Jaen
si svegliò di
soprassalto, spalancò gli occhi azzurri, sudava freddo, non
sapeva dove si
trovava, sentiva voci di vecchi, giovani, bambini che lo esortavano a
fare
qualcosa, ma che cosa?
Tutto intorno a lui
iniziò a girare, venne
aspirato da una nube nera, come la pece, era orribile. Ogni notte la
stessa
cosa. Incubi lo
assalivano e lui non
poteva fare nulla, solo aspettare l’
“attimo”, come lo chiamava lui, quel
momento in cui veniva travolto dalla nube, certo era consapevole di
ciò che gli
accadeva, ma non sapeva spiegarlo, tanto brutto che era. Solo una
domanda era
quella che si poneva:
Perché?
Alle
sette di mattina
suonò la sveglia. Jaen si sistemò i lunghi
capelli, che gli arrivavano fino
alle spalle, neri dietro alle orecchie e spense la sveglia, aveva un paio di occhiaie
grandi e scure, non
aveva dormito molto e voleva solo tornare a letto e non alzarsi per
andare a
scuola, lui la odiava.
Tutti
i suoi compagni lo
prendevano in giro perché doveva stare in carrozzella e non
poteva correre, non
era colpa sua, era nato con questa malattia, oramai ci conviveva. Non
aveva
idea di cosa fosse un salto, o come si faceva, non poteva nuotare da
solo,
senza l’aiuto di qualcuno.
A ginnastica,
la professoressa gli diceva di stare fermo e non fare nulla, lui
chiedeva di
andare in bagno e piangeva, piangeva, forse per un quarto
d’ora, intanto
l’
insegnante si dimenticava della sua
esistenza. Piangeva sempre, quando pensava che non poteva fare qualcosa
e ci
provava, piangeva quando un compagno di classe lo prendeva in giro,
solo per la
colpa di essere nato in quel modo, piangeva quando la gente lo fissava
per
strada e pensava tante di quelle cose brutte. Cose brutte come la morte
che
potrebbe colpirlo in qualsiasi momento, non osava nemmeno pensarci, ma
coloro
che lo circondavano, ne parlavano ogni giorno, Jaen non voleva
intromettersi in
quei discorsi. Forse era la paura che non glielo faceva fare, o forse,
solo
quella grande voglia di vivere che lo mandava ogni giorno avanti, senza
il
timore di sbagliare, perché sapeva che dopo ogni discesa
c’è una salita, dopo
ogni bugia c’è una verità e ogni
sbaglio serve per imparare tutto quello che
non studiamo a scuola.
Quella
stupida di una
malattia con cui viveva dalla sua nascita, quindi da undici anni. La Spina
Bifida, la sua nemica della vita. Fin da quando aveva otto
anni ne faceva
un sacco di ricerche, per la curiosità e vedeva tante cose
brutte, poi chiudeva
internet e si cimentava nei compiti. Jaen era un ragazzo
intelligentissimo,
curioso al massimo, se non fosse per il suo corpo avrebbe
già scoperto un sacco
di cose.
All’ età di cinque anni adorava la matematica e
sapeva già fare delle
moltiplicazioni abbastanza complesse, la geometria era la sua vita,
come la
storia dopotutto, andava in biblioteca a vedere libri
nell’argomento e li
leggeva per ore ed ore.
Le
persone non lo
conoscevano da questo lato, si divertivano solo a prenderlo in giro e
basta.
Adesso doveva iniziare un’ altra giornata – incubo.
Quindi,
decise di alzarsi
dal letto.
Spostò
il suo corpo
gracile sulla sedia a rotelle, prima mise le gambe aiutandosi con le
mani,
successivamente, spostò il fondoschiena sollevando, tutto il
corpo e
spingendosi con le mani, andava avanti, sino alla finestra, la pioggia
picchiettava forte ed era ancora buio. La pioggia… non
sapeva come affrontarla,
la vedeva come una guerra. Le gocce erano tutte le persone, che
facevano la
lotta per chi arrivava primo a destinazione. Poi, vedeva in loro, la
tristezza,
quando scivolavano leggiadramente sul vetro, ormai morte, senza
speranza. Si
divertiva a seguirle con il dito, fino ad atterrare con loro sul
davanzale in
marmo bianco.
Decise
quindi, di
affrontare la sua giornata come quelle goccioline, pronte a morire
facendo la
guerra.
Sentiva
sotto le sue mani
ancora la stanchezza di una notte insonne. Si diresse in bagno e si
specchiò il
viso:
- Mmm,…anche di prima mattina riesco ad essere fantastico.-
Gli
piaceva il suo bagno,
tutto blu e celeste. Appena si entrava dalla porta, dinnanzi si aveva
uno
specchio enorme e lungo, poi, affianco, un lavandino in ceramica. Solo
la vasca
non gli piaceva, perché lui odiava fare il bagno,
però amava se stesso.
Ecco
una capacità di Jaen,
aveva molta autostima e forse era un po’ vanitoso,
perché mai nessuno gli
faceva complimenti, tranne sua madre, ma lei non contava, quindi se li
faceva
da solo. Non aveva amici, forse solo uno, Louis, l’amico
immaginario.
Con
Louis parlava sempre,
gli diceva tutti i suoi segreti, poi si trovavano bene
perché avevano la stessa
età, undici anni. Se lo immaginava come lui voleva essere,
un bellissimo
ragazzo, con i capelli corti mori e gli occhi castani, in parte
muscoloso e un
po’ più alto.
Il suo amico era gentile e generoso, simpatico, un po’
arrogante, ma
dolcissimo. Si fidavano l’uno dell’atro e si
volevano bene. Certo, si volevano
tanto bene, nella mente di Jaen.
-Si
vede veramente che non
ho dormito molto, quegli stupidi attimi. – disse fra
sé e sé.
-
Non fare così,
spariranno con l’età , fidati di me, è
solo un periodo. Adesso vai in cucina
dalla mamma.- continuò il monologo con Louis.
Si
diresse in cucina, in
quella stanza dove vi era sempre odore di cappuccino, la mattina, la
mamma lo
beveva per colazione, al pomeriggio, per merenda lo beveva Jaen e la
sera,
veniva preparato quello per il giorno dopo.
La
madre del ragazzo era
una signora squisita, amava suo figlio, come amava il marito, morto in
un
incidente stradale, un tragico incidente che nessuno di loro
dimenticherà.
Lei legava i capelli lisci,
biondi, in
una coda da cavallo e teneva sempre un paio di occhiali argento davanti
agli
occhi cremisi.
-Buongiorno
piccolo.- gli
disse mentre lo spingeva sino al tavolo, con una voce triste.
-
Buongiorno mamma, come
stai?- chiese.
-
Bene.- rispose secca.
Non
aggiunsero altro a
quella conversazione, Jaen e Louis sapevano che la mamma, se era
triste, non
andava disturbata. Il ragazzo fece colazione con il cappuccino e due
biscotti,
non aveva molta fame.
Si
diresse in camera sua
senza fiatare e prese gli indumenti puliti: un paio di jeans di colore
scuro e
una felpa rossa.
-Chissà
cos’ha la mamma.-
si disse.
-Non
lo so, probabilmente
è un po’ stanca di ricominciare la settimana.- si
rispose.
-Forse,
ehi Louis, sono
contento di avere un amico come te.-
-Anche
io, ma mi
raccomando, la mamma non dovrà mai sapere della mia
esistenza, altrimenti, ci
potremmo separare e non
rivedere…mai…più.- continuò
a parlare con una voce
strozzata, gli veniva quasi da piangere.
La
mamma di Jaen non era
mai venuta a conoscenza dell’amico del figlio, nessuno sapeva
che la parte
intelligente di Jaen era Louis e non lui.
Jaen
da solo non era in
grado di scrivere niente, nemmeno una strofa di una poesia, oppure fare
un
semplice disegno, nemmeno sillabare, nulla.
Il
ragazzo si fece aiutare
dalla mamma per vestirsi, si fece mettere le scarpe e quando venne
preso anche
lo zaino e la merenda, si diresse in macchina, con una faccia triste,
perché
sapeva quello che lo attendeva.
-Non
fare così.- disse sua
mamma mentre guidava – non ne vale la pena, sono degli
imbecilli, fidati di me,
prima o poi si stancheranno.-
-Non
è vero! Non si
stancheranno mai, si divertono così tanto, non riesco
più a sopportarlo.-
continuò Jaen.
“Dai
ascolto a tua madre,
prima o poi si stancheranno, fidati, lei ha sempre ragione.”
Pensò Louis.
-Si
hai ragione.- rispose
bisbigliando.
-Hai
detto qualcosa?-
chiese la madre, vedendo il figlio nello specchietto retrovisore.
-Eh?
No, no, nulla, non ti
preoccupare.- concluse guardando il pavimento della macchina.