Questa Fanfiction
è quella che ormai considero la mia “opera
magna”
del fandom, in quanto a contenuti c'è tanto - forse tutto -
quello che vorrei dire sul rapporto tra Eric e Kyle, in quanto la forma
è finalmente quella giusta, adeguata ai contenuti e... non
preoccupatevi: avrà un finale.
Le mie ff senza
finale sono ff che non mi sento di continuare per la loro
immaturità artistica e quelle che scrivo a due mani, abbiate
pazienza, non dipendono solo dalla mia volontà, ma da una
certa serie di fattori, per tanto non significa solo che bisogna
portare pazienza. Però ci sono delle ff, qui, in questo
fandom, che avranno un finale, alle quali sto silenziosamente lavorando
e - con questa pubblicazione - colgo l'occasione così di
rasserenare qualcuno, mentre ne approfitto anche per tendervi la mano e
chiedervi fiducia per questo lavoro: se riscontrerò fiducia
dai lettori il mio lavoro a questo progetto sarà
più celere, ma vedendo disinteresse, tante letture e pochi
commenti o prossimi allo zero, beh... lavorarci allora diventerebbe
demotivante, difficile e un'esperienza negativa, in quanto il pensiero
di ogni autore che non riceve feedback (e non parlo di recensioni
positive, ma di qualsiasi tipo di opinione) è “cosa
scrivo a fare? Tanto nessuno la legge, non piace e non so neanche
perché” ed essendo noi semplici
fanwriter, non abbiamo un'autostima tale da credere il contrario,
quindi sì, ho la responsabilità - e tutta
l'intenzione - di versar sangue su questo lavoro, ma chiedo
cortesemente a voi di lasciarmi una recensione, positiva, negativa,
neutra che sia, perché anche solo una di esse può
diventare il più grande stimolo per un fanwriter.
Nella speranza che
apprezzerete, vi lascio alla lettura, ringraziando tutti coloro che
supportano sempre i miei lavori, che hanno fiducia in me e non mancano
mai di esprimere un loro pensiero su quel che scrivo; questa fanfiction
ha luce grazie a queste persone che mi hanno incoraggiata a scrivere
una long da sola, che erano curiose di leggerne una e... ora
c'è questa storia ed è solo grazie a voi - che
sapete bene chi siete - e per tanto ve la dedico, con amore. Grazie.
“...triste
è il destino dell'uomo...”
Non comprese, stordito dalla
violenza riservatagli per... alcun motivo.
Insensato. Pazzo. Gli
aveva sputato quel vaffanculo così gratuito e spinto contro
la
porta, come fossero nel mezzo di una rissa, quando - in
realtà - per
tutta la sera si erano parlati e guardati appena.
Ora però Kyle
lo vedeva bene Cartman, ora che gli sussurrava con dramma quella
frase insensata. Lo vedeva bene perché gli aveva gelato il
sangue,
perché immobile rimaneva quando investigava sui suoi
comportamenti
più eccentrici alla ricerca di una ragione, nella speranza -
forse
- di non avere davanti una persona puramente irrazionale,
potenzialmente pericolosa.
Eppure la conclusione era sempre la
stessa: pazzo. Totalmente e pericoloso, come lo era sempre stato in
fondo.
“triste
è il destino dell'uomo”
sussurrato con quegli occhi da rettile spenti, freddi... Erano color
ambra e a Kyle, ricordavano sempre quei pezzi di ambra che
conservavano fossili, scheletri di qualcosa estinto nell'ambra
stessa. Gli occhi di Cartman sembravano esattamente così.
A
certe distanze si dovrebbe arrossire e sentire le farfalle nello
stomaco.
Kyle
era pallido e nauseato. La sua
mano destra tremava anche un po'.
Sussultò e desiderò
affondare un pugno quando sentì il naso di Cartman
strisciare sulla
sua guancia. Il respirò gli mancò, ma
sentì quello di Cartman
dritto nel suo orecchio.
Non lo avrebbe mai detto, ma le parole
che pronunciò dopo erano inequivocabilmente una preghiera:
“rimani
Kahl”.
Chiuse gli occhi per figurare il senso di tutto quello.
Era stato solo uno dei loro soliti Sabato sera a casa Cartman, una
serata di videogiochi e stronzate, in cui tutti e quattro si
degnavano ben poco di attenzioni per darle allo schermo, mentre sopra
al soundtrack del gioco regnavano le stronzate di Kenny sulle tizie
che conosceva e sul sesso, mentre Stan cercava di portare la decenza
in quella casa con qualche stronzata di natura politica, e il tutto
orchestrato dai brevissimi commenti critici di Kyle e dai “cazzo”
o altre volgarità di Cartman. Era stata così
anche quella sera,
niente di più e niente di meno, però... tutto
trovò un senso, nel
trovare un dettaglio. Cartman aveva perso.
L'adrenalina lo
rianimò, spintonando stavolta lui con violenza Cartman.
“Cresci!”
Gli urlò prima di sbattere la porta ed esser fuori.
Stan e Kenny tanto presi dalle loro
chiacchiere non lo notarono nemmeno, ma quanto lo sentirono a pochi
passi da loro camminarono. Il vento era pungente e la neve alta,
affondavano bene i passi e bruciava il volto dell'ebreo assieme le
mani che forzava in tasca; aveva dimenticato i guanti e ne stava
pagando le conseguenze. Ma bruciava per lo più lo stomaco,
sovraccaricato di rabbia.
Bruciava, dentro e fuori, una fiamma
silenziosa che si avvelenava nel respiro e nel pensiero.
Quando
arrivò davanti casa salutò appena i suoi amici
che proseguivano nel
rientro, come salutò appena sua madre e suo padre, presi dai
preparativi per Hannuka.
Cercò solo il suo letto, aveva bisogno
di morbidezza, di caldo, di coperte che impedissero ai mostri che
vivono nel buio di prenderlo.
Ma quando chiuse gli occhi il mondo
si aprì su nuovi mostruosi orizzonti. Erano sogni che
dovevano
parlare per tutti quei silenzi e risposte in acido, per quello che
non ammetteva, per quello che accadeva all'ombra della sua ragione.
Non era la prima volta che si trovava nel nulla, in cui l'unica
cosa visibile fosse se stesso.
“Triste, è la natura
dell'uomo”.
Sussulta, perché compare, lui.
Vicino,
fastidioso, ingombrante; gli occhi non sono freddi, ricordano ora il
colore del miele. Gli piace il miele, anche se il suo diabete gli
impedisce di esserne ghiotto, ed è piacevole la sensazione
di averlo
in bocca, senza dover masticare, ingoiare a forza, come fa sempre per
tutte le parole ed i gesti che hanno origine da Eric Cartman.
Preferiva il ragazzino obeso forse, anche se perdeva di fascino e
di intelligenza, mentre il Cartman quattordicenne ha perso in grande
abbondanza stupidità e grasso. Potrebbe essere quasi un
essere umano
accettabile, accettabile per avere una certa distanza con lui, eppure
è proprio questo e il peso degli anni e l'accorciarsi delle
distanze
che hanno cambiato le carte in tavola e le posizioni sulla
scacchiera, e il nero e il bianco non ricorda più a chi
appartengano, sicuro però che è stato Cartman a
fare la prima mossa
e lui costretto a rispondere. Ed ora tutto è confuso, tante
le
perdite, di neri quanto di bianchi, e c'è una Regina
prossima al Re,
ma ha dimenticato a chi appartenga la pedina e il colore, sa soltanto
che la distanza non gli piace, che qualcuno potrebbe essere mangiato
e lui non vuole essere toccato né toccare.
Ma questa è la
natura dell'uomo.
“Non è triste. Non per noi. E'
disgustosa”.
“Non sono io quello che il Sabato va a
lodare Dio”.
Diventa bestiale, salta come una tigre sulla
sua preda, ma non ci sono i canini alla gola, bensì le mani.
Cartman
è immobile, il suo sguardo è fisso su di lui e
gli dà i brividi,
per... tante cose che sigilla con i denti, lasciando le labbra
sanguinare. E forse anche un po' il suo cuore.
Non vuole sentire
pronunciargli il nome di Dio, dargli lezioni, criticarlo,
rimproverarlo... non vuole sentirlo parlare, né vedere,
né avere
consapevolezza di quello che gli provoca, lì, tra le gambe e
sottopelle, all'altezza dello stomaco e del petto.
Voleva
vomitare, perché naturalmente è più
facile vomitare che digerire,
basta uno stimolo e in pochi secondi ci si può svuotare di
tutto,
mentre digerire costa, è fatica e pazienza e Kyle ha messo
bandiera
di resa con Cartman: non è più in grado d'esser
paziente con lui.
Vuole soffocarlo, ma gli tremano le mani.
Vuole che la
sua forza prevalga su quella dell'altro, ma è debolezza.
Vuole
che venga inghiottito dall'oscurità e tornar solo, ma sa
quanto la
solitudine sia spaventosa.
Gli occhi di Cartman non sono più
caldi, di nuovo ricordano quelli di un rettile. E lascia la presa.
Riporta la mente al giorno in cui Cartman aveva realizzato che
Jack Tenorman era suo padre, ricordava le lacrime di quel bambino,
ricordava d'aver provato una fitta e poi disgusto: Eric Cartman era
disperato per esser figlio di un pel di carota.
Dov'era il
confine tra realtà e bugia in Eric Cartman?
Era confuso, non
sapeva individuarlo e si comportava di conseguenza come un
porcospino, o meglio un'istrice i cui aculei si rivelano velenosi
però.
Meglio attaccare di veleno, corrodere, che lasciarsi
plagiare, che credere in colui che di umano aveva ben poco.
“Forse,
in fin dei conti, ho paura di perdere la mia
umanità”.
“...perché sei solo uno stupido ebreo che vuole
rimanere
uno stupido ebreo e non andare al di là di quello che vede
uno
stupido ebreo”.
E' ancora lì, sopra di lui, e potrebbe
portargli di nuovo le mani alla gola e stringere per farlo tacere
definitivamente, ma non ha forza ora, solo il coraggio di mostrare la
propria debolezza a quello che sa - ma non è rassicurante -
essere
solo un'altra parte di se stesso.
“Non
sappiamo che farci del male, che
usare violenza, con parole o azioni. Perché dovrei
desiderarti?”.
E
scoppia a ridere, risate grosse, gli sembra come nei
fumetti che diventino onomatopeiche, enormi, fastidiose, pesanti, che
violino il suo spazio e il suo onore; vorrebbe fuggire, ma risponde
solo con i pugni, per farlo tacere, per non ferirsi, perché
anche
quella è violenza e si ferma solo nell'istante in cui
realizza: è
masochismo.
“E'
più facile odiarti...” ammette con
amarezza, fermo, svuotato, demotivato.
“No,
non lo è. E'
semplicemente più facile per te metterti le mani dentro le
mutande
che tirar fuori le palle”.
“Cos-?”
il sorrisetto
compiaciuto è l'ultima cosa che vede prima che la
realtà - a suon
di sveglia - non lo riprende a se.
Sembravano
appena pochi minuti,
invece era stato il sogno di un'intera notte. Una spiacevole
conversazione con la sua coscienza.
Esce
dai boxer la mano, è
appiccicosa e non vuole vederne il frutto. La sinistra spegne la
sveglia, è Domenica ed è ancora presto e buio
nella sua camera.
Chiude
gli occhi e chiede perdono mentre torna all'oblio.
Vomiterà tutto nel cesso, laverà tutto via, ma ha
bisogno di
sentirsi sporco per almeno un'altra ora.