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Autore: Amelie__    29/03/2013    3 recensioni
«Ma che cazzo..» si sollevò in piedi, tossendo ancora, e dopo aver arraffato le chiavi di casa spalancò la porta.
Davanti a lei un ragazzo dalla faccia estremamente scazzata stava per premere il campanello che si trovava alla sua destra. Lei lo guardò per qualche secondo, gli occhi socchiusi e la bocca leggermente aperta.
«Cosa cavolo vuoi?» non era stata propriamente gentile, ma non poteva aspettarsi altro il tizio che si trovava di fronte. La ragazza dai capelli azzurri si era infatti scordata le buone maniere tipiche degli americani, che normalmente vanno a fare conoscenza con i loro vicini. Diede una rapida occhiata al viso del ragazzo davanti a lei.
Viso lungo.
Capelli scuri molto particolari.
Occhi chiari, dannatamente chiari.
Labbra come le sue e un’altezza invidiabile.
«Tu saresti?» lo squadrò dalla punta dei piedi all’ ultimo ciuffo sparato in aria dei capelli.
«Il tuo vicino di casa» biascicò l’altro, alzando le spalle.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Synyster Gates, The Rev, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Come pensavo di fare già da un pò, ecco che vi ripropongo quella che è la mia storia preferita,
ho già i capitoli pronti e per farla ho impiegato tempo, costanza e passione. In questo racconto
ho davvero messo tutta me stessa. Qualcuno la conoscerà già, ma sarei felice che la commentaste,
che mi deste dei pareri personali e, se avete da farle, anche delle critiche.
Un abbraccio,
Amelie.



 

Nothing is harder than to wake up all alone.
Prologue.

Si alzò dalla sedia circospetta, guardandosi le unghie appena smaltate di rosa pallido e si diede una scrollata ai lunghi capelli azzurri. Non era mai stata eccessivamente vistosa fino a qualche anno prima, quando aveva realizzato di essere una ragazza discretamente carina. Occhi grigi come le nuvole prima del temporale, lunghe e folte ciglia, un leggero nasino all’insù e delle labbra che si suddividevano in due perfette metà, la parte più alta era sottile e marcata, mentre la seconda era leggermente più carnosa. Spostò lo sguardo sugli scatoloni appena aperti e si limitò ad alzare leggermente le spalle. Non le andava di preparare la sua nuova stanza in un momento come quello, addosso aveva ancora quel senso di avventura e scoperta che prende qualsiasi persona in un posto nuovo. Le pareti color verde acqua della stanza erano completamente fuori dal suo stile, preferiva i colori caldi a quelli freddi, e in questo caso avrebbe dato una ripassata di colore, se la signora che le affittava la casa era d’accordo. Camminò lungo il corridoio sbatacchiando sui talloni le ciabatte di gomma e andò nel salotto non troppo grande. Aveva un ragionevole senso estetico in quel momento e, si rese conto, quella casa era completamente da riarredare. Orribili gingilli stavano in ogni dove e la situazione non era delle migliori, dato che il suo senso critico spiccava molto spesso in quel periodo.
«Ricordati che sei venuta qua perché lo volevi» si disse sottovoce, mentre si sedeva sul divano sfondato. Una gigantesca folata di polvere salì dal sofà e la ragazza si ritrovò a tossire sonoramente, sventolando una mano dalle lunghe dita davanti alla propria faccia.
«Ma che cazzo..» si sollevò in piedi, tossendo ancora, e dopo aver arraffato le chiavi di casa spalancò la porta.
Davanti a lei un ragazzo dalla faccia estremamente scazzata stava per premere il campanello che si trovava alla sua destra. Lei lo guardò per qualche secondo, gli occhi socchiusi e la bocca leggermente aperta.
«Cosa cavolo vuoi?» non era stata propriamente gentile, ma non poteva aspettarsi altro il tizio che si trovava di fronte. La ragazza dai capelli azzurri si era infatti scordata le buone maniere tipiche degli americani, che normalmente vanno a fare conoscenza con i loro vicini. Diede una rapida occhiata al viso del ragazzo davanti a lei.
Viso lungo.
Capelli scuri molto particolari.
Occhi chiari, dannatamente chiari.
Labbra come le sue e un’altezza invidiabile.
«Tu saresti?» lo squadrò dalla punta dei piedi all’ultimo ciuffo sparato in aria dei capelli.
«Il tuo vicino di casa» biascicò l’altro, alzando le spalle.
«Eh… certo…» non sapeva cosa dire, cosa si faceva in questi casi?
«Senti, visto che non avevo nessuna voglia di venire fin qui per conoscere una nuova arrivata, ti saluto. I miei sono stati talmente gentili da volerti dare questo» posò sullo zerbino d’entrata un cesto con del cibo e si voltò per andarsene. In un impeto di gentilezza l’altra chiuse velocemente la porta di casa e lo raggiunse lungo il marciapiede.
«Scusami» disse lei, mentre un leggero venticello le scompigliava la canotta bianca con una stampa in bianco e nero di una città, portava dei pantaloncini color kaki e ai piedi aveva ancora le ciabatte che teneva in casa «merda» sospirò, non appena se ne accorse. Voltò lo sguardo verso il ragazzo e lo vide sorridere.
«Sei assurda» disse, semplicemente.
«Mi conosci da tre minuti e mi dici già che sono assurda?» alzò un sopracciglio, inarcandolo.
«Pensala come ti pare» il giovane ragazzo fece spallucce e proseguì la sua strada «Ma come ti ripeto, non volevo venire a conoscerti»
Lei si bloccò sul marciapiede, incrociando le braccia al petto «Ma guarda te questo americano» sbuffò.
«Questo americano?» il ragazzo, che stava qualche metro avanti a lei, si voltò «Perché, tu non lo sei?»
«Ti sembra che abbia un accento americano?» alzò le braccia al cielo.
«No»
Questo tizio le stava dando ai nervi, ma chi diavolo si credeva di essere? Roteò gli occhi, in cerca di una qualche battutaccia illuminante ma nulla di tutto questo fece capolino nella sua mente. Si limitò a sbattere il piede per terra, prima di voltarsi e riavviarsi verso casa.
«Come ti chiami, americana?» le domandò lui, sogghignando.
«Effie» sbuffò lei, senza voltarsi «E non sono americana, sono canadese!»
«Bene.. Effie» e il ragazzo si mise a ridere per il nome della ragazza che, nonostante tutto, le si addiceva «Io sono James»
Si voltò e si incamminò per la strada, mentre lei ripercorreva il vialetto di casa e apriva la porta, afferrando il cesto con il cibo e sbuffando leggermente, prima di chiudersi il mondo esterno alle spalle.

  
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