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Autore: Aurelia major    13/10/2007    1 recensioni
[ Occhi di GAtto ]La famigerata banda di ladre è ormai un ricordo, da tempo infatti le tre sorelle hanno cambiato vita, lasciandosi alle spalle persone ed eventi. Ma un imprevisto rimette in gioco tutto, soprattutto i sentimenti che la protagonista pensava assopiti...
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4

 

 

 

 

L’autore di questo melodico canto altri non era che Matthew.

E, mentre ignaro che l’ora del parziale ricongiungimento col suo passato si stesse avvicinando, era momentaneamente occupato ad ammazzare il tedio standosene scompostamente adagiato sul letto.

Anzi si poteva dire che vi era assiso nel medesimo modo in cui se ne sarebbe stato un pascià nel suo gineceo, piuttosto che come un infermo conciato nelle sue condizioni. In effetti era atipico, soprattutto non il tipo di comportamento che ci si aspetti da un paziente in via di riabilitazione.  Ma ormai tutto quanto gli era strettamente correlato aveva preso ad essere singolare, giacché, proprio come il progredire dello stato della sua salute, allo stesso modo il suo aspetto e quella della camera dov’era allettato, avevano assunto  sempre di più i connotati perfetti d’un indolente single incallito e scombinato.

Quella stanza non solo era una fonte perenne di casino, giacché la tv spesso e volentieri era accesa a tutto volume, ma aveva pure l’apparenza d’una edicola mal tenuta. Infatti, per quanto gl’inservienti pulissero e tentassero di darle una parvenza d’ordine, ciò nonostante in ogni angolo o ripiano disponibile giacevano sparsi fumetti, riviste e libri. Per non menzionare che una delle bottiglie d’acqua era stata manomessa e abilmente camuffata,  in realtà infatti conteneva del sakè contrabbandato dallo spaccio che fungeva da bar e tavola calda a piano terra dell’ospedale. Del resto, si era detto l’infermo con una compiaciuta scrollata di spalle, un uomo che si rispetti ha il diritto di farsi un cicchetto a tarda sera con qualche altro malato o con gl’infermieri che facevano il turno di notte, o no?

Il sopraccitato degente  inoltre  rifiutava categoricamente di tagliarsi i capelli e aveva su una criniera, basette comprese,  che avrebbe fatto l’invidia di molti gruppi rock degli anni 70.  E come se non bastasse, essendo ormai estate piena,  siccome il degente soffriva maledettamente il caldo, nonostante le finestre fossero sempre aperte e l’aria climatizzata, di norma era abbigliato con un paio di pantaloncini da corsa e una canottiera.

Il che, se non fosse stato per il gesso agli arti e le fasciature all’addome, Matthew avrebbe corso il rischio d’essere scambiato per un borghese qualunque beccato nel suo momento di riposo e finito chissà come in quel posto!

Un atteggiamento volutamente indolente il suo, ma ne aveva le tasche piene, così usava questi espedienti quale passatempi accessori. Inoltre, visto il suo stato e l’entità della sua patologia, i sanitari lo lasciavano fare, chiudendo benevolmente un occhio su quei comportamenti da adolescente cocciuto. Addirittura le giovani infermiere si divertivano ai suoi blandi e scherzosi tentativi di corteggiamento, persino quando lasciava cadere una avance quando non avrebbe dovuto. Ma il più delle volte se la cavava con un, neanche troppo convinto,  rimprovero o una tirata d’orecchi, giacché la maggioranza delle operatrici ospedaliere, riteneva che in fin dei conti era un bel ragazzo, quindi perché risentirsene? Insomma Matthew riusciva simpatico e che male c’era se tentava di spezzare un po’ la monotonia di quell’interminabile ricovero?

Più o meno la pensavano tutti così lì dentro, tranne che per la caposala, un donnone sui cinquanta, dal cipiglio caporalesco e la forza di una impastatrice edile. Lei era l’unica a non fargliela passare liscia, mai. Soprattutto, era la sola a non farsi abbindolare dal sorriso ruffiano e l’aria fanciullesca che esibiva quando ne combinava qualcuna di troppo. 

E la canzoncina che Matthew stava cantando nel momento in cui le sorelle Tashikel si apprestavano, era solo uno dei tanti modi da lui adoperati per far perdere le staffe alla sua nemesi.  In effetti era un giochetto col quale si trastullavano spesso lui e l’infermiera capo, tanto che, da quando era stato passato nel reparto dell’irascibile ras della corsia, la povera donna non aveva più un attimo di pace. Infatti  da vero impunito prendeva in giro chiunque gli capitasse a tiro, ma per lei aveva una predilezione.

E ora, stimò la matrona posandogli sul portavivande il vassoio col pranzo,  si era prevedibilmente al momento in cui avrebbe iniziato a romperle le scatole sul cibo.  E infatti, come aveva immaginato, la manfrina ebbe inizio.

“Infermiera la minestrina che sciacqua gli intestini non la voglio.” Dichiarò incrociando le braccia e alzando il mento come un bambino viziato.  Quindi, visto che quella non gli dava spago, badando solo al controllo della cartella clinica, fece un ghigno malizioso e continuò: “Capisce, liquida com’è mi farebbe andare alla toilette in continuazione . E con una gamba e un braccio rotti ci vuole qualcuno che mi ci porti... e allora che si fa? Viene lei?“

“Possiamo usare sempre il pappagallo.” Replicò l’infermiera sarcastica tirando fuori l’ennesimo ago e preparandosi ad iniettargli una flebo integrativa. Se solo avesse potuto gli avrebbe fatto un’endovenosa di bromuro!

“Macché, mica ce l’avete per le mie misure sproporzionate!“ La contraddisse Matthew  ridendo maliziosamente e beccandosi un’occhiata riprovevole. Ma non era abbastanza, per cui riprese a stuzzicarla. “E poi , vediamo che c’è... mhmhm una fettina di carne... infermiera me la taglia? Me la sminuzza? Me la trita? Infermiera è vitella ?“

“Adesso basta !” Sbottò una volta per tutte la donna e fu solo la provvidenziale entrata delle tre sorelle che la frenò da tirargli appresso il primo oggetto contundente che s’era ritrovata a portata di mano.

Così fu che Kelly, Tati e Sheila, facendo il loro ingresso, rimasero alquanto stupite nel trovarsi davanti alla scena di una distinta operatrice di mezz’età nell’atto di levare il braccio, non si sa per quale scopo, alle prese con Matthew, che da suo letto di dolore ridacchiava tutto soddisfatto. Effettivamente rimasero a bocca aperta, tanto che la caposala arrossì malamente, riprendendo ad affaccendarsi attorno al malato, mentre quest’ultimo si limitò invece a voltarsi e fissarle con uno sguardo vacuo che piano, piano si trasformò in un interesse palese. Ma improvvisamente, senza nessun segnale apparante,  il suo volto si trasfigurò, spalancò gli occhi e una manifesta gioia esaltata gli fece schizzare le sopracciglia in fronte. Tanto che furono istanti di panico per le tre.

“Non ci posso credere! Mamma, mammina!!! Finalmente sei tornata da me! ... e hai portato anche le ziette!“ Esclamò agitandosi scompostamente sul letto e tendendo loro le braccia.

“Che?!” Fece Tati urlando.

Kelly fece un passo indietro scombussolata.

Sheila sconvolta cercò con gli occhi le sorelle.

Mio dio“, pensò veramente preoccupata, “quest’amnesia è molto peggio di quel che pensassi!

A frenare le sue fosche previsioni però ci pensò subito l’infermiera che sbuffando  notevolmente spazientita, e stufa di quella sceneggiata già vista, chiarì loro le cose.

Isman, la piantiamo di fare questo teatrino ogniqualvolta entra qui dentro una femmina che non conosci?“ Lo sgridò sputacchiando, e poi,  volgendosi verso di loro, scosse la testa esasperata. “Questo tizio è impossibile e io non lo sopporto più!“

Si girò nuovamente verso il paziente che sghignazzava mantenendosi lo stomaco e si raccomandò: “Passo dopo per ritirare il portavivande, vedi di non fare troppo il cretino con queste ragazze, chiaro?”

“Sissignore, signora Generalessa!” Replicò facendosi un’altra risata alla faccia sua.  Tanto l’aveva capito benissimo che quelle mansioni le avrebbe potute, anzi avrebbe dovuto svolgerle, una delle infermiere che facevano il praticantato. Ma siccome a  suo modo, pesino quel dinosauro si era affezionata a lui, anche se non l’avrebbe mai ammesso apertamente, era disposta finanche ad accollarsi dei compiti inferiori al suo grado professionale.

Ridacchiò sommesso a questa riflessione, dopodiché rivolse tutta la sua attenzione,  parecchio incuriosito, alle sconosciute che gli stavano innanzi. Le quali, a prescindere da Tati, che nonostante tutto si stava divertendo anche lei a quella messinscena, apparivano un pochino sconcertate.

Va da sé che per loro era un sollievo trovarlo in quello stato, anziché in preda ad un delirio o, peggio ancora, straziato dalla sofferenza fisica.  Ma onestamente tutto si erano aspettate entrando, tranne  che un siparietto comico di quella levatura.

Comunque, ad un più attento esame, il volto di Matthew, sebbene ilare,  appariva scavato, con profonde depressioni sotto gli occhi. Senza contare che aveva bende dappertutto, il braccio appeso al collo e la gamba rigidamente sistemata sul letto. Il guaio era che adesso veniva il difficile, almeno per Sheila, insomma in che modo gli si doveva presentare? Come qualificarsi? Matthew continuava a contemplarle spostando gli occhi  alternativamente dall’una all’altra, finché non seppe trattenere oltre la curiosità.

“Beh, siete dame di carità o cosa?  Purtroppo ultimamente pare che la memoria mi faccia difetto, quindi se non mi dite chi siete, che facciamo? Ce ne stiamo qui a rigirarci i pollici finchè non termina l’orario di visite?”

Kelly finalmente si concesse un sorriso sollevato, invero, adesso che era là e aveva toccato con mano la situazione, si stava abbastanza tranquillizzando. Meglio, l’atteggiamento di Matthew la stava mettendo addirittura di buonumore.

“Allora signorino, io mi chiamo Kelly, questa qui è Tati e lei è Sheila.” Rimarcò mettendo le braccia sulle spalle della sorella e spingendola in avanti più vicino a letto. “Ci conosciamo piuttosto bene noialtri, anche se adesso non te ne ricordi. Il resto, se lo vuoi sapere, te lo fai raccontare da lei.” Aggiunse indicando Sheila e facendo segno alla piccola di sgombrare. “Ora vi lasciamo soli così vi fate una bella chiacchierata okay ? Noi verremo a trovarti un altro giorno.“

Concluse facendo l’occhiolino alla sorella e prendendo commiato. Quanto a Tati, lei gli fece un sorriso a trentadue denti  e si accodò silenziosamente alla sorella, ma non prima d aver buttato lì un allegro: “E fate i bravi mi raccomando!”

“Guarda che così conciato solo il bravo posso fare.” Replicò lamentoso Matthew ghignando.

Simpatiche quelle due, chissà chi diavolo erano?

Rimasti soli si mise ad ammirare la ragazza rimasta e che, impettita rigidamente, ancora se ne stava davanti al suo letto. Appariva piuttosto indecisa sul da farsi in effetti, anche se, si disse grattandosi la testa, irresoluta o no, era decisamente una bella figliola.

“Senti, perché non ti siedi?” Le chiese impaziente indicandole la sedia posta vicino alla sponda. “Magari ti stai stufando da morire, per cui per passare un po’ di tempo, potresti  raccontarmi qualcosa d’interessante, che ne dici?“

“Va bene.” Assentì Sheila, era piuttosto dubbiosa sul da farsi e, facendo un gran sospiro, si sedette al suo fianco. “Non mangi?“ Domandò per iniziare una parvenza di conversazione.

“No figurati, questa roba non mi piace per niente! Certo ho una fame da lupi, ma più tardi passerà qui quella talpa a portarmi qualcosa di commestibile, e non mi preoccupo.“

“E chi sarebbe questa talpa?” Si informò l’altra non troppo sicura d’aver afferrato bene con chi ce l’avesse.

“Si chiama Alice.” Rispose tirando fuori un sacchetto di noccioline dal cassetto e aprendolo in modo da produrre un discreto botto. “Viene a trovarmi praticamente tutti i giorni e le ho chiesto se mi poteva portare qualcosa di più appetitoso. Pare che abbiamo lavorato per molto tempo insieme e che fossimo amici. Boh, io non lo so, ma è una fortuna, almeno mi evita di mangiare questa roba insipida. Vuoi?” Chiese candidamente porgendole il pacchetto e ignaro di ciò che quella spiegazione stava provocando nella mente della sua interlocutrice.

“No, grazie.” Fece Sheila distrattamente e poi alquanto contrariata pensò: “E brava Asatani, ma che ci stai ancora provando?

“Senti un po’ Sheila“,  riprese l’altro richiamando la sua attenzione, “invece noi che tipo di rapporti abbiamo ?”

“Beh noi...noi ...” balbettò esitante innanzi a quella domanda diretta. Che dirgli? Se gli avesse raccontato di loro partendo dal punto in cui erano rimasti, probabilmente l’avrebbe confuso e basta. Per di più, si disse mentre i pensieri le correvano in svariate ed imprevedibili direzioni, forse questa poteva essere davvero un’occasione propizia  per ricominciare da zero tra loro due. E stavolta senza compromettersi in sotterfugi e patemi d’animo per di più. Però, come diavolo doveva comportarsi? Doveva andarci  con i piedi di piombo? Sì, ma anche essere sincera al massimo delle sue possibilità. Per cui era tenuta ad usare la massima cautela certo, ma al contempo doveva pure avere l’abilità di saper gestire il tutto senza prendere una direzione univoca che non  complicasse ulteriormente le idee del suo ex… Ex? Lo era o no lo era più? Maledizione che casino!

Calma Sheila, calma. La situazione non richiede altro che una soluzione repentina. Quindi di che hai paura? Salta il fosso, avanti!

“Io sono la tua fidanzata.” Affermò infine arrossendo un pochino e sorridendogli per la prima volta da quando si erano rincontrati.

“Ah!” Esclamò lui meravigliato e facendo tanto d’occhi. Colpito si diede una pacca in fronte. “Devo proprio essere grave per non ricordarmene, porca miseria! Però, ti credo, eccome se ti credo!“ Assicurò valutandola di sotto in su con aperto apprezzamento. In effetti quale idiota al posto suo si sarebbe azzardato a muovere delle obiezioni davanti ad una prospettiva simile?

“E dimmi, le due ragazze che stavano con te chi sono?”

“Sono le mie sorelle.” Ripose Sheila iniziando a rilassarsi, nessun fraintendimento, né domande imbarazzanti da parte sua. Senza contare che tutto si poteva dire tranne che Matthew avesse perso la sua propensione all’apprezzamento delle sue beltà.

“Peccato.” Fece quest’ultimo inalberando un espressione un po’ delusa, quindi ridacchiò e aggiunse: “Per un meraviglioso istante avevo pensato di avere un harem!“

“E invece no, a quanto pare ti devi accontentare!” Fu la replica alquanto piccata che ne ricevette. Ma Sheila non ebbe il tempo di dire altro ché Matthew riprese a parlare.

“Beh, che dire? Complimenti vivissimi a mamma e papà, hanno fatto proprio un buon lavoro. Dalla prima all’ultima praticamente siete una matrioska di bonazze!”

“Dovresti piantarla sai?” L’ammonì severa, benché quelle battutine le stessero facendo piacere. “Ti pare questo il modo di parlare davanti a una signora?”

“Chiedo scusa, solo che qui dentro capita di rado di vedere passare qualcuno che non sia un medico o un tizio che ci lavora. Uff, i giorni non passano mai e devo confessarti che mi scoccio da morire. Ma verrai a farmi compagnia spesso, vero?” Le chiese tutto speranzoso, dopodiché, senza attendere risposta, si fece perplesso e sparò la successiva domanda.  “Che poi, com’è che arrivi solo adesso?”  

“Ho saputo solo stamattina quello che ti è successo.” Ammise, giustificandosi per la seconda volta nel giro di qualche ora, un comportamento che raramente assumeva. Generalmente era lei quella reattiva e gli altri a doversi discolpare, Matthew poi era stato un vero primatista in questa particolare specialità.

Però, ragionò incupendosi, se questa sorta di riconciliazione stava avvenendo in una corsia ospedaliera, invece che in un contesto romantico, o con scene madri susseguenti giuramenti d’eterno amore,  era accaduto anche in virtù delle sue azioni.

Se non fossi stata un membro della banda Occhi di Gatto, se Matthew nel saperlo non fosse rimasto a tal punto sconvolto da mollare baracca e burattini, decidendo di punto in bianco di cambiare divisione, sarebbe potuto essere tutto diverso? Non lo so, ma non volevo che finisse così...

“E dimmi Sheila”, le chiese improvvisamente Matthew richiamandola alla realtà circostante  con un preciso movimento della mano, “noi abbiamo... abbiamo mai...“

La ragazza rimase interdetta, visto che lui faticava a concludere la frase, poi afferrato il gesto  e comprendendo fulminea il riferimento sconcio, vide rosso.

“Ma come ti passa per la testa un’idea simile?!” Reagì sbalordita arrabbiandosi e levando istintivamente la mano per una delle classiche, e dolorose, pizze con le quali spesso l’aveva omaggiato in passato.

“Scusa “, fece lui prendendole al volo la mano sorridendo innocentemente, “ma credo che fosse una domanda legittima. E poi”, aggiunse togliendole ancora una volta il tempo di rispondergli, “ad un certo punto hai fatto una faccia così triste, che ho pensato che solo dicendo qualche  scemenza  potevo farti passare il malumore.” Concluse sorprendendola vivamente. Come diavolo aveva fatto a capire che dietro la facciata di distensione che stava ostentando si nascondevano pensieri tutt’altro che lieti?

“Lo faccio sempre.” Si premurò di chiarirle impacciato. “Quando mi sento depresso cerco di pensare alle cose più cretine che mi vengono in mente. Strano, non trovi?”

“No, per niente.“ Rispose affettuosamente, molto toccata nell’intimo. “Ma ora dimmi, come ti senti?”

“Non alla grande, questo è sicuro. Mi fa un male cane dappertutto, però in questi casi mi sparano un antidolorifico in vena e dopo un po’ sto meglio. A quanto dice il dottore ci sarà da divertirsi durante la riabilitazione. Mi ha promesso che mi girerà e rivolterà come un guanto, e io gli ho risposto che sarà allora che dovrà portarmi sua sorella... uh scusa!”

“Non fa niente, però adesso piantala, d’accordo?” Ribatté dandogli un colpetto d’avvertimento al braccio sano, dopodiché si rifece seria: “E con la memoria? Non ricordi proprio niente?”

“Non lo so.” Ammise perdendo la leggerezza che aveva mantenuto fino a quel momento. “La psicanalista me la fa spesso questa domanda e non so proprio che  risponderle. Mi hanno sottoposto ad analisi, tac, risonanza magnetica e tanti di quei test, che alla fine ero più rintronato di prima.“ Sorrise un po’ scoraggiato e si voltò verso la parete. “Non lo so, qualche volta mi capita di sognare qualcosa di molto simile a dei bagliori e mi sveglio agitato, in un bagno di sudore. Sono incubi dei quali mi resta molto poco, immagini di gente che scappa, oppure sono io,  reso incapace  da qualcuno o qualcosa.”

Sbuffò sentendo di non essere riuscito a spiegarsi adeguatamente e a mo’ di attenuante aggiunse: “E’ tutto molto caotico e non ci capisco un granché. La dottoressa dice che è su questo che possiamo iniziare a lavorare per recuperare la memoria. Ma se devo essere sincero non è una premessa invitante, anche se spesso mi chiedo chi cavolo sono e da dove maledizione sono sbucato fuori. Però, ora che ti ho conosciuto, come dire? Sono più invogliato a mettere il cervello in moto!” Concluse riaffacciandosi al buonumore e facendole l’occhiolino.

“Sono contenta Matthew, devi essere tu il primo a volerlo e non preoccuparti io ti aiuterò.”

Gli promise rassicurandolo, ma conscia che non sarebbe stata affatto una passeggiata. Però poi si disse che per quel giorno la vena di melanconia che gli era presa era sufficiente, per cui s’impegnò anch’essa per stemperarla.

“Sai cosa? Questa è un’occasione d’oro per rimetterti a nuovo. Una vera fortuna per me, finalmente ho la possibilità di eliminare dal tuo carattere ciò che detesto, lasciando solo quello che più m’aggrada!” Rispose facendogli l’occhietto di rimando.

“Mm.” Mugugnò Matthew serio, serio grattandosi il mento e fissandola intensamente, talmente tanto che lei iniziò ad inquietarsi. “Eppure sai che prima, quando siete entrate tutte e tre, ho avuto come l’impressione d’avervi visto già da qualche altra parte? Forse in tv, sì mi pare proprio d’avervi visto là e sui giornali.”

Affermò mettendola in allarme, tanto che Sheila cominciò ad imprecare contro la sua buona stella, ché ultimamente pareva si divertisse a tirarle solo bidoni.   

No, non è possibile! E che cavolo, che si sia ricordato di noi in relazione a qualche articolo o inchiesta televisiva su Occhi di Gatto?E’ troppo presto, non può, accidenti a lui!

“Ma sì, certo, che cretino!” Esclamò compiaciuto per aver finalmente trovato il nesso. “Siete le copie sputate delle Las Ketkup! Me lo fai il balletto di Ajerejè?”

   
 
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