Nome
autore (Efp/forum): SunliteGirl
Personaggio
scelto: Sandman
Rating:
Giallo
Genere:
drammatico, introspettivo, romantico
Note: tema
delicato
Note
dell’autrice: Questa storia l’ho “sentita”
molto e, dato il tema delicato, è
stato difficile scriverla; inoltre è la prima volta che scrivo
qualcosa sul
fandom “Le cinque Leggende”, nonostante abbia visto il film
milioni di volte.
Sandman è il mio guardiano preferito (insieme a Jack, ovvio) e
ho cercato di
spiegare il motivo per cui potrebbe essere stato scelto nel miglior
modo
possibile, ma non sono sicura del risultato (?). Infondo, è un
personaggio di cui si sa molto poco, e perciò ho cercato di
creare un passato e una personalità decenti ad un Guardiano
così enigmatico, ricollegandomi comunque a dei particolari
notati nel film :) Inoltre ho inserito una figura molto somigliante a
Pitch Black, all'interno del racconto. Potrebbe essere lui, come anche
no, lascio tutto libero all'interpretazione :D
Fatte queste premesse, spero
che la storia vi piaccia e che magari mi facciate sapere che ne pensate :D
Prima classificata + premio maestria al contest “Before
to become a Guardian” indetto da
_Atreius_ sul forum di Efp
Un dolore lacerante attraversa la sua schiena, piegata in una
posizione innaturale. Non si stupirebbe, se scoprisse che in realtà il suo
corpo è diviso in due. China il capo,
sconfitto infine dal dolore, e si sente ricadere in avanti, anche se le catene
legate intorno ai suoi polsi gli impediscono di atterrare sul pavimento freddo,
tenendolo sospeso a pochi metri dalla superficie di pietra.
Il silenzio opprime la stanza vuota ed isolata dal mondo esterno,
se non per una piccola finestrella posta esattamente nella parete di fronte a
lui. William Sanderson, umile e gentile figlio di un artigiano, ancora non
riesce a capire cosa possa aver fatto per trovarsi in quel luogo. Avrebbe
voluto gridare mentre la sua carne veniva tagliata numerose volte, mentre
uomini dai volti mascherati e l’alito che puzzava continuavano a dirgli di
confessare di essere un seguace del demonio, ben sapendo che non avrebbe potuto
rispondere. Perché?
E poi era entrato lui,
vestito di nero, i capelli corti e neri, la barba ispida e quei piccoli occhi
scuri, freddi. Lo aveva guardato con un piccolo sorriso compiaciuto e poi aveva
dato la sua testimonianza di fronte agli inquisitori. «Quest’uomo si è macchiato di orribili crimini. L’ho visto con i miei
stessi occhi parlare con un gatto nero e insegnare arti oscure ai nostri
bambini, cercando di spingerli fra le braccia del demonio». William avrebbe
voluto dire loro che si trattava solo di una terribile menzogna dettata dalla gelosia,
ma quando aveva aperto la bocca, ancora una volta non ne era uscito alcun
suono. Allora aveva semplicemente chiuso gli occhi, mentre cominciava un'altra
tortura.
Dai suoi occhi gonfi e violacei cominciano ad uscire delle
lacrime, mentre le sue spalle sono scosse dai singhiozzi. Ed è inevitabile che
i suoi pensieri tornino a suo padre, Jake Sanderson, che lo aveva accolto nella
sua famiglia come un vero figlio, quando nemmeno sua madre aveva voluto
prendersi cura di lui, un bambino muto dagli occhi di uno strano colore
ambrato. Cosa avrebbe pensato di lui, se fosse stato ancora vivo? Cosa avrebbe
fatto, al suo posto?
Improvvisamente sente dei passi pesanti avvicinarsi alla cella in
cui è rinchiuso e, come per riflesso, subito comincia a tremare per la paura di
un nuovo turno di sevizie. Quando sente la porta di legno massiccio aprirsi e
la guardia avvicinarsi a lui, subito percepisce il bruciore di nuove ferite
lungo il suo corpo. Ma si stupisce, quando la guardia si limita a sbattergli
sotto il naso una ciotola d’acqua e un pezzo di pane vecchio. «Goditi la tua
ultima notte, maiale» gli dice la guardia, sprezzante, prima di sputare per
terra. William rimane immobile fino a quando non sente i passi perdersi nel
corridoio silenzioso, allora abbassa la testa e si fionda sulla ciotola,
cercando di intrappolare qualche sorso d’acqua all’interno della bocca. Poi si
accascia di nuovo, questa volta cercando di appoggiarsi alla parete di roccia.
La stanchezza prevale anche sul dolore, permettendogli di sedersi e chiudere
gli occhi doloranti. La mia ultima notte.
William cerca di aggrapparsi ai bei ricordi, mentre sente la disperazione
impossessarsi di lui. E subito, invece che in una cella buia, immagina di
trovarsi di nuovo sul prato della campagna, all’ombra della quercia che spesso
gli aveva fatto compagnia in pomeriggi interminabili.
«Will, cosa stai
disegnando?» gli chiede la piccola Sum Johnson, mentre lo osserva dipingere uno
strano animale su di una tela bianca. «Cosa glielo chiedi a fare, sciocca?
Quando avrà finito lo vedrai» dice Joy Sullivan, incrociando le braccia al
petto e guardando Sum con aria di sufficienza. Sum apre la bocca per
rispondergli a tono, ma viene zittita dalla mano di William, che si posa
gentile sulla sua testa. Le fa un cenno con la mano, intimandole di aspettare,
poi prende dal taschino della giacca un foglio e una mina. Scrive la risposta e
poi la passa a Sum, che legge ad alta voce «Si tratta di una tigre, piccola
Sum. E tu, Joy, sii più educato con le signorine». Sum comincia a ridacchiare,
seguita dalle altre bambine lì presenti, mentre Joy arrossisce fino alle punte
delle orecchie. «La tigre che stai disegnando è bellissima, Will, mi piace tanto. Però, non ne
ho mai vista una qui a Londra» esclama Rachel Finnigan, seduta per terra
accanto a Sum. William ride e Joy dice «Ovvio che non ne hai viste. Ho letto nel
libro che Will mi ha prestato che vivono in India». Il ragazzo annuisce e
sorride al bambino, contento che abbia davvero letto quel libro di racconti.
«Oh, che cosa affascinante!» dice un'altra bambina di nome Kate, e tutti i
presenti annuiscono di rimando. «Io non direi» esclama però John Jackson. Una
volta attirata su di sé l’attenzione dei presenti, continua « Mio padre è stato
in India per i suoi commerci e mi ha raccontato che tutti hanno paura delle
tigri, perché mangiano i bambini, specialmente quelli che si comportano male.
Mi ha detto anche che, se un bambino disubbidisce ai genitori, potrebbe venire
una tigre a portarselo via». Compiaciuto, osserva gli altri bambini scambiarsi
sguardi impauriti. William, però, gli lancia un’occhiata di rimprovero, e poi ripesca
il foglietto e la mina. Sum dice, leggendo di nuovo il biglietto ad alta voce
«Ma questa è una tigre diversa e lei non farebbe mai dei male ai bambini». John
sgrana gli occhi e chiede, scettico, «E cosa fa, allora?». William rimane per
un attimo assorto nei suoi pensieri, poi i suoi occhi ambrati si illuminano,
colti da un’idea improvvisa. Utilizzando le dita al posto del pennello, disegna
un bambino seduto in groppa alla tigre e il muso dell’animale, anziché essere
feroce, appare sorridente e buono. Il bambino ride e abbraccia la tigre,
aggrappandosi alla sua pelliccia folta. I suoi piccoli spettatori rimangono in
silenzio e ammirati, poi cominciano a ridere e uno di loro esclama «Ma porta a
passeggio i bambini!». William sorride e si volta a guardare di nuovo la tela.
Questo è il modo in cui lui comunica con il mondo esterno. La sua arte è tutto
ciò che ha, eppure a volte si stupisce di quanto essa sia più efficace di mille
parole. Tutto ciò che può fare, per rendere la sua vita meno inutile, è donare
a quei bambini piccoli attimi di felicità e aiutarli a sognare un mondo
migliore. «La vorrei anch’io una tigre domestica» sospira Sum, con occhi sognanti.
William si stupisce del ricordo che, fra tutti, affiora nella sua
mente. Cerca di sorridere al pensiero dei suoi piccoli amici, ma le labbra
secche e aride si aprono in tante piccole ferite, da cui cominciano ad uscire
piccole gocce di sangue. William comincia a sentire il freddo e il peso della
solitudine, che gli attanaglia le viscere in una morsa. Non capisce il perché,
ma proprio in quel momento pensa a Jane. La sua
Jane. E mentre la luce della luna penetra dalla finestrella, circondandolo con
il suo candore, lui apre le labbra e cerca di pronunciare il nome di quella
ragazza che, per tutti quegli anni, lui aveva amato. Sin dal momento in cui i
suoi occhi si erano posati sulla snella figura di Jane Sullivan, i suoi capelli
scuri e il suo modo di fare timido e ingenuo, non era più riuscito a pensare ad
altro.
William sta per
uscire dal negozio che ormai gestisce da solo, quando si accorge di uno strano
oggetto proprio accanto alla porta. Raccoglie fra le mani il cestino di vimini
e solleva un panno candido, rivelando due pagnotte ancora calde e un fiore di
campo giallo e arancione, bellissimo. Sorride, mentre inspira il profumo di
quel dono inaspettato. Lo ricopre con il panno e poi esce, chiudendo la porta a
chiave. Però, appena si volta, decide di fare una deviazione per tornare a
casa. Si avvia perciò lungo un sentiero che porta fuori città, dove le
abitazioni si fanno più rade. Si ferma solo quando raggiunge la casa della
famiglia Sullivan, non lontano dalla riva del Tamigi. Non si stupisce nel
vedere Joy e il suo migliore amico Steven ancora intenti a giocare nel piccolo
giardino. Estrae dal taschino due fogli piegati e poi, camminando con passo
veloce, si avvicina ai due bambini e consegna un biglietto a Joy, in cui gli
chiede di consegnare una cosa alla sorella maggiore, Jane, da parte sua. Joy
annuisce e promette solennemente, dopodiché prende fra le mani il rotolo che
William gli porge e corre in casa, salutandolo.
Il giorno dopo,
mentre William è intento a pulire le mensole del negozio dalla polvere, Jane
Sullivan entra nel negozio, le guance rosse e lo sguardo timido. «Buongiorno,
signor Sanderson» lo saluta, accennando ad un inchino. William china il capo,
rivolgendole un silenzioso saluto. I due rimangono per alcuni minuti in
silenzio, osservandosi di sottecchi. William non si aspettava quella visita, ma
ne è felice. Sente il cuore battere più forte del normale e un improvviso
calore, che gli imporpora le guance e lo fa sudare. Si sente sempre più nervoso
quando Jane è di fronte a lui. Rimane a lungo a guardarla, i capelli mossi
raccolti in una crocchia e un vestito blu che le avvolge il corpo snello. La
ragazza, dopo essersi sistemata una ciocca di capelli scuri dietro l’orecchio,
solleva improvvisamente il volto e con troppa enfasi esclama «Il ritratto che
mi ha regalato è meraviglioso, ma, davvero, mi rende troppo onore, io non sono
così bella». Arrossisce ancora di più e abbassa di nuovo lo sguardo,
guardandosi le mani che si stanno torturando a vicenda. «Io ci tenevo a
ringraziarla e… spero che il pane fosse di suo gradimento» dice, poi. William
rimane per un attimo immobile e imbarazzato, ma una volta ripresosi dal
momento, prende un pezzo di pergamena e scrive su di esso un messaggio per
Jane. La ragazza prende fra le mani il biglietto e, dopo averlo letto, sorride
felice alzando di nuovo lo sguardo. Osserva William, alto e robusto, con folti
capelli biondi, un sorriso gentile e un paio di bellissimi occhi ambrati, e
sente i suoi occhi castani annebbiarsi per le lacrime. «Oh, William. Io vorrei
volentieri fare una passeggiata con lei. Mi renderebbe davvero felice» sussurra
poi, sorridendogli. William annuisce e subito fa quei pochi passi che gli
permettono di oltrepassare il banco del suo negozio e raggiungere Jane, cui
porge il braccio. La ragazza fa passare il suo braccio sotto quello di lui e
appoggia una mano sul suo avambraccio, prendendolo a braccetto. I due
oltrepassano l’entrata insieme, poi, una volta chiuso il negozio, camminano
insieme lungo la via principale. Jane gli parla spesso, raccontandogli delle
attività che svolge durante la giornata, delle sue letture pomeridiane e delle
passeggiate nei campi. Poi gli svela anche di aver amato molto il libro di
fiabe che William aveva regalato a Joy. Anche se William non può parlarle,
spesso scrive dei bigliettini e lei li legge ad alta voce, commentando o
rispondendo. La passeggiata trascorre nel migliore dei modi possibili, finché
non appare qualcuno a rovinarla.
Si trovano
accanto ad una bancherella di dolciumi, quando la voce sgradevole di un uomo
interrompe quella di Jane. «Jane, che ci fa lei qui?». I due si voltano subito
per vedere Christian Rowley di fronte a loro, con i suoi piccoli e meschini
occhi neri che li scrutano sospettosi. «Non mi dica che sta accettando la corte
di quel muto». William si
irrigidisce, ferito da quelle parole, mentre Jane trova il sufficiente coraggio
di rispondere «Non deve importare a lei, signore, di chi io accetti la corte».
Christian li guarda con odio, mentre dice «Dovresti scegliere quella di
qualcuno che ti meriti di più». «Nessuno mi merita più di lui» dice ancora una
volta la ragazza, sorpresa da tutto il coraggio che all’improvviso sembra
averla scossa. «Come preferisce» sussurra lui, ma poi, prima di andarsene, si
rivolge a William «Te ne pentirai».
William sussulta e comincia a tremare al ricordo di
quell’episodio. Non avrebbe mai pensato che sarebbe arrivato a tanto per
ottenere la sua vendetta. Apre gli occhi gonfi e si stupisce nel vedere,
attraverso la piccola finestra, la Luna. Lo avvolge con la sua luce, quasi per
volerlo consolare in quel momento terribile. Sembra volergli ridare la forza
con cui aveva sempre spinto gli altri a sognare, a vedere un mondo migliore di
come fosse in realtà. E lui le parla, in silenzio. Con una muta richiesta le
chiede di proteggere Jane, di donare una vita felice a quei bambini che, in un
mondo in cui gli adulti lo avevano disprezzato, gli erano rimasti sempre
accanto. Ma soprattutto, chiede che davvero il mondo diventi un luogo in cui
non esistano uomini come Rowley o come quelli che l’hanno torturato. Un mondo
in cui le tigri si prendono cura dei bambini e in cui non esistono “brutti sogni”. Parla alla Luna e lei
gli risponde con parole gentili e silenziose, da lontano. Lo culla e gli
infonde coraggio, spingendolo piano piano fra le braccia di Morfeo, in cui
tutti gli orrori del presente saranno cancellati dai ricordi, e lui si ritroverà
ancora seduto su quel prato, in compagnia dei suoi amici, la sua amata e suo
padre. Dove, per l’ultima volta, trascorreranno ore felici.
Viene svegliato da un doloroso calcio nell’addome ancora prima che
le prime luci dell’alba squarcino le tenebre. È slegato dalle catene della
cella, subito sostituite da una vecchia corda, legata in modo tanto spesso da
lacerargli la carne dei polsi. Si stupisce, nel momento in cui si rende conto
di essere ormai immune al dolore. Non sente nulla, nemmeno nel momento in cui
lo strattonano e lo sbattono contro le rocce taglienti.
Circondato dalle guardie, viene trascinato lungo un corridoio
oscuro e poi una scalinata, percorso che aveva già seguito quando era stato
portato nella sala della tortura. Ma questa volta il tragitto subisce una
modifica, e viene condotto attraverso un’ulteriore rampa di scale. Si ritrovano
in un grande atrio, in cui lo attendono l’inquisitore e un paio di uomini
incappucciati. Mentre William viene condotto all’aperto e, successivamente, su
un carro di legno, pensa a quale morte lo attenda. Ha assistito solamente a due
esecuzioni nella sua vita, e in entrambi i casi non era riuscito a osservare la
scena per più di dieci secondi. Ricorda di essersi tappato le orecchie per non
sentire le urla angoscianti di quelle persone, sopraffatto dal dolore per tutta
quella crudeltà. E ora che sarebbe stato lui stesso il protagonista, chissà se
qualcuno avrebbe provato pena per lui.
Non appena giungono nella piazza centrale della cittadina,
comincia a sentire gli insulti della gente e i loro sguardi d’odio. Li guarda
spaventato e confuso, cercando qualche espressione amichevole o compassionevole
fra tutti quei volti. All’improvviso, un alto grido supera le schermaglie.
William alza lo sguardo e scorge la figura di Jane farsi spazio fra la folla.
Allunga una mano verso di lui, sopra il carro, ma viene allontanata dalle
guardie. «William!» grida, vedendolo ormai allontanarsi. Ma il ragazzo le
sorride tranquillo, poi appoggia una mano all’altezza del suo cuore e la indica
poi, con l’indice. Jane rimane immobile e sorride fra le lacrime, annuendo.
William vede anche Sum e John, fra la folla, guardarlo con gli occhi pieni di
lacrime. Lui sorride e li saluta con un cenno della testa, fingendo che tutto
vada bene.
Nell’ora che trascorre, viene trascinato su un palco di legno e
legato sopra una catasta di legno e fieno, mentre l’inquisitore gli intima
ancora una volta di confessare i suoi peccati e di chiedere perdono a Dio.
William rimane in silenzio e chiude gli occhi, preparandosi a subire
quell’ultima ingiustizia. Non una lacrima esce dai suoi occhi chiusi, nessuna
manifestazione di disperazione viene mostrata dal suo volto. Aspetta,
semplicemente.
Il fuoco lo circonda in pochi attimi. Il ragazzo cerca di urlare
per il dolore, ma la bocca aperta fa penetrare solamente il fumo nero , che lo
soffoca. Le fiamme raggiungono i suoi piedi e le sue braccia, cominciando a
divorare la sua carne. In quei brevi ultimi istanti di vita, William Sanderson prova
un immenso dolore. Ma poi, all’improvviso, tutto tace e viene circondato dalle
tenebre. Vede solo la luna, alta nel cielo, prima di dissolversi in tanti
granelli di sabbia e perdere coscienza.
Apre gli occhi di scatto, ma non vede nulla al di fuori delle
tenebre. Si alza velocemente, tanto da essere colto da un giramento, una volta
in piedi. Stordito a causa della cecità e la sorpresa, cerca di avanzare nel
buio, tendendo le braccia davanti a sé, pronto a captare possibili ostacoli.
Accade tutto in modo tanto improvviso da farlo cadere a terra. Un enorme fascio
di luce appare davanti ai suoi occhi, accompagnato da un vento gelido e forte.
Comincia a respirare affannosamente, mentre ripara gli occhi con una mano e
percepisce l’aria sferzagli gli abiti e i capelli. Una sagoma appare
all’improvviso e cammina attraverso tutta quella luce, fermandosi solo a pochi
metri da lui. Si guardano alcuni minuti, prima che l’uomo apra la bocca e
chieda «Chi sei?». Nel sentire per la prima volta la propria voce, l’uomo si
copre la bocca con le mani, incredulo. Com’è
possibile? La figura rimane in silenzio alcuni secondi, poi, con una voce potente e profonda, chiede a sua volta
«E tu, chi sei?». L’uomo, guardando la figura con sguardo perplesso, fa per
rispondere «Io sono…», ma poi si zittisce, insicuro. «Io sono…Sandman. E tu sei l’Uomo nella Luna». La
figura annuisce, ma senza aggiungere altro. «Perché hai scelto me?» sussurra, osservando una strana
sabbia dorata comparire improvvisamente attorno alle dita delle mani.
«Perché sei tu».
***
Joy Sullivan
giace abbracciato alla sorella, Jane. Vorrebbe dormire, ma è scosso da violenti
singhiozzi e il volto è completamente bagnato di lacrime. All’improvviso, i
singhiozzi diventano tanto forti da farlo tremare in preda alle convulsioni. Il
bambino cerca la sorella con la mano, ma stringe solo il lenzuolo ruvido e si
rende conto di essere rimasto solo. Vede un grande fuoco che lo circonda e
comincia a bruciare la stanza. Urla, ma nessuno arriva a salvarlo. Però,
proprio quando la paura fa posto alla disperazione, una tigre con un unico
balzo sorpassa il fuoco e, con un sorriso gentile, lo intima a salire sulla sua
schiena. Joy non se lo fa ripetere due volte e, sedutosi in groppa all’animale,
si aggrappa alla sua pelliccia. Rimane per un attimo stupito, nel momento in
cui sente quanto sia morbido e lucido il suo pelo. Con un enorme balzo, la
tigre e il bambino superano le fiamme e ricadono, stranamente, in una foresta
lussureggiante. Mentre avanzano lungo un sentiero, Joy osserva ammirato le
piante esotiche e gli strani animali che la abitano. Lancia un piccolo grido,
non appena un grande serpente scende da una liana proprio vicino al suo viso,
ma ancora di più rimane meravigliato quando questo lo saluta, in tono
amichevole.
La tigre si ferma
solamente non appena arrivano in prossimità di una grande radura, da cui in
lontananza si scorge una di quelle strane abitazioni che erano illustrate nel
libro di favole di Will. «Non capisco» sussurra, dando finalmente voce ai suoi
pensieri, «Cosa ci faccio qui? È un sogno?». Joy sussulta, non appena la tigre
gli parla «Potrebbe essere un sogno, ma chi vi dice che non sia la realtà?». La
tigre volge il muso verso il bambino e Joy sorride, non appena i loro sguardi
si incrociano. Saprebbe riconoscere quegli occhi ambrati fra mille. «Will»
sussurra, e la tigre sorride, mostrando una fila di denti bianchi e appuntiti.
Dopo aver posato le labbra sulla fronte della ragazza, dona
un’ultima carezza al bambino addormentato. È proprio quando ha ormai dato loro
le spalle e raggiunto la finestra della camera da letto, che la voce del
bambino lo ferma. «William, grazie»
sussurra nel sonno, ancora addormentato, e l’uomo sente una stretta al cuore.
Alza lo sguardo al cielo e la Luna è proprio davanti a lui, in alto, e sembra
osservare la scena. Senza smettere di guardarla, si alza nel cielo notturno circondato
da una sottile sabbia dorata e, una volta raggiunta una tale altezza da poter
osservare l’intera cittadina dall’alto, distende le braccia e chiude gli occhi,
concentrandosi. La polvere dorata si unisce improvvisamente formando delle
strane creature e subito milioni e milioni di sogni dalle forme diverse avanzano
danzando nell’aria, pronti a raggiungere i bambini che addormentati nei loro
letti li aspettano. E colui che un tempo fu William Sanderson, in silenzio
ringrazia l’Uomo nella Luna per il dono che ha voluto fargli.
Lui si chiama
Sandman ed è un Guardiano.
Il suo compito,
proteggere i bambini da Pitch e dai suoi incubi.
Con la sua forza,
è ora in grado di far sognare un mondo migliore.