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Autore: mamie    01/04/2013    2 recensioni
Una delle tante volte in cui Geralt va a farsi curare al tempio di Melitele. Madre Nenneke è brusca e pratica, ma ha sempre sottomano la cura giusta per lui :D.
Idealmente ambientato tra "Il guardiano degli innocenti" e "La spada del destino".
Genere: Fantasy, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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LA CURA
 
- … totalmente irresponsabile. Possibile che tutte le volte…
Geralt ascoltava la consueta predica con un orecchio solo, pensando ad altro. Nenneke era così e non sarebbe cambiata.
- Pensi forse che mi diverta a…
Nonostante il tono tagliente le sue mani si affaccendavano delicate attorno alla fasciatura, sistemandola in modo veloce ed esperto.
- Se io fossi tua madre, e per fortuna non lo sono…
Geralt chiuse gli occhi. Quante volte l’aveva sentita quella tirata? Innumerevoli. Praticamente ogni volta che era passato dal tempio.
- Non puoi andare avanti in questo modo!
Geralt si morse la lingua. Una volta aveva provato a risponderle a tono e se ne era pentito amaramente. Madre Nenneke, gran sacerdotessa del tempio di Melitele, aveva rimesso al loro posto re e baroni, duchi e cavalieri con più spocchia che ingegno; figuriamoci se si faceva degli scrupoli per uno strigo che aveva tenuto sulle ginocchia quando lui ancora se la faceva addosso o quasi.
- E adesso cerca di dormire – aveva aggiunto l’autorevole matrona addolcendo un poco il tono, prima di uscire con la lunga veste che ondeggiava al ritmo marcato dei fianchi generosi.
 
Sì, avrebbe dormito. Quello era il solo posto dove poteva dormire tranquillo, senza svegliarsi sobbalzando ad ogni rumore, senza tenere la mano pronta sulla spada, senza gli incubi che lo assalivano ogni notte. Era bello dormire in un letto comodo e pulito, che odorava di bucato, e svegliarsi piano piano col canto degli uccelli. Era bello scendere con calma a fare colazione nel refettorio dove le novizie lo sbirciavano ridacchiando e la conversazione era sempre bassa e gradevole. Era bello passeggiare nel giardino pieno di erbe profumate o passare i pomeriggi piovosi a scoprire i tesori della biblioteca. Una volta madre Nenneke gli aveva detto scherzando, ma anche un po’ sul serio, che se si fosse stancato di fare lo strigo sarebbe sempre potuto restare lì a fare il giardiniere. A volte era tentato di accettare una simile proposta… chi non sarebbe stato attratto dalla pace? Recidere fiori anziché teste mostruose e corpi deformi. Far nascere qualcosa invece di uccidere, e poi guardarla crescere…
 
Quel pensiero era inopportuno. Si scoprì a pensare a Yennefer, al suo calore, al suo profumo di lillà e uva spina… Loro due, no… non avrebbero mai fatto nascere e crescere nulla, se non il proprio rancore e la propria frustrazione. A volte alzava le spalle. Meglio così, meglio liberi. Senza legami, senza altre preoccupazioni se non quella di arrivare vivi al giorno dopo.
A volte.
Yennefer… dov’era adesso? In quale malsana e assurda impresa si era gettata pur di non pensare a quello che così ferocemente la assillava? E lui? Non era forse uguale?
Non avrebbe mai fatto il giardiniere e lo sapeva, madre Nenneke predicava invano.
 
Ci mise parecchio tempo ad addormentarsi.
 
***
 
L’unguento era fresco e dava una sensazione piacevole. Doveva esserci dentro dell’achillea e della lavanda, più qualche altro ingrediente che non riusciva a identificare. Niente a che vedere con gli intrugli puzzolenti che preparava Vesemir a Kaer Morhen, sebbene anche quelli fossero piuttosto efficaci. No, questo odorava di salici e di pioggia e delle mattine di giugno piene di api. Era un odore confortante ed era bello starsene disteso ad occhi chiusi mentre le abili dita della sacerdotessa completavano l’opera.
- Va meglio?
Geralt sorrise.
- Molto meglio.
Un piccolo sospiro seguito da uno sbuffo infastidito: - Questo vuol dire che te ne andrai presto.
Non era una domanda e Geralt non rispose. Ne avevano già parlato infinite volte.
- Tornerò.
- Non è questo che mi preoccupa. Ma come tornerai la prossima volta?
Madre Nenneke si lasciò andare dolcemente su uno sgabello che mandò uno scricchiolio di protesta, eppure erano poche le donne più giovani e più snelle che possedevano la sua grazia.
- Arriverà il giorno in cui i miei rimedi non basteranno.
- Niente dura per sempre, Nenneke.
- Oh, risparmiami la tua filosofia da strigo, per favore!
- Che cosa dovrei dirti, allora? Non cerco la morte, ma per vivere non so fare altro. Mi è toccato questo e devo farmelo bastare. Mi piacerebbe essere come un principe delle fiabe, quello che bacia la principessa e va a vivere felice e contento nel suo castello per sempre. Ti sembro forse un principe?
Nenneke sorrise: - Non più di quanto io possa sembrare una principessa.
Anche Geralt sorrise e le fece un piccolo baciamano scherzoso: - Tu sei una regina, Nenneke, e non hai nessun bisogno di un insipido principe azzurro.
La sacerdotessa allora rise forte: - Magra consolazione! Perlomeno la lingua ti funziona ancora bene, strigo, a differenza del cervello.
 
***
 
- Bevila tutta.
Geralt buttò giù la pozione amara senza fare una piega. Rispetto a quelle degli strighi, gli elisir di Nenneke parevano acqua di rose, anche quando erano amari come quello.
- Te ne potrai andare quando sarai guarito, e ti dirò io quando lo sarai.
Geralt evitò accuratamente di replicare.
- Hai una visita – continuò la sacerdotessa con lo stesso tono pratico.
- Qualcuno che conosco?
- Direi di sì, ti aspetta nel giardino interno.
La donna se ne andò senza aggiungere altro, lasciandolo con la curiosità di sapere chi fosse il visitatore. Geralt finì rapidamente di vestirsi e scese nel piccolo giardino dietro il tempio.
 
Era in mezzo alle rose bianche, naturalmente, dove il suo abito nero e i suoi capelli spiccavano come ombre notturne, incongrue e inquietanti nel sole di quel mattino di primavera.  Gli voltava le spalle, ma Geralt sapeva che l’aveva visto arrivare e che indugiava di proposito, fingendosi indifferente.
- Yennefer – chiamò lo strigo con un sussurro che lei non avrebbe dovuto sentire.
Invece si voltò, lentamente, radiosa, le labbra che sorridevano, gli occhi violetti che brillavano come stelle, calma, fiera, quasi troppo bella per essere reale.
- Che piacevole coincidenza trovarti qui, Geralt.
La sua voce era morbida come il velluto, eppure lui vi trovò una nota stridente, falsa, piena di rancore. Si avvicinò senza dire niente, a testa bassa, come un cane bastonato.
- Quanto tempo è passato? Ah, ora ricordo, era Belleteyn mi pare… dell’anno scorso.
- Yennefer…
- Sì, so che hai avuto molto da fare – sibilò la maga. – Ti trovo un po’ sciupato in effetti.
Tu sei sempre più bella, invece.
Lo pensò, ma non lo disse. Con la maga, però, non faceva differenza.
- Potresti anche dirlo ad alta voce, o continui a vergognarti di quello che pensi?
- Non mi vergogno di dirti che sei bella, Yennefer. Lo sei sempre… ma tu stai bene?
Il sorriso di lei si appannò un poco. La voce si addolcì.
- Sto bene, sì. Bene quanto si può stare di questi tempi.
- Ti fermerai qualche giorno?
- Solo questa notte – e nel dirlo gli lanciò uno sguardo che lui non riuscì ad interpretare.
- Vieni – continuò. – La campana del pranzo è suonata. Accompagnami.
Si avviarono insieme verso il refettorio ombroso.
 
***
 
- La medicina – annunciò madre Nenneke entrando senza bussare nella stanza di Geralt.
Il sole pomeridiano ricavava lame di luce polverosa dalle persiane e lo strigo stava lì da un pezzo a guardare il pulviscolo senza decidersi a fare un gesto qualsiasi.
Mentre Geralt beveva ubbidiente la sua pozione, Nenneke si affaccendava per la stanza, apparentemente intenta a fare ordine dove non ce n’era bisogno.
- Cerchi qualcosa? – le chiese Geralt.
La sacerdotessa si voltò verso di lui con un gran frusciare di gonne.
- E’ venuta per te – cominciò senza preamboli.
- Come?
- Non far finta di non capire, non sei stupido fino a questo punto. E’ venuta per te. Ha saputo che stavi male ed è venuta a vedere se avevi bisogno di qualche cura magica.
- Non sembrava, da come mi ha accolto.
- Perché ha visto subito che in effetti non ce n’era bisogno, e questo l’ha fatta sentire sciocca. E una donna che si sente sciocca davanti ad un uomo non è incline alle smancerie.
- Come fai a saperlo, Nenneke? Non credo tu ti sia mai sentita sciocca davanti a qualcuno – buttò là lo strigo cercando di cambiare discorso. La donna, prevedibilmente, non ci cascò neppure per un attimo.
- Ha sempre la stessa stanza – gli disse, come casualmente, prima di uscire chiudendo piano la porta.
 
***
 
C’era la luna piena. Una bella luna piena da lupi mannari o da strigi. Da tempo Geralt era abituato a guardare la luna pensando alle creature notturne che risvegliava. Anche lui si sentiva inquieto in quelle notti. Persino lì, al tempio della dea, non riusciva a riposare come sempre. Ma era veramente colpa della luna?
Geralt si alzò lentamente dal letto, dove era rimasto disteso, vestito, a guardare il soffitto, e scivolò silenziosamente nella notte.
Non faceva il minimo rumore, ma la sua sagoma gettava lunghe e pallide ombre nel cortile deserto.
La sua porta era socchiusa. Lei lo sapeva, naturalmente, che sarebbe venuto.
Una luce tenue e oscillante di candela filtrava attraverso lo spiraglio.
Era seduta su un semplice sgabello – tutto nella stanza era semplice, tranne lei – e si pettinava la massa lucente di capelli scuri con un pettine d’avorio. Geralt sentiva, anche dalla soglia dove si trovava, il suo inconfondibile profumo. Un profumo che aveva solo lei: lillà e uva spina.
Rimase a guardarla a lungo, senza fare rumore. Lei lo lasciò così, sulla soglia, per un tempo che parve lunghissimo.
- Lao Tzu era follemente innamorato di una donna.
La voce di lei era ancora bassa e morbida, ma Geralt non si mosse.
- Lei gli chiese di aspettare cento notti davanti alla sua porta, e poi sarebbe stata sua.
Quando Yennefer gli raccontava una delle sue parabole era meglio lasciarla parlare.
- Lao Tzu tornò notte dopo notte, aspettando davanti alla porta di lei, col sereno e con la pioggia, col freddo e con la luna. Aspettò novantanove notti. La centesima se ne andò.
Geralt continuò a restare immobile sulla soglia.
- Non pensi che sia stato sciocco? – continuò Yennefer sempre girandogli le spalle.
- No – rispose lo strigo in un sussurro, decidendosi a fare un passo oltre la soglia.
Finalmente la maga si voltò.
 
***
 
Era andata via. Lo seppe nel momento stesso in cui aprì gli occhi nel letto vuoto. Non c’era più nulla del pittoresco disordine che parlava di lei se non una traccia, lievissima, del suo profumo.
Geralt si alzò e andò a sciacquarsi la faccia nel catino. Recuperò i vestiti sparpagliati sul pavimento e si vestì lentamente, ascoltando i passeri che cinguettavano impazienti fuori dalla finestra.
Nell’uscire raccolse accanto alla porta il prezioso pettine d’avorio che lei aveva usato la sera prima per pettinarsi. Non l’aveva perso per caso, Geralt ne era sicuro. Gli aveva lasciato un pretesto per rivederla?
Lo strigo chiuse l’oggetto nella borsa e uscì fuori nel sole della chiara mattina primaverile.
Nel refettorio madre Nenneke gli fece un piccolo sorriso ironico, rispondendo al suo saluto cortese.
- Sono guarito ora, Nenneke? – chiese.
La sacerdotessa lo scrutò per un attimo con i suoi occhi vivaci e penetranti.
- Non guarirai mai del tutto. Lo sai questo, vero?
Ovviamente non si riferiva alla cicatrice, un’altra delle tante, che gli sarebbe rimasta.
- Lo so, Nenneke. Non posso farci niente.
La donna gli sorrise. Aveva un sorriso luminoso, che scaldava il cuore.
- Allora vai, Geralt. E torna, per favore. Qui ti cureremo sempre.
- Lo so, Nenneke. Lo so.
E, chinatosi sulla sua guancia paffuta, le diede un piccolo bacio, come avrebbe fatto un bambino nel congedarsi da una buona zia. Odorava di salvia, Nenneke, e di altre erbe salutari. Un profumo molto diverso da quello inquietante di lillà e uva spina.
 
Su un albero una cincia trillava forte il suo diritto all’amore. Per lei era tutto semplice, ma Geralt non sapeva la risposta.
E’ primavera perché si ama o si ama perché è primavera?
  
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