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Autore: Aurore    02/04/2013    10 recensioni
[Anna Karenina]
["Anna Karenina", di Joe Wright, 2012]
Anja solleva lo sguardo, incrociando quello dell’uomo con il quale si è scontrata. Sussulta improvvisamente e le parole muoiono sulle sue labbra come scintille di fuoco spente da un bicchiere d’acqua.
[...]
Lo conosce.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nessuno di importante

 

«Mamma, chi era?»
«Nessuno di importante».

 “Il velo dipinto”, di John Curran, 2006

 

 

Finalmente il treno inizia a rallentare.
Anja Karénina, molto occupata a sistemare le pieghe del suo abito da viaggio in modo che ricadano il più elegantemente possibile, solleva la testa di scatto, facendo ondeggiare i morbidi ricci biondi che le accarezzano la curva del collo, e guarda fuori dal finestrino. Sì, è quasi arrivata. Non soltanto la velocità del treno sta sensibilmente diminuendo, ma ormai riconosce il paesaggio brullo e innevato dei dintorni di San Pietroburgo.
Sta tornando a casa.
Sorride, felice, si accomoda meglio contro il sedile di velluto per osservare l’arrivo alla stazione e intanto non stacca gli occhi color azzurro cielo dal finestrino. Forse, se farà molta attenzione, riuscirà a scorgere suo fratello che la aspetta sulla banchina ancora prima di scendere dal treno.
Oh, Serëža! Quanto le è mancato! Non sono affatto abituati a separarsi per tutto quel tempo… ben quattro settimane!
Anja è così impaziente di arrivare che riesce a malapena a star ferma e si rallegra di essere sola nello scompartimento. È così sgradevole viaggiare seduti di fronte ad estranei, senza avere nulla da dire, nel silenzio più assoluto e imbarazzante che si possa immaginare. A volte le è capitato di dividere uno scompartimento con sconosciuti, ma c’era sempre suo padre con lei. Anja non sopporta di trovarsi da sola con persone che non conosce: diventa tutta rossa, non sa mai cosa dire né dove guardare e alla fine si isola completamente nelle sue fantasticherie. Ma questa volta è stata fortunata perché da quando la sua amica Katerina e sua madre, la baronessa Maria Aleksàndrovna Zarkovskaja, insieme alle quali ha compiuto la prima parte del viaggio da Mosca, sono scese dal treno, poco prima di arrivare a San Pietroburgo, nessun altro è entrato nello scompartimento e così ha potuto godersi la pace e il silenzio di un’ora di solitudine.
Per la verità, una signorina di buona famiglia e così giovane (sedici anni appena compiuti) non dovrebbe trovarsi da sola su un treno, sia pure per poco tempo. Non sta bene. Lo zio e la zia, che hanno ospitato Anja a Mosca per una vacanza, avrebbero voluto accompagnarla, ma poiché la baronessa Zarkovskaja doveva prendere lo stesso treno insieme alla figlia, si è offerta di tenerla con sé.
Anja è felice della vacanza appena trascorsa. Gli zii le hanno fatto un mucchio di regali: vestiti, cappellini, gioielli. Ci sono stati balli, ricevimenti, serate all’opera e lo zio Stiva l’ha perfino accompagnata a vedere le corse dei cavalli. Lei adora cavalcare. In quelle settimane la sua cavallina bianca, Marie, le è mancata da morire. Soltanto Serëža le è mancato di più. Non vede l’ora di riabbracciare suo padre e suo fratello, di trascorrere la serata con loro, giocando a carte con Serëža e leggendo a voce alta per suo padre. Non c’è nient’altro, al mondo, che Anja ami più di loro due. Loro e il piccolo medaglione con il ritratto di sua madre che porta sempre al collo. Istintivamente, lo cerca con le dita sottili fasciate nei guanti bianchi, lo apre e per un po’ osserva il viso del ritratto, sorridendo. A volte lo fa senza nemmeno rendersene conto, cercando in quella donna così affascinante e sconosciuta qualcosa di sé, ma non è mai riuscita a trovare una somiglianza. La donna raffigurata ha grandi occhi scuri, folti capelli castani, il volto pallido, affilato e un po’ spigoloso. Non ha niente in comune con i boccoli dorati e leggeri di Anja, i suoi occhi azzurro cielo, la carnagione rosata e i tratti dolci e delicati. La rattrista il pensiero di essere così poco simile a sua madre, ma Anja è convinta di aver preso tutto dal padre, a parte il biondo dei capelli. Per la verità, nessun altro è particolarmente incline a vedere questa somiglianza, ma è solo perché non li guardano con sufficiente attenzione. Serëža, invece, è d’accordo con lei nel dire che somiglia moltissimo al loro padre. I suoi occhi chiari li ha senz’altro ereditati da lui. Forse gli occhi di suo padre non sono così luminosi, perché lui lavora troppo, è sempre stanco e spesso ha l’aria triste. Deve essere per questo che gli altri faticano a riconoscere la somiglianza.
All’improvviso sente gridare il nome della stazione e torna bruscamente alla realtà. Il treno si è fermato e tutt’intorno si sente un gran trambusto. È arrivata davvero!
La ragazza chiude il medaglione con uno scatto e lo fa scivolare di nuovo al suo posto, poi controlla rapidamente di essere in ordine e di avere un bell’aspetto. Liscia le pieghe della mantella bordata di pelliccia, accomoda i riccetti d’oro sotto il cappellino. Esce dallo scompartimento, percorre in fretta il corridoio deserto e raggiunge la porta che dà sulla banchina. Scende i gradini con entusiasmo e per poco non finisce contro qualcosa. O meglio, qualcuno. Qualcuno che indossa un’uniforme militare azzurra e stava per salire sul treno. Anja indietreggia precipitosamente, travolta dall’imbarazzo e dalla sorpresa, le guance in fiamme. Che terribile figura! Se la vedesse zia Dolly sicuramente la rimprovererebbe dicendo che una signora non si precipita giù dal treno correndo come una selvaggia. Non è un comportamento degno di lei. Deve assolutamente scusarsi.
«Oh, Santo Cielo!» esclama, un po’ affannata. «Perdonatemi, signore, non mi ero accorta che…»
Anja solleva lo sguardo, incrociando quello dell’uomo con il quale si è scontrata. Sussulta improvvisamente e le parole muoiono sulle sue labbra come scintille di fuoco spente da un bicchiere d’acqua. È un gentiluomo non più nel fiore degli anni, ma ancora affascinante; in gioventù deve essere stato molto bello. Ha folti capelli biondi e ricci con qualche tocco di grigio, occhi di un azzurro intenso, il viso sottile, i lineamenti delicati. È alto e snello, ma in qualche modo la sua figura appare possente, maestosa. Forse è per via della divisa che indossa o dell’atteggiamento sicuro e spavaldo che ostenta. Osserva il mondo come se fosse in ginocchio ai suoi piedi, in attesa solo di essere conquistato. Ma nell’istante in cui i suoi occhi incontrano quelli della ragazza, un lampo di assoluta, totale sorpresa gli balena sul volto e sembra aprire uno squarcio in quella maschera di impassibile freddezza. È solo un lampo, però, così rapido che Anja dubita di averlo visto davvero. Un attimo dopo è già sparito senza lasciare traccia e la maschera è di nuovo al suo posto. Ma Anja continua ad osservarlo con gli occhi sgranati, senza riuscire a staccarsene. Dentro di sé sente farsi strada una strana sensazione, tanto vaga quanto insistente. Le occorre un minuto per riuscire a definirla: riconoscimento.
Lo conosce.
Sì, lei ha già visto quell’uomo… ma dove? Quando? Per quanto frughi nei suoi ricordi, non trova nulla. Nessun volto noto corrisponde a quello che le sta davanti. Eppure sembra così familiare. È come se avesse ritrovato qualcosa che le apparteneva e che aveva perso. Confusa, Anja si rende conto all’improvviso di quanto sia sconveniente il suo comportamento e arrossisce ancora di più. Chissà cosa starà pensando quel gentiluomo… prima gli è quasi caduta addosso correndo giù dal treno e ora se ne sta lì a fissarlo come un’attrazione da circo. Si affretta ad abbassare lo sguardo, un po’ stordita da quella sensazione così forte e improvvisa, e in quel momento l’uomo interviene.
«Non preoccupatevi, signorina. Sono io che domando scusa». La sua voce è ferma e controllata. Accenna un lieve inchino verso di lei.
Anja vorrebbe rispondere, ringraziarlo, ma il fiato le si mozza in gola. Per quanto si sforzi di non fissarlo, i suoi occhi, disubbidienti, tornano di continuo al viso di lui, irresistibilmente attratti da qualcosa. Il suo respiro è affannoso e le gira un po’ la testa. Santo Cielo, che le sta succedendo? Non riesce ad emettere un suono.
«Posso fare qualcosa per voi, signorina?» chiede il gentiluomo, esitante. Forse teme che stia per sentirsi male.
Anja fa un respiro profondo e riacquista un po’ di lucidità. Scuote appena la testa. «N-no… vi ringrazio. Perdonatemi, io… mi sembra di...». Lo guarda di nuovo, senza sapere nemmeno cosa stia dicendo. È come trovarsi nell’atmosfera sospesa e irreale di un sogno. Per un istante si chiede se non si sia addormentata sul treno e non stia sognando davvero. Le parole sgorgano da sole prima che possa cercare di trattenerle. «Ci siamo già incontrati?» chiede con un filo di voce.
Le labbra dell’uomo hanno un lievissimo fremito, ma il resto del viso non lascia trasparire alcuna emozione. «Non credo di aver mai avuto questo onore, signorina. Permettetemi di presentarmi: sono il conte Vrónskij, al vostro servizio».
Fa un inchino, breve, asciutto. Conte Vronskij. Anja ricorda di aver sentito parlare di lui e di sua moglie, qualche volta, in società, eppure è abbastanza sicura che non siano mai stati presentati. Ma allora perché quella persistente sensazione di familiarità?
«Anja Karénina» risponde a bassa voce, chinando appena la testa.
Il conte accenna un sorriso e un angolo della sua bocca si muove verso l’alto. «So chi siete».
«Davvero? E come?» esclama la fanciulla, sconcertata. Allora si sono incontrati davvero!
Lui la fissa in silenzio per un tempo che le sembra interminabile. «Non ha importanza» risponde infine, la voce bassissima.
L’amarezza che traspare dal suo tono, la sua espressione vuota, sorprendono profondamente Anja. Sempre più confusa, vorrebbe domandare ancora, chiedere spiegazioni, e allo stesso tempo vorrebbe che quella strana conversazione terminasse. Non si è mai sentita così a disagio in compagnia di qualcuno. In quel momento scorge con la coda dell’occhio suo padre e suo fratello, a una certa distanza da lei. Non l’hanno ancora vista, parlano tra loro e ogni tanto si guardano intorno. All’improvviso Anja si scuote del tutto e rimprovera se stessa. Cosa sta facendo lì, perdendosi in sciocche, insensate chiacchiere con uno sconosciuto? La sua famiglia la aspetta e quell’assurda sensazione che la attanaglia non ha alcun fondamento. Come può pensare di conoscere una persona che non ha mai visto in vita sua? Cerca di scrollarsela di dosso.
«Devo andare, mi aspettano» mormora.
Il conte Vrónskij rimane impassibile. Si limita ad accennare un altro inchino. «È stato un piacere conoscervi».
«Anche per me, conte. Arrivederci».
A fatica, esitando, distoglie lo sguardo da lui e si allontana lungo la banchina. Fa solo qualche passo, poi, d’istinto, si volta appena e in una frazione di secondo si accorge che il conte è ancora lì, in piedi, a fissarla. Sembra una statua, tanto il suo volto è privo di sentimenti, eppure… quello strano lampo, poco prima… quando si sono scontrati… Non poteva essere così sorpreso soltanto perché una fanciulla era piombata giù dal treno con troppo entusiasmo. No, c’era qualcosa di più profondo. La stesso sconvolgimento che ha provato lei. Per un attimo si chiede se il conte non le abbia mentito quando le ha detto che non si sono mai incontrati prima.
In quel momento raggiunge suo padre e suo fratello e ogni altro pensiero scompare rapidamente.
«Mon cher papa!» esclama, gettandosi tra le sue braccia tese.
Alekséj Karénin la stringe forte a sé. Trattiene a malapena un sorriso emozionato. «Bentornata, piccola mia» mormora, premendo le labbra sui boccoli biondi della figlia.
Esita a lasciarla andare, ma Serëža, al suo fianco, scalpita per salutare la ragazza. Fanno appena in tempo a separarsi che il giovane prende Anja tra le braccia e la solleva da terra, pieno di allegria. Le stampa un bacio sulla guancia.
«Finalmente, sorellina! Com’era Mosca? Ti sei divertita? Ti mancavo, vero?»
«Tantissimo!». Anja sorride, traboccante di felicità, ancora stretta al fratello. È così bello essere di nuovo tutti insieme. «Ho un mucchio di cose da raccontarvi!»
«Prendiamo i tuoi bagagli e andiamo a casa, allora. Voglio sapere tutto» commenta Serëža, prendendo affettuosamente Anja sotto braccio.
«Parlavi con qualcuno, prima? Chi era?» chiede Karénin, mentre si avviano insieme tra la folla.
Anja non ha dimenticato il suo strano incontro. Si gira di nuovo, incapace di trattenersi. Il conte è scomparso. Deve essere salito sul treno, ma la ragazza ha la sensazione che abbia continuato a seguirla con lo sguardo fino a un attimo prima.
«Anja?»
Suo padre le sta sorridendo con affetto, come sempre quando lei si perde nelle sue fantasie. Fantasie, tutto qui. All’improvviso Anja non è più così sicura di aver già visto il conte Vrónskij. Deve essersi sbagliata. E in fondo, cosa importa? Ricambia il sorriso del padre mentre infila l’altro braccio sotto il suo, trovandosi stretta tra i due uomini. Finalmente l’impressione di aver perso e ritrovato qualcosa di importante scivola via. Non ha perso nulla. Non c’è niente da trovare. Ha tutto quello che le serve, ora.
«Nessuno, papa. Nessuno di importante».

 

 ****

 

Il conte Vrónskij monta sul treno un istante prima che Anja si volti di nuovo, sfuggendo al suo sguardo. Ne è sollevato. Non vuole che si giri indietro per cercarlo. Lei deve andare avanti.
Nell’ambiente chiuso il profumo di violette che ha avvertito accanto alla ragazza è particolarmente intenso. Ne segue la traccia ed entra nel primo scompartimento. Sì, lei era lì. Chiude la porta e siede accanto al finestrino. La banchina è affollata, ma individua subito il biondo chiaro dei capelli di Anja. È con suo padre e suo fratello. Parla, ride, li prende sottobraccio. Sembra che stia bene. Sembra felice. Continua ad osservarla finchè i tre non si allontanano lungo la banchina, camminando vicini, e scompaiono dalla sua vista. È andata via. Il conte abbassa lo sguardo mentre il treno riprende a muoversi lentamente.

 

 

Fine








Spazio autrice.

Una breve nota sulla citazione che accompagna la shot, tratta dalla scena finale del bellissimo film "Il velo dipinto". Chi lo ha visto comprenderà subito il legame tra la shot e il finale del film. A chi non lo ha visto basta sapere che ho scelto questa citazione perchè si colloca in una situazione quasi identica a quella che descrivo nella storia. In un certo senso è stata proprio quella scena ad ispirarmi. Comunque, vi consiglio di vederlo, è davvero splendido.
Verso la fine della shot Anja risponde a suo padre che la persona che aveva incontrato non era nessuno di importante, ma lei ha una visione parziale delle cose, perchè non sa che quell'uomo è il suo vero padre. Siete d'accordo con Anja oppure no? Credete che questo incontro non avrà alcuna importanza nella sua vita e lo dimenticherà in fretta, o credete che il dubbio sul misterioso legame che ha avvertito con quell'uomo continuerà a tornarle alla mente senza mai trovare una risposta?
Sarei curiosa di sapere cosa ne pensate.
Il finale della shot è volutamente aperto. I sentimenti del conte Vrónskij riguardo l'incontro con sua figlia non sono ben definiti. Cosa prova mentre la osserva da lontano, mentre abbassa lo sguardo e il treno lo conduce via? Potrebbe essere addolorato, nostalgico, furioso o semplicemente sorpreso. Ciascuno è libero di interpretare i suoi gesti e le sue espressioni come desidera. A voi la scelta e, se vi va, fatemi sapere qual è. Grazie. 

   
 
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