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Autore: Otta_Weasley    10/04/2013    0 recensioni
La prima cosa che entrò nella sua visuale furono gli stivali con il tacco alto, neri. Poi i leggins sottili e il giubbotto da motociclista nero, sbottonato sul davanti, che metteva in bella mostra il decoltè e la canotta [...] il viso sottile e spigoloso che lo fissava con espressione intensa, le labbra di un rosso scuro, strette in un sorriso provocatorio e gli occhi –oh, gli occhi!- più intensi che Jeremy avesse mai visto.
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Jeremy Johnson, trentun anni e qualche mese, si era sempre considerato una persona intelligente e in gambo, piena di spirito e di molte altre qualità che gli avrebbero garantito un roseo futuro e un altrettanto roseo conto in banca. -Andiamo stupido bestione! Mi faccia entrare! Non capisce che è finto? Finto!- Era per questo motivo che proprio non riusciva a spiegarsi come avesse fatto a finire, con i suoi buoni voti e la sua buona volontà, a fare da bodyguard in uno stupido locale alla moda. Il Florence’s era uno dei club più esclusivi di Manhattan. Era il posto in cui la gente, l’alta società del luogo –se così si poteva chiamarla- si poteva recare per svagarsi, divertirsi, scatenarsi sulla pista illuminata dalle luci stroboscopiche o, se preferivano, rilassarsi sui comodi divanetti in pelle rossa che arredavano l’interno. Per entrare era necessario ottenere accesso alla famigerata lista che Jeremy teneva in mano e, perché il proprio nome venisse scritto lì sopra, bisogna, sopra ogni altra cosa, essere ricchi sfondati. La gente che si affollava ogni sera davanti all’entrata lo sapeva. Eppure molti curiosi non potevano fare a meno di soffermarsi lì davanti, magari sperando di avvistare qualche personaggio noto o in caccia di alcuni fra i cognomi altisonanti dei rampolli che frequentavano il posto. L’età media verteva sui diciotto, diciannove anni ma, in serate di piena –come quella sera- arrivava gente anche più grande. Il Florence’s, inoltre, era piuttosto famoso per le incredibili serate a tema che venivano organizzate nell’ampio salone, decorato a dovere per rispecchiare lo stile della festa. Quella sera gli abituari del club avrebbero dovuto travestirsi da personaggi fantastici. Jeremy era di Brooklyn. La sua cara, vecchia, povera Brooklyn. Per quanto per molti, soprattutto in vista delle persone che si trovava a frequentare per lavoro, il fatto che tuttora vivesse lì fosse questione di vergogna, Jeremy amava il suo quartiere, così lontano dai lussi e dall’aria patinata che si respirava lì. -Ehi scimmione mi hai sentito?- La voce irritantemente lasciva proveniva da parecchi centimetri in basso rispetto a lui –era piuttosto alto, sfiorava il metro e novantacinque- e assumeva le fattezze di un ragazzo dall’aria scocciata. Jeremy l’aveva visto lì parecchie volte –la maggior parte scortato da accompagnatrici vestite con dei fazzoletti di stoffa troppo corti e succinti per essere determinati come “abiti”- e sapeva anche che era il figlio di un importante impresario della zona. Nonostante la sua giovane età -aveva diciassette anni? Diciotto? Jeremy non lo ricordava e si appuntò di chiedere a Lauren, la barista che sembrava sapere sempre tutto di tutti- il ragazzo aveva un’espressione in viso che lo faceva sembrare molto più vecchio, come se fosse cresciuto all’improvviso. -Non posso lasciarti entrare con quello- ripeté Jeremy con voce atona indicando con un cenno del capo rasato di fresco il paletto che il ragazzo aveva in mano. -Senti amico, non so se ci siamo capiti, ma… è di GOMMA! E fa parte del mio costume!- e detto ciò fece un movimento veloce della mano soffermandosi sul mantello e i denti da vampiro. Stranamente, notò Jeremy, si ostinava a portare una sciarpa rossa al collo. Jeremy gliela aveva vista altre volte e sapeva che il ragazzo la considerava quasi un suo simbolo, perciò aveva preso a soprannominarlo fra se e sé il “ragazzo sciarpa”. Jeremy scosse il capo, stanco. Sapeva che avrebbe dovuto lasciarlo andare oppure avrebbe avuto problemi con il suo capo e, soprattutto, avrebbe dovuto sorbirsi un’altra delle presuntuose tirate sul “tu non sai chi sono io” che il ragazzo gli aveva presentato una volta. Una ragazza dai riccioli scuri gli poggiò una mano sulla spalla e si chinò in avanti, le labbra piene disegnate dal rossetto rosso. Jeremy notò che era stranamente troppo vestita per essere una delle accompagnatrici del “ragazzo sciarpa”. -Chuck basta, lascia perdere e molla quel paletto- Jeremy trovò che quella ragazza gli era abbastanza simpatica –Che poi non so nemmeno perché tu te lo sia portato dietro. Sei un vampiro, che te ne fai di un paletto? Ti suicidi?- sembrò pensarci su e poi si aprì in un sorriso malizioso –Aspetta un attimo, forse dovresti tenerlo!- Il ragazzo sciarpa scosse la testa, frustrato. –Ricordami perché sono venuto con te? Aspetta no, non voglio nemmeno pensarci. Ma voglio il mio paletto, è una questione di principio!- -Chuck, finiscila di fare il bambino!- la ragazza incrociò le braccia al petto –Lascia quel paletto e andiamo!- detto questo afferrò l’oggetto incriminato e lo gettò per terra, tirandogli un calcio con le scarpette di cristallo tacco 13 che indossava –in tema con il suo vestito da principessa delle favole- detto ciò, afferrò il braccio del suo cavaliere e lo trascinò oltre la soglia con un “Ora si levi dai piedi, stupido scimmione!” che fece ricredere Jeremy sui suoi precedenti ragionamenti. L’alta società non faceva per lui. Fece appena in tempo a sentire un “Adoro quando parli sporco, tesoro” sussurrato da uno stranamente melenso ragazzo-sciarpa alla sua accompagnatrice –che per dirla tutta lo scrollo via e rispose qualcosa di astioso che venne coperto dal volume della musica- prima che un’altra ondata di gente travestita per la festa premesse su di lui per avere accesso al pub. La serata stava volgendo al termine e le prime luci di un tenue mattino stavano rischiarando l’atmosfera. Era stata una notte impegnativa per Jeremy che, in assenza del suo collega Billy, aveva dovuto fronteggiare un numero imprecisato di ragazzini esaltati, giovani donne dagli abiti provocanti e persino uomini più maturi che sbavavano dietro qualche ragazzina. Il locale si era ormai quasi svuotato e rimanevano dentro solo i più grandi o quelli che avevano trovato un intrattenimento piuttosto piacevole, se così si poteva dire. Il ragazzo sciarpa e la sua accompagnatrice, sempre la stessa con sua enorme sorpresa, avevano lasciato il locale pochi minuti prima, infilandosi in una limousine dai vetri oscurati. Jeremy aveva notato con sommo piacere come il giovane fosse diventato uno scodinzolante cagnolino agli ordini della ragazza che, d’altra parte, pur essendo di rimando interessata, non sembrava volergliela dare vinta con facilità. Sorrise enigmatico mentre, con un’occhiata veloce all’orologio, pensava che, fra una mezzoretta sarebbe potuto rincasare nel suo piccolo monolocale. Fu quando mancavano pochi minuti all’ora X, le tre e mezza, che lei apparve. Jeremy non la notò subito. Era buio e si era anche alzata una leggera nebbiolina che impediva di vedere bene anche a poca distanza. Lui era occupato a fissare le sue scarpe nere –in tinta con i pantaloni, la giacca, la camicia e, persino, gli occhiali da sole- e poi aveva sentito un rumore ritmico: come qualcuno che camminava verso di lui. La prima cosa che entrò nella sua visuale furono gli stivali con il tacco alto, neri. Poi i leggins sottili e il giubbotto da motociclista nero, sbottonato sul davanti, che metteva in bella mostra il decoltè e la canotta –anche essa nera- che lo ricopriva. Poi, quando riuscì a staccarsi da quella vista e risalire un po’ più su, ebbe la visuale completa della ragazza che gli stava difronte. Lunghi capelli scuri, leggermente mossi che le ricadevano sulle spalle e sulla fronte, il viso sottile e spigoloso che lo fissava con espressione intensa, le labbra di un rosso scuro, strette in un sorriso provocatorio e gli occhi –oh, gli occhi!- più intensi che Jeremy avesse mai visto. Improvvisamente lui, uomo che ne aveva viste di tutti i colori, iniziò a sentire un caldo decisamente fuori luogo vista la temperatura bassa della notte. Lei sembrava consapevole di quello che lo stava agitando dentro e sorrise di nuovo, scoprendo i denti sorprendentemente aguzzi e bianchi. -Ciao- esclamò e la sua voce era roca e bassa, come Jeremy se l’era immaginata –C’è ancora posto per una bella ragazza che ha fatto tardi?- Jeremy annuì, un groppo in gola che gli impediva di dire qualsiasi cosa. -Non sono nella lista però… se mi lasci entrare senza fare problemi…- continuava a guardarlo dritto negli occhi e si fece avanti con un passo lentamente calcolato. Si protese appena un po’ in avanti e scrollò i capelli dalla fronte –Saprei come ricompensarti, ecco- Detto ciò poggiò la sua mano bianca e sottile sul suo braccio e Jeremy deglutì, annuendo di nuovo. - Grazie mille, sei un tesoro- sussurrò e fece un altro passo avanti, facendo scintillare il suo sorriso sotto le luci forti dell’ingresso. Il suo sorriso, però, non fu l’unica cosa a scintillare. Jeremy fissò nervosamente la strana lama che teneva appesa alla cintura e, con la bocca ancora impastata, fece un cenno con il capo. –Ehm… quella…- Lei chinò di poco il capo, come se aspettasse il continuo della sua frase come un assettato chiede dell’acqua in pieno deserto, poi sorrise di nuovo ed estrasse il coltello dalla cintura, sollevandolo fino a che Jeremy non se lo trovò a pochi centimetri da naso. Deglutì a fondo e continuò la frase, cercando di non pensare a quanto fosse vicina. -Ehm, non è… non è vera, giusto?- chiese. La ragazza scoppiò a ridere, a ridere di gusto, gettando il capo all’indietro. Anche Jeremy ridacchiò, poco convinto. Poi, però, la risata di lei si affievolì e sul suo volto prese spazio lo stesso sorriso che l’aveva animata quando aveva cercato di corromperlo per entrare. -Vera?- chiese avvicinandosi sempre di più, il coltello sempre in mano –Certo che è vera. Credi che io me ne vada in giro con dei coltelli giocattolo?- Jeremy sbarrò gli occhi ma, prima che potesse dire qualcosa, lei si mosse e lui sentì un qualcosa colpirgli forte lo stomaco. Portò le mani nella parte interessata e le ritirò coperte di sangue. Lei fissava la lama macchiata di rosso, del mio sangue! pensò confusamente Jeremy, e sorrideva, come se non fosse successo nulla. Si avvicinò di nuovo e, anche se Jeremy cercò di allontanarsi, il dolore sordo allo stomaco dove era stato… accoltellato?, gli impedì di fare alcunché. Si trovò il suo viso a pochi centimetri dal suo mentre sopraffatto da crampi di grande intensità si accasciava sul marciapiede sporco e freddo. -Sogni d’oro, tesoro- sussurrò la sua voce, improvvisamente distaccata e fredda. Jeremy la vide rialzarsi e entrare nel locale, il coltello ancora in mano e i tacchi che colpivano ritmicamente il parquet. Poi fu tutto buio.
  
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