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Autore: virgily    30/03/2013    4 recensioni
[Dal cap. 1 - Fatale Monstrum]
-Tu… Non esisti…-
Silenzio. E i suoi occhi, in quei lunghissimi secondi che trascorsero a rallentatore, non si staccarono mai dai miei, scrutandomi con curiosità. Una risata acuta e inquietante scoppiò nuovamente sulla sua bocca. Con estrema facilità si portò una mano alla giacca, continuando a ridere, puntandomi una pistola contro. Non pensai, non c’era più tempo per farlo. Mi gettai a terra non appena fece fuoco, serrando le palpebre più forte che potevo. Un boato, lo sgretolarsi di polveri sottili. Mi voltai appena, osservando con occhi sgranati il maestoso buco che attraversò la parete che si trovava alla mi spalle. Se mi avesse colpita, come minimo, sarebbe riuscito a farmi esplodere la testa, lasciando schizzi cremisi e materia grigia ovunque. Cercai di riprendere fiato, di tenere i nervi saldi sebbene sentissi i suoi occhi pesare su di me come un’incudine. Sollevai lo sguardo, ora era in piedi, e torreggiava su di me esponendo quel magnifico ghigno che riusciva ad incutermi una paura più profonda e malata del semplice terrore. [...]
-Allora, sono abbastanza reale per te, adesso?-
Genere: Dark, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Joker aka Jack Napier, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza
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Once I was Real…
Cap.1 - Fatale Monstrum

 
29-03-2013 ore: 00.53

Seduta con le gambe strette al petto, la testa riversata contro la seggiola, gli occhi rivolti verso il soffitto. Sono spersi nel vuoto, fissavano un punto indefinito della parete senza dargli alcuna importanza. Erano svuotati. Pesavo, elaboravo frammento per frammento scene di una storia che sapevo probabilmente non avrebbe letto mai nessuno. La massiccia scrivania di legno massello mi delimitava, quasi abbracciandomi, sostenendo un misero quaderno dalla copertina di pelle scura. Sulle pagine ingiallite vi erano piccole macchie di inchiostro nero. Poche parole accostate assieme: “Once I was Real…” , “Joker”. Non sapevo con certezza per quale assurdo motivo avessi deciso di scrivere una storia su di lui. No, non storia: Fiction. Beh, era sempre stata chiara a tutti la mia curiosa propensione per il principe clown di Gotham City. Mai mi ero risparmiata di ostentare il fascino che quel personaggio riusciva a suscitarmi. E quella notte, una di quelle in cui non riuscivo a prendere sonno perché il temporale era troppo forte, un pensiero bizzarro e, al contempo, assai intrigante aveva sorvolato la mia mente: “Perché non scrivi?” mi domandai “Beh, di sicuro mi concilierà il sonno…” e di tutta fretta, senza neanche infilare una vestaglia per coprire le braccia nude e le gambe scoperte dal piccolo pantaloncino di cotone, mi ero appollaiata accanto alla scrivania con la penna alla mano e un grosso dilemma nella testa: “E ora?”. Attesi minuti estenuanti, quasi interminabili, ascoltando il suono della pioggia battere con violenza contro la liscia parete vitrea della mia finestra, lasciandola tempestata di minuscole gemme incolore che luccicavano alla misera carezza della luce fioca dell’abat-jour accesa. Poi, improvvisamente, una voce vellutata e agghiacciante si era fatta largo nella mia mente, sbaragliando in un sol colpo tutti i miei pensieri confusi. Una risata cattiva, gustosa… inconfondibile. Buttai giù il primo titolo che mi venne in mente in quel breve attimo di ispirazione, e poi scrissi il suo nome. Piano, badando alla mia calligrafia che spesso poteva diventare confusa e disordinata. Cinque lettere che facevano salire un brivido lungo tutta la mia colonna vertebrale. E in quel momento, quasi cadendo in trance, riucivo a vedere davanti a me un mondo che non mi apparteneva: notte, oscurità, esplosioni… Se mi concentravo un poco, potevo sentire l’odore della benzina, l’odore del sangue. Abbozzai su carta una veloce mind map, giusto per dare un senso logico a quelle “visioni” a cui avevo preso parte. Senza rendermene conto, stavo creando lo scheletro della mia trama. L’Arkam Asylum, Batman, le lotte, le scorribande. Tutto era lì, nero su bianco, non mancava proprio nulla. Feci per posare la penna, quando un secondo lampo attraversò spietato il mio cranio da parte a parte. Tornai a scrivere, questa volta con continuità, quasi sotto flusso di coscienza se non fosse stato per la presenza della punteggiatura:

“Tu non mi appartieni, pertanto spero con la mia penna di essere all’altezza dell’audace impresa che mi sono riproposta, e di valorizzarti al meglio senza porre modifiche. Tu che saresti in grado di convertire chiunque, anche l’animo più puro, alla tua dottrina del caos. E io, in un certo qual senso, ci credo.

Virgily”

Rilessi quelle poche righe con cura. Prendendomi in giro. Era tardi, ero decisamente stanca, e stavo scrivendo ad un personaggio inesistente, lodandolo del suo essere malsano e meschino. Sorrisi, quasi ghignando. Probabilmente, se Joker fosse stato reale e avesse letto quello che avevo appena scritto, mi avrebbe uccisa con le labbra tirate in un bel sorriso. Un bel taglio netto alla gola. Sbadigliai rumorosamente e socchiusi il mio quaderno, ormai colmo di appunti e abbozzi di storie che non ero mai stata in grado di terminare. Per quanto amassi scrivere, non riuscivo a conciliare il tempo della stesura, della “magia” con quello della mia vita, con i miei ritmi e i miei doveri. Tornai a letto, camminando a piedi scalzi lungo il parquet che mi separava dall’ampio letto matrimoniale, disfatto ma ancora caldo. Spensi la luce, e quando il buio mi avvolse mi rannicchiai in posizione fetale tra le soffici coperte di morbida flanella. Chiusi gli occhi, godendo del solleticante formicolio che con tepore sfiorava la mia pelle. E nella quiete più totale, un nuovo irrefrenabile pensiero giunse al mio conscio, facendomi quasi sperare: “Se solo fosse reale e potessi restare a contatto con lui, certamente la mia storia sarebbe realistica. Un vero capolavoro di sopraffina follia” con uno scatto irrequieto mi stesi supina nel centro del letto, prendendo un respiro profondo: “Magari fosse vero. Sentire l’adrenalina scorrere a fiotti nelle vene. Avere la paura costante di poter morire da una secondo all’altro, godendo di ogni singolo istante passato con la sua nobile malvagità…” mi morsi le labbra, cercando di dare un freno alla strana piega che stava prendendo la mia immaginazione: “Smettila Virgily. Dormi. Sei pazza.” Tornai ad aggomitolarmi sul fianco sinistro, carezzando la fodera del cuscino. Respirai piano, abbandonandomi dolcemente al sonno, chiedendo al mio inconscio di aprire le sue porte, e concedermi almeno il privilegio di vivere un’avventura, che al mattino, sarebbe rimasta segregata in una anticamera irraggiungibile dalla mia memoria.

***

Il giorno sembra infinito, soprattutto quando gli studi e il lavoro mi impediscono di sognare ad occhi aperti. Giostrarsi la giornata tra libri pesanti e documenti da smistare non era mai stato facile, ma era il giusto prezzo da pagare per mantenermi l’appartamento in periferia e l’università. Certo, potevo sempre chiedere un contributo finanziario ai miei genitori, ma non amavo particolarmente chiedere prestiti che sapevo non sarei riuscita a risanare. E poi mi avevano abituata all’idea di essere indipendente, perciò era colpa loro se il mio orgoglio mi vietava di chiedere una mano anche quando ne avevo bisogno. Quel giorno lo stage era durato più del previsto, e archiviare quelle centinaia di pratiche di divorzio mi avevano letteralmente fatto venire la nausea oltre che a un gran mal di testa. Fosse stato poi un argomento utile per i miei studi! No, tutto il contrario. Uscii dalla cancelleria che orami era sera inoltrata, avevo mangiato poco e niente, e come se non bastasse, avevo letto solo una trentina di pagine del volume da trecento che mi ero portata a presso per le ore libere. Montai in macchina con un fastidioso bruciore alle gambe dovuto al freddo accompagnata alla stanchezza di star sui tacchi per più di nove ore di fila. Sistemai lo specchietto retrovisore, dando un’occhiata alla mia faccia smorta, pallida: gli occhi verdi erano cupi, contornati dal trucco ormai colato, accentuando le sue piccole occhiaie. Le labbra screpolate e i capelli bruni e arruffati colavano disordinati lungo le sue spalle. Decisamente un aspetto orribile, degno di una donna vissuta stanca della sua vita monotona, l’unico problema era che io non avevo da poco superato i vent’anni. Tra il traffico, la fila per mettere benzina e i simpatici semafori sempre piazzati sul rosso fisso, arrivai a casa tardissimo. Non era il quartiere dei più raccomandabili della città, ma per lo meno gli alloggi erano vivibili e con un basso costo di affitto. Presi le mie cose e cominciai a salire i cinque allegri piani di scale, che in mancanza dell’ascensore funzionante, parevano una lunga, lunghissima scalata verso la cima di una montagna. Le luci a basso consumo spesso gracchiavano, emettendo un suono poco rassicurante, ma dopo mesi mi ero abituata ad ascoltarle senza farci più caso. Piuttosto, giunta a destinazione con il mazzo di chiavi pronte tra le mani, ciò che mi lasciò di stucco fu il fatto che la porticina d’ingresso era socchiusa. Immediatamente mi arrestai sulla soglia, chiedendomi se fosse il caso di entrare o di chiedere aiuto a qualche vicino. Il cuore mi parve galoppare nel petto mentre afferravo la maniglia ottonata per spalancarla appena, permettendomi di ammirare lo spettacolo orribile che mi si presentò davanti: i mobili rovesciati a terra, una baraonda confusa, come se un uragano fosse casualmente passato di lì.
-Ci mancavano solo i ladri. Che bella giornata del cazzo…- imprecai cominciando a dare uno sguardo in giro, facendo una cernita degli oggetti di valore che potevano essere stati trafugati. Il televisore, lo stereo, i gioielli e i soldi nella cassaforte, tutto era al suo posto. “Che razza di ladro entra in una casa senza rubare nulla?!” mi domandai entrando in camera mia, verificando che fosse tutto apposto. il comodino, le lampade e la maggior parte delle mie cosa parevano essersi fuse con il pavimento. La finestra era aperta, e lasciava entrare una sottile brezza gelida che mi lasciò increspare la pelle al di sotto della camicetta chiara. Anche qui però, tutto sembrava essere rimasto più o meno intatto, fino a quando il mio sguardo non cadde sulla scrivania: il quaderno. Sparito. Ora cominciai ad agitarmi. C’era il mio mondo dentro quel quaderno, e forse era l’oggetto a cui tenessi di più. “Calma, Virgily… Calma…” mi dico cercando di respirare profondamente per non lasciarmi soggiogare dalla rabbia e dall’ansia. Immediatamente, a martellarmi il cervello, deconcentrandomi, il telefono cominciò a trillare alto. Sbuffo scocciata, uscendo ad ampie falcate per tornare nel modesto salottino ancora immerso nel disordine. Pochi istanti di ricerca, e trovai il telefono di casa nascosto tra i cuscini del divano e le sedie del tavolo mal disposte sul suolo. Neanche lessi il nome sulla schermata che subito risposi:
-Pronto?-
Silenzio.
-Pronto? Chi parla?-
Ancora silenzio. E il mio cuore mancò un battito.
-P-Pronto?- sussurrai piano.
-Tesoro? Sono io!- la voce femminile dall’altro capo del telefono mi rassicurò, facendomi sospirare di sollievo.
-Ciao mamma…-
-Tutto bene?- fu la sua classica domanda fatidica…
-Veramente… Mi sono entrati i ladri in casa…- risposi preparandomi al peggio
-Oh dio, ma stai bene?- “Hmm strano, si è trattenuta”
-Sì mamma tranquilla. Non hanno preso nulla…-
-Menomale. Chiuditi a chiave piccola. Ma vuoi che venga da te?- era preoccupata, e come biasimarla? Dopotutto non doveva essere facile sapere che alla sua piccola erano entrati degli estranei in casa frugando fra le sue cose. Sorrisi appena.
-No mamma, stai tranquilla…- risposi cercando di rassicurarla quando tutto a un tratto, la corrente, assieme alla linea, caddero. Un blackout totale, scandito dal suono prolungato che si propagava dalla cornetta portatile del telefono.
-Ma porca…- non feci in tempo a finire la frase che sentii qualcosa. Un suono strano. Come dei passi. E venivano dalla mia camera da letto. Mi si raggelò il sangue, tornai a tremare. Non vedevo bene al buio, ma riuscii ad afferrare il primo oggetto potenzialmente contundente che mi capitò a tiro: una gamba del tavolino rotto. A passi lenti ed incerti mi avviai per lo stretto corridoio, brandendo il pezzo di legno massiccio tra le mani. Avevo lasciato la porta aperta, e sporgendomi appena, nell’oscurità, riuscii ad intravedere una figura seduta al ciglio del mio letto. La luce della luna che filtrava dalla finestra aperta metteva il risalto la sua sagoma imprecisa, difficile da decifrare. Presi un respiro profondo, facendo un primo passo all’interno della stanza. Poi, un secondo rumore curioso: carta, pagine che venivano sfogliate. “Il mio quaderno!” pensai fremendo, quasi perdendo l’equilibrio. Mi scontrai contro il comodino, provocando un suono sgraziato e impacciato, cogliendo all’istante l’attenzione dell’intruso in casa mia. Ormai scoperta, tanto valeva farsi sotto e tentare di dargli una bella botta in testa e stenderlo. Così sollevai il bastone e mi scagliai contro di lui. Pochi passi, giusto il tempo di scorgerlo in volto quando si voltò contro di me. Impetrai, senza fiato, lasciandomi scivolare la gamba del tavolo dalle dita: volto ricoperto da cerone bianco, occhi freddi, spietati e profondi come due buchi neri che mi trapassarono da parte a parte. Sulle labbra, storpiate da due lunghe cicatrici in un ghigno malevolo, il segno scarlatto di un  rossetto corallo.
-Santo dio…- il mio fu un sussurro lieve, quasi impercettibile. Tuttavia, il sorrisino sadico che si disegnò sul suo viso quasi spettrale mi fece intendere che mi aveva sentita, e anche bene. Rise, e per la prima volta quella sua voce parve come la carezza molesta di una lama sulla schiena
-Dunque sei tu Virgily. Chissà perché non sei come ti avevo immaginato…- sorrise tornando a leggere tra le pagine del mio quaderno
-Bella sviolinata da parte tua. Tuttavia per quanto tu possa essere capace di scrivere frasi di senso compiuto e forbito… La tua trama pecca di superbia. È scontata. Banale… orrenda. Sotto ogni punto di vista, sì sì!- continuò sfiorando con le mani guantate gli angoli delle piccole pagine ingiallite. E nel frattempo, il mio cuore e la mia testa procedevano a funzionare per inerzia con un ritmo piuttosto confuso. Cosa diavolo stava succedendo?! LUI, era lì, innanzi a me… e stava insultando il mio lavoro neanche cominciato.
-N-Non è possibile…- mi tremavano le labbra, e la voce faticava ad uscire dalla mia gola,
-Cosa?- domandò a sua volta sollevando lo sguardo, fissandomi nuovamente con i suoi pozzi scuri e glaciali
-Tu… Non esisti…-
Silenzio. E i suoi occhi, in quei lunghissimi secondi che trascorsero a rallentatore, non si staccarono mai dai miei, scrutandomi con curiosità. Una risata acuta e inquietante scoppiò nuovamente sulla sua bocca. Con estrema facilità si portò una mano alla giacca, continuando a ridere, puntandomi una pistola contro. Non pensai, non c’era più tempo per farlo. Mi gettai a terra non appena fece fuoco, serrando le palpebre più forte che potevo. Un boato, lo sgretolarsi di polveri sottili. Mi voltai appena, osservando con occhi sgranati il maestoso buco che attraversò la parete che si trovava alla mi spalle. Se mi avesse colpita, come minimo, sarebbe riuscito a farmi esplodere la testa, lasciando schizzi cremisi e materia grigia ovunque. Cercai di riprendere fiato, di tenere i nervi saldi, sebbene sentissi i suoi occhi pesare su di me come un’incudine. Sollevai lo sguardo, ora era in piedi, e torreggiava su di me esponendo quel magnifico ghigno che riusciva ad incutermi una paura più profonda e malata del semplice terrore. Si chinò appena, accorciando le distanze fra noi. Faccia a faccia per la prima volta, Joker mi inchiodò con il suo sguardo, facendomi fremere mentre il suo fiato caldo sfiorava le mie gote pallide, madide di sudore freddo
-Allora, sono abbastanza reale per te, adesso?- soffiò sulle mie labbra, inumidendosi la bocca con un movimento repentino della lingua, gesto che trovai spaventosamente sensuale, mentre portava la canna della pistola sul mio viso, usandola per aggiustarmi una ciocca castana dietro l’orecchio, facendomi vibrare. Annuii lentamente, trattenendo a forza le lacrime “Non fare cazzate. Lui ti ammazza per davvero” disse una vocina nella mia testa.
-Bene. Adesso alzati… dobbiamo discutere- rispose sollevandosi, invitandomi a fare lo stesso. Sentivo le gambe cedere, eppure trovai la forza di ubbidirgli e seguire i suoi ordini, d'altronde ci tenevo, e non poco, a restare in vita.
-D-Di cosa dovremmo discutere di preciso?- osai chiedere. Rise, ancora. E più l’ascoltavo, più quel suono melodioso e tetro mi faceva rivoltare le viscere
-Ma della mia storia, sciocchina- affermò afferrandomi saldamente per la mandibola con una forza tale da provocarmi un intenso dolore. Mi fece indietreggiare, lentamente, continuando a mantenere i suoi occhi puntati contro i miei, lasciandomi disarmata e persa in quelle due pozze enigmatiche. Senza rendermene conto, Joker mi aveva messa a sedere sulla seggiola adiacente alla scrivania ancora intatta. Annullò nuovamente le nostre distanze, togliendomi il fiato:
-E la scriveremo a modo mio…- mollando la presa, lasciò cadere il mio taccuino sul tavolo, aprendolo frettolosamente su una pagina ancora bianca. Strinsi forte i pugni, mentre la mia cassa toracica si sollevava freneticamente. L’uomo dalla lurida chioma verdastra si posizionò accovacciato all’angolo dello scrittoio, incurvandosi contro di me, con la pistola alla mano, il ghigno nuovamente tirato.
-Dunque…- cominciò porgendomi una delle penne rimaste adagiate sulla superficie del tavolino massiccio. Titubante, allungai la mano ancora tremante, sfiorando con un movimento quasi impercettibile, le sue dita affusolate e vigorose al di sotto dei spessi guanti di pelle scura
-C’era una volta…- mi intimò, invitandomi a scrivere. Mi morsi un labbro, stendendo le prime lettere con cura. Per quello che potevo intuire, sarebbe stato capace di farmi fuori per la mia  brutta calligrafia. Ero piuttosto incerta della sua decisione, sebbene non avesse esitato a criticarmi per la mia banalità, stava cominciando quella che doveva essere la sua storia con l’introduzione più scontata del mondo delle favole
-Qualcosa non va?-
-N-No. Mi chiedevo solo se…-
-Se, cosa?- i lineamenti del viso affilati, contriti. L’arma da fuoco sollevata contro la mia tempia
-Se magari la scelta del “C’era una volta” non fosse…- mi fermai. Aveva caricato il colpo in canna, e le parole mi morirono in gola. Abbassai lo sguardo, terminai di scrivere in fretta, accontentandolo
-Bene- disse –Ora come possiamo continuarla? C’era una volta… chi?-  sfiorandosi il meno con il pollice e l’indice, il criminale  assunse un’espressione pensosa, cupa pur essendo concentrata. “Come diavolo è possibile” pensai “E perché mi sta facendo questo?”. Un silenzio pesante, quasi asfissiante, calò su di noi, mettendo in risalto tutti i rumori della città notturna, inconsapevole del fatto che per un motivo sconosciuto, l’irreale era diventato reale, e il mio “Fatale Monstrum” era comparso dall’ombra per trascinarmi via con sé.
-C’era una volta… hmm c’era una volta…- sentivo la sua voce ripetersi nella mia testa, mentre con lo sguardo sperso nel vuoto, e gli occhi gonfi di lacrime che a stento riuscivo a trattenere, fissavo un punto indefinito nella speranza di fare una previsione del mio imminente futuro: vivere o morire.
-… Un uomo che mi ha rovinato la vita…- le mie labbra si mossero quasi inconsciamente, la mia voce pareva una carezza flebile di morbido velluto. Doveva avermi sentita, mi guardava… questa volta era serio, sbigottito.
-Come siamo cattive…- ridacchiò cucciandosi sul mio viso, immergendo le mani tra i folti capelli scuri, costringendomi ad inarcare il capo contro di lui, che con le labbra appena umide di saliva e rossetto mi sfiorarono appena il lobo scoperto dell’orecchio
-Però ti confesso che mi piace- sghignazzando con voce rosa e viscida, facendomi fremere come una foglia secca ai suoi piedi.
“Virgily… Questa per te è la fine”
Tornai a scrivere, osservandolo di sottecchi nella sua maschera atroce quanto affascinante
“No. Non la fine. Ma l’inizio”.   

*Angolino di Virgy*
Vi presento la mia prima Fan Fiction su Joker. Ho avuto l'ispirazione giusto la scorsa notte. Ho pensato di scrivere qualcosa di diverso, di portare Joker alla realtà e confrontarsi con una giovane autrice dalla vita monotona e priva di emozioni. Spero che vi piaccia, in verità è solo un esprimento e sarete voi a dirmi se merita di essere continuata o meno. 
Grazie mille per la lettura, se volete lasciatemi una recensione. 
Un bacio
-V-
  
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