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Autore: _nottedimezzaestate_    09/04/2013    7 recensioni
- Hai i capelli tinti?
Scoppiai a ridere.
- Ma secondo te? Ho i capelli blu!
- Ma se ti chiami Rossana!
- Eh sai io sono trasgry e non seguo il nome per farmi il colore dei capelli.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Rossana dai capelli Blu.

 


- Mamma, esco! – Gridai dalla mia camera. Infilai la camicia a quadretti che si abbinava perfettamente ai jeans verdi.
- Ma piove! - Rispose.
- Pace! - Nessuna risposta. Come si dice, chi tace acconsente, giusto?
Rippassai la matita nera dentro l'occhio e avevo preso la borsa nuova con scritto Roma sopra.
Mi guardai allo specchio. I capelli neri e lisci mischiati a qualche ciocca blu elettrico mi cadevano un po' disordinati sulle spalle, e i miei occhi verdi mi fissavano.
Mi osservai. Avevo ereditato tutte le fattezze del viso da mia madre, una rispettabile donna giapponese venuta ad abitare in Italia per lavoro.
Mio padre era morto anni prima, poco dopo il mio undicesimo compleanno, in un incidente d’auto.
Ricordavo ancora i suoi occhi verdi identici ai miei e la sua risata.
Quando ero triste pensavo alla sua risata. Era cristallina e spontanea, e lui rideva sempre.
Ero alta e magra, molto più di mia madre. Avevo passato un orribile periodo di anoressia, ma fortunatamente ne ero uscita, a differenza di Lisa, quella che era stata la mia migliore amica e che ancora piangevo dopo quattro anni.
Infilai il cellulare e le chiavi in borsa,scesi le scale, salutai mamma ed uscii.
Veniva giù solo una leggera pioggerella, il cielo era grigio e le nuvole rendevano il tutto più scuro e grigio. Non dovevo vedermi con nessuno, semplicemente amavo la pioggia e il vento gelido tra i capelli.
Passeggiavo per quelle vie a me familiari, dove passavo tutti i giorni per prendere il pullman e andare a scuola.
Avevo scelto il liceo linguistico e non me ne ero mai pentita. Ormai ero all’ultimo anno ed ero pronta a dire addio sia al liceo che ai miei compagni, per dare il benvenuto maggiore età e all’università che avevo scelto.
Ero molto indecisa. Andavo bene sia in lingue che in italiano, avevo preso in considerazione tantissime possibilità, ma alla fine avevo preso la via di Scienze della Comunicazione.
Sapevo benissimo che sarebbe stato poi difficile trovare lavoro laureandosi in un questo campo, ma amavo troppo tutto quello che era socializzare, parlare, discutere e rapportarsi con gli altri. Sarei andata a Torino, l’università più vicina alla provincia di Asti, dove abitavo.
Mentre la mia mente vagava per i meandri della scuola in cui sarei andata a settembre mi ero bagnata fino al midollo. I capelli si appiccicavano costantemente al viso e i vestiti non contribuivano di certo a tenermi caldo.
Ero gelata, ma continuavo a camminare. Era quello il prezzo da pagare per poter stare soli a riflettere.
Non c’era anima viva in giro, infatti. Nessuno affacciato alle finestre, nessuno a passeggiare, non passava nemmeno una macchina.
Il paesaggio era terribilmente grigio e spento.
Io continuavo a camminare, cercando di fuggire da qualcosa che mi attanagliava lo stomaco e che non mi faceva mangiare né dormire.
Mi ero fatta carina per un motivo particolare. Non mi pettinavo mai i capelli, né mi truccavo mai.
Niente e nessuno mi aveva mai cambiata come lui.
Negli ultimi giorni ero diventata tutta dolce e smielosa e mettevo i cuoricini alla fine delle frasi.
Io odiavo i cuoricini.
Oggettivamente non era poi così bello, ma per me era fantastico, con i suoi capelli corvini sempre spettinati e gli occhi grigi.
E poi si chiamava come mio padre.
Camminavo ormai da mezz’ora, quando due mani maschili mi coprirono gli occhi.
- Ma che cazz.. – Ero già pronta a tirare un calcio al forestiero (sempre fine e femminile) quando riconobbi la sua voce.
- Ciao Ross!
- Fede? – Mi girai di scatto. Indossava una giacca nera di pelle e dei jeans. Lo fissai. Continuavo a trovarlo bellissimo.
- Cosa ci fa una donzella indifesa come te nel bel mezzo di una tempesta? – Mi domandò.
Risi.
- Mi voglio bagnare. Amo la pioggia. – Affermai. Non mi piaceva dirlo in giro, ma di lui mi fidavo.
- Vieni, non mi piace vederti bagnata. – Mi prese la mano. Io diventai impercettibilmente rossa e abbassai la testa.
Camminammo un po’ , poi arrivammo davanti a un palazzo diverso dagli altri. Era rosso di mattoni, e spiccava tra gli altri.
Aveva cinque o sei piani e altrettanti terrazzi ornati da vasi di rose.
Ma la cosa più bella era l’edera. Copriva un quarto della facciata e brillava, in totale contrasto con i mattoni.
- Chiudi la bocca, si infilano le mosche! – Mi disse Federico.
- Tu abiti qui? – Gli domandai.
Lui annuì, sorridendo.
- Dài, vieni
- No, mi piace stare fuori.
Non ero abbastanza spavalda per entrare in casa di un ragazzo sola. Non perché avesi paura, ma ero semplicemente timida. Ecco tutto.
Scossi la testa.
Lui sbuffò.
- Va bè. Facciamo una passeggiata? – Sembrava dispiaciuto.
Che io gli piacessi? Umh.
- Posso farti una domanda?
- L’hai già fatta. Hai sprecato la tua occasione, mi dispy. – Risposi.
- Allora te ne faccio un’altra. Hai i capelli tinti?
Scoppiai a ridere.
- Ma secondo te? Ho i capelli blu!
- Ma se ti chiami Rossana!
- Eh sai io sono trasgry e non seguo il nome per farmi il colore dei capelli.
- Ce li hai neri?
- No, rossi. – Arrossii. Mi ero appena messa in ridicolo davanti al ragazzo che mi piaceva.
Aieah.
Lui rise, e o mi sedetti su un muretto lì vicino.
Solo che era bagnato.
- Merda – Sibilai.
Federico si teneva la pancia dal ridere.
- Avresti potuto aspettartelo, dato che diluvia, no?
Scossi la testa.
- Con me ci si aspetta solo la morte. Non a caso faccio scappare tutti i ragazzi che incontro o che vogliono stare con me.
Ero stata brava. Avevo “casualmente” parlato di ragazzi. Ti prego cogli il segnale, cogli il segnale.
Lui si sedette vicino a me.
E si bagnò.
- Merda!
- Avresti potuto aspettartelo, dato che diluvia, no? – Lo imitai in falsetto.
- Con me ci si aspetta solo la morte. Non a caso faccio scappare tutte le ragazze che mi piacciono. Tranne una. – Mi fissò.
Era forse un segnale? Uno di quei segnali in codice stile 007 di cui parlano nei film americani?
- Chi? – Chiesi stupidamente.
In tutta risposta lui mi baciò.
Mi avevano parlato dei baci sotto la pioggia, li avevo visti nei film, ma quello che si prova veramente non lo si può nemmeno immaginare.
Lui posò le sue labbra sulle mie e tutto sparì. Eravamo solo io e lui, e la pioggia. L’acqua cadeva sul mio viso e scivolava sulla sua guancia.
Mi strinse a se, mettendomi una mano sulla schiena e carezzandomi la guancia con l’altra.
Io mi aggrappai alle sue spalle.
Profumava di erba e di pioggia.
Quando si staccò da me mi fissò.
Poi sorrise.
- Ti amo, Rossana dai capelli blu.
  

 
 
 

  
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