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Autore: Fake_Brit    28/03/2013    3 recensioni
[Spoby, 3x24. Malinconico, romantico.]
Cercava un punto sul quale fissare lo sguardo. Il nero del suo cappuccio splendeva alla luce smorta del neon, ricordandogli quando indossarlo fosse pesante, quanto avesse avuto l’impressione di non averlo mai tolto. Ricordandogli lei.
La freddezza della sua voce mentre sollevava la vecchia chiave, il volto bianco come neve a causa di ciò che aveva scoperto, ma, allo stesso tempo, l’impressione che paresse impassibile mentre lui si voltava, mandando in frantumi un quadro a cui entrambi, giorno dopo giorno, si erano aggrappati.
[...]
Il cuore di Toby, che era rimasto fermo nella cassa toracica fino ad allora, perse un paio di battiti. Anche se Spencer aveva deciso, – la decisione era più che dimostrata dal cappuccio che le copriva la testa – non avrebbe permesso che arrivasse a tanto. Se l’era ripromesso tante di quelle volte che non riusciva neanche a ricordarle tutte nitidamente: le crepe non avrebbero complicato anche la sua strada.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Toby Cavanaugh
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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This road it's taking me back to you
Toby sgusciò nel pub – ormai più che familiare – senza aspettare che il campanello appeso alla porta smettesse di tintinnare.
Il commento della cameriera arrivò alle sue orecchie come un rumore lontano chilometri, indistinto, come un sogno e il suo strascico di sensazioni che si rifiutano di lasciare il passo alla calma pesante e fugace del dormiveglia.
Non ebbe bisogno di far scorrere lo sguardo nella stanza scolorita, così opaca da sembrare intrappolata nel tempo, in cerca di un cappuccio nero; gli saltò all’occhio a causa del rosso fin troppo vivo, tanto da stonare con l’intero locale, della poltrona.
Si diresse al tavolo a cui la sua collega – stava davvero passando troppo tempo con lei, diamine. Non erano una coppia: avevano un obiettivo comune, in un certo senso. – lo stava aspettando e sprofondò nella poltrona, silenziosamente.
Cercava un punto sul quale fissare lo sguardo. Il nero del suo cappuccio splendeva alla luce smorta del neon, ricordandogli quando indossarlo fosse pesante, quanto avesse avuto l’impressione di non averlo mai tolto. Ricordandogli lei.
La freddezza della sua voce mentre sollevava la vecchia chiave, il volto bianco come neve a causa di ciò che aveva scoperto, ma, allo stesso tempo, l’impressione che paresse impassibile mentre lui si voltava, mandando in frantumi un quadro a cui entrambi, giorno dopo giorno, si erano aggrappati.
<< Hanna ha avuto il lavoro. >> disse piano. I suoi occhi continuavano a vagare, nonostante il ricordo di Spencer l’avesse distratto al punto da ricordargli quanto la sua vita fosse simile a una stradina piena di crepe – la morte di sua madre, il periodo in riformatorio, le accuse riguardo Alison e poi Spencer – e quest’ultima, dolorosa ma necessaria crepa non era dovuta a errori o malintesi. Era colpa sua, in tutti i sensi stavolta, e sembrava profonda, come quei burroni dove non senti mai atterrare ciò che cade.
<< Lo so. >> erano due parole, eppure bastarono a spazzare via la patina opaca che avvolgeva la stanza. Toby la sentì spezzarsi.
Spencer alzò la testa. Voleva guardare Toby fino ad essere certa di poterlo disegnare a memoria. Rincontrare quegli occhi – che le avevano occupato la mente persino mentre si accasciava contro un albero, esausta. – fece riemergere tutta la rabbia che il dubbio sulla sincerità di Mona aveva sepolto negli ultimi giorni, durante i quali non aveva fatto altro che ripetersi: << E’ un bluff. Un bluff da maestro. >> ogniqualvolta il suo cuore aveva deciso di lasciarsi andare alla speranza di rivederlo.
<< Spencer. >> il suo nome ballò per qualche secondo sulle labbra di Toby, – che non riusciva a credere a ciò che aveva davanti, nonostante avesse sperato che la sua voce suonasse calma. Ripetere il suo nome ad alta voce fu un’agonia: era lì, forse per lui, ma il suo sguardo sembrava assente. Mancava qualcosa. – per poi infrangersi nell’aria. Riprese a parlare, come se quella piccola interruzione non l’avesse condizionata, facendole temere di ritrovarglisi addosso senza che lo realizzasse, a causa dei battiti del suo cuore vagamente simili a singhiozzi intrisi di sollievo.
<< Quand’ero al Radley, >> iniziò, piano. Guardava Toby in faccia, pronta a cogliere il minimo cambio di espressione. << Mona mi ha detto che eri vivo. Volevo crederle, ma fino ad ora… >> si fermò. Lei e Toby si stavano fissando. Con i suoi occhi puntati addosso parlare del dolore che aveva sentito riconoscendo il suo corpo nel bosco – Era davvero lui? si chiese. Sa tutto? – era tutt’altro che facile. L’ansia le picchiettò dentro, come un bambino impaziente. Tutti i dubbi, le speranze, le possibilità, la stringevano in una morsa da cui per giorni era voluta scappare, – come le protagoniste dei film horror di fronte al pericolo – ma lo sguardo di Toby, così esperto nel metterla a nudo, le faceva desiderare di indossarla come una coperta di lana durante una nevicata. << Nel bosco… eri tu? >> la voce della ragazza si spezzò e il respiro le si chiuse in gola, come un bambino spaventato. << Ne facevi parte? >> far uscire l’aria fu difficile, presa com’era dal ricordo. Quel giorno, dopo averlo visto, mentre piangeva, aveva pensato davvero che sarebbe finita per sgretolarsi dal dolore, appoggiata ad un pino.
Toby si accorse del luccichio negli occhi di Spencer, mentre cercava un modo per dirle che ne sapeva poco più di lei.
<< Mona me l’ha detto dopo… >> ogni parola, per entrambi, assomigliava ad una coltellata. Toby arrancava, in cerca di parole adatte. Guardarla era diventata una tortura: stava per esplodere a causa sua. Aveva paura di vederla perdere la calma, di vederla spaccarsi in tanti piccoli cocci e perderla – perdere l’unica persona che amava davvero – nel modo più brutale, vederla allontanarsi sulla strada da cui nessuno torna.
<< E mi hai lasciato credere che fossi morto? >> lo accusò, la voce al limite del pianto.  Cominciò ad avere freddo, a sentirsi sprofondare nella rabbia e poi, con lentezza, nel dolore cieco. Guardarlo era troppo doloroso, – era un miracolo che, dopo quell’ultima frase, nera come la felpa che aveva addosso, il cuore non le fosse morto nel petto – quindi abbassò la testa, il pianto che premeva furioso contro le pareti strette della gola.
Toby si ritrovò a fissare il suo cappuccio. Le parole si fecero strada nella sua gola, stanche di aspettare. << Ho fatto tutto quello che ho fatto per poterti proteggere. >> lo aveva detto. Aveva passato mesi a sotterrare quell’idea per evitare che Mona lo sapesse. Ora, in un soffio, aveva lasciato che quelle parole lasciassero la sua gola per rincorrersi nell’aria.
<< Vorrei crederci… >> sospirò Spencer. Il suo mondo era stato buttato all’aria troppo a lungo e la sincerità nella voce di Toby, una traccia simile ad un’ombra, era calda, sapeva di casa.
<< Lascia che ti porti in un posto sicuro. Mona sa che sei qui? >> chiese Toby, con un fremito nella voce. Parlare lì sarebbe stata un’idiozia. Ma Toby aveva bisogno che Spencer si fidasse di lui. Camminava sulle crepe da troppo tempo.
<< No. Mi ha detto che saresti stato lì venerdì… >> un singhiozzo le sfuggì. << Che saresti stato la mia ricompensa per aver consegnato le ragazze. >>
Dopo un momento di silenzio – Toby sentiva quanto fosse dura per Spencer e sapeva quanto le sue amiche contassero per lei – chiese: << Come hai fatto a trovarmi? >>
<< Mi ha lasciato da sola nel suo covo. >> sussurrò, come se fosse il vento che sbatte su una finestra. Per un attimo, i suoi occhi brillarono e Toby rivide la vecchia Spencer, competitiva e scaltra fino al midollo. Un brivido  di nostalgia lo percorse: quando andava in ansia e aveva bisogno di distrazioni – sorrise fra sé – cercava lui.
<< Ho rapito un bambino di sette anni. >> mugolò Spencer. << Sono la ragione per cui Ezra ed Aria hanno rotto. Ho guadagnato così la sua fiducia. >> la sua voce traboccava di colpa, ma, se non l’avesse conosciuta come le sue tasche, gli sarebbe sembrato un semplice commento sul tempo. Disinteressato.
<< Non sicuro per te stare qui. >> la voce di Toby era ridotta ad un sussurro concitato.
<< Ho smesso di preoccuparmi per me stessa molto tempo fa. >> ribatté. Il tono incolore sembrava prigioniero delle sue corde vocali.
Il cuore di Toby, che era rimasto fermo nella cassa toracica fino ad allora, perse un paio di battiti. Anche se Spencer aveva deciso, – la decisione era più che dimostrata dal cappuccio che le copriva la testa – non avrebbe permesso che arrivasse a tanto. Se l’era ripromesso tante di quelle volte che non riusciva neanche a ricordarle tutte nitidamente: le crepe non avrebbero complicato anche la sua strada.
Senza sapere come, erano ritornati a fissarsi. E stavolta, gli occhi di Toby erano forti come calamite.
Allo stesso tempo, sembrava che Toby non riuscisse a staccarli dal suo viso, come se inghiottisse il resto. << Ciò che avevamo era reale. >> sussurrò. La sua voce era bassa, ma Spencer avvertì la malinconia mista al dolore. Sembrava che, se non l’avesse detto, avrebbe corso il rischio di soffocare.
<< Ho finto di lavorare con Mona per tenerti al sicuro. >> questo sussurro fu più lento del precedente. Parola dopo parola, il dolore cominciò ad inondare la sua voce. << Ho bisogno che tu mi creda. >> era una preghiera. Una preghiera che aveva vagato dentro di lui fin da quando il suo nome gli era spuntato sulle labbra poco prima. << E che mi segua. >> finalmente, smise di guardarla. Si alzò e, uscendo, lasciò che il campanello riecheggiasse dietro di lui, sperando di rivedere Spencer il prima possibile.
 
 
   
 
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