Anime & Manga > Spider Riders
Ricorda la storia  |      
Autore: H1Corona213    11/04/2013    1 recensioni
Se la guerra si fosse protratta molto più a lungo, come sarebbero cambiati Hunter e Corona? Nell'ultima estate prima del confronto finale con Lord Mantide, due ragazzi ormai adulti vivono un ultimo giorno di pace, prima che il Destino bussi alla porta. Mostrando per la prima volta i veri se stessi...
[Hunter x Corona]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ricordi ancora il giorno in cui le cicale hanno cantato?


Hunter, ricordi ancora il giorno in cui le cicale hanno cantato?

Era un pomeriggio di fine estate, gli ultimi giorni di pace prima della Guerra.
Avevamo combattuto a lungo, da decenni il peso di un conflitto troppo lungo si trascinava su due popoli troppo diversi tra loro. Eppure, stupidi come eravamo, nell'età in cui l'incoscienza è ancora tollerata, perché troppo spesso il confine con il coraggio è troppo labile per essere notato, pensavamo di conoscere già tutto, della guerra. Non ne conoscevamo che la facciata.

Il sangue, gli scontri, a quello ormai eravamo abituati: noi combattevamo fin dall'età in cui eravamo stati in grado di riconoscere il nostro Spider, e tu ti eri abituato fin troppo facilmente a quella vita. Solo molto più tardi mi hai raccontato che nel tuo mondo è normale combattere, che mai nella storia è esistito un momento in cui qualcuno non abbia ucciso. Uno stato di guerra continua, che con il tempo è andata sempre più raffinandosi: se una volta si parlava di guerra, adesso si parla di assassinii, omicidi, rapine, corruzione, soldi e sempre soldi, e tutto per il controllo di un pugno sempre più esiguo di risorse.
A pensarci a mente fredda, in quello non eravamo poi molto diversi da voi: anche noi lottavamo per il controllo di qualcosa.
Il Sole.

Mi hai raccontato, quell'estate, delle guerre del petrolio, in paesi che io non vedrò mai, ma che con le tue parole tu sapevi rendere quasi reali. Tangibili. Ho sentito uscire dalla tua bocca i dettagli più atroci di guerre che hanno coinvolto il mondo intero, pensiero per noi quasi inconcepibile: come possono esistere così tante persone disposte a morire, in uno spazio così esiguo come può esserlo un pugno di terra, al punto che la morte di milioni di loro ha a malapena intaccato il numero di coloro che abitano il mondo? Noi Turandots non siamo poi molti, e gli Invectied a causa della costante carestia sono anche meno. Siamo sparsi per il Mondo Interno, qualcuno forse è giunto fino agli estremi lembi della nostra terra, e questo ci ha indebolito durante la guerra.
Come sarebbe stato meglio se avessimo potuto viaggiare ancora, scoprire il mondo, e sapere che ciò che avevamo lasciato era sicuro ed in pace! Sognata utopia! Abbiamo richiamato navi e uomini, vecchi in ritiro e giovani pieni di speranze, e li abbiamo costretti a combattere e morire.
No, nessuno è stato costretto…
Ma lo hanno fatto lo stesso, hanno rinunciato a se stessi ed ai loro sogni, ed è stato un po'come morire. Noi e la nostra terra, che di sogni e speranze si nutre e si rafforza. Per i padri, le figlie, le sorelle, tutti sono tornati ed hanno combattuto, e sono morti. Per il regno che amavano, a cui sognavano di tornare ricchi di nuove conoscenze, e che li ha rinchiusi in soffocanti armature e costretti ad imbracciare armi che non erano in grado di usare.
Eppure lo facevano e lo accettavano, perché sapevano che in prima fila c'eravamo noi…
Gli SPIDER RIDERS…

Abbiamo combattuto più di chiunque altro, ma d'altronde lo sapevamo sin dal momento in cui abbiamo allacciato per la prima volta i bracciali al polso: la pace non era per noi. Noi ne eravamo i fautori, non i fruitori …
Ci siamo sporcati di sangue, nostro ed altrui, a tal punto da non distinguere più dove finiva il nostro ed iniziava il loro, al punto che le nostre armature avevano assunto un uniforme colore rosso, che ci faceva spiccare ancora di più tra la massa degli Invectied che dovevamo combattere. Ci siamo sfiniti, a suon di allenamenti, per diventare sempre più abili e più forti, mentre Igneo ci incitava ed elaborava strategie sempre più complesse, al punto che alla sera non eravamo quasi più in grado di camminare, e crollavamo sui nostri letti senza avere a malapena il tempo di svestirci. Eravamo sciocchi, e soddisfatti, perché quasi non ci rendevamo conto di quello che facevamo. Che quella vita ci stava trasformando sempre più in macchine da guerra.

Ma questo apparteneva al passato, ed al futuro.

Quel pomeriggio di fine estate, eravamo all'ombra di un salice, ed era tregua. Non c'era stato nessun accordo diplomatico, nessun incontro o scambio di messaggi, eppure sembrava che di comune accordo sia noi che gli Invectied avessimo deciso che quel giorno doveva essere dedicato al riposo.
Avrei dovuto capirlo che qualcosa stava cambiando quando tu quella mattina, incredibilmente presto per te, che non eri mai mattiniero, mi proponesti di scappare dal castello e saltare gli allenamenti ed andare a zonzo da qualche parte, solo noi due, senza i nostri Spider. La cosa che mi stupì, fu l'incredibile prontezza con cui ti risposi di sì, come se non avessi nemmeno avuto bisogno di pensarci. Effettivamente col senno di poi, mi resi conto che io non ci avevo nemmeno pensato, di rifiutare, come se già sapessi dentro di me che quel giorno non doveva andare sprecato. Non che io abbia mai considerato gli allenamenti una perdita di tempo anzi, mi ci sono sempre impegnata: sentivo che quella era l'unica strada che mi avrebbe permesso di difendere il mio villaggio, i miei compaesani, e le mie sorelle.

Eppure quel giorno accettai di seguirlo.
Ancora oggi guardo con rimpianto quel giorno. Il giorno in cui tutto è cambiato.

Non siamo riusciti a seminare i nostri Spider. A rigor di logica, non ci abbiamo nemmeno provato: è impossibile far perdere le proprie tracce a qualcuno che può sentire i tuoi pensieri.
Non ci hanno rimproverati, e questo avrebbe dovuto farci capire che qualcosa stava per succedere: non penso che loro lo sapessero, nessuno poteva farlo, ma forse lo avvertivano, come noi avvertivamo un senso di fretta in ogni cosa che facevamo, in ogni gesto che compivamo. Era come se l'Oracolo ci ripetesse nell'orecchio"Sbrigatevi, sbrigatevi, non indugiate, non c'è più tempo".
Per questo non abbiamo trovato strano salire ancora una volta sulla schiena di quelli che erano i nostri compagni di battaglia, e lasciarci guidare da loro. Abbiamo percorso con loro, in poche ore, molta più strada di quella che noi saremmo mai riusciti a fare a piedi in un'intera giornata, ma non abbiamo mai, neppure una volta, rivolto la domanda: "dove stiamo andando?". Era come se sentissimo che quelle parole avrebbero rotto l'incanto, e ci avrebbero spinti a tornare indietro, per sfinirci ancora una volta nel cortile del palazzo fino a che il sole non si fosse affievolito. Siamo rimasti in silenzio, ed abbiamo permesso ai nostri Spider di guidarci. Il destino in quel momento giocava a dadi con la nostra indecisione: se un solo dubbio ci avesse fatto esitare, se per un solo attimo avessimo considerato l'idea di tornare indietro, ciò che avvenne dopo non avrebbe mai avuto la possibilità di compiersi.
Siamo andati lontano, in una valle estranea a uomini e insetti, e lì abbiamo trovato il paradiso.
Se mi chiedessero se esiste un luogo in cui la guerra non è mai arrivata, penserei immediatamente a quella valle.

Siamo scesi da Shadow e Venus, e siamo rimasti incantati: in quel luogo, il Sole dell'Oracolo aveva mostrato tutta la forza del suo potere, compiendo il miracolo. L'erba dei prati, verdissima, si estendeva a vista d'occhio, contornata da interi campi di fiori, tali che quelli del villaggio dei fiori odorosi quasi stonavano al confronto. La valle era attraversata per l'intera lunghezza da un torrente limpidissimo, che proprio davanti a noi si buttava dalla montagna in un laghetto trasformandosi in cascata, creando nell'aria meravigliosi arcobaleni di luce. L'aria era profumata, e calda.
Non so per quanto rimanemmo persi a contemplare quel paradiso, ma quando ci voltammo, i nostri Spider se n'erano andati. Neppure per un attimo fummo colti dalla paura che non sarebbero tornati: il dovere di combattere apparteneva ancora a noi, ed era radicato troppo in profondità, perché potessimo semplicemente metterlo da parte per sempre.
Sapevamo troppo bene di avere solo quel giorno.

Perlomeno, dapprima nulla parve mostrare che fra noi fosse cambiato qualcosa: Hunter continuò a scherzare come suo solito, e per un po' fummo troppo occupati a ridere, per pensare ad alcunché.
Solo più tardi, quando il tempo degli scherzi era ormai giunto al termine, ci sedemmo sotto un salice, che svettava imperioso su una collinetta punteggiata qua e là di fiori arancioni.

Ancora oggi quel momento riaffiora nella mia mente con estrema nitidezza, come se il tempo non fosse mai passato e ci trovassimo ancora sotto quell'albero, in un giorno di sole di fine estate, a parlare e vivere. Ricordo la luce che filtrava attraverso le fronde cadenti del salice, riflettendosi su ogni foglia e colorando il mondo intorno a noi di un verde tenue. Ricordo il profumo dei fiori, che ci inebriava, e la brezza tiepida, che ci cullava.
C'era, in quel luogo, un senso di intimità.
Hunter era seduto fra le radici sporgenti dell'albero, con la schiena appoggiata al tronco, e parlava del suo mondo: era diventato da qualche tempo il suo argomento di conversazione preferito, ed era sempre esaltato quando lo faceva, così che finiva spesso per lasciarsi trasportare, dimenticandosi di spiegare il significato di molte parole a noi sconosciute. Era come se volesse passare tutti i suoi ricordi a qualcuno, come se avvertisse che presto non avrebbe più potuto essere lui, a portare la testimonianza di quel mondo lontano. In quel momento, era impegnato a parlare di qualcosa che aveva chiamato cinema, e di film. Per un po'mi ero sforzata di seguirlo, sembrava un argomento parecchio interessante, ma avevo invece finito per lasciarmi scivolare con la schiena lungo il tronco, chiudendo gli occhi e lasciando che le sue parole mi cullassero verso il sonno. Mi ci volle un po', per rendermi conto di non sentire più la sua voce. Nonostante ciò, avvertivo ancora la sua presenza al mio fianco, e questo era per me fonte di sicurezza. Sentivo che finché lui fosse stato al mio fianco, tutto sarebbe andato bene. Il silenzio che si era creato fra noi era leggero, come se anche le nostre voci avesse deciso di riposarsi, per quel giorno. Non aveva nulla di aspettative o sottointesi, non c'erano domande che aleggiavano nell'aria in attesa di risposta, o imbarazzi che ci impedissero di rivolgerci la parola. Rimanemmo lì per molto tempo, lasciandoci cullare dallo scrosciare della cascata e dai rumori che solo la natura incontaminata può produrre. Per questo fui colta impreparata, quando lui tornò a parlare. Non mi rivolse nessuno strano discorso, non disse nessuna parola che potesse turbarmi. Semplicemente disse il mio nome.
"Corona"
Se fossimo stati a palazzo, o in qualunque altro luogo, mi sarei limitata a rispondergli "Sì?", senza muovermi e neppure aprire gli occhi: non avevamo bisogno del contatto visivo per capirci, noi che comunicavamo a gesti, a pensieri, durante le battaglie. Noi che eravamo in grado di capire l'altro senza che questo parlasse, senza vederlo, quasi, perché ci conoscevamo l'un l'altro quasi quanto conoscevamo noi stessi.
In quel momento però, le sue parole ruppero il silenzio, e con lui il tempo andò in frantumi. Era come se il tempo, fino a quel momento, fosse rimasto cristallizzato, e quella semplice parola, detta da lui, avesse fatto cambiare la rotazione del mondo: l'atmosfera si caricò di attesa, e ancora più forte avvertii la sensazione che qualcosa stesse per cambiare. Per questo mi girai, verso di lui, più stupita dall'aver udito la sua voce che dal fatto che avesse appena pronunciato il mio nome così, quasi senza motivo.
E come se fosse stata la cosa più naturale del mondo, Hunter appoggiò le sue labbra sulle mie.
 Non mi soffermai a ragionare sulle sue motivazioni, semplicemente risposi al bacio allo stesso modo, lasciando scivolare le labbra sulle sue ed afferrando con una mano la sua maglietta, all'altezza del petto, mentre usavo l'altra per mantenermi in equilibrio. Fu quando lo sentii premere con più forza contro la mia bocca che mi resi finalmente conto di quello che stavamo facendo, e sgranando gli occhi realizzai con sgomento che io lo stavo baciando. Probabilmente anche Hunter si rese conto del mio cambiamento di umore, perché lentamente si allontanò, e per la prima volta in vita mia vidi i suoi occhi a pochi centimetri dai miei, infinitamente verdi ed infinitamente più scuri di quanto fossero mai stati. Prima che me ne rendessi conto, avevo di nuovo annullato la distanza tra noi, e lo stavo baciando di nuovo. Quel che successe dopo, fu un turbinio di vento in una notte d'estate: ricordo la bellezza dei fiori, che ci fecero da cuscino, la morbidezza dell'erba, che fu il nostro letto, e la cortina di foglie del salice, che ci nascose, per poche ore, al mondo, regalandoci la dolce sicurezza di un'intimità inviolabile. Facemmo l'amore lì, su quel prato, e fu bellissimo. Fu la prima volta, la nostra prima volta. Eravamo giovani, e ingenui, e nessuno dei due sapeva cosa provasse l'altro perché, sciocchi ed ebbri di felicità, avevamo dimenticato di chiedercelo. Eravamo in un paradiso, ma in quel momento il paradiso era dentro di noi.
Di quei momenti, ho solo ricordi confusi e bellissimi: le mani di Hunter che stringevano le mie, il fresco dell'erba sotto la schiena nuda, i suoi baci e le sue carezze. I suoi occhi verdi che mi guardavano ardenti di desiderio, i nostri corpi allacciati, i gemiti soffocati sulla pelle con baci roventi, ed il mio nome… Il mio nome ripetuto come una cantilena, così tante volte da convincermi che lui vi vedesse un significato diverso, oltre a quello che può esservi in un semplice nome. E poi, nell'attimo finale, in cui i nostri corpi divennero uno solo, una frase…
"Ti…amo"
Fu come se una freccia mi avesse colpita dritta al cuore. Per qualche secondo, rimasi spaesata, senza sapere cosa rispondere.  Non avevo mai, mai neppure sospettato che Hunter provasse qualcosa per me, oltre alla semplice amicizia: ero così abituata ad averlo al mio fianco, ad avvertire la sua presenza, da non essermi mai posta domande del tipo "Cos'è lui per me?" e "Cosa rappresento io per lui?". Ma ora non potevo più ignorare quella situazione, non ora che lui mi aveva così sinceramente sbattuto in faccia la realtà dei suoi sentimenti.  Volevo essere sincera con lui, lo volevo disperatamente.
Dopo aver fatto l'amore con lui, volevo dirglielo.
Volevo dirgli che quello che avevo chiuso da qualche parte in fondo alla mia anima, e che mi ero sforzata di dimenticare per tutto quel tempo, lo riguardava. Volevo che sapesse che da mesi la mia vita era legata in maniera indissolubile alla sua, al punto che non avrei mai accettato di sopravvivergli.
Lo amavo in una maniera totalizzante e disperata, acerba di speranze: non mi ero mai sforzata di sperare che per noi ci fosse un futuro, non solo perché le speranze di sopravvivere ad un'ipotetica fine della guerra erano pressoché nulle, ma perché non avevo mai preso in considerazione neppure per un attimo l'idea che lui potesse ricambiarmi. Avevo cercato in ogni modo di convincermi che la sua amicizia mi sarebbe bastata, e che in fondo non avrei potuto chiedere di più: era il mio partner, combattevamo insieme, ci allenavamo insieme, passavamo ogni singolo momento libero insieme, ci capivamo senza parlare e comunicavamo con un semplice sguardo. Ma la verità era che quella non era altro che una bugia.
Io non volevo accontentarmi.
Io volevo amarlo, e volevo farlo liberamente, senza che nulla e nessuno potesse impedirmelo. Non Mantide, non gli Invectied, e non di certo la stupida volontà degli Spider Rider…
Avrei calpestato senza rimorso decenni di regole ferree, divieti ed imposizioni, e lo avrei fatto senza pensarci, se solo fossi stata convinta che la nostra storia potesse avere un futuro. Ma lui mi aveva sempre e solo dimostrato la sua amicizia, con gesti e parole che a volte mi avevano fatto arrabbiare, ma altre volte avevano fatto battere forsennatamente il mio cuore: lui non se ne rendeva conto, ma il suo sorriso aveva per me più importanza di un'intera giornata di sole. Era la mia forza ed il mio coraggio, ciò che mi spingeva sempre a rialzarmi e a tornare a combattere, anche quando la situazione era disperata. Credo che prima della fine, anche lui avesse intuito l'importanza che aveva assunto per me quel suo piccolo gesto, perché cominciò a farlo più spesso, sia a palazzo sia in battaglia, ogni volta che ci incontravamo. E ogni volta, il mio cuore sussultava. Era bello, di una bellezza pura e cristallina, ed i suoi occhi erano lo specchio della sua anima: tutto ciò che lui pensava, e provava, poteva essere letto in quelle iridi smeraldine. Sembrava che in lui non vi fosse nulla di segreto, come se non avvertisse il bisogno di nascondere qualcosa di sé agli altri.
Eppure c'era riuscito, e aveva nascosto il più importante dei suoi segreti non solo agli altri, ma persino a me, che ero la persona che lo conosceva più di chiunque altro: forse proprio perché ero io il soggetto di quel suo pensiero, e poiché io stessa ne ero emotivamente coinvolta, anche se a mia insaputa, non fui in grado di leggervi la verità.
In seguito venni a sapere che tutti ne erano a conoscenza: chi per averlo intuito, chi perché informato dagli altri. Eravamo noi gli unici inconsapevoli del tipo di legame che ci univa, e neppure ci eravamo mai resi conto che i nostri amici sapessero la verità.
Se non fossimo stati così stupidi, ed ingenui, forse avremmo avuto più tempo.
Ma il tempo non torna indietro.
Eravamo all'ombra di un salice, e lui mi aveva appena confessato di amarmi.
Il mio cuore batteva come un tamburo impazzito, ma nonostante quello che era appena successo, che avevamo appena fatto, non mi sentivo in grado di emettere neanche il più flebile suono: le mie labbra erano sigillate, la mia gola arida come il deserto, e le mie guance a fuoco. Non riuscivo a fare altro che guardarlo, senza trovare la forza di rispondergli quell' "anch'io", che avrebbe messo fine alle nostre sofferenze e dato inizio alla nostra storia.
La verità era che non mi sentivo sicura: non avevo dubbi su quello che provavo, ma più ci ragionavo, e più mi sembrava impossibile che Hunter mi avesse appena rivolto quelle parole. E più ci pensavo, più mi convincevo di aver sentito male, di essermi illusa, perché quelle parole non erano altro che ciò che avrei desiderato sentire come conclusione perfetta di una notte d'amore. Ma non era notte, il sole splendeva sopra ed intorno a noi, e nessuno dei due sembrava annebbiato dal sonno e dalla stanchezza che seguono sempre gli atti d'amore: eravamo entrambi svegli e vigili, e ansiosi.
Il nostro futuro si giocava sulla lama del coltello che era la mia risposta, ma il mio cervello era un turbine di emozioni talmente divergenti da darmi l'idea che non sarei mai stata in grado di formularne una. Né positiva, né negativa.
Ero confusa, e il fatto di saperlo al mio fianco, mentre probabilmente mi guardava, non faceva che acuire la mia agitazione: non pensavo mi sarei mai più sentita in grado di sostenere il suo sguardo. Ma il caso, o forse il destino, volle che proprio in quel momento io alzassi gli occhi, e così per la prima volta, da quando quella bellissima follia aveva avuto inizio, mi trovai ad incrociare gli occhi con quelli di Hunter.
Rimasi spiazzata.
I suoi occhi, i suoi bellissimi occhi verdi, che scintillavano di determinazione anche in mezzo alla battaglia più disperata, erano pieni di paura. Hunter sembrava… no, era terrorizzato.
Sentii il respiro mozzarsi, quando mi colpì la consapevolezza che la causa di tutto quello era solo ed esclusivamente mia. Perché lui era sempre stato sincero.
Lui mi amava.
Qualcosa da qualche parte dentro di me si gonfiò, per poi scoppiare con la stessa delicatezza di una bolla di sapone: una dolcezza ed un calore senza fine avvolsero ogni fibra del mio corpo.
Io lo amavo, e non avrei mai più avuto dubbi.
Pertanto, raccogliendo tutto il coraggio di cui disponevo,  glielo dissi.
Mi guardò sconvolto, come se non riuscisse a capacitarsi di quello che gli avevo appena confessato, incapace non solo di proferire alcuna parola, ma anche di fare altro che non fosse fissarmi con un'intensità tale da togliermi il fiato. Era un sguardo troppo… intimo…
 Ma tutto ciò fu questione di un solo attimo. Quello dopo mi abbracciò di slancio, quasi con disperazione, e iniziò a ridere, mentre talmente ebbri di felicità non ci rendevamo conto di stare rotolando giù dalla collina. Quando riuscimmo a riprendere fiato, e a rallentare la corsa, eravamo quasi sulla riva del lago, con fili d'erba intrecciati nei capelli ed il cuore traboccante di felicità.
Di certo a quel punto abbassai la guardia, perché sono sicura non sarebbe mai stato in grado di farlo in circostanze normali, con i miei sensi all'erta, ma sta di fatto che di colpo si alzò in piedi, mi sollevò tra le braccia, e saltò in acqua. Ebbi a malapena il tempo di chiudere gli occhi e trattenere il fiato, prima che la superficie del lago si richiudesse sopra di noi.
Mi divincolai dalla sua presa, e con un colpo di talloni mi slanciai verso l'alto, così da essere la prima a riemergere: nel momento in cui fu il suo turno di riprendere fiato, lo aspettai al varco. Con un urlo di gioia quasi infantile, inizia a schizzarlo a piene mani, costringendolo a darmi la schiena almeno il tempo necessario ad aspirare una grossa boccata d'aria. Dopodiché, cosa che fece cogliendomi del tutto impreparata, si girò di scatto e mi afferrò per i fianchi, usando la spinta delle braccia per lanciarmi verso l'alto. Andai ben più in altro di quanto avessi mai osato pensare, ma fu comunque troppo presto il momento in cui infransi ancora una volta la superficie dell'acqua e atterrai, producendo una nuova ondata di schizzi, proprio di fronte a lui. Non appena riemersi, cosa che mi lasciò senza fiato, mi colse di sorpresa  stringendomi fra le braccia in modo tale che mi trovai letteralmente schiacciata contro suo petto. E, non senza una punta di soddisfazione, ragionando pensai tra me e me che gli allenamenti con la lancia avevano avuto su di lui effetti più che soddisfacenti. Del ragazzino piccolo e gracilino di un tempo, ormai c'era solo un ricordo. La persona che mi stringeva fra le braccia in modo quasi possessivo aveva il corpo di un adulto: di un giovane adulto, appena più che ragazzo, ma sempre un adulto. E se anche il suo corpo non fosse bastato a farmelo notare, c'era sempre il ricordo di quello che avevamo fatto poco prima all'ombra del salice. Avvampai al pensiero che, se qualcuno lo fosse mai venuto a sapere, non solo la mia carriera di guerriera seria e diligente sarebbe andata a rotoli, ma avrei dovuto sopportare il peso delle ramanzine (e dei fischi di ammirazione) di metà degli abitanti del regno, compresi i miei onniscienti compaesani. Era incredibile come si fossero resi conto della verità ancora prima che noi iniziassimo anche solo a porci il problema.
Ma Hunter mi amava, me lo aveva detto, e io avevo fatto lo stesso con lui: se anche nel passato non fossimo stati in grado di capirlo, ora quella verità era scolpita a fuoco dentro di noi.
Rimanemmo in quel luogo ancora per alcune ore, aspettando che i nostri Spider tornassero a prenderci per riportarci al castello e alle nostre vite. Facemmo l'amore ancora due volte e ogni volta il senso di urgenza, che solo per poche ore si era acuito, tornava a mostrarsi con rinnovato vigore: era come se sentissimo che non avremmo avuto un'altra possibilità. Parlammo anche molto, nei momenti di pausa, e per la prima volta lo facemmo senza segreti: ci aprimmo l'uno all'altro senza vergogna, e senza maschere.
L'Hunter sempre sorridente per una volta fu messo da parte, e il vero Hunter mi confessò le sue paure più profonde, la sua ansia per le battaglie imminenti, il senso di inevitabilità che sentiva avvolgere la fine della propria vita, ed il terrore di andarsene senza rivedere neppure per una volta i suoi genitori. Io d'altro canto gli raccontai tutto quello che ricordavo del mio passato, compresi gli sporadici lampi di memoria che avevano cominciato a perseguitarmi giorno e notte dopo gli avvenimenti di Nuuma. Gli parlai del disgusto che provavo ormai per combattere, inevitabile conseguenza della malinconia che aveva iniziato ad avvolgere le mie giornate da qualche anno, prima che lui giungesse nel nostro mondo: la ripetitività degli scontri, le ferite, la morte che si porta via senza ritegno amici e nemici, il desiderio di farla finita, pur di non vedere mai più un campo di battaglia. Ma parlai anche della luce: lui per me era stato un raggio di sole in una notte senza fine, aveva saputo insegnarmi a risollevare la testa e a non permettere che le cose mi scivolassero addosso, come se di loro non mi dovesse importare. Mi aveva spronato ad andare a Nuuma, nonostante sentissi che quel luogo avrebbe risvegliato in me ricordi di dolore, e grazie a lui avevo ricordato mia sorella ed il mio ruolo di discepola dell'Oracolo. Le sue parole non furono meno profonde: ero stata la prima persona che aveva incontrato in un mondo dove era finito quasi per sbaglio, nonché la prima a non aver tentato di ucciderlo: ridendo, mi confessò che ci aveva impiegato ben più di qualche minuto a comprendere che forse io ero una persona "normale". Se poi di normalità si può parlare, quando si ha a che fare con gli Spider Rider… Ero diventata la sua "ancora", gli avevo fornito un appiglio grazie al quale era stato in grado di ambientarsi un una società, ed in un universo, a lui totalmente sconosciuti, e il successo di ciò lui lo riconosceva solo ed esclusivamente a me. Mi ringraziò in un modo talmente sincero da imbarazzarmi persino di più di quanto avessero fatto i suoi baci poche ore prima e, in un desiderio infantile di ripagarlo con la stessa moneta, mi premunii di sussurrargli ad un soffio dalle labbra un "ti amo" dolcissimo, che colorò il suo viso della stessa tonalità dei suoi capelli. Non si lasciò comunque sfuggire l'occasione, e prima che potessi tirami indietro, facendogli la linguaccia in uno sberleffo nel lasciarlo a bocca asciutta, mi ritrovai le sue labbra ancora una volta premute contro le mie.

Shadow e Venus tornarono quando mancava ormai poco al tramonto, e ci trovarono stanchi e soddisfatti, che crollavamo dal sonno. Non ci fecero domande, e sospetto che sapessero ben più di quanto non dessero a vedere, ma probabilmente lo avevano già presupposto nel momento in cui ci avevano guidato in quel paradiso: fu logico pensare che quella giornata fosse stata un loro "regalo" per noi. Un unico giorno, un' ultima possibilità di stare insieme.

Arrivammo al castello che era quasi notte, e riuscimmo fortunosamente ad evitare chiunque avrebbe potuto farci un qualunque tipo di interrogatorio, Igneo compreso, nonostante riuscissimo a malapena a reggerci in piedi: ringraziammo l'Oracolo di quel colpo di fortuna, perché non saremmo mai stati in grado di entrare in camera da qualche "ingresso secondario", finestre comprese, neppure se avessimo dormito dieci ore in più.
Ci salutammo di fronte alla porta della mia camera in modo così formale da dare l'idea che tra di noi non fosse cambiato nulla. Avevo già aperto la porta e mi stavo girando per entrare, quando Hunter mi afferrò un braccio e con uno strattone mi costrinse a voltarmi bruscamente, mentre la sua bocca si ritrovava per l'ennesima volta, di quella giornata, sopra la mia. Mi lasciò andare alcuni secondi dopo respirando affannosamente, e per un attimo fui sicura di scorgere nei suoi occhi un lampo di desiderio, prima che allungasse una mano per sfiorarmi la guancia in una lievissima carezza ed augurarmi, con un soffio di voce, un debolissimo "buonanotte". Un attimo dopo, mentre il mio cuore batteva ancora all'impazzata come se volesse schizzarmi fuori dal petto, lui era già scomparso in fondo al corridoio, diretto verso la sua camera.

Il giorno dopo, abbandonammo il castello: fummo inviati in una missione quasi suicida nella fortezza di Lankheart per raccogliere in informazioni e, se possibile, distruggere, i super soldati creati da Mantide usando il potere delle due Chiavi in suo possesso, quella del regno Invectied e quella che avevamo perso nella battaglia di Nuuma.
 Fu quel giorno che, per la prima volta, sentii dentro di me il dolore dell'Oracolo.

Ed il sole si spense.

Da quel momento, e da quella missione quasi impossibile risolta brillantemente, non ci fu dato più un solo attimo di respiro. La battaglia finale incombeva, e ne avemmo la certezza assoluta quando Lumen ci raggiunse a Lankheart insieme al resto della legione ed a un corpo scelto di guardie guidate da Slate, che avrebbero dovuto garantirci una sicura via di fuga, in caso di disfatta.

Poi furono sangue, e dolore.

Non riesco a ricordare ciò che avvenne in seguito.
Vincemmo?
Perdemmo?
Non lo seppi mai…

Ricordo il sapore del sangue, ed il bruciore di una ferita troppo grande per non essere grave. Le armature macchiate di rosso, e per una volta il sangue era solo nostro, che non erano più in grado di difendere i nostri corpi martoriati. Ricordo la terra arida di quel regno dimenticato dall'Oracolo farsi fango, e rallentare i nostri movimenti, mentre ancora una volta tentavamo vanamente di avvicinarci ai nostri nemici. Ricordo la risata di Lord Mantide, carica di crudele gioia, mentre ci vedeva cadere l'uno dopo l'altro e non rialzarci più, e la sua vittoria si faceva sempre più certa. Ricordo mia sorella Aqune, schiava della maschera, trafitta dal suo stesso signore, per dimostrarci che nessuna vita aveva valore per lui, neppure quella dei suoi più fedeli subordinati, e l'urlo disperato di Buguese, mentre la ragazza che aveva sempre amato cadeva a terra, per non rialzarsi più. Ricordo Magma, sdraiato contro la schiena del suo Brutus, impallidire sempre di più, mentre con una mano tentava di fermare il sangue che inesorabile continuava ad uscire da una ferita all'addome. Ricordo Lumen, sdraiato a terra con le braccia aperte, come se dormisse, ma con il viso di un pallore troppo innaturale perché ciò fosse possibile, mentre una chiazza rossa e liquida andava sempre più allargandosi sotto la sua testa. Ricordo Igneo, sdraiato fra due rocce con la schiena appoggiata ad una terza, il capo reclinato come quello di una marionetta senza fili. Ricordo Sparkle, abbracciata ad Hotarla fino alla fine, che aveva cercato di proteggerla facendole scudo con il suo corpo.
Ricordo un sorriso.
Ricordo Hunter.
Era ancora in piedi quando caddi, ma di certo non grazie alle sue gambe: era ormai solo la forza di volontà a permettergli di farlo. A rigor di logica, non avrebbe nemmeno dovuto essere vivo: era stato colpito più spesso e più forte di tutti noi, e l'armatura sul suo petto era talmente inzuppata di sangue da non permettere più di distinguere il colore originale. Non so dove trovai la forza, quando ormai trovavo faticoso persino respirare, ma dalle mie labbra sfuggì per un attimo il suo nome: lo sentì chiaramente, nel silenzio di morte che ci circondava, perché si irrigidì e si girò, trattenendo una smorfia di dolore quando una nuova macchia di sangue sbocciò sulla sua armatura. E poi, lui mi sorrise, e per un attimo rividi di nuovo il vero Hunter: non quello che si atteggiava da eroe davanti agli altri, fanciullesco e burlone. Ma il ragazzo… no, l'uomo, che si era mostrato a me quel pomeriggio sulla riva di un lago, sotto un salice dove avevamo fatto l'amore. Quello che mi aveva guardato negli occhi con timore, e mi aveva sussurrato quel "ti amo" che aveva cambiato per sempre le cose fra noi. Che mi aveva mostrato la sua fragilità ed il suo coraggio, dimostrandomi con i suoi gesti e le sue parole il perché avessi scelto lui. Il suo sorriso era la prova che non avrebbe potuto esserci nessun altro.
Lo amavo.

E quella fu l'ultima cosa che vidi.


*Salice: In oriente ha un simbolismo positivo, rappresentando l’immortalità, l’eternità e la spiritualità. In occidente, invece, ha un significato negativo ispirato dai suoi rami che cadono al suolo, perciò è chiamato il salice piangente; i viali degli inferi nella mitologia greca, sono costeggiati da salici e pioppi, alberi che rivestono un significato analogo essendo entrambi collegati al lutto.

NOTE DELL'AUTRICE:

Questa storia è stata una mazzata a livello emotivo, e ancora adesso ogni volta che la rileggo mi chiedo cosa mi sia preso, per arrivare a scrivere qualcosa con un finale così drammatico! E il fatto che io ami Corona più di ogni altro personaggio al mondo, dovrebbe spingermi solo verso il lieto fine, no? Invece la faccio soffrire così tanto... Non capirò mai questo lato di me.
Naturalmente il presupposto iniziale di questa storia è che la guerra si sia protratta molto più a lungo che nell'anime, almeno per qualche anno (e non qualche mese): in questa fic, Hunter ha circa diciassette anni, e Corona diciotto (più o meno, non sappiamo quanto anni ci siano di differenza tra loro due, ma io parto dal presupposto che sia uno solo). Ho voluto focalizzarmi soprattutto su quanto siano cambiati rispetto a come ci vengono presentati all'inizio della serie, come persone ormai assuefatte dalla guerra ma comunque capaci di mantenere ancora un'umanità che permette loro di amare. Ho cercato di mantenermi il più aderente possibile all'anime e ad i loro caratteri, ma naturalmente parto dal presuposto che siano cresciuti, e che abbiano vissuto gli ultimi anni cercando di nascondere dentro di sè i sentimenti che provavano l'uno per l'altro, oltre all'orrore di una guerra che sembra non volerne sapere di finire.
A circa metà fic ho letteralmente perso il controllo, hanno iniziato a giostrarsi loro la storia (come noterete leggendola), ma l'angst e la vena malinconica sono comunque rimaste...
Credo comunque che, se l'anime fosse finito così, probabilmente avrei ammazzato gli autori...

Inoltre, nel caso non lo sapeste:
[1] Il Villaggio dei Fiori Odorosi compare nell'episodio 4 dell'anime. E' il luogo in cui ha evento la prima missione di Hunter, nonché il primo episodio in cui questi mostra interesse per Corona.
[2] L'arancio è il colore abbinato a Corona, alla sua aura come discepola e alla pietra del suo bracciale; il verde dell'erba fa riferimento invece al colore di Hunter.
[3] Il fatto che gli Spider possano sentire i pensieri dei Rider è ripreso dal romanzo, non è una mia invenzione.
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Spider Riders / Vai alla pagina dell'autore: H1Corona213