One shot - Guardami adesso
Aotearoa, Marzo 2013
Pov Pana Hema Taylor
Tremo.
Come un ragazzino il giorno degli esami.
Lo
ricordo nitidamente, un insieme di sensazioni sgradevoli, la paura di
non avere studiato abbastanza, le occhiate di alcune insegnanti, alle
quali proprio non piacevo.
Per i miei tatuaggi, la mia irruenza.
Ero un ribelle?
Ero
uno stupido, a dire il vero, perché davo retta alle persone
sbagliate, a dei falsi amici, che chiamavo fratelli, ma che stavano per
spingermi in un abisso, dal quale non sarei più tornato.
La maggiore parte di loro sono in galera, adesso.
L’arte della finzione mi ha salvato: recitare, ecco, insomma calarmi nei panni di qualcuno che non ero.
Volevo accadesse anche nella realtà, ma avevo scelto una via pericolosa.
Salvo per miracolo.
Le
memorie post adolescenziali sembrano distrarmi dall’orologio, che
non ho mai smesso di guardare, come il tabellone degli arrivi.
Quando
ti vedrò spuntare tra altre teste, salutarmi con il braccio
sinistro alzato, il sorriso pulito, so che perderò un battito,
Daniel.
Vorrei
parlarvi di Daniel senza emozionarmi troppo, senza avvertire un nodo
alla gola, per il rimpianto di non averlo seguito in America, dove i
sogni, a volte, si realizzano.
Certo avevo i miei buoni motivi: un figlio piccolo, una famiglia numerosa da mantenere, sentendomi importante.
Daniel non era stato da meno, in questo.
Ero il centro del suo mondo, senza invadenze, senza pretese.
Mi voleva bene, a prescindere da qualunque ombra potesse allungarsi nei nostri discorsi di mezzanotte.
Mi
teneva sul petto, accarezzandomi i capelli, respirandoci nel mezzo,
potevo sentirlo sorridere, anche nel silenzio, per la pura gioia di
avermi lì, senza che io lo meritassi sul serio, senza dargli
nulla in cambio, se non un fiume di parole, dove mi sfogavo, dove
fantasticavo, dove mi sentivo libero.
Neppure
un bacio, fuori da quel set dove, al contrario, eravamo spesso molto
vicini, pelle contro pelle, la bocca dell’uno in quella
dell’altro, in maniera focosa, sensuale, che lo eccitava ed io
corrispondevo a pieno la sensazione, anche di onnipotenza ed erotismo,
tenendolo tra le mie gambe oppure addosso, in qualsiasi modo Daniel
decidesse di fare.
A me stava bene tutto, glielo avevo spiegato, senza dovermi ripetere.
Lui si era accontentato di questo: una finzione.
Così vera, però, nei nostri cuori.
Eccolo.
“Pana! Ehi che posto fantastico …”
I suoi entusiasmi, incendiavano costantamente l’aria intorno a noi.
Corro ad abbracciarlo, incurante di chi potrebbe riconoscerci.
E’ proprio un paradiso, Aotearoa.
“Bene arrivato, fatto buon viaggio Dan?”
“Ho
dormito poco, forse l’agitazione … Dove andiamo?”
– chiedi sorridente, mentre saliamo sull’auto, che ho
noleggiato.
“In
albergo, magari facciamo una doccia e poi un bel giro, cena fuori, se
vuoi andiamo a ballare, ho già visto un paio di locali”
– propongo, mettendo in moto.
“Ok,
sono il tuo ostaggio per questo fine settimana, fa di me ciò che
vuoi” – e ridi, allacciandoti la cintura.
Ti fisso per un secondo di troppo.
“Che c’è piccolo?”
E’ come lo dici, con tutto l’amore possibile, che mi manda il cervello in corto circuito, dovresti saperlo.
“Stai … stai bene … In forma” – abbozzo arrossendo.
“Faccio
molta attenzione a stare lontano dai fast food del lungo mare …
Ci sono certi locali a Los Angeles, si mangiano cose assurde”
“Lo
immagino … Io non ci bado, sono pigro … diventerò
un cinghiale come mio padre” – rido forzato.
“No, anzi, forse hai messo su due, tre chili”
“Otto” – preciso, apprezzando le tue amorevoli bugie.
Devo
respirare e finirla di puntarti, come se esistessi solo tu, in questo
universo in cui mi sento così solo, da quando ci siamo salutati.
Quel giorno faceva freddo, anche se il sole camminava con noi sino all’aeroporto.
Tornavo
ad Auckland, tu, invece, decollavi verso la California, da Sidney, dove
mi avevi ospitato per una settimana, durante la quale molte cose
mutarono, per il lavoro e la carriera.
Volevi la tua occasione ed io che fossi felice, Dan.
Eppure avevi insistito un minimo, con il timore di turbarmi, di infastidirmi.
Lo capivo, dalla delicatezza con cui affrontavi gli argomenti su nuovi ingaggi, improbabili nella nostra Australia.
L’abbraccio che ci vide salutarci, fu una matassa di dolore e rabbia.
La mia.
Per non avere seguito l’uomo, di cui mi ero innamorato, senza avere trovato la forza di confessarglielo.
“Bella questa camera …”
“Era l’ultima Dan”
Forse sono viola.
L’hotel è semi deserto.
“E noi dormiamo lì, Pana?”
Un letto quadrato, enorme, di stile orientale.
“Se vuoi io mi piazzo sulla moquette” – faccio lo spiritoso, Dio che buffone mal riuscito che sono.
“No, in terrazza ahahahah” – e mi stringi – “No dico scherzi, Pana?”
Il
profumo del tuo dopobarba mi intossica, le tue ali mi avvolgono ed io
mi perdo nel tuo petto, poi sollevo un po’ il volto verso il tuo
collo, mentre mi stai cullando, intenso.
“Quando
mi hai invitato qui, il mio cuore è come esploso: sei il
migliore amico potessi trovare, non riesco a legare con nessuno, come
è successo con te, Pana” – riveli, con un candore
ben noto.
Sei
un ragazzo pulito ed onesto, Daniel ed io ho il terrore che tu possa
cambiare ad Hollywood o che, peggio, tu possa essere stritolato dai
suoi meccanismi perversi.
Annuisco – “Anche per me è così Dan …”
Fai un respiro profondo, distaccandoti – “Mi lavo per primo, ti dispiace, Pana?”
“No, no … certo … Io guardo la tv”
“A
proposito, ti ho portato dei regali, in questa valigia, guardali, spero
ti piacciano” – e mi accarezzi la schiena.
“Non dovevi” – sorrido come un bambino, i miei occhi pizzicano.
Tu avvampi, poi sparisci nel bagno.
“Stasera voglio abbuffarmi”
“Ci speravo, almeno non mi sentirò troppo in colpa Dan”
Arriva
il pesce, un piatto unico, nel quale scegliamo tra scampi e crostacei
vari, frammentati da spicchi di limone e bacche di colori vivaci,
seduti ad un tavolino rotondo, in un angolo spettacolare di questo
ristorante, a picco sopra l’oceano.
Ho riservato una saletta solo per noi, così da non essere importunati, ma i turisti sono scarsi anche qui.
“Allora
gli altri come stanno?” – chiedo, ma non mi interessa
granché dei colleghi con cui dividi il loft ad L.A.
“Tirano avanti, come me … Serate mondane, spesso benefiche, talvolta promozionali …”
“Ho visto le foto in rete … Tu e quei cuccioli, a cui mettevi gli occhiali”
“Sì, adoro i bimbi, il tuo come sta?”
“Bene, lo vedo regolarmente”
“Meno male”
C’erano stati dei casini con la mia ex.
Daniel ne è a conoscenza.
“E la tua ragazza, Pana?” – domandi più incerto, trafficando tra tovaglioli e vino.
“Andata … Non era destino” – scherzo, per poi tossire, quasi mi strozzo.
“Ehi, non mi morire qui” – ridi, ma ti preoccupi al volo, sei cristallino.
Un po’ sono già morto dentro, Daniel, da quando sei andato via.
Vorrei unicamente trovare il coraggio di dirtelo.
Tu, in compenso, lo trovi per farmi l’ennesima confidenza.
“Sai Pana, ho conosciuto … una persona” – asserisci timido.
Deglutisco e la gola mi brucia.
“Una … persona?”
In
tutta franchezza non mi hai mai nascosto la tua omosessualità,
Dan, ma debbo constatare che sei stato contaminato dalle espressioni
equivoche, tipiche dello showbiz, dove fare coming out è spesso
controproducente.
“Sì un ragazzo” – sorridi imbarazzato.
Forse
per come ti sto guardando, perché un fremito è partito
dal mio addome, sotto la t-shirt attillata, che mi hai donato, sino
alle mie palpebre inquiete.
“Ah ecco” – sorrido e sono disperato.
Voglio sapere tutto.
Sono patetico.
“E’ bravo a letto?”
Mi correggo: sono orrendo.
Un idiota orripilante.
“Veramente
abbiamo preso solo un caffè, dopo la palestra, è un
personal trainer … Sai che non sono quel tipo di …”
Sembri deluso.
“Perdonami Dan …” – mi alzo, non ho più fame ed è tempo di finirla con questa pantomima.
“Dove stai andando Pana?” – chiedi allibito o almeno così mi sembra.
Mi soffermo, affacciandomi al balcone, stritolando la balaustra in ferro battuto.
Arrivi alle mie spalle, ma prima scatta un clic: la chiave della porta, che ci isola dal resto del locale.
Mi cingi la vita, con tenerezza, lasciando che il tuo corpo aderisca al mio.
Con il mento sposti i miei capelli, quindi posi un bacio caldissimo sulla mia nuca.
Ho un brivido e percepisco il tuo desiderio.
“Serviva una stupida bugia, per ottenere la tua verità, Pana?”
Il tono di Daniel è deciso, non mi dà scampo.
“Ecco, io …”
“Guardami adesso” – e porti il mio sguardo nel tuo, girandomi.
“Sì … ti sto guardando Dan”
“Sono perdutamente innamorato di te, Pana, dal primo istante in cui ho ascoltato la tua voce al telefono”
Era
vero, il nostro primo contatto, poi via chat, al pc, quando ci
confrontavamo sul copione e le parti assegnateci in Spartacus,
piuttosto scabrose.
“Ed io … io ti amo Daniel”
“Era
così difficile?” – fai il simpatico, ma sembri sul
punto di svenire, TU, il mio gigante, davanti a questo piccolo uomo.
Il mio cuore è ovunque, rimbomba in questo ambiente ed arriva alle stelle, come un’aurora boreale di rara bellezza.
Ci baciamo, salvandoci da tutto ciò apparirebbe inopportuno dirsi, dopo essersi detti tutto.
Mordo il mio secondo hamburger e tu ringhi, gettando il bilanciere a lata della panca per gli addominali.
Rido di gusto.
“Non è colpa mia, Dan! Troppo sesso, di notte, di giorno …”
“Sei incinto? No, perché mangi per tre!”
“Allora saranno due gemelli …”
“E
come li chiameremo, Pana?” – domandi, inginocchiandoti,
leccandomi il mento, dove alcune gocce di ketchup è precipitato
dalle mie labbra eternamente felici, da quando viviamo insieme, noi due
da soli.
Rifletto pochi secondi.
“Agron e Nasir!” – esclamo.
Scoppiamo a ridere, complici.
E’ ciò che vogliamo entrambi.
Dei figli, sposarci, essere liberi …
Ce la faremo Daniel,
a testa alta.
Come sempre.
The End