avanti caricando il colpo e scaricò un potente gancio destro sulla faccia di
Joseph. Lui raccolse abbastanza forze per non cadere sul fianco, sputando
sangue e saliva contro il suo aggressore. L’altro sorrise, aveva appena
cominciato.
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Cara smise di roteare i
polsi liberi non appena si accorse del trambusto fuori dalla sua stanza.
Silenziosamente poggiò l’orecchio alla porta ed ascoltò la voce degli intrusi.
Criminali. Altri criminali.
Russi. Crudeli.
Se ne stette lì, immobile
contro il legno, presa d’improvviso dalla spirale dei ricordi. Il pericolo, la
necessità di restare nascosta, il bisogno di trattenere il respiro per salvarsi
la vita… Erano tutte sensazioni che aveva già sperimentato nella sua vita,
ancora capaci di farla sentire una bambina indifesa. Quasi riusciva ad
immaginarsi ancora dentro quel piccolo bagno immacolato.
Dai colpi era chiaro che
stavano massacrando di botte Joseph. Al suono di ogni pugno Cara chiudeva gli
occhi ed ammirava la forza e la leggerezza con cui incassava il dolore. Doveva
davvero esserci abituato.
Il suo istinto alla
compassione fu presto zittito dal fastidioso accento sovietico di uno degli
uomini presenti.
Lo chiamavano Lupo.
E stavano cercando una certa
Katrina.
Katrina.
Cara si spalmò completamente
sulla porta e cercò di capire dove quella conversazione a senso unico volesse
parare.
Lo scatto della sicura di
una pistola rese chiare le intenzioni dei russi. Volevano uccidere l’assassino.
Il suo assassino.
Cara strinse le dita attorno
all’impugnatura del coltello di Joseph e poggiò l’altra mano sulla maniglia. La
porta era chiusa, gli uomini ignoravano la sua presenza, se non avesse fatto
alcun rumore probabilmente l’avrebbe scampata. Stavolta come allora. Purtroppo
o per fortuna però, c’era una donna nuova e forte dentro la stanza, non più una
bambina spaventata.
Respirò a fondo per tre
volte, spingendo il diaframma in avanti, cercando di incamerare più ossigeno
possibile.
Era finalmente tempo di fare
i conti col passato.
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“Tu oggi muori Lupo.”
Sentenziò il biondo, ancora
algido ed impettito nonostante la resistenza di Joseph alle loro torture. Poco
importa che il bastardo non volesse parlare. Uno di meno sulla lista. Vladimijr
ne sarebbe di certo stato contento e lui non aveva altra missione che rendere
fiero il proprio signore.
Joseph rimase impassibile,
fissando il bestione che gli puntava la pistola dritta in fronte. I suoi
muscoli intorpiditi cominciavano a rispondere, se fosse riuscito a guadagnare
qualche altro minuto avrebbe potuto ribaltare la situazione.
Lo scatto della sicura gli
fece temere che non ci fosse più tempo.
Così finisce il Lupo, con
una pallottola in fronte per colpa di una maledetta troia sovietica. Oh Elia,
avrai il mio nome sulla coscienza per molto, molto tempo, almeno finché non
faranno a pezzi anche te.
“Aiuto!”
La voce di donna,
accompagnata da colpi disordinati contro la porta, costrinse il tizio ad
interrompere la spinta dell’indice sul grilletto. Vistosamente spaesato rivolse
lo sguardo al suo complice, ancora immobile con i timpani tesi verso la voce
femminile.
“Aprite! Aprite! Fatemi
uscire!”
Il russo biondo afferrò
Joseph per la mandibola, spingendo forte il pollice contro la guancia tumefatta
“Chi è?”
L’assassino guardò al cielo
indeciso. Doveva ringraziarla o assicurarsi che facesse una fine degna della
sua stupidità? Possibile che fosse tanto sciocca da farsi scoprire e, peggio
ancora, pensare che due animali a sangue freddo come quelli l’avrebbero
aiutata?
“Nessuno.”
Rispose tra i denti.
Il russo, insoddisfatto, si
avvicinò al richiamo della sconosciuta. Di certo non si trattava di Katrina.
Meglio aprire e liberarsi anche di questo impiccio.
Tirò fuori la sua pistola,
ruotò la chiave nella serratura e spinse la maniglia in un movimento fluido,
per nulla scalfito dall’idea di dover aggiungere un ulteriore cadavere alla sua
già lunga lista.
Aprì, nessuna tremante figura
di donna gli si parò davanti, bensì il vuoto. Corrugò appena le sopracciglia e
mosse un passo verso l’interno, senza avvertire il bisogno di puntare l’arma.
Grave errore di valutazione.
Dall’angolo Cara gli balzò
addosso come un’arpia, stringendo le unghie della mano sinistra al bavero del
suo impermeabile ed affondando la lama, stretta a destra, dritta nella gola del
russo. Un taglio netto e preciso delle vie respiratorie. Il biondo sovietico
cadde in ginocchio, pronunciando nulla più che un rantolo. Già gonfio per la
mancanza d’aria, si portò le dita a gola e viso, macchiandosi gli zigomi col
suo stesso sangue. Continuando a rantolare, con le sue ultime forze, cercò di
afferrare la ragazza sconosciuta che aveva di fronte.
Cara si limitò ad
indietreggiare di un passo, lasciando sgocciolare il coltello sul parquet. Alla
rabbiosa rassegnazione del russo rispose con un sorriso, un angelico sorriso
compiaciuto.
Joseph riuscì finalmente a
muovere tutte le dita, anche se il resto del corpo rifiutava di tirarsi su e
scoprire cosa stesse accadendo nella sua piccola biblioteca. I rumori erano
confusi e nessuno aveva ancora sparato né parlato, l’energumeno tantomeno Cara,
non che la ragazzina dell’aereo avesse qualche remota chance di sopravvivere.
Peccato averla persa così
dopo tutto. Una ragione in più per mettere Pushkin al primo posto tra le sue
prossime vittime.
Contro ogni sua possibile
supposizione, Cara venne fuori dalla stanza per prima, l’abito sporco di sangue
ed il suo pugnale stresso nella mano.
Il suo pugnale.
Joseph si maledì, credendo
ancora che il sangue fosse suo e che la ragazza stesse sfilando dritta incontro
alla morte.
“Hey!”
Cara richiamò l’attenzione
del grosso tizio dai capelli scuri nascondendo l’arma dietro la schiena. Questi
si voltò e rimase interdetto alla sua presenza, a giudicare dai lineamenti e
dal candore della pelle, la sconosciuta avrebbe quasi potuto essere una di
loro. Quasi. Il russo sollevò di nuovo la pistola e ruotò la mira verso di lei,
pronto ad eliminarla senza secondi pensieri.
Cara sorrise di nuovo,
aguzzando lo sguardo e lanciandosi contro l’avversario col pieno delle sue
forze, pronta a far saltare la pistola dalla sua presa con un calcio ben
assestato.
Joseph sgranò gli occhi
davanti alla scena. Nella sua posizione di semi-paralisi si concesse, per una
volta nella vita, di essere totalmente, incredibilmente, infinitamente
sorpreso.
Rimase a fissare con
attenzione e perplessità il film che andava consumandosi davanti a sé. Non
riusciva a capire come fosse possibile.
Cara, con tre o quattro
colpi ben assestati, mandò giù al tappeto anche il secondo uomo. Prima che potesse
provare a rialzarsi di nuovo, gli piantò un calcio nella nuca e si inginocchiò,
pronta a ficcare tutta la lama nel suo torace, sempre senza il minimo segno
d’esitazione.
Il russo smise ben presto di
contorcersi ed agonizzare, lasciando Cara immobile, in piedi accanto al suo
cadavere. Lei se ne stette lì a riprendere fiato, il torace su e giù in lenti
movimenti, mentre il dolore dei colpi presi iniziava a scemare.
Joseph si irrigidì contro il
divano, cercando immediatamente di muovere quanti più muscoli possibile.
Ennesimo tentativo inutile. Le sue gambe non avevano intenzione di camminare.
Cara si voltò verso di lui
sentendolo muovere. I capelli scompigliati nascondevano i futuri lividi sul suo
viso. Venne avanti saltando il corpo e raccolse lentamente la pistola della sua
vittima, accovacciandosi e tornando su per guardare ancora l’assassino, gli
occhi di lui appena più aperti del normale e le sopracciglia ravvicinate per l’espressione
confusa.
Joseph mosse finalmente le
braccia, ma non riuscì comunque a tirarsi su. L’incredulità del momento non gli
permetteva di affilare pensieri logici.
La ragazzina dell’aereo
aveva davvero ucciso i due scagnozzi di Pushkin!? Così, come se nulla fosse?
“Aiutami.”
Le chiese. In fin dei conti
era in debito con lui, giusto? Sia che fosse una ragazzina innocente che una
specie di Mr Hyde al femminile.
Cara sorrise con un sospiro,
la fatica stava lentamente scomparendo, rimpiazzata da una nuova scarica di
adrenalina. Lasciò roteare la pistola nella mano guardando il pavimento per
qualche secondo
“In realtà…”
Esordì
“…Non credo di poterlo
fare.”
Joseph sollevò il mento
diventando una specie di blocco di marmo, i pugni stretti a tentare ancora una
volta di rimettersi in piedi.
“Che vuoi fare allora?”
Domandò con voce bassa. Gli
occhi puntanti sull’arma in suo possesso.
Cara inspirò fino a
riempirsi lo sterno, sollevò piano la pistola all’altezza degli occhi di
Joseph, la tenne dritta di fronte a sé e buttò fuori l’aria
“Credo che ti ucciderò…
Lupo.”
Finalmente in grado di
guardarla in viso, fu come scoprire una nuova persona, come se nuovi lineamenti
si fossero mostrati sul viso della sua angelica ragazzina, come se un’anima
nuova l’avesse abitata di colpo.
Un sorriso genuino, un
sorriso compiaciuto, soddisfatto, cattivo.
Quella non era la ragazza
maldestra che aveva salvato dall’aereo, il suo non era un mero tentativo di
liberarsi e quello non era il colpo di fortuna e ribellione di un ostaggio. Il
modo in cui si era mossa, forte e precisa, colpendo quei tizi solo nei punti
giusti… Il modo in cui impugnava la pistola, braccia ferme, ginocchia
leggermente piegate, gambe divaricate… La posizione di chi sa come si spara, la
sicurezza di chi ha già sparato altre mille volte… La luce nei suoi occhi,
divenuti di colpo blu come la notte, il sorrisetto difficile da tenere a freno,
la completa mancanza di incertezze.
Il cuore gli si fermò nel
petto.
Aveva addosso lo sguardo di
un killer.
“Chi sei tu?”
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Et
Voilà! Per caso non si è capito nulla alla fine di questo capitolo? Non so se
sia un bene oppure un male a questo punto, comunque vi assicuro che darò un
senso a tutto!
Questo
è il punto di svolta che attendevo sin dall’inizio. Voi che ne pensate? Largo
spazio alle vostre ipotesi!