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Autore: betacchi    08/04/2013    2 recensioni
[ terza classificata al contest "Nagagutsu de kanpai da! Hetalia~" indetto da Phantom Lady su hetalia.forumcommunity.net ]
Se Arthur Kirkland era solo, probabilmente era esclusivamente per causa sua. Sua, del suo orgoglio e della paura radicata nel suo animo; sua, come suoi erano gli occhi che -terrorizzati dalla possibilità d'illuminarsi d'affetto- scappavano da ogni cosa. Solitudine e paura accompagnavano l'amico "perché", di nuovo ospite di quella mente in subbuglio.
[FrUk AU]
A Prof (in ritardo), per il suo compleanno.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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A Prof;
anche se il suo compleanno è stato quasi un mese fa.




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| 'Why' just needs to know how to smile. |



« Signore, oggi, come ben lei saprà, è dunque quel giorno in cui -per volere della sovrana a noi cara— »
Parole, un susseguirsi infinito di termini e termini, i quali sembravano rincorrersi in una sfida che non avrebbe mai avuto fine, a meno che qualcuno non fosse arrivato a riportare l'ordine in quell'infinito flusso di suoni. Dal canto suo, l'inglese dai capelli più che problematici ( "chér, quante e quante volte devo spiegarti ancora il primario utilizzo d'un pettine?" ) aveva poco interesse nel prestare attenzione a ciò che il funzionario, alto e di certo non magro, con grande enfasi e paroloni s'apprestava proprio in quell'istante a riferirgli.
« E dunque, signore reverendissimo, la nobile sovrana del nostro così beato regno, bagnato dal mare e schiavo d'ess— »
Un sospiro pesante, la guancia che si andò ad appoggiare sul dorso della mano sinistra, dopo che la stessa fosse passata sul volto annoiato per permettere agli occhi di socchiudersi per pochi minuti e, dunque, l'interrompersi volontario dell'uomo sulla cinquantina; l'interrompersi volontario di quel flusso infinito di parole –e dire che mai e poi mai avrebbe pensato che esse avrebbero potuto, senza alcun tipo di consiglio, porre loro stesse un freno simile.
« Ma immagino queste mie parole la stiano annoiando, sir. »
Arthur Kirkland, latifondista dagli innumerevoli fondi, un tempo fedele servo della Regina del potente Regno d'Inghilterra, non aveva mai trovato più veritiere le parole d'un uomo. Sorpreso, scosse con vigore il capo, raddrizzandosi nuovamente e riottenendo quel contegno e quella compostezza che gli avevano procurato i migliori tra i complimenti. Sotto lo sguardo severo del funzionario "vecchio e grasso" (dopo attente riflessioni, gli unici aggettivi che si prestavano ad una descrizione breve ma accurata), il britannico di sangue più blu dell'indaco oceano mugugnò qualche parola di scusa, cercando d'apparire -dal quel momento in avanti- leggermente più interessato.
« Sarò dunque breve: la Regina, sovrana massima di queste terre, le impone di riferire seduta stante quale tra i suoi lavoratori devono spostarsi in questo giorno di grande movimento. Come sa, i preparativi per la sicurezza, e— »
Parole, ancora ed ancora. Per quanto si fosse ripromesso di non distrarsi ulteriormente, il biondo non riuscì a fare a meno di perdersi nuovamente nei suoi pensieri, concentrando, dunque, la sua attenzione su di una lista poco distante dal suo gomito, fermamente piantato sopra la scrivania in tasso, rivestita da una pesante coltre di fogli e foglietti, forme di tazze fumanti della 'bevanda degli dèi' un tempo piene e calde, che desideravano sempre rimanere nel cuore di chi le aveva avidamente bevute con segni circolari e poco eleganti; ancora, v'erano penne e matite, carboncini ed altro materiale utile al suo lavoro di calcolo ed annotazione. Le iridi color smeraldo s'abbandonarono a quella lista di nomi, lessero uno, due (Cathwich, Medelchef, -anche Bunnerow! E dire che tanto aveva lavorato per lui) tre nomi, tutti, fino in fondo. Nessun qual tipo d'espressione trasparve dal suo volto, che rimase impassibile alla lettura di chi aveva deciso d'abbandonarlo.
"Traditori"; la nave, per quanto in pericolo si possa trovare, mai dev'essere abbandonata. Muore con il suo capitano e la sua ciurma il vascello sotto assalto; muore affidando la propria bandiera alla corrente benigna del mare, lasciando che essa trasporti la sua storia a "quelli della terra ferma". "Traditori", ripeté la sua mente; mentre le labbra sorrisero, il capo annuì e le mani passarono con distrazione quello stesso foglio al funzionario dalla sciolta lingua.
« La ringrazio, Sir Kirkland. Spero presto di rincontrarla; verrà al banchetto che la Regina terrà questa sera stessa? »
« Farò di tutto per non mancare. » rispose egli, alzandosi dalla sedia rivestita d'un rosso spento e triste, come spento e triste era l'umore di chi vedeva allontanarsi uomini fidati.
Un cenno del capo e un finto sorriso (quale miglior arte del fingere la contentezza dell'animo!) accompagnarono all'uscio il visitatore; un tonfo ed un sospiro seguirono il chiudersi della pesante porta in legno.
« Traditori. »; un sussurro, del quale neanche quegli spessi muri riusciranno mai a ricordarsi.
Un sussurro ancora; Cathwich, quello sempre brillo; Medelchef, il biondo dalle dubbie origini ed ancora Bunnerow, il fedele artigiano. Ognuno di loro, come altri ancora, stavano in quel momento abbandonando la nave: poteva chiaramente sentir lo schiamazzo dei servi, poteva sentire le parole che venivano sussurrate con timore d'esser udite senza alcuno sforzo. " Al padrone poco importerà "; " Lui non ha cuore per gente come noi "; " Al padrone interessano solo i profitti che un povero cristiano può portargli ".
« Traditori. » esclamò poi, sbattendo con forza il palmo aperto della mano su quel mucchio informe di macchiati fogli; puff, come uccelli spaventati, saltarono in aria, rovinando poi sul tappeto finemente lavorato (qualcosa di persiano, gl'aveva detto quel tipo baffuto da cui aveva avuto l'ardire d'acquistarlo). Avanti ed indietro, l'inglese passeggiava nervosamente; ogni passo era un quesito senza risposta, ogni passo era strumento per aumentare la sua ira. Tra i tanti, "perché" fu l'unico a presentarsi con tali e tanti doni da essere accettato come unico ospite nella mente dell'inglese; un perché che poca volontà sembrava avere d'abbandonare quella calda stanza che aveva trovato -affrontare l'ignoto, dopotutto, poco piace. Il volto alla finestra, le mani dell'inglese s'incrociarono dietro la sua stessa schiena: le iridi guizzarono da destra a sinistra, cercando di coglier un qualsiasi movimento, una qualsiasi persona, un qualsiasi avvenimento di rilievo -e 'perché', nella sua mente, ancora gridava e gridava, con il primario desiderio di farsi notare.
Arthur Kirkland sapeva d'essere come lui; gridava, silenziosamente, gridava per permettere agli altri di accorgersi di lui. Arthur Kirkland, proprio come quella sola domanda, era schiavo della parola "solitudine" e di ogni situazione essa con sé trascinava. Solo, circondato dal nulla; solo, come quella stessa isola di cui era più schiavo che servo fedele. Arthur Kirkland, gli occhi ora rabbuiati da sentimenti di tristezza più che animati da scatti d'ira, abbassò quelli stessi, chiudendoli; Arthur Kirkland era solo e sapeva -ne aveva ogni certezza- che lo sarebbe sempre stato.

« Why, I wish thee all the best for this Lady Day-! »
Applausi e schiamazzi: un ballo si presentava di certo come l'ultima tra le situazioni in cui un individuo potesse sentirsi solo. Eppure, nell'angolo remoto della sala, con occhi fissi ed attenzione rivolta esclusivamente alla figura della sua Regina ("long live our most gracious Queen!"), il biondo latifondista rimaneva in silenzio, muovendo di quando in quando il polso e, dunque, il bicchiere di pregiato spumante che quella stessa mano sorreggeva. Solo, lanciava occhiate fuggitive a chi sorrideva e scherzava in compagnia, a chi s'apprestava a ballare, a chi discorreva sull'ultima tresca del Conte di York o sulla dubbia politica del Regno di Scozia, loro fratello nel bene e nel male. Ed avrebbe -oh, se avrebbe!- desiderato aggiungersi a quelle conversazioni, mettere del suo nell'intrattenimento nella serata, annuire, far cenni, commentare quel comportamento dubbioso del Conte con qualche "oh, ma come!" e severamente replicare a chi era convinto di come il Regno di Scozia tenesse alla fratellanza con quello d'Inghilterra anche solo con un singolo sguardo.
Nuovamente, come poco prima quello stesso pomeriggio, l'inglese si trovò ad abbassar gli occhi a terra, si trovò in compagnia di quell'unico "perché", a pensare, ancora ed ancora, a quello che aveva visto in quella lunga mattinata. Troppi tra le famiglie al suo servizio, troppi tra fidati lavoratori e compagni che -senza degnarsi di rivolgergli anche un solo sguardo, i vili!- abbandonavano le sue terre in tutta fretta, incalzati dalle parole dell'editto regale -"per garantir la sicurezza, richiediamo pertanto" e bla bla bla, altre che eran parole senza peso, parole vuote di sentimento; una scusante per tutti quei vigliacchi ch'avevan senza ragione deciso di abbandonarlo al suo destino di solitudine e tristezza.

« Mon chér, dovresti voler pur sorridere in questo giorno di festa. »
I passi silenziosi d'un uomo dall'orrendo accento francese giunsero ben distinti all'orecchie del biondo, provocando la nascita, sul suo volto, d'una delle peggiori smorfie che i suoi muscoli avessero mai generato: con un mugugnar di disappunto, lo stesso inglese voltò le spalle all'altro, occupando le sue labbra con quel cristallin calice riempito con la celestiale bevanda alcolica.
Tra tutti gli elementi con i quali Arthur avrebbe desiderato intrattenere una conversazione, l'unico che non riusciva a digerire era davvero il solo ad avvicinarlo ogni qual volta se ne presentasse l'occasione; e sempre, volente o nolente che fosse, Arthur non riusciva ad impedirsi la conversazione con quel francese per nascita, desiderio e tutto ciò che rende un qualcuno fedele alla propria patria.
« Non credo d'averne le capacità. »
Più chiara di quello stesso calice, la risposta giunse dopo qualche secondo, nel quale il biondo si perse ad osservare il suo volto riflesso in quello stesso bicchiere: ogni singolo lineamento del suo viso sembrava stanco, annoiato da quella vita e da chi la illuminava (a conti fatti, nessun altro se no quella domanda sempre presente); un sorriso tristemente consapevole si dipinse sulle sottili labbra, certo di quanto non potesse nulla contro quella sua sorte. L'universo gliel'aveva affidata, dopotutto -e chi era lui per opporsi al destino? Chi, se non un semplice uomo a capo d'un gruppo d'altri uomini, ai quali non poteva aggrapparsi poiché fatti della stessa materia di cui eran fatti i sogni? E cercare di tenerli tra le proprie braccia, cercare con ogni forza di non lasciarli sfuggire era solo il capriccio d'un bambino, il quale -appena venuto a conoscenze delle leggi dell'universo- acconsente alla ribellione adolescenziale di guidare le sue azioni; si ribella alle regole familiari, s'innamora di fanciulle impossibili e dunque muore, a meno che non comprende quanto il suo destino sia nelle mani d'esseri in realtà non esistenti, ma più potenti di quella stessa Regina che sorrideva, affabile, a chiunque le si presentasse di fronte. Ella sola riusciva ad illuminare di sincero affetto gli occhi di Arthur, ella sola poteva essere considerata amica fedele che mai e poi mai l'avrebbe abbandonato -perché lei, dopotutto, amava i suoi sudditi per la condizione nella quale si trovavano, non per il nome che portavano. Le sopracciglia del francese, nel mentre, affondarono verso il basso, una mano venne portata con delicatezza sul proprio mento: rifletteva, dunque? L'inglese quasi si chiese se ne possedesse la capacità.
« Necessiti d'un maestro. » affermò dunque, lasciando che le sue stesse labbra s'alzassero in un sorriso di una luminosità tale da riuscir a conferir splendore anche agli occhi d'ogni esistente sfumatura del blu dell'Oceano.
Un maestro, dunque; come se esistesse davvero, un essere in grado di poter insegnare a quelle labbra estranee al sorriso come alzarsi e -con delicatezza- riuscir a trasmettere felicità ed, al contempo, tenero affetto; come se fosse possibile che lui, triste e solo, avesse potuto avere la forza d'illuminar a quel modo i suoi occhi color smeraldo, rendendoli quindi "d'ogni sfumatura esistente di verde".
« Temo di dover rifiutare; sarebbe tempo perso, Francis. »
Tempo perso, come quello che l'inglese era certo di star sprecando con il sol vivere in quell'isola. Ancora, come più d'una volta prima, Arthur si perse nel sol ricordo delle terre lontane d'occidente -ah, l'America. Quella landa abitata da esseri ignari di quello che era realmente il mondo; quella landa ch'era visione afrodisiaca e sinonimo di paradiso. L'America: tanti e troppi erano -ancora- i quesiti sulla vita al di la' dell'oceano che Arthur andava ogni qual volta a porsi -ed il sorriso abbagliante di Francis, in quel momento, era davvero l'ultima cosa che l'avrebbe aiutato a concentrarsi al fine di trovar una qualche risposta.
« Andiamo, Artúr, dovresti ben conoscere la mia tenacia. »
A quella sottintesa domanda sapeva d'aver una pronta risposta; le volte in cui aveva potuto appurarlo erano ormai molte, che a contarle non s'avrebbero sufficienti dita. L'inglese fu però costretto a ricordarsi che -in più d'un'occasione- quella stessa tenacia gl'era stata più che nemica: ci fu quella volta in cui il francese dallo smagliante sorriso si presentò a casa sua, non volendo lasciarlo risposare dopo una giornata lunga e pesante; quell'altra ancora in cui lo costrinse a bere più d'un bicchiere di un qualche vino francese, causando poi un avvenimento che non riusciva a ricordar bene (c'entrava una gonna, ne poteva esser certo). Le labbra dell'inglese s'inasprirono in una smorfia di terrore al sol nominare quella proverbiale tenacia; sull'attenti, egli stesso fece un passo indietro, schiarendosi la voce con imbarazzo insaporito da terrore innaturale.
« Hai paura? » ridacchiò l'altro, spezzando la distanza che l'inglese tanto cercava; « In effetti, potresti averne. »
Tra un sorriso ed una risata poca differenza vi era, a detta del britannico; per lui entrambe eran nemiche o, comunque, ospiti poco gradite; le sue labbra le scansavano con disgusto, preferendo l'impassibilità o il broncio di chi vede ogni estate grigia -e non era affatto difficile, in un luogo come l'Inghilterra. Ciò non poteva dirsi del francese: le sue labbra leggermente screpolate ("mon dieu, la mia povera pelle, con questo freddo-!") avevano scelto come primo consigliere quell'astratto elemento, il sorriso, dal quale raramente prendevan congedo; amante caloroso era diventato per loro, amico sincero e fratello prediletto.
« Probabilmente non imparerai mai, Artúr, ma quasi ti preferisco così. »
Un sussurro accompagnò l'uscita di quel sorriso e di quelle labbra; come il batter delle mani risveglia l'ipnotizzato dal suo sonno, così gli occhi smeraldini dell'altro s'allontanarono dal disegno di quelle stesse, scappando da essi come da chiunque altro.
Se Arthur Kirkland era solo, probabilmente era esclusivamente per causa sua. Sua, del suo orgoglio e della paura radicata nel suo animo; sua, come suoi erano gli occhi che -terrorizzati dalla possibilità d'illuminarsi d'affetto- scappavano da ogni cosa. Solitudine e paura accompagnavano l'amico "perché", di nuovo ospite di quella mente in subbuglio; un passo, due, la figura del francese che s'allontanava, il bicchiere che quasi sembrava cadere da un momento all'altro a causa di quella troppo delicata presa che l'affusolate dita dell'altro riservavano a quel gambo di trasparente vetro.
« Aspetta- »
Probabilmente, Arthur Kirkland sarebbe sempre stato solo.
« Oui-? »
Probabilmente, Arthur Kirkland non sarebbe mai riuscito a sorridere come stava -proprio in quell'istante- facendo Francis Bonnefoy.
« Teach me. »
Probabilmente.





Note dell'autrice:
Salve a tutti~
Sono molto contenta di poter finalmente postare questa fanfic, nonostante sia una FrUk, ausha. Non essendo molto fan del pairing, mi ha molto sorpresa come essa sia potuta arrivare sul podio di un contest, omg.
La cosa importante da riportare, piuttosto, riguarda il Lady Day, festività durante la quale era uso comune per i contadini cambiare residenza e quindi "padrone". La fanfic si basa proprio su questo scambio: la relazione e lo scambio di battute finali con Francis sono quasi un contorno, un finale un po' leggero, inserito giusto per dare un colorito più 'rosa' a quella che sarebbe stata una grigissima introspettiva.
Per il resto, abbiamo il solito Arthrur decisamente depresso che si abbandona alle proprie (passatemi il termine) seghe mentali.
Detto questo, vi lascio~ A presto!

betacchi.



ps!
Tanti auguri, Prof~!


pps.
Mi sembrava carino aggiungere il banner che è stato fatto per la storia, quindi buh, ammiratelo ed amatelo (?).
   
 
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