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Autore: kiki96    24/03/2013    3 recensioni
Una piccola One Shot senza senso sull'Orlando Furioso(appunto xD)...non credo che qualcuno la leggerà ma mi sono divertita a scriverlo e mi basta questo.
Bhè, buona visione.
Genere: Malinconico, Poesia, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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LA PAZZIA DI ORLANDO
 
Orlando, il grande cavaliere, arrivò nella piana con il suo destriero Brigliadoro. Tutto intorno aveva un’aria romantica e pacifica, un’aria a cui Orlando non faceva nemmeno caso.
Lui era alla ricerca di qualcuno.
Più di una volta passò gli alberi del fitto boschetto e si trovò davanti un albero diverso. Un albero strano, sospetto, un albero intagliato.
Quello che turbò Orlando non fu il taglio che aveva sciupato la corteccia marrone chiara, non fu la profondità con cui era stato inciso, quasi con rabbia o con troppo sentimento. Non furono questi piccoli e insignificanti dettagli.
Furono le parole.
Parole alla vista dolci come il miele, più belle del tramonto, più toccanti di qualsiasi musica.
Parole che uccisero Orlando.
Il cavaliere le osservò ancora e ancora, sperando di consumarle con lo sguardo per farle sparire da quel tronco imperfetto e grande.
L’uomo si guardò intorno, quasi spaesato e iniziò a pensare al motivo della sua ricerca: Angelica. Forse Angelica aveva usato quel nome al posto del suo, per non far sapere che amava lui…
Rilesse quelle parole con più attenzione e, nonostante fossero solo due non le capì appieno:
Angelica e Medoro.
Sicuramente la sua amata aveva scritto quel nome per non destare sospetti del fatto che in realtà amasse alla follia Orlando. Ovviamente, era così.
Più, però, andava avanti e più i dubbi aumentarono, più il suo suore si affliggeva. Lui voleva credere che Angelica non avesse scritto il nome di Medoro per indicare proprio quel Medoro. Lui desiderava che non fosse così. Lui sperava
Sotto quegli arbusti, ad ogni cuore con dentro il nome della sua amata e di quel ragazzo, un piccolo fuoco si accese dentro Orlando, era debole ma bruciava come tutti gli altri fuochi della terra. L’incendio si sarebbe spento? E se non fosse stato così?
Ben presto arrivò ad una grotta, qui vi entrò dentro e rimase paralizzato. Il fuoco crebbe in un istante dentro di sè. L’incendio era solo all’inizio.
 
«Liete piante, verdi erbe, limpide acque,
spelunca opaca e di fredde ombre grata,
dove la bella Angelica che nacque
di Galafron, da molti invano amata,
spesso ne le mie braccia nuda giacque,
de la commodità che qui m’è data,
io povero Medor ricompensarvi
d’altro non posso, che d’ognior lodarvi:
e di pregare ogni signore amante,
e cavallieri e damigelle, e ognuna
persona, o paesana o viandante,
che qui sua volontà meni o fortuna;
ch’all’erbe, all’ombre, all’antro, al rio, alle piante
dica: benigno abbiate e sole e luna,
e de le ninfe il coro, che proveggia
che non conduca a voi pastor mai greggia»
 
Nonostante fosse scritto in arabico, il conte lo lesse e lo capì. Tre volte, quattro o sei volte lesse le dolci parole scritte da Medoro. Aveva sperato fino alla fine che non ci fosse nessun amante, anche ora, davanti a quella dura verità, boccheggiava come se non potesse crederci, come se non volesse.
Il fuoco nel suo cuore divampò inarrestabile. Ma non era un fuoco caldo: era freddo. Era pieno di odio, rabbia, ira, furore.
Orlando aveva dedicato tutto sé stesso nella ricerca di Angelica, la sua amata. Purtroppo, era finito nel posto sbagliato, là aveva letto la dolorosa verità: quel luogo, così tanto bello, così pacifico, era il nido d’amore dei due amanti.
Che cosa aveva, per tutto questo tempo, inseguito Orlando?
A cosa era andato affannosamente dietro?
La risposta era semplice: al suo amore.
Ma quando qualcuno ruba il tuo amore, la tua stella, la tua guida?
Cosa si deve fare?
Quando per poco non l’aveva raggiunta… poi era sparita, scomparsa. E forse per sempre.
Orlando diventò livido in volto, non riusciva a credere a quelle parole, quelle maledette parole!
Impazzì come solo un uomo accecato dalla follia può fare.
Come una bestia sbrigliò il suo destriero, tolse la sella e lo mandò via. Come una bestia si tolse la pesante armatura che il suo corpo aveva sorretto per troppo tempo, si tolse l’elmetto e gettò a terra la spada diventando così una vergogna per i cavalieri che non esistevano più.
Andò al villaggio completamente nudo e uccise tutto ciò che gli capitava davanti: uomini, animali, piante.
Dopo la morte, percuoteva ripetutamente le carcasse come se non bastasse, come se volesse far trasmettere il dolore a quei corpi esanimi.
Non riuscì a sfogarsi, la sua ira era incontenibile. Preso da una morsa di fame andò a cercare cibo. Ingerì di tutto: carne cruda o cotta che fosse. Troppo cieco ed inerme contro il suo dolore e la sua pazzia.
 
 
«E quale è di pazzia segno più espresso che, per altri voler, perder se stesso? »
 
 
NdA: Ok, ok. Questo testo è troppo “scolarizzato” per me. Ma che vi posso dire? Mi era presa bene e l’ho scritto. Più che altro, di Ariosto, mi attrae il tema della RICERCA, dove ogni personaggio cerca qualcosa nell’Orlando Furioso. Anch’io sono alla ricerca di qualcosa…. È davvero impressionante di come qualcuno che cerchi qualcosa e trova qualcos’altro. Ognuno è sicuramente alla ricerca di qualcosa… Buona Fortuna!
Chiusa questa piccola parentesi, ho preso spunto( ho saltato alcuni pezzi come noterete se andrete a guardare –non credo-) dal canto XXIII e XXIV. E devo dire che il XXIV mi piace di più di quello prima.
La pazzia… ne sono rifornita anch’io di questa condizione umana ed ecco come si spiega questo testo.
Bye! K.
  
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