Capitolo
4
L’autore
di questo melodico canto altri non era che Matthew.
E,
mentre ignaro che l’ora del parziale ricongiungimento col suo
passato si stesse
avvicinando, era momentaneamente occupato ad ammazzare il tedio
standosene scompostamente
adagiato sul letto.
Anzi
si poteva dire che vi era assiso nel medesimo modo in cui se ne sarebbe
stato
un pascià nel suo gineceo, piuttosto che come un infermo
conciato nelle sue
condizioni. In effetti era atipico, soprattutto non il tipo di
comportamento
che ci si aspetti da un paziente in via di riabilitazione. Ma ormai tutto quanto gli
era strettamente
correlato aveva preso ad essere singolare, giacché, proprio
come il progredire
dello stato della sua salute, allo stesso modo il suo aspetto e quella
della camera
dov’era allettato, avevano assunto sempre
di più i connotati perfetti d’un indolente
single incallito e scombinato.
Quella
stanza non solo era una fonte perenne di casino, giacché la
tv spesso e
volentieri era accesa a tutto volume, ma aveva pure
l’apparenza d’una edicola
mal tenuta. Infatti, per quanto gl’inservienti pulissero e
tentassero di darle
una parvenza d’ordine, ciò nonostante in ogni
angolo o ripiano disponibile giacevano
sparsi fumetti, riviste e libri. Per non menzionare che una delle
bottiglie
d’acqua era stata manomessa e abilmente camuffata, in realtà infatti
conteneva del sakè
contrabbandato dallo spaccio che fungeva da bar e tavola calda a piano
terra
dell’ospedale. Del resto, si era detto l’infermo
con una compiaciuta scrollata
di spalle, un uomo che si rispetti ha il diritto di farsi un cicchetto
a tarda
sera con qualche altro malato o con gl’infermieri che
facevano il turno di
notte, o no?
Il
sopraccitato degente inoltre
rifiutava
categoricamente di tagliarsi i
capelli e aveva su una criniera, basette comprese,
che avrebbe fatto l’invidia di molti gruppi
rock degli anni 70. E
come se non
bastasse, essendo ormai estate piena,
siccome il degente soffriva maledettamente il caldo,
nonostante le
finestre fossero sempre aperte e l’aria climatizzata, di
norma era abbigliato
con un paio di pantaloncini da corsa e una canottiera.
Il
che, se non fosse stato per il gesso agli arti e le fasciature
all’addome, Matthew
avrebbe corso il rischio d’essere scambiato per un borghese
qualunque beccato
nel suo momento di riposo e finito chissà come in quel posto!
Un
atteggiamento volutamente indolente il suo, ma ne aveva le tasche
piene, così
usava questi espedienti quale passatempi accessori. Inoltre, visto il
suo stato
e l’entità della sua patologia, i sanitari lo
lasciavano fare, chiudendo
benevolmente un occhio su quei comportamenti da adolescente cocciuto.
Addirittura le giovani infermiere si divertivano ai suoi blandi e
scherzosi
tentativi di corteggiamento, persino quando lasciava cadere una avance
quando
non avrebbe dovuto. Ma il più delle volte se la cavava con
un, neanche troppo
convinto, rimprovero
o una tirata
d’orecchi, giacché la maggioranza delle operatrici
ospedaliere, riteneva che in
fin dei conti era un bel ragazzo, quindi perché
risentirsene? Insomma Matthew
riusciva simpatico e che male c’era se tentava di spezzare un
po’ la monotonia
di quell’interminabile ricovero?
Più
o meno la pensavano tutti così lì dentro, tranne
che per la caposala, un
donnone sui cinquanta, dal cipiglio caporalesco e la forza di una
impastatrice
edile. Lei era l’unica a non fargliela passare liscia, mai.
Soprattutto, era la
sola a non farsi abbindolare dal sorriso ruffiano e l’aria
fanciullesca che
esibiva quando ne combinava qualcuna di troppo.
E
la canzoncina che Matthew stava cantando nel momento in cui le sorelle
Tashikel
si apprestavano, era solo uno dei tanti modi da lui adoperati per far
perdere
le staffe alla sua nemesi. In
effetti era
un giochetto col quale si trastullavano spesso lui e
l’infermiera capo, tanto
che, da quando era stato passato nel reparto dell’irascibile
ras della corsia, la
povera donna non aveva più un attimo di pace. Infatti da vero impunito prendeva
in giro chiunque
gli capitasse a tiro, ma per lei aveva una predilezione.
E
ora, stimò la matrona posandogli sul portavivande il vassoio
col pranzo, si era
prevedibilmente al momento in cui
avrebbe iniziato a romperle le scatole sul cibo. E
infatti, come aveva immaginato, la manfrina
ebbe inizio.
“Infermiera
la minestrina che sciacqua gli intestini non la voglio.”
Dichiarò incrociando
le braccia e alzando il mento come un bambino viziato. Quindi, visto che quella non
gli dava spago,
badando solo al controllo della cartella clinica, fece un ghigno
malizioso e
continuò: “Capisce, liquida
com’è mi farebbe andare alla toilette in
continuazione . E con una gamba e un braccio rotti ci vuole qualcuno
che mi ci
porti... e allora che si fa? Viene lei?“
“Possiamo
usare sempre il pappagallo.” Replicò
l’infermiera sarcastica tirando fuori l’ennesimo
ago e preparandosi ad iniettargli una flebo integrativa. Se solo avesse
potuto
gli avrebbe fatto un’endovenosa di bromuro!
“Macché,
mica ce l’avete per le mie misure sproporzionate!“
La contraddisse Matthew ridendo
maliziosamente e beccandosi un’occhiata
riprovevole. Ma non era abbastanza, per cui riprese a stuzzicarla.
“E poi ,
vediamo che c’è... mhmhm una fettina di carne...
infermiera me la taglia? Me la
sminuzza? Me la trita? Infermiera è vitella ?“
“Adesso
basta !” Sbottò una volta per tutte la donna e fu
solo la provvidenziale
entrata delle tre sorelle che la frenò da tirargli appresso
il primo oggetto
contundente che s’era ritrovata a portata di mano.
Così
fu che Kelly, Tati e Sheila, facendo il loro ingresso, rimasero
alquanto
stupite nel trovarsi davanti alla scena di una distinta operatrice di
mezz’età
nell’atto di levare il braccio, non si sa per quale scopo,
alle prese con
Matthew, che da suo letto di dolore ridacchiava tutto soddisfatto.
Effettivamente
rimasero a bocca aperta, tanto che la caposala arrossì
malamente, riprendendo
ad affaccendarsi attorno al malato, mentre quest’ultimo si
limitò invece a voltarsi
e fissarle con uno sguardo vacuo che piano, piano si
trasformò in un interesse
palese. Ma improvvisamente, senza nessun segnale apparante, il suo volto si
trasfigurò, spalancò gli
occhi e una manifesta gioia esaltata gli fece schizzare le sopracciglia
in
fronte. Tanto che furono istanti di panico per le tre.
“Non
ci posso credere! Mamma, mammina!!! Finalmente sei tornata da me! ... e
hai
portato anche le ziette!“ Esclamò agitandosi
scompostamente sul letto e tendendo
loro le braccia.
“Che?!”
Fece Tati urlando.
Kelly
fece un passo indietro scombussolata.
Sheila
sconvolta cercò con gli occhi le sorelle.
“Mio
dio“, pensò veramente preoccupata,
“quest’amnesia
è molto peggio di quel che
pensassi!”
A
frenare le sue fosche previsioni però ci pensò
subito l’infermiera che
sbuffando notevolmente
spazientita, e
stufa di quella sceneggiata già vista, chiarì
loro le cose.
“Isman,
la piantiamo di fare questo
teatrino ogniqualvolta entra qui dentro una femmina che non
conosci?“ Lo sgridò
sputacchiando, e poi, volgendosi
verso
di loro, scosse la testa esasperata. “Questo tizio
è impossibile e io non lo
sopporto più!“
Si
girò nuovamente verso il paziente che sghignazzava
mantenendosi lo stomaco e si
raccomandò: “Passo dopo per ritirare il
portavivande, vedi di non fare troppo
il cretino con queste ragazze, chiaro?”
“Sissignore,
signora Generalessa!” Replicò facendosi
un’altra risata alla faccia sua. Tanto
l’aveva capito benissimo che quelle
mansioni le avrebbe potute, anzi avrebbe dovuto svolgerle, una delle
infermiere
che facevano il praticantato. Ma siccome a suo
modo, pesino quel dinosauro si era
affezionata a lui, anche se non l’avrebbe mai ammesso
apertamente, era disposta
finanche ad accollarsi dei compiti inferiori al suo grado
professionale.
Ridacchiò
sommesso a questa riflessione, dopodiché rivolse tutta la
sua attenzione, parecchio
incuriosito, alle sconosciute che
gli stavano innanzi. Le quali, a prescindere da Tati, che nonostante
tutto si
stava divertendo anche lei a quella messinscena, apparivano un pochino
sconcertate.
Va
da sé che per loro era un sollievo trovarlo in quello stato,
anziché in preda
ad un delirio o, peggio ancora, straziato dalla sofferenza fisica. Ma onestamente tutto si
erano aspettate
entrando, tranne che
un siparietto
comico di quella levatura.
Comunque,
ad un più attento esame, il volto di Matthew, sebbene ilare,
appariva scavato,
con profonde depressioni
sotto gli occhi. Senza contare che aveva bende dappertutto, il braccio
appeso
al collo e la gamba rigidamente sistemata sul letto. Il guaio era che
adesso
veniva il difficile, almeno per Sheila, insomma in che modo gli si
doveva
presentare? Come qualificarsi? Matthew continuava a contemplarle
spostando gli
occhi alternativamente
dall’una
all’altra, finché non seppe trattenere oltre la
curiosità.
“Beh,
siete dame di carità o cosa?
Purtroppo
ultimamente pare che la memoria mi faccia difetto, quindi se non mi
dite chi
siete, che facciamo? Ce ne stiamo qui a rigirarci i pollici
finchè non termina
l’orario di visite?”
Kelly
finalmente si concesse un sorriso sollevato, invero, adesso che era
là e aveva
toccato con mano la situazione, si stava abbastanza tranquillizzando.
Meglio,
l’atteggiamento di Matthew la stava mettendo addirittura di
buonumore.
“Allora
signorino, io mi chiamo Kelly,
questa
qui è Tati e lei è Sheila.”
Rimarcò mettendo le braccia sulle spalle della
sorella e spingendola in avanti più vicino a letto.
“Ci conosciamo piuttosto
bene noialtri, anche se adesso non te ne ricordi. Il resto, se lo vuoi
sapere,
te lo fai raccontare da lei.” Aggiunse indicando Sheila e
facendo segno alla
piccola di sgombrare. “Ora vi lasciamo soli così
vi fate una bella
chiacchierata okay ? Noi verremo a trovarti un altro giorno.“
Concluse
facendo l’occhiolino alla sorella e prendendo commiato.
Quanto a Tati, lei gli
fece un sorriso a trentadue denti
e si
accodò silenziosamente alla sorella, ma non prima d aver
buttato lì un allegro:
“E fate i bravi mi raccomando!”
“Guarda
che così conciato solo il bravo posso fare.”
Replicò lamentoso Matthew ghignando.
Simpatiche
quelle due, chissà chi
diavolo erano?
Rimasti
soli si mise ad ammirare la ragazza rimasta e che, impettita
rigidamente,
ancora se ne stava davanti al suo letto. Appariva piuttosto indecisa
sul da
farsi in effetti, anche se, si disse grattandosi la testa, irresoluta o
no, era
decisamente una bella figliola.
“Senti,
perché non ti siedi?” Le chiese impaziente
indicandole la sedia posta vicino
alla sponda. “Magari ti stai stufando da morire, per cui per
passare un po’ di
tempo, potresti raccontarmi
qualcosa
d’interessante, che ne dici?“
“Va
bene.” Assentì Sheila, era piuttosto dubbiosa sul
da farsi e, facendo un gran
sospiro, si sedette al suo fianco. “Non mangi?“
Domandò per iniziare una
parvenza di conversazione.
“No
figurati, questa roba non mi piace per niente! Certo ho una fame da
lupi, ma
più tardi passerà qui quella
talpa a portarmi qualcosa di
commestibile,
e non mi preoccupo.“
“E
chi sarebbe questa talpa?” Si informò
l’altra non troppo sicura d’aver
afferrato bene con chi ce l’avesse.
“Si
chiama Alice.” Rispose tirando fuori un sacchetto di
noccioline dal cassetto e
aprendolo in modo da produrre un discreto botto. “Viene a
trovarmi praticamente
tutti i giorni e le ho chiesto se mi poteva portare qualcosa di
più appetitoso.
Pare che abbiamo lavorato per molto tempo insieme e che fossimo amici.
Boh, io
non lo so, ma è una fortuna, almeno mi evita di mangiare
questa roba insipida.
Vuoi?” Chiese candidamente porgendole il pacchetto e ignaro
di ciò che quella spiegazione
stava provocando nella mente della sua interlocutrice.
“No,
grazie.” Fece Sheila distrattamente e poi alquanto
contrariata pensò: “E
brava Asatani, ma che ci stai ancora
provando?”
“Senti
un po’ Sheila“, riprese
l’altro richiamando
la sua attenzione, “invece noi che tipo di rapporti abbiamo
?”
“Beh
noi...noi ...” balbettò esitante innanzi a quella
domanda diretta. Che dirgli?
Se gli avesse raccontato di loro partendo dal punto in cui erano
rimasti,
probabilmente l’avrebbe confuso e basta. Per di
più, si disse mentre i pensieri
le correvano in svariate ed imprevedibili direzioni, forse questa
poteva essere
davvero un’occasione propizia per
ricominciare
da zero tra loro due. E stavolta senza compromettersi in sotterfugi e
patemi
d’animo per di più. Però, come diavolo
doveva comportarsi? Doveva andarci con
i piedi di piombo? Sì, ma anche essere
sincera al massimo delle sue possibilità. Per cui era tenuta
ad usare la
massima cautela certo, ma al contempo doveva pure avere
l’abilità di saper gestire
il tutto senza prendere una direzione univoca che non
complicasse ulteriormente le idee del suo ex…
Ex? Lo era o no lo era più? Maledizione che casino!
Calma
Sheila, calma. La situazione non
richiede altro che una soluzione repentina. Quindi di che hai paura?
Salta il
fosso, avanti!
“Io
sono la tua fidanzata.” Affermò infine arrossendo
un pochino e sorridendogli
per la prima volta da quando si erano rincontrati.
“Ah!”
Esclamò lui meravigliato e facendo tanto d’occhi.
Colpito si diede una pacca in
fronte. “Devo proprio essere grave per non ricordarmene,
porca miseria! Però, ti
credo, eccome se ti credo!“ Assicurò valutandola
di sotto in su con aperto apprezzamento.
In effetti quale idiota al posto suo si sarebbe azzardato a muovere
delle
obiezioni davanti ad una prospettiva simile?
“E
dimmi, le due ragazze che stavano con te chi sono?”
“Sono
le mie sorelle.” Ripose Sheila iniziando a rilassarsi, nessun
fraintendimento,
né domande imbarazzanti da parte sua. Senza contare che
tutto si poteva dire
tranne che Matthew avesse perso la sua propensione
all’apprezzamento delle sue
beltà.
“Peccato.”
Fece quest’ultimo inalberando un espressione un po’
delusa, quindi ridacchiò e
aggiunse: “Per un meraviglioso istante avevo pensato di avere
un harem!“
“E
invece no, a quanto pare ti devi accontentare!” Fu la replica
alquanto piccata
che ne ricevette. Ma Sheila non ebbe il tempo di dire altro
ché Matthew riprese
a parlare.
“Beh,
che dire? Complimenti vivissimi a mamma e papà, hanno fatto
proprio un buon
lavoro. Dalla prima all’ultima praticamente siete una
matrioska di bonazze!”
“Dovresti
piantarla sai?” L’ammonì severa,
benché quelle battutine le stessero facendo
piacere. “Ti pare questo il modo di parlare davanti a una
signora?”
“Chiedo
scusa, solo che qui dentro capita di rado di vedere passare qualcuno
che non
sia un medico o un tizio che ci lavora. Uff, i giorni non passano mai e
devo
confessarti che mi scoccio da morire. Ma verrai a farmi compagnia
spesso,
vero?” Le chiese tutto speranzoso, dopodiché,
senza attendere risposta, si fece
perplesso e sparò la successiva domanda.
“Che poi, com’è che arrivi
solo adesso?”
“Ho
saputo solo stamattina quello che ti è successo.”
Ammise, giustificandosi per
la seconda volta nel giro di qualche ora, un comportamento che
raramente
assumeva. Generalmente era lei quella reattiva e gli altri a doversi
discolpare,
Matthew poi era stato un vero primatista in questa particolare
specialità.
Però,
ragionò incupendosi, se questa sorta di riconciliazione
stava avvenendo in una
corsia ospedaliera, invece che in un contesto romantico, o con scene
madri
susseguenti giuramenti d’eterno amore, era
accaduto anche in virtù delle sue azioni.
Se
non fossi stata un membro della
banda Occhi di Gatto, se Matthew nel saperlo non fosse rimasto a tal
punto
sconvolto da mollare baracca e burattini, decidendo di punto in bianco
di cambiare
divisione, sarebbe potuto essere tutto diverso? Non lo so, ma non
volevo che
finisse così...
“E
dimmi Sheila”, le chiese improvvisamente Matthew
richiamandola alla realtà
circostante con un
preciso movimento
della mano, “noi abbiamo... abbiamo mai...“
La
ragazza rimase interdetta, visto che lui faticava a concludere la
frase, poi
afferrato il gesto e
comprendendo
fulminea il riferimento sconcio, vide rosso.
“Ma
come ti passa per la testa un’idea simile?!”
Reagì sbalordita arrabbiandosi e
levando istintivamente la mano per una delle classiche, e dolorose,
pizze con
le quali spesso l’aveva omaggiato in passato.
“Scusa
“, fece lui prendendole al volo la mano sorridendo
innocentemente, “ma credo
che fosse una domanda legittima. E poi”, aggiunse togliendole
ancora una volta
il tempo di rispondergli, “ad un certo punto hai fatto una
faccia così triste,
che ho pensato che solo dicendo qualche
scemenza potevo
farti passare il
malumore.” Concluse sorprendendola vivamente. Come diavolo
aveva fatto a capire
che dietro la facciata di distensione che stava ostentando si
nascondevano
pensieri tutt’altro che lieti?
“Lo
faccio sempre.” Si premurò di chiarirle
impacciato. “Quando mi sento depresso
cerco di pensare alle cose più cretine che mi vengono in
mente. Strano, non
trovi?”
“No,
per niente.“ Rispose affettuosamente, molto toccata
nell’intimo. “Ma ora dimmi,
come ti senti?”
“Non
alla grande, questo è sicuro. Mi fa un male cane
dappertutto, però in questi
casi mi sparano un antidolorifico in vena e dopo un po’ sto
meglio. A quanto
dice il dottore ci sarà da divertirsi durante la
riabilitazione. Mi ha promesso
che mi girerà e rivolterà come un guanto, e io
gli ho risposto che sarà allora
che dovrà portarmi sua sorella... uh scusa!”
“Non
fa niente, però adesso piantala,
d’accordo?” Ribatté dandogli un colpetto
d’avvertimento al braccio sano, dopodiché si
rifece seria: “E con la memoria?
Non ricordi proprio niente?”
“Non
lo so.” Ammise perdendo la leggerezza che aveva mantenuto
fino a quel momento. “La
psicanalista me la fa spesso questa domanda e non so proprio che risponderle. Mi hanno
sottoposto ad analisi,
tac, risonanza magnetica e tanti di quei test, che alla fine ero
più rintronato
di prima.“ Sorrise un po’ scoraggiato e si
voltò verso la parete. “Non lo so,
qualche volta mi capita di sognare qualcosa di molto simile a dei
bagliori e mi
sveglio agitato, in un bagno di sudore. Sono incubi dei quali mi resta
molto
poco, immagini di gente che scappa, oppure sono io, reso
incapace da
qualcuno o qualcosa.”
Sbuffò
sentendo di non essere riuscito a spiegarsi adeguatamente e a
mo’ di attenuante
aggiunse: “E’ tutto molto caotico e non ci capisco
un granché. La dottoressa
dice che è su questo che possiamo iniziare a lavorare per
recuperare la memoria.
Ma se devo essere sincero non è una premessa invitante,
anche se spesso mi
chiedo chi cavolo sono e da dove maledizione sono sbucato fuori.
Però, ora che
ti ho conosciuto, come dire? Sono più invogliato a mettere
il cervello in moto!”
Concluse riaffacciandosi al buonumore e facendole
l’occhiolino.
“Sono
contenta Matthew, devi essere tu il primo a volerlo e non preoccuparti
io ti
aiuterò.”
Gli
promise rassicurandolo, ma conscia che non sarebbe stata affatto una
passeggiata. Però poi si disse che per quel giorno la vena
di melanconia che
gli era presa era sufficiente, per cui s’impegnò
anch’essa per stemperarla.
“Sai
cosa? Questa è un’occasione d’oro per
rimetterti a nuovo. Una vera fortuna per
me, finalmente ho la possibilità di eliminare dal tuo
carattere ciò che
detesto, lasciando solo quello che più
m’aggrada!” Rispose facendogli
l’occhietto di rimando.
“Mm.”
Mugugnò Matthew serio, serio grattandosi il mento e
fissandola intensamente,
talmente tanto che lei iniziò ad inquietarsi.
“Eppure sai che prima, quando
siete entrate tutte e tre, ho avuto come l’impressione
d’avervi visto già da
qualche altra parte? Forse in tv, sì mi pare proprio
d’avervi visto là e sui
giornali.”
Affermò
mettendola in allarme, tanto che Sheila cominciò ad
imprecare contro la sua
buona stella, ché ultimamente pareva si divertisse a tirarle
solo bidoni.
No,
non è possibile! E che cavolo, che
si sia ricordato di noi in relazione a qualche articolo o inchiesta
televisiva
su Occhi di Gatto?E’ troppo presto, non può,
accidenti a lui!
“Ma
sì, certo, che cretino!” Esclamò
compiaciuto per aver finalmente trovato il
nesso. “Siete le copie sputate delle Las
Ketkup! Me lo fai il balletto di Ajerejè?”