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Autore: VenerediRimmel    12/04/2013    3 recensioni
Spoilerissimi! Questa storia è nata guardando il promo della 3x12.
Mickey si è sposato, nonostante Ian lo abbia supplicato di non farlo. Ian si è arruolato, sta per andare sul fronte di guerra, nonostante Mickey lo abbia supplicato di non farlo...
Cosa accadrà quando saranno divisi? Ian riuscirà a non rimetterci la pelle? E riuscirà a tornare a casa? Ci sarà un lieto fine per loro due? Tutto questo lo scoprirete soltanto leggendo! [Gallavich - Ian&Mickey]
Genere: Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ian Gallagher, Mickey Milkovich
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Parte II – Il ritorno del morto vivente.

 
 
La notizia della sua morte era arrivata quattro mesi dopo la sua partenza. “Una tragica scomparsa: Philip Gallagher è dato per disperso.
Purtroppo, però, tutti i componenti della famiglia Gallagher sapevano che non era Lip ad essere scomparso sul campo di battaglia, dall’altra parte del mondo, - visto che il biondino era proprio dietro le spalle di Fiona quando aveva aperto la porta ai due ufficiali - eppure avevano capito bene, tutti quanti, cosa fosse successo: Il terzogenito, Ian, era quello a essere dato per disperso.
Ian si era arruolato dando il nome del primo fratello maschio, che oltre a essere maggiorenne, possedeva perfino quell’inutile pezzo di carta tanto agognato per riuscire ad arruolarsi: il diploma.
E ora era disperso, praticamente irrintracciabile. E nessuno dei componenti della famiglia Gallagher poteva denunciare una menzogna del genere, altrimenti ci sarebbero state delle assurde conseguenze che, era chiaro, sarebbe stato meglio evitare. Il loro Ian Gallagher, che molto probabilmente era morto come un eroe, a quella ufficializzazione sarebbe stato considerato uno stolto: “Lo stupido minorenne americano morto ammazzato e ricordato senza gloria”.
Eppure se esisteva una piccola possibilità di ritrovarlo avrebbero dovuto far qualcosa.
 
“Cosa è successo?” Aveva chiesto flebilmente Fiona, cadendo sulla poltrona del salone, mentre i due ufficiali si facevano avanti all’interno della casa.
 
“La sua squadra era in missione e si sono imbattuti nel peggio, signora. Abbiamo ritrovato sei corpi senza vita, ma vostro fratello è… scomparso. Lo abbiamo cercato ovunque, ma non è stato facile, abbiamo perso anche altri uomini.” Aveva spiegato uno dei due ufficiali con sguardo rammaricato. “Dobbiamo solo sperare che sia vivo e che, in qualche modo, si presenti all’ambasciata americana… ovunque egli sia.” Sentenziò l’altro, senza però credere in ciò che diceva. Era quello che lesse Lip nello sguardo dei militanti: Non c’erano speranze che suo fratello fosse ancora vivo. E qualora lo fosse non aveva nessuna possibilità di rimanere in vita ancora per molto.
Quando i due uomini abbandonarono casa Gallagher, Lip uscì di casa senza spendere altro fiato. Tutti erano rimasti senza parole, tutti avevano bisogno di piangere e sfogare la morte di Ian. Lip, però, non riusciva a costringersi a stare in quella casa, doveva assolutamente abbandonarla per respirare aria meno viziata. Così si condusse, trascinato da un’inspiegabile forza, sulla strada. Si accese velocemente una sigaretta e inalò il fumo. Se ne avesse avuto il coraggio, avrebbe tanto voluto soffocare con quel fumo e seguire, così, il fratello dall’altra parte, perfino all’inferno.
Si sentiva perso. Erano stati difficili quei quattro mesi. Erano stati vuoti e silenziosi. L’assenza di Ian era stata un buco irriducibile nella sua vita. E ora sapeva che nessun ritorno avrebbe ricolmato quel vuoto. Non aveva nessuna ragione, perciò, di continuare a esistere.
Arrivò davanti casa Milkovich e la guardò svuotato da ogni emozione umana. La dimora era la solita: trasandata e a pezzi.
Lip non si domandò nemmeno il perché fosse lì. Ovunque avesse potuto andare, alla fine era finito davanti quella maledetta casa.
Quando vide il corpo di Mickey uscire dalla porta d’ingresso, una decina di minuti dopo, indurì la mascella e l’ultima emozione umana annebbiò gli occhi e la mente del ragazzo. Mickey lo fissò circospetto appena iniziò a dirigersi verso il cancelletto, poi rabbrividì inconsapevolmente. Era arrivato il giorno.
 
“Che cazzo ci fai qui?” Chiese a quel punto il ragazzo, aprendo il cancelletto di casa e oltrepassandolo. Lip lo fissò furente mentre tirava fuori dalle tasche entrambi i pugni serrati. Poi non ci pensò due volte e lo colpì in vita con tutta la rabbia e la forza che possedeva. Mickey indietreggiò, piegandosi in due per il dolore e trattenendo il respiro per l’improvviso colpo. Non vedeva Lip da mesi, ma se avesse saputo che il loro incontro sarebbe stato di quel tipo avrebbe, di certo, continuato ad evitare di incontrarlo.
 
“M-ma che cazzo… ?” Boccheggiò, tentando di riprendere fiato.
Lip, senza rispondergli e accecato dall’insana e furente rabbia di ammazzare colui che era la causa di tutto, tirò un calcio sul ginocchio dell’altro, gesto che portò Mickey a inginocchiarsi davanti al Gallagher che lo stava picchiando senza pietà e, soprattutto, senza spiegazioni.
Mickey urlò dolorante. Mandy, sentendo le grida del fratello, si era apprestata a uscire di casa per vedere cosa stesse accadendo, sebbene fosse ancora in pigiama.
Quando Mandy vide Lip gonfiare di botte suo fratello, sbarrò gli occhi e accorse in difesa di Mickey, frapponendosi tra i due.
 
“Cosa cazzo è successo Lip?” Urlò, poggiando una mano sul petto del biondino. Lip la fissò con gli occhi lucidi, poi abbassò lo sguardo sulla mano della ragazza, come un perdente. Mandy capì all’istante senza bisogno di alcuna spiegazione e non riuscì a trattenere un gemito di dolore, mentre gli occhi le si inumidivano già con qualche lacrima salata. Mickey alzò lo sguardo su entrambi per capire cosa stesse accadendo e capì anche lui dai loro sguardi tesi e cupi. Sperando però di aver colto male, chiese per rassicurarsi: “Gallagher…?” Ma non riuscì a continuare, perché la voce gli si spezzò in gola. Calò il silenzio quando sia Mandy sia Lip capirono che quel cognome non era stato pronunciato per riferirsi a Lip, ma piuttosto al ragazzo che li aveva abbandonato per la guerra, quattro mesi prima. Ogni dubbio divenne certezza e il mondo di Mickey crollò una seconda volta.
 
“È colpa tua se è morto” Farfugliò crudo Lip, rificcandosi le mani in tasca e abbandonando i fratelli Milkovich senza dire altro. Mandy non vedeva il suo ex ragazzo da mesi, ma avrebbe volentieri continuato a non vederlo, se avesse saputo che, ritrovandosi davanti a lui, avrebbe avuto una notizia del genere. Mickey rimase a terra con la bocca spalancata e il cuore a pezzi. Avrebbe tanto voluto essere picchiato ancora e ancora, se l’alternativa era di ricevere quella notizia.
Erano passati quattro mesi, lenti e dolorosi. Sempre con la sensazione di essere in attesa. Entrambi i fratelli Milkovich aspettavano. Che cosa, tuttavia, era un mistero.
Ora, però, quell’incognita era stata svelata. Avevano sempre aspettato la notizia della morte di una delle persone più importanti della loro vita ed ecco come si erano ritrovati a reagire: rimanendo senza fiato, senza più una parola a commentare quel momento, senza nemmeno una lacrime con cui sfogare… che cosa? Tanto già sapevano come sarebbe andata a finire. Soltanto che non avevano mai avuto il coraggio di metabolizzare il fatto che Ian Gallagher, migliore amico e amante, non sarebbe mai più tornato da loro.
 
“Ha ragione Lip. È colpa tua se è morto” Sentenziò Mandy, allontanandosi dal fratello per rincasare. Mickey rimase con lo sguardo basso, mentre a fatica lottava contro il nodo in gola che lo accusava delle stesse parole che la sorella e Lip gli avevano gettato addosso. Se fosse stato per Mickey sarebbe rimasto tutto il tempo necessario in quella posizione, tutto il tempo ad aspettare che la morte lo facesse suo. Ma, come una perfetta punizione divina, la Morte non passò davanti casa Milkovich quel giorno e il ragazzo attese invano la sua sentenza.
 
 

*

 
 
Quando aprì gli occhi tentò di ricordare dove fosse, ma la sua mente, oltre a essere completamente vuota, era anche piuttosto annebbiata. Il suo corpo completamente freddo era coperto da una coperta leggera. Gli spifferi di quella stanza congelavano le sue articolazioni e un dolore alla testa gli bloccava il respiro.
 
“Finalmente ti sei svegliato (*)” Disse un uomo in una lingua incomprensibile che il ragazzo non riuscì a comprendere. “Così potrai dirmi il tuo nome (*)” Il ragazzo, sdraiato su un giaciglio improvvisato, fissò l’uomo che aveva davanti. Doveva essere un arabo come la lingua con cui stava interagendo. Il ragazzo accigliò lo sguardo e una fitta di dolore lo accecò, facendolo sussultare sul posto. L’arabo si avventò sul ragazzo con un insolito sorriso sul volto.
 
“Non mi capisci, vero? (*)” Continuò l’arabo, sistemandogli una benda sul viso. “Essere ferito tu” Farfugliò subito dopo in un inglese elementare. Finalmente l’altro riuscì a capirlo e annuì flebilmente. “Sapere come tu chiamare?” Chiese nuovamente l’arabo. Il ragazzo ci pensò un momento. Come si chiamava? La mente non gli diede nessuna risposta. Possibile che non lo sapesse?
 
“N-non lo so…” Farfugliò a quel punto, particolarmente confuso. La gola secca gli bruciò quando disse quelle poche parole L’arabo annuì mestamente e si riposizionò sulla sedia accanto al letto, versando in un bicchiere un po’ d’acqua.

“Tu, ripetere sempre un nome quando era privo di sensi.” Disse l’arabo, faticando con una lingua completamente diversa da quella madre, mentre si ergeva nuovamente verso l’altro per aiutarlo a bere un po’ d’acqua.
Il ragazzo lo guardò a fatica, ogni piccolissimo movimento gli procurava dolore. “Tu ripetere sempre: Mickey. Mickey. Mickey. Essere questo il tuo nome?” Chiese, dopo averlo fatto bere e posando il bicchiere vuoto su un comodino improvvisato.
 
Un paio di occhi celesti occuparono la sua mente vuota.
Mickey, riuscì a pensare. Non lo sapeva se questo fosse il suo nome, però quelle iridi, sì, sapeva che erano di qualcuno che conosceva. Sì, ma di chi?
 
“N-non lo so… Forse” Borbottò con una smorfia quando un dolore alla tempia lo colpì, accecandolo nuovamente.
 
“Ora riposare, Mickey. Tu gravemente ferito. Penseremo dopo alla tua memoria…”
 
Chiuse gli occhi e tornò ben presto a dormire. Nessun sogno occupò la sua mente nei giorni a seguire. Soltanto quei due occhi celesti, intensi, amari, voluttuosi che cercavano di dirgli qualcosa, di ricordargli chi fosse… Però Ian Gallagher non sapeva ancora ricordare.
 
 

*

 
 
“Essere stato colpito da una bomba, tu e tua squadra. Tutti morti, ma tu no. Così preso te e portato in casa mia. Se scoprire me, uccidere tutta mia famiglia. Tu deve guarire presto. Tu andare, mh, ambasciata (*) americana… Così essere tutti in salvo” Aveva tentato di spiegarsi l’arabo, un paio di settimane dopo il suo rinvenimento. Ian aveva ripreso, pian piano, le forze, sebbene la memoria fosse ancora annebbiata da un vuoto e silenzio assordante. L’uomo continuava a chiamarlo Mickey, l’unico nome che nelle notti di delirio tornava a sussurrare inconsciamente. Eppure il ragazzo sapeva che, probabilmente, quello non era il suo nome, ma piuttosto quello di qualcuno a lui caro. Il proprietario di quelle iridi, forse.
 
“Come ti chiami?” Sussurrò, alzandosi dal letto per accertarsi che stesse meglio. Il corpo era completamente guarito, mentre una cicatrice, lunga dieci centimetri circa, sulla nuca gli ricordava cosa fosse realmente successo. La toccò seguendo il punto in cui iniziava fino a quello in cui terminava, vicino alla tempia destra. Era un segno che lo avrebbe accompagnato per il resto della sua vita, ricordandogli ciò che ancora non riusciva a far tornare nitido nella propria mente.
 
“Aamir… e sono felice di vedere te in piedi” Farfugliò l’arabo, aiutandolo a sorreggersi. Ian sorrise e annuì flebilmente. “Quanto è lontano da qui l’ambasciata americana, Aamir?”
 
“Non molto, Mickey. Accompagnare stanotte con il buio, così tutti salvi” Farfugliò Aamir, sorridendo felice. Ian annuì nuovamente. Sarebbe tornato a casa, benché non ricordasse ancora dove fosse.
 

*

 
 
“Come ti chiami figliolo?” Chiese un ufficiale una volta giunto all’ambasciata americana, Ian lo fissò circospetto, rigido sul posto come se fosse nato per essere un soldato.
 
“Non lo ricordo, signore. Sono stato ritrovato due settimane fa da un arabo che, rischiando di essere scoperto dalla propria gente, mi ha permesso di guarire nella sua casa. Ed è stato lui stesso a condurmi qui. Credo di aver perso la memoria, signore. Ho preso un brutto colpo, sono fortunato a essere vivo…” Disse velocemente senza titubare nemmeno un istante. L’altro rimase ad ascoltarlo, studiandolo da capo a piedi.
 
“Sì, devi esserlo sicuramente. Hai la tua medaglietta?” Chiese. Ian si toccò velocemente sul petto. No, non l’aveva. Anche quella doveva essere andata perduta, come i suoi ricordi.
 
“No, signore” Rispose mestamente. L’ufficiale sorrise. “Non è un problema, sarai sicuramente stato dato per disperso perciò ti cercheremo tra quei sfortunati che non hanno avuto la tua stessa fortuna di vivere… Poi ti riporteremo a casa.”
 
Due ore più tardi, trascorse in attesa, davanti ad un ufficio di quell’immensa villa, Ian ebbe la possibilità di sapere il suo vero nome. E non si era sbagliato quando aveva creduto che non fosse “Mickey”, perché lo stesso ufficiale che lo aveva accolto, ora lo guardava con un sorriso contento, segno che lo avevano trovato tra i tanti sperduti.
 
“Ciao Philip Gallagher, siamo veramente felici di riaverti con noi. È questo il tuo nome e la tua famiglia sarà felice, quanto noi, di riaverti a casa” Sentenziò, stringendo la spalla di Ian.
 
Philip Gallagher. Era così che si chiamava. Purtroppo, però, nemmeno a quella constatazione i suoi ricordi tornarono a fargli visita.
 
 

*


 
Fiona armeggiava con una busta della spesa, quando bussarono alla porta. Non aspettava nessuno. I ragazzi erano a scuola, Frank era al bar a bere, senza dubbio, mentre Lip era al piano di sopra.
Pensò che fosse la sua migliore amica, quando andò velocemente ad aprire la porta d’ingresso e rimase senza fiato quando si ritrovò lo sguardo perso e confuso del fratello che credeva morto.
 
“I-ian?” Farfugliò, mentre il sopracciglio dell’ufficiale si alzava notevolmente. Fiona concentrò l’attenzione sull’altro uomo che cingeva le spalle di suo fratello e ansimò, indietreggiando.
 
“IAN, scendi…tuo…fratello LIP… è... qui” Urlò tentando di rimediare, mentre andava ad abbracciare velocemente il fratello che credeva morto. Ian glielo permise nonostante il viso della sua presunta sorella non gli ricordasse ancora nulla.
 
“Il ragazzo è arrivato all’ambasciata americana tre giorni fa. Ha perso la memoria, signorina” Aveva detto poco dopo l’ufficiale, fissando prima la donna e poi il soldato.
 
“C-cosa?” Boccheggiò Fiona, mentre il vero Lip scendeva al piano di sopra con uno sguardo piuttosto confuso. Quando gli occhi di Lip incontrarono quelli del fratello, che credeva essere morto, sussultò sul posto e il suo sguardo, spesso privo di espressione, mutò in meraviglia e sincera gratitudine verso un Dio al quale non aveva mai riposto nessuna fiducia.
Si affrettò a raggiungere il salotto e quando Fiona lo guardò con un sorriso incerto e il volto rigato da copiose lacrime, Lip non disse niente, ma si limitò ad abbracciare il senso di una vita che credeva aver perso per sempre.
 
L’ufficiale si congedò qualche minuto dopo aver spiegato la situazione. Lasciando un Ian Gallagher piuttosto insicuro.
 
“Non mi chiamo nemmeno Lip, vero?” Chiese Ian, appena l’ufficiale era sparito dietro la porta d’ingresso. Fiona e Lip si osservarono prima di scoppiare in una risata, ricolma di felicità. Poi negarono entrambi con la testa.
 
“Io sono Lip e tu, fratello, hai fatto un gran casino” Disse il biondino, affrettandosi a riabbracciare velocemente il fratello ritrovato. Ian glielo permise nuovamente, ancora scosso.
 
“Perciò io sono…” Chiese, guardando prima la donna e poi l’uomo poco più basso di lui.
 
“Ian. Tu sei Ian…”
Ian Gallagher. Sì, sentiva che quel nome era suo… anche se non sapeva esattamente come e perché.
 
“Ricordi qualcosa?” Chiese la sorella. “I dottori cosa dicono sulla tua condizione?” Continuò senza lasciare modo che il ragazzo potesse risponderle.
 
Due occhi celesti, curiosi, mesti, lucidi. Ecco quello che ricordava. Nient’altro. “Non ricordo nulla… però i dottori dicono che, con il tempo, ho tutte le possibilità che la memoria torni a farmi visita” Disse sarcastico, grattandosi goffamente il capo. “ Devo solo frequentare tutto ciò che potrebbe aiutarmi…a ricordare” Continuò. Entrambi annuirono e lo accolsero nella sua casa.
Era il momento di ricominciare e aiutare chi credevano di aver perso a ritrovare la sua vita, la sua memoria.
 
 

*

 
 
Erano passati tre giorni e della memoria di Ian Gallagher ancora non c’era stata nessuna traccia. Ogni tanto il ragazzo senza memoria credeva di rivivere certe situazioni, come quando aveva trovato colui che poi scoprì essere il padre sdraiato al suolo completamente privo di sensi e odorante come un maiale ubriaco. Sì, Ian era convinto che non fosse la prima volta in cui una scena del genere gli si prospettava davanti agli occhi e Lip, il fratello maggiore, gli aveva dato la conferma. Infatti la mattina dopo aver fatto ritorno a casa, scendendo al piano inferiore, trovò Frank sdraiato a terra senza sensi. Lip, che scese subito dopo di lui, aveva osservato prima l’uno e poi l’altro, per poi scoppiare in una sonora risata.
 
“Quello è Frank. E se, diavolo, ti ritorna la memoria grazie a lui sarà la prima cosa giusta che fa nella vita!” Sentenziò, dando una pacca consolatoria al fratello, sedendosi subito dopo su una sedia attorno al tavolo. Tutti gli sguardi dei fratelli erano stati strani e quasi fastidiosi. Fiona lo aveva osservato, preoccupata, come la sua sorella più piccola, Debbie. Carl, invece, lo aveva fissato come se fosse una preda, Frank non lo osservava affatto e Liam, il più piccolo, era forse l’unico a guardarlo privo di espressione, sebbene fosse anche lui piuttosto sorpreso di vederlo lì.
Il morto era invece vivo, questo pensavano tutti quanti di lui.
La sera prima, quando avevano fatto tutti ritorno a casa, erano rimasti in silenzio guardando colui che credevano fosse un miraggio. Poi lo avevano accolto con abbracci e baci ai quali Ian si era lasciato abbandonare. Nessuno però lo aveva aiutato a ricordare. Eppure era sicuro che quella fosse la sua famiglia. Nessuno, poi, si chiamava con l’unico nome che lo torturava durante le notti inconsce. Nessuno aveva quelle uniche iridi che riusciva a ricordare. Chi era Mickey? E di chi erano quegli occhi?
 
I giorni, così, erano stati difficili ma erano trascorsi. Tre giorni in cui ogni componente della famiglia Gallagher aveva tentato di aiutare Ian a ricordare, purtroppo con scarso successo.
 
“Stai con qualcuna?” Chiese Ian, il terzo pomeriggio dal suo ritorno, al fratello maggiore. Lip aveva sorriso guardandosi attorno e poi aveva negato.
 
“L’ultima ha ficcato sotto la mia ex…” Bofonchiò sarcastico, sebbene il discorso fosse ancora difficile da affrontare per lui. Già, Mandy.

“E io…stavo con qualcuna?” Chiese Ian. Sapeva di non essere attratto dalle donne, ma sapeva anche che quello era un campo difficile da affrontare. Soprattutto se la sua famiglia non sapeva che… fosse gay.
Lip allungò la bocca in un sorriso canzonatorio. “No, non sei mai stato con qualcuna… I tuoi interessi sono per… l’altro sesso.” Rispose il fratello, accendendosi velocemente una Marlboro e passandola al fratello, che la prese di slancio, come se fosse un’abitudine. Anche quel gesto gli ricordava qualcosa di già vissuto.
 
“Sì, lo sapevo di essere gay…solo…” Titubò, lasciando la frase sospesa in aria. Lip intuì e sorrise nuovamente. “Hai avuto una storia con il proprietario del negozio dove lavoravi, non è andata e Kash è sparito. Poi con…” Lip si fermò pensando con rammarico al ragazzo che non voleva nemmeno nominare di fronte al fratello ritrovato.
 
“Con…?” Insistette Ian, guardando il fratello con un cipiglio incompreso. Lip negò con la testa e si alzò dal letto. “Vieni, andiamo a fare una passeggiata…” Bofonchiò, raggiungendo velocemente la porta della stanza.
 
“Ma…” Titubò Ian, inalando il fumo della sigaretta.
 
“Andiamo, ne parliamo fuori di qui”
 
Così Ian lo aveva seguito senza discutere ulteriormente. Non sapeva che alcuni dei suoi ricordi stavano per tornare.
Passeggiarono per una decina di minuti, prima di fermarsi davanti a una casa trasandata.
 
“In questa casa ci abita la mia ex e la tua unica amica: Mandy” Disse Lip, dopo un rigoroso silenzio.
 
Mandy. Capelli neri, occhi cupi e sempre contornati da una matita nera. Piercing sul naso. La ricordava, Ian. Era la sua migliore amica. Sorrise di slancio a quella meccanica descrizione della ragazza, che la sua mente gli aveva riproposto.
 
“La ricordi, Ian?” Chiese Lip, decifrando il suo sguardo. Ian fissò il biondino con circospezione, come se il suo tono di voce descrivesse quanto il fratello non fosse contento di ricevere quella notizia. Ian annuì leggermente. “La mia mente l’ha appena descritta… Non so, non la ricordo ma so di conoscerla…” Sussurrò. Lip annuì e aprì il cancelletto. “Ho avuto la stessa sensazione con te e Fiona” Disse titubante, non sapendo quanto le sue parole fossero vere o false.
 
“Sarà felice di vederti, vieni.” Affermò allora il fratello, avanzando verso la porta d’ingresso.
 
Quando bussarono attesero qualche secondo in silenzio prima che un uomo gli aprisse la porta. “Chi cazzo è che rompe le pal…?!”
Poi il silenzio diventò assordante, soprattutto nella mente di Ian, che sentì improvvisamente la mente squarciarsi in mille ricordi. Guardò il ragazzo che lo fissava spiazzato e con la bocca leggermente aperta. Fissò i suoi occhi. Due iridi azzurre, lucide, spiazzate, meste e profonde. Quegli occhi, quel tormento. Mickey.
 
“Mickey?” Gracchiò Ian, privo dell’intenzione di parlare. Quel nome era uscito talmente tante volte
inconsciamente fuori dalla sua bocca, che quella era palesemente una pallida riproduzione di tutti i vaneggiamenti subiti da quando aveva perso la memoria. Il ragazzo che li aveva accolti con parole crude sembrava, però, aver perso la facoltà di parlare e Lip osservava il fratello senza nessuna emozione a dipingere il suo volto, soltanto l’incredulità. “Tu… s-sei Mickey?” Chiese nuovamente, indurendo la mascella, scosso da un’incomprensibile rabbia. Mickey rabbrividì, piantandosi di sasso sul posto. Non sapeva che dire, né tanto meno cosa fare. Quella doveva essere una fottuta immaginazione, doveva smetterla di farsi le canne. Non gli bastava che il ricordo di Ian Gallagher lo torturasse nelle notti ricolme di incubi, ora perfino durante il giorno partivano i suoi vaneggiamenti.
Mickey Milkovich stava impazzendo lentamente senza Ian. Ne era fottutamente certo.
 
“Che razza di gioco perverso è questo?” Farfugliò Mickey guardando il vuoto, mentre si asciugava malamente le lacrime sul principio dei suoi occhi. Lip osservò Mickey e non rispose, mentre la figura di una donna si avvicinava all’ultimo ragazzo che aveva parlato.
 
“Vuoi chiudere quella cazzo di porta, Mickey?” Urlò Mandy prima di perdere completamente – anche lei – la facoltà di fare qualcosa di sensato. Guardò prima il suo ex ragazzo, Lip, e lo stomaco le si capovolse in una capriola dolorosa. Ma quando lo sguardo le cadde sull’altro, il cuore precipitò in una corsa irregolare di battiti.
Non. Poteva. Essere. Vero.
 
“I-Ian…?!” Gracchiò, prima di saltargli al collo per abbracciarlo, mentre i singhiozzi la facevano sussultare tra le braccia dell’uomo che aveva finalmente e miracolosamente ritrovato. “Mandy…” Farfugliò Ian, abbracciandola, mentre il suo sguardo non riusciva a staccarsi dal viso del ragazzo, ancora in trance, e che aveva avuto la conferma fosse l’unico che ricordava in tutto quel vuoto.
 
“Sei…vivo” Farfugliò Mandy, staccandosi dalla presa per guardarlo. Il suo sguardo cadde sulla cicatrice sulla nuca ancora rasata. La toccò con due dita e rabbrividì. Ian sorrise, mentre la guardava felice. Ricordava attimi.
 
“Aspetta, tu ti ricordi di Mickey?” Sbottò Lip, osservando prima il fratello e poi l’altro. Mickey si ridestò e guardò Lip con un sopracciglio alzato.
 
“Che cazzo stai farfugliando?” Sbottò Mickey, mentre Mandy osservava curiosa il viso di Ian.
 
“Lui…ha perso la memoria?” Titubò Mandy, spostando lo sguardo verso il suo ex ragazzo. Lip annuì semplicemente.
 
“Lui…è qui.” Sbottò Ian, incrociando le braccia al petto. “Ora mi spiegate chi cazzo è Mickey per me?” Continuò, fissando prima il fratello, poi la migliore amica e infine Mickey, che intanto aveva iniziato a mordersi un labbro.
Non farlo, pensò Ian, rimproverando quel gesto inutile che Mickey doveva far spesso e che ora lo... stava eccitando.
Chi cazzo era Mickey?




Continua...


In teoria dovevano essere soltanto due parti, ma mi sono resa conto che va speso un capitolo in più per questa storia...perciò abbiate pietà di me!

Le parti in (*) intendono il fatto che l'arabo parla nella sua madrelingua, mentre poi per farsi capire inizia a parlare la lingua di Ian.
Ringrazio tutti coloro che hanno speso bellissime parole per questa storia e ringrazio ancora chi continuerà a farlo. Ma soprattutto SE ci sarà qualcuno che continuerà a farlo! ^^' Mi rendo conto di aver... sconbussolato le cose! xD

Coooomunque dedico questo capitolo a: Guy who flew...che mi ha scritto la recensione che tutti quelli che scrivono con passione vorrebbero leggere. Grazie <3


Un abbraccio,
DolceVenereDiRimmel
   
 
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