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Autore: ReikoChan    29/03/2013    1 recensioni
Partecipante al contest "Chi è il mostro?" di MisticSword
Faith è una ragazza su cui hanno fatto un esperimento quando aveva solo cinque anni.
Le hanno somministrato scariche elettriche e adesso appena qualcuno la tocca viene fulminato.
Tutti la isolano e la evitano, anche perché involontariamente Faith ha già ucciso tre persone che l'avevano chiamata "Mostro".
Pensa di suicidarsi dopo aver rivisto la sua prima volta in cella, ma qualcuno le farà capire che la vita è ben altro di quello che lei pensa.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autore (EFPForum): ReikoChan (EFP), Kirame27 (Forum)

Titolo: Ying e Yang, nero e bianco

Fandom: Originali

Tipo di mostro: Breaker, scariche elettriche e fuoco dalle mani (2 personaggi)

Note autore: Ci sono vari cambiamenti di tempi verbali per via dei flashback (Corsivo) e del presente (In cui uso o presente se è una volta o imperfetto se si ripete più volte. Spero non ci siano problemi.


 

Ying e Yang, nero e bianco

 

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Ti guardasti le mani arrabbiata, possibile che dovesse succedere di nuovo?

Quella scarica elettrica che uccise il ragazzo, mandata dal “mostro”, lo aveva fatto morire.

Chi è il mostro?

Tu.

Sei stata tu.

Sei stata tu, il mostro, ad uccidere Paul.

Ti provocò, non avrebbe dovuto, nessuno deve chiamarti così.

Mostro.

È così che ti chiamavano tutti, eri soltanto un essere pericoloso e spregevole, per loro.

Ti evitavano, e come biasimarli?

Eri semplicemente una ragazza anormale, che veniva isolata e temuta o sbeffeggiata come una tigre del circo, in classe, in strada…

Per non parlare di quando, al mercato, dovevi pagare!

Il negoziante ti fissava spaventatissimo e poi ripeteva una frase che ormai conoscevi a memoria.

Vattene via, mostro!

Ecco.

Ti conoscono tutti, ti temono, e il tuo nome non c’è più, sostituito dall’appellativo che ti si addice di più in assoluto.

Quando cammini per strada occhiate spaventate e furenti ti si appiccicano addosso sudicie e spregevoli, la gente si fa da parte, formando una piccola strada recintata dalle persone che non vogliono toccarti.

Gli fai schifo.

E che cosa sono loro in confronto alla polizia?

Niente.

La polizia è tremenda, ogni volta ti acchiappano con della plastica per non venire a contatto con la tua pelle, per non toccarti.

Ti odiano.

Ti dicono di alzare le mani e te le isolano con delle manette in legno, perché sei una criminale.

Poi ti portano in cella, lo sai, è già successo cinque impossibili volte.

Ricordi perfettamente la prima, la più dolorosa.

Sei anni.

Anno osato torturarti, sbeffeggiarti, ma tu non piangevi, non volevi essere debole.

Racchiusa nel tuo piccolo guscio di tristezza, ascoltavi apparentemente fredda le parole affilate del generale, tinte di rosso.

Faceva giri di parole che portavano a lunghi monologhi, con l’intento di vederti esplodere.

Gli dava fastidio che tu non rispondessi, ma che lo guardassi fredda e rigida.

 

“Non sei altro che un mostro, tu non sei come gli altri, piccola bastarda.” Sogghignò, facendoti serrare i pugni.

Allora non conoscevi il significato della parola, ma la sua lurida faccia… Strafottente.

Una goccia rossastra cadde al suolo con un –plic- che spezzò quel silenzio anormale, seguita da altre due piccole gocce metalliche.

Il generale voleva delle prove, ma non avrebbe avuto quel che voleva.

Aspettava una tua reazione, ma quando vide che essa non arrivava, si infuriò e con uno scatto prese in mano la sedia di legno e te la lanciò contro, senza pietà.

Cadesti a terra, sanguinante e oltraggiata.

Non eri anche tu una bambina?

Evidentemente no.

Sorrise orrendamente, e toccò il tuo sangue.

Male.

Troppi elettroni, troppa energia.

Il generale cadde all’indietro, e ti chiesi come mai fosse così idiota.

Lo guardasti storto, non era neanche morto.

Ma non ti importava, rompesti le manette e scappasti, senza lasciare traccia.

Ma nella tua mente rimasero tutti i ricordi di quelle tre ore infernali.

 

Adesso non soffri più e non piangi più, ma in compenso è la rabbia che ti assale anche se non vuoi, facendoti fare delle cose di cui non sei cosciente.

E d’altronde, che cosa sei tu?

Ti viene in mente l’esperimento che quei bastardi hanno fatto su di te quando avevi soltanto cinque anni.

Ti avevano preso con la forza e ti avevano attaccata ad un generatore di energia.

Adesso sei piena di elettroni.

Il generatore di energia ti aveva trasmesso degli impulsi elettrici talmente tanto forti che ti sembrava di essere morta, e poi rinata.

Non lo meritavi, eri una bambina come tante, e allora perché proprio a te?

Forse avevi fatto da monella, ma che cosa centrava tutto quello?

Non lo capivi e forse non lo avresti mai capito.

 

Avresti dovuto morire, per capirlo?

Quante domande che assillano la tua testa, non ne puoi veramente più.

È solo un salto, ti ripeti, sul cornicione del Golden Gate, fissando la corrente trascinare via di tutto, cartoffie…

Volti lo sguardo verso la città e i suoi grattacieli, illuminati.

Sorridi, lo stai per fare, anche se hai soltanto diciassette anni stai per fare la tua più grande cazzata.

Ma che ci puoi fare, ti sembra la cosa più giusta ma anche quella più idiota, devi solo fare un passo.

Come è volare?

Che idiozia.

Le tue converse nere si muovono di qualche centimetro, sino all’orlo del ponte.

San Francisco è inerme di fronte alla tua azione stupida e insensata, l’acqua è calma e placida, smossa da una leggera brezza notturna.

Ti sistemi la giacca in pelle nera, che sarà mai un salto!

Ne hai fatti moltissimi di salti, e non costa nulla.

Sai che cosa succederà se salterai verso il basso: affogherai, semplicemente.

E se Dio esiste, allora ti manderà all’Inferno.

Bella prospettiva.

Alzi gli occhi al cielo esasperata, ma che ti succede?

Fai un piccolo passo indietro, ma subito avanzi dello stesso tanto.

Sembra uno stupido ballo da dodicenne ritardata, ti ripeti mentre avanzi e arretri indecisa.

Senti dei passi.

Ti volti di scatto, chi potrebbe essere a quell’ora della notte?

Lo vedi alla luce sfocata del lampione, è magrolino, alto e coi capelli scompigliati.

“Chi sei?” Borbotti stupita.

“Ciao, piacere di conoscerti, Ian, tu?” Chiese, allungando la mano in segno di saluto.

La ritirasti di fretta, per caso era impazzito a porgerti la mano? 

Rise. Rise di gusto.

“Ma che fai, hai paura?” Chiese gentilmente guardandoti.

“No, tu… ehm io… non toccarmi!” Esplodi, da quanto è che non parli?

Tre, quattro anni?

“Sei confusa? Dimmi almeno come ti chiami e che cosa ci fai sul cornicione del ponte!” Disse Ian, ridacchiando e indicando i tuoi piedi.

Arrossisci e scendi dal cornicione, sedendoti.

“Faith. Il mio nome. Faith” Ripetesti, più per te stessa che per Ian.

“Bel nome” Sorrise.

“Gra… Grazie.” Borbottasti parecchio imbarazzata.

Dimentichi pure il tuo tentato suicidio, e sei trascinata negli occhi verdi di Ian, che ti parla gentilmente.

Quando scoprirà che sei un mostro, ti odierà anche solo per aver parlato con te.

Decidi di farla finita e di rivelarlo.

“Ian, io sono un mostro… Ho troppi elettroni nel corpo ed elettrizzo la gente…”

Rimane stupito.

“Tu, un mostro?” Fissò il terreno, pensò.

“Sì, ecco perché non mi devi toccare…” Dissi, guardandolo negli occhi.

“Non mi interessa.” Fece lui, serio.

“Non… non ti interessa?” Chiesi, come è possibile?

“Vedi Faith, anche io sono considerato un mostro, ma non per questo penso di suicidarmi buttandomi dal Golden Gate! La vita è più bella, non esiste solo la gente che ti evita, devi superare la tua paura di uscire dal tuo guscio, devi mostrarti al mondo.

Io so quello che hai passato Faith. Ho visto l’esperimento, il generale e le tue permanenze in cella, ho visto James, Noah e Alexander. Ho visto tutto Faith, ho visto tutto.

Io leggo nel pensiero, e se mi arrabbio lancio fuoco dalle mani. Ma ho vent’anni e cercherò di vivere a lungo la mia vita.

La gente non è tutta uguale, ho girato il mondo e ne ho vista tanta indicarmi come un mostro, ma ne vista altrettanta indicarmi come una persona speciale, con qualcosa da raccontare.” Ribatté, serissimo.

Lo guardasti stupita, sapeva leggere nel pensiero…

Avete qualcosa in comune!

Forse si può veramente vivere per qualcosa, forse si può restare qui sulla Terra per un altro po’, dopotutto c’è sempre qualcosa da vedere.

Sorridi e ti avvicini, vuoi baciarlo, vuoi trasmettergli le tue emozioni.

Lui fa un passo verso di te e ti bacia, come volesse darti più elettroni di quelli che hai già.

Sei elettrizzata ma capisci il perché Ian non sia scaraventato in aria.

Siete come lo Ying e lo Yang, due facce diverse  della stessa medaglia che si completano a vicenda.

Bianco e nero, nero e bianco.

Finalmente la vita ha un senso, finalmente si può provare a non suicidarsi, finalmente ti si offre qualcosa.

Un angelo di fuoco caduto dal cielo per te, soltanto per te.

“Visto? Io vivo per questi momenti Faith, io vivo per questo.” Sorrise e ti abbracciò.

Sentisti un brivido percorrerti la schiena, mai nessuno ti aveva abbracciato di lì a dodici o tredici anni.

Adesso ci sei soltanto tu e lui, sul ponte illuminato di San Francisco, e la città e il mondo non esistono più.

Perché ne vale la pena.

Sotto alla luce della luna, dei lampioni, dei grattacieli, sembri una persona normale, ma alla fine che cosa sono i mostri?

Sono soltanto delle persone speciali.

 

 

Note dell'autrice:

Buongiorno!

Come è?

È per un contest, credo arriverà ultima...

Comunque...

È vero, non tutte le persone sono uguali, e Ian lo ha già capito da tempo.

Spero vi sia piaciuta,

Reiko

  
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