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Autore: Val__    19/04/2013    1 recensioni
Austin Mcmiles provava un puro e semplice odio verso il grasso.
Non il grasso alimentare, nonostante anch'esso gli facesse parecchio orrore, non era per quello che provava disprezzo. Lui detestava IL grasso.
[...]
Il suo comportamento dava modo alla gente di avere parecchi pregiudizi sul suo conto, era come se indossasse un'etichetta con stampati sopra gli aggettivi "strano" e "diverso", ma non era sempre stato così: diffidente, complessato, asociale.
[...]
All'inizio aveva provato a parlare con qualcuno, ma quando persino la gente che lo conosceva da nemmeno un mese iniziò a sparlare di lui come se lo avesse sempre conosciuto, anche ad Austin, che di suo non era né ostinato né paziente, una certa voglia di mollare e lasciar perdere era venuta.
E così fece.
Lasciò perdere le persone, lasciò perdere il cibo ed insieme a loro, lasciò perdere anche il grasso. Così era perfetto per lui.
[Seconda Classificata al contest "Grazie all'amore"]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Second Chance




Austin Mcmiles provava un puro e semplice odio verso il grasso.
Non il grasso alimentare, nonostante anch'esso gli facesse parecchio orrore, non era per quello che provava disprezzo. Lui detestava IL grasso, quello che successivamente ad una mangiata stile baghino per più giorni consecutivi, permetteva la formazione sul corpo dei così detti "rotoli di ciccia". E quando i maledetti cominciavano a posizionarsi ogni dove fosse per loro confortevole, attaccavano la pancia, facendola gonfiare, le cosce venivano trasformate in cosciotti di pollo grassi e rotondi, il sedere diventava una mongolfiera ed il viso prendeva una forma tanto tondeggiante e paffuta, che si poteva arrivare a pensare che le guance un giorno sarebbero diventate così grasse da coprire l'intera faccia ed ostruire la visuale.

Ma la cosa più terribile dell'essere grassi, erano le prese in giro.
Anche se dal suo aspetto nemmeno la mente dall'immaginazione più fervida avrebbe mai potuto azzardare tale ipotesi, Austin Mcmiles da bambino era stato una un’inutile, pigra ed insulsa palla di grasso.

I bambini... tutti i bambini, si divertivano a fare gruppo e ridere di lui, ed era proprio a causa loro, di quegli esseri maligni senza peli sulla lingua, che con la scusa dell'ingenuità potevano dire qualunque cosa passasse per la loro testolina, che Austin aveva sviluppato una sorta di rifiuto verso il cibo, o almeno in questo modo si giustificava, scaricando addosso a loro tutta la responsabilità.
Il cibo non lo attirava, mangiava per necessità, giusto per stare in piedi, ma mai per lo sfizio di assaggiare qualcosa di saporito e nonostante la sua tanto adorata matrigna (tra le poche persone verso le quali provava del vero affetto) preparasse per lui i più svariati piatti, spesso e volentieri dalle dubbie origini, Austin declinava ogni volta, gentilmente, la sua cucina, mangiando solo ogni tanto del mais, grissini e cracker a volontà e rare volte cereali con poco latte.
Riteneva i bambini della sua infanzia colpevoli anche della sua corporatura insignificante: delle braccia e gambe piccole e magre, per nulla muscolose, della sua totale apatia, della depressione e della tristezza che spesso provava e che ad ogni sguardo al suo fisico, cresceva. Per colpa loro era diventato “solo Austin”, il mucchietto di ossa che in classe non faceva altro se non starsene nel suo angolino a prendere appunti o ad ascoltare musica ad alto volume, senza prestare attenzione alle risate, le grida o le discussioni di nessuno.
Austin non socializzava.
Austin non prestava attenzione.
Austin non aveva bisogno di attenzioni.
Il suo comportamento dava modo alla gente di avere parecchi pregiudizi sul suo conto, era come se indossasse un'etichetta con stampati sopra gli aggettivi "strano" e "diverso", ma non era sempre stato così: diffidente, complessato, asociale. “Le persone mi hanno trasformato. Nessuno sa come trattarmi, di cosa ho bisogno e che cosa voglio sentirmi dire” si diceva, ed ogni giorno sempre di più lo scudo che aveva creato per proteggersi dagli altri diveniva invarcabile, alimentato da queste convinzioni.
Non che all'inizio non avesse provato a parlare con qualcuno, ma quando persino la gente che lo conosceva da nemmeno un mese iniziò a sparlare di lui come se lo avesse sempre conosciuto, anche ad Austin, che di suo non era né ostinato né paziente, una certa voglia di mollare e lasciar perdere era venuta.
E così fece.
Lasciò perdere le persone, lasciò perdere il cibo ed insieme a loro, lasciò perdere anche il grasso. Così era perfetto per lui.

Poco a poco però, si rese conto che senza rapporti interpersonali la vita era piatta e senza significato: "Forse non sono fatto per essere capito, dopotutto a questo mondo non può esserci solo chi giudica, qualcuno da giudicare ci deve sempre essere per mantenere l'equilibrio" pensava Austin, non aveva nessuno né gli serviva nessuno, ed il suo pensiero non sarebbe mutato, se non fosse stato per quel giorno, quando la sua logica, il suo modo di pensare, si sconvolse.


Iniziò tutto in un giorno come un altro, con l'ennesima mattinata "sprecata", a suo parere, alla "Scuola superiore Armory", una delle scuole private tra le più costose e meglio valutate del paese, di quelle super piene di ragazzetti ricchi e viziati, non che lui non fosse un ricco ragazzetto come ognuno di loro, ma di certo non ne faceva una questione di stato se non poteva avere vestiti all'ultima moda o l'ultimo cellulare super tecnologico in commercio.
Il primo segno di anomalia nella solita routine del ragazzo avvenne nel momento in cui Sarah Miller, la ragazza più perfetta della classe, se non dell’istituto: alta, belle gambe lunghe, capelli rosso vivo ed occhi cristallini, gli si rivolse sorridente e con una palese e sospetta luce di aspettativa nello sguardo.
La ragazza, che più volte aveva provato ad avvicinarlo, era in quel momento tornata all'attacco con l'intento di invitarlo alla festa per il suo diciassettesimo compleanno, che si sarebbe tenuta nella sua immensa villa con piscina la settimana successiva. Più l'entusiasmo di lei cresceva, durante il suo sproloquio nel tentativo di convincerlo ad accettare l'invito, più Austin sembrava confuso e si rese conto di aver iniziato a guardarla in modo assurdamente sconvolto solo dopo che l'espressione gentile sul viso della ragazza mutò in una appena preoccupata, che spinse Austin ad aprire finalmente bocca sull'argomento, pronunciando un < ... perché? > parecchio diffidente e con voce bassa ed incerta, fissando gli occhi grandi in quelli di lei. La ragazza, rimanendo inizialmente interdetta per la domanda inaspettata, sembrò riprendersi dal suo stato di riflessione dopo non molto, spiegandosi < Beh... è una buona occasione per conoscere qualcuno non trovi? In classe stai sempre sulle tue, per forza nessuno ti viene a parlare > rispose infine mostrandogli uno smagliate e risoluto sorriso, il quale si spense istantaneamente dopo la gelida risposta di Austin che sempre indifferente e disinteressato chiarì la sua posizione < Non sono interessato, grazie per il pensiero, ma io odio le feste… e le persone. Non intendo venire, specie per un motivo tanto futile >.
Sarah restò nuovamente silenziosa per qualche attimo, continuando lo scambio intenso di occhiate, che acquistò significato solamente quando assottigliando lo sguardo, la ragazza sembrò mutare il carattere pieno di carineria e ruffianaggine in uno scontroso e scocciato < Senti, se non muovi le tue chiappette secche e non ti decidi a socializzare, a buttare giù qualcosa nello stomaco e prendere un po' di peso rischi parecchio > cominciò lei impertinente < Persino i professori sono preoccupati delle tue condizioni, non so se hai notato, ma non ti chiamano alla lavagna per paura che tu possa svenirgli nel tragitto da lì al banco, quindi in qualità di preferita del comitato dei docenti, mi hanno incaricato di avvicinarmi e darti una scrollata, quindi apri gli occhi bello, non è una bella condizione la tua per questo tu verrai alla mia festa, t’ingozzerai di qualsiasi cosa nello Sweet Table preparato dal catering e ti deciderai a mettere un po' di carne su quelle ossa > concluse schietta Sarah, guardandolo minacciosa. Austin non si aspettava di certo un cambio di personalità del genere dalla parte della rossa che lo fissava con ostinazione. Deciso a non farle notare il modo in cui la risposta di lei lo aveva intimorito, ribeccò < Ok, di certo tu sei bipolare, ed hai una personalità da serial killer dietro quelle moine da ragazza modello e se te la darò vinta venendo alla tua stupida festa sarà solo per il fatto che apprezzo la sincerità e perché sei vagamente terrorizzante, ma non aspettarti troppo, Carina, non credere di cambiare il mio atteggiamento con un po' di parole forti, altri prima di te hanno tentato e fallito più velocemente di quanto tu ci abbia messo a fare tutto quel discorso del socializzare > commentò serio, la voce ferma e severa. A quel punto la ragazza, con un sorriso compiaciuto annuì, festeggiando la sua vittoria senza però mostrare troppo all'esterno < Di certo Roma non è stata costruita in un giorno, ma se cambiassi idea, io sono qui che aspetto solo di farti ingrassare > asserì decisa, ricevendo in risposta un'occhiata infastidita accompagnata da uno scocciato gesto di congedo da parte di Austin che più di dieci minuti di conversazione non poteva sostenere.


Il fatidico giorno non tardò ad arrivare, e quella mattina Austin, nella sua rassegnazione ed agitazione, non ebbe nemmeno voglia di sprecare il suo tempo per la colazione, facendosi accompagnare direttamente a scuola dall'autista: "Via il dente via il dolore" pensò durante il tragitto "quindi perché non accelerare un poco i tempi per far passare rapidamente questa scocciante giornata, per poi tornare alla vita di sempre" teorizzò.
Durante la mattinata Sarah ricordò ad Austin l'impegno preso per almeno dieci volte, ricevendo per tutte e dieci la stessa concisa e seccata risposta ed il solito gesto di congedo, fino a quando, giunta la fine delle lezioni, la stessa ragazza spinse l'altro a salire in macchina con lei, giusto per stare sicura che non si prestasse ad una fuga dell'ultimo secondo.


Mentre la festa era nel pieno dello svolgimento e la rossa celebrava insieme ad amici e conoscenti, Austin si era trovato un angolino in disparte, più lontano possibile dalla folla di ballerini improvvisati ma soprattutto dalla parte opposta ai tavoli del buffet, i quali oltre a disgustarlo con tutta la sua dolcezza, aumentavano le sue vertigini, che non cessavano di torturarlo da quando era arrivato. Nonostante la lontananza dal cibo, il vociare e la musica disco erano ben distinte dalla sua posizione e di certo non aiutavano le sue condizioni, costringendo anzi il ragazzo ad alzarsi dal suo ritaglio di solitudine ed immergersi nella folla vicino alla piscina, in cerca di un angolo del giardino in cui la musica arrivasse con meno intensità, per dare così un po' di sollievo alla sua testa che imperterrita non smetteva di girare.
Incamminatosi barcollante tra spinte e gomitate, Austin non fece nemmeno caso al suo rapido avvicinarsi al bordo della piscina, fino a quando, sentendo discretamente l'odore chimico del cloro riempirgli le narici, non riuscì a scorgere il suo riflesso nell'acqua cristallina: era così magro ed insignificante, si disgustava ed allo stesso tempo non gli importava. Tutto era meglio del grasso, la compassione era meglio delle prese in giro e la preoccupazione del padre era meglio della sua completa non curanza.
Austin fissava con intensità quello che era e che sarebbe stato fino alla fine, ed era così perso in quel suo scrutarsi che non si accorse nemmeno della sua vista che andava ad oscurarsi, delle sue gambe che cedevano, del corpo che perdeva le forze, rendendosi conto di stare perdendo i sensi solo nel momento stesso in cui si scontrò con il suo riflesso, mentre il contatto con l'acqua fredda accompagnava i suoi ultimi pensieri.
"Forse allora anche scomparire, proprio in questo istante, potrebbe essere meglio di continuare una vita tanto insignificante".
Sentì l'acqua pervaderlo ed avvolgerlo, mentre senza la possibilità né la volontà di combattere si lasciò andare a fondo, avvertendo appena uno spostamento dell'acqua nell'esatto momento in cui i suoi sensi vennero a mancare.

Quando Austin riprese conoscenza era steso in un enorme letto a baldacchino, troppo debole persino per sollevare del tutto le palpebre.
< Ehi! Non vorrai mica morire proprio il giorno del mio compleanno... non è un pensiero carino... > sussurrò debolmente la voce di Sarah al suo fianco < Mi hai fatto prendere un colpo! Non immagini nemmeno che paura... fortuna che il tipo del catering ti ha visto cadere e ti ha tirato subito fuori dall'acqua! > aggiunse, poi con la voce addolcita e posando una carezza sul suo capo. < Austin... ne vale davvero la pena? > chiese delicata. Austin prese qualche profondo respiro, aprì gli occhi cercando di puntare lo sguardo nel suo cristallino < Non voglio tornare ad essere come prima > esalò, la voce roca per il cloro.
La ragazza non rispose, lasciando cadere nel silenzio le speranze di poter convincere Austin, oramai sapeva che non sarebbe mai riuscita a convincerlo a prendere peso, che non sarebbe mai riuscita a dare lui una seconda occasione per vivere la sua vita senza sempre preoccuparsi del cibo.

Il giorno seguente Austin, spinto dall'insistenza di Sarah, decise di farsi portare dalla stessa ragazza, nella pasticceria "Sweet Dreams", dove, da quanto aveva capito, lavorava il ragazzo che lo aveva salvato dal suo quasi affogamento, perlomeno per ringraziarlo come si doveva e, volendo, anche per scusarsi del disturbo.

< Buongiorno! > gridò allegra Sarah entrando nella pasticceria, salutando i presenti con nonchalance < Joffrie c'è oggi? > chiese allo staff, lasciando appunto trasparire il dettaglio che conoscesse l’intero staff della pasticceria e fosse quindi anche una cliente fissa. < Ehilà Fanciulla! Rie è sul retro che si intossica di fumo > le rispose una ragazza dai capelli biondi a caschetto, ricambiando al saluto con un cenno come il resto dei presenti, la rossa le sorrise gentile < Grazie May andiamo a ringraziarlo e ci leviamo dai piedi! > ringraziò, accingendosi ad andare dove indicatole dalla biondina.

"Il retro" che May aveva menzionato non era altro che il vicolo dietro il piccolo negozio, dove vi erano scatoloni malmessi, spazzatura ed immancabilmente i bidoni per l'indifferenziato, sopra uno dei quali un ragazzo alto e castano stava seduto, tenendo in mano una sigaretta ormai ridotta a solo il filtro. < Ehi Ragazza! Cosa porta il tuo regale fondoschiena in questo immondezzaio? Di certo non la voglia improvvisa di dolci, o mi sarebbe arrivato l’ordine per portarteli sotto commissione > sorrise il ragazzo. Sarah sorridendogli a sua volta, iniziò a parlare di cose più o meno futili insieme a lui, tanto per iniziare la conversazione, mentre Austin... beh, Austin poteva benissimo essere dato per disperso.
Il ragazzo era fermo dietro alla sua accompagnatrice a fissare con occhi sognanti il giovane appena incontrato che si presumeva essere il tanto agognato Joffrie, il quale senza ogni dubbio agli occhi di Austin pareva una visione celestiale e che non appena si era rivolto verso di loro, li aveva lasciati in balia di quei suoi occhi ambrati e ridenti. Era come se avesse sentito gli angeli cantare e per poco non temette di svenire di nuovo, specie nel momento in cui aveva sentito il suono della sua voce. Si era sentito tanto inferiore confrontato a quello splendore, a quella sua presenza magnetica, che pensò fosse ingiusto tutto quel concentrato di perfezione.
Quando sentì Sarah fare il suo nome, si riprese dal suo sogno ad occhi aperti in extremis, concentrandosi sul fatto che fosse soltanto una persona, e non qualche creatura divina venuta per sconquassargli il cervello. < Questo è Austin, voleva ringraziarti per averlo tirato fuori dall'acqua prima che affogasse, dì “Grazie” Austin > lo introdusse la rossa. < Grazie > ripeté stanco, riuscendo a riprendersi dall’impatto iniziale che l’altro ragazzo aveva avuto su di lui. Joffrie gli sorrise presentandosi e porgendogli la mano affinché la stringesse, cercando di non far notare il suo sconcerto nel vedere nuovamente il profilo di Austin, il quale, guardando la mano tesa verso di sé, la afferrò nonostante il disagio causatogli da quella perfezione, stringendola nel suo limite e forzando come al solito un debole sorriso. In quel momento si aspettava di tutto da Joffrie, uno dei soliti commenti, una risatina imbarazzata, un'occhiata sconcertata... di tutto, ma niente di tutto ciò uscì dalla sua bocca < I tuoi occhi sono un po’ spenti, sei sicuro di stare bene? > quell'unica, inaspettata domanda lo aveva colto impreparato, facendolo quasi andare nel panico e per un momento non seppe cosa rispondere, ma accorgendosi dell'accortezza con cui l’altro ragazzo aveva evitato di guardare il suo fisico, riuscì ad uscirsene con un’osservazione parecchio veritiera < Tu hai troppo tatto per essere vero... > alla quale Joffrie rispose mostrando ancora una volta i denti bianchi < … infatti sono di plastica > si lasciò sfuggire, strappando un piccolo sorriso ad Austin < Ma se dicessi davvero tutto quello che ho in testa la gente mi odierebbe > spiegò poi mentre entrambi ritiravano la mano.
Mantenendo quel leggero riso sulla bocca, Austin non poté trattenersi dall’esprimere la sua opinione < E tu fregatene, non serve cambiare per le persone, nessuno può restarti accanto per sempre, tanto vale mostrare quello che sei senza mentire > fece con semplice ovvietà. Joffrie batté le palpebre un paio di volte, come per assicurarsi di aver capito bene, gli stava chiedendo di non tenere a freno la lingua, giusto? Non se l'era sognato.
Sarah intervenne, con un sorriso sul punto di nascere sulle labbra < Sì, ti sta proprio chiedendo di parlare chiaro, lo conosco da... ok, non lo conosco per niente, ma so che Austin è uno schietto, parla come ti pare con lui > chiarì allora, evitando ulteriori incomprensioni.
Joffrie sorrise ancora < Beh... sei sicuro di stare bene, sul serio amico, sei parecchio... leggero, non fa bene al tuo fisico > disse allora, stando però ancora attento a scegliere le parole da usare. In effetti Austin perse un poco la stima per l'essere semi perfetto davanti a lui, che sembrava avere gli stessi pensieri del resto delle persone intorno a lui e, assumendo un’espressione da "lo sapevo che eri uno scassa balle anche tu", rispose con una smorfia < disse il ragazzo che fuma... e tanto a quanto vedo > insinuò indicando con lo sguardo le numerose cicche di sigaretta ai suoi piedi. < Touché... > ribatté l’altro assottigliando appena lo sguardo < Amico, non voglio farti la predica, anche perché, di fatto, non sarebbero nemmeno affari miei, ma dovresti mangiare almeno il minimo per stare in piedi, essere sano, non avere un colorito inumanamente pallido e non svenire ogni dieci metri - non sarebbe la cosa più sensata da fare? Certo non ti costringe nessuno, ma staresti meglio tu e le persone vicino a te, che magari si preoccupano ogni volta che fai un passo > ribatté, finalmente senza trattenersi e sputare finti buonismi.
Austin cominciò a pensare che effettivamente aveva ragione e che parecchi avevano provato a dirgli la stessa cosa da chissà quanto tempo, ma in quel modo nessuno aveva mai provato a parlargli, facendogli infatti oltre che spalancare gli occhi, increduli, aprire il volto ad un sorriso divertito. Per una volta gli rispose sincero, stupendo se stesso per quello che stava per dire < Forse hai ragione... >.

Quella volta Austin riuscì a capire che non erano gli altri a fare gli "scassa balle", ma al contrario, era lui che non riusciva a capire la gravità della situazione; fino a quel momento non aveva mai ascoltato davvero quello che gli era stato detto, era come se avesse filtrato tutti i discorsi, non ascoltando mai fino in fondo e sentendo solo quello che voleva. Decise allora di provare ad impegnarsi e mangiare cibi che prima non avrebbe nemmeno toccato, provando anche a sperimentare la discutibile cucina della matrigna che non poteva credere a ciò che vedeva, mentre persino il padre, un seriosissimo uomo d'affari, gli sorrise felice del cambiamento. Fece anche altre volte visite a Joffrie in pasticceria, riuscendo poco a poco ad inserirsi nei discorsi senza capo né coda suoi e di Sarah.
Socializzare non era male dopotutto e non era nemmeno tanto difficile come pensava, sempre che si trattasse delle persone giuste. E se Sarah durante quelle giornate passate insieme cominciava a prendere un certo fascino, Joffrie stava diventando la persona migliore che Austin avesse mai conosciuto, era sincero e schietto, aveva il coraggio di dire quello che pensava in modo semplice e diretto, ed era molto aperto alla conversazione, riusciva a far parlare Austin di problemi dei quali non aveva mai avuto il coraggio di parlare con nessun altro (non che avesse tutti questi amici dopotutto, anzi, non ne aveva proprio, poiché l'unica persona con cui parlava era Rika, che comprensiva lo ascoltava sempre e comunque).
La cosa che più apprezzava di lui era quel suo grande ed amorevole sorriso che lo faceva sentire così… importante! E quando lo osservava parlare, con quegli occhi comprensivi e ridenti, era come se per Joffrie in quel momento esistesse solo lui ed essere al centro delle sue attenzioni era diventata la cosa più gratificante in tutta quella faccenda del prendere peso.
Ma il cambiamento di Austin non durò più di tanto, poiché dopo qualche settimana di prova, si accorse di non riuscire a tenere tutto quel cibo nello stomaco e che spesso i conati avevano la meglio su di lui, facendogli rigettare il cibo. Pensò che potesse essere stata colpa del cambio troppo radicale e decise di parlarne a Sarah, alla quale si era molto avvicinato.
< Non capisco... non riesco a mangiare tanto quanto gli altri, cosa devo fare? > le chiese, puntando lo sguardo in basso, trovando improvvisamente interessantissime la punta delle sue Nike. Sarah non sapeva come aiutarlo, i suoi incoraggiamenti non sembravano funzionare, ma improvvisamente si ritrovò la soluzione tra le mani, dove in quell'istante stava il suo scintillante cellulare ricoperto di Swarovski, il quale aveva appena vibrato per l'arrivo di un messaggio da parte di niente di meno che Joffrie < Austin! > si trovò a gridare improvvisamente < Cosa!?? > rispose lui, abbastanza terrorizzato da quello sprazzo di pazzia improvvisa. < Joffrie mi ha appena mandato un messaggio... > sussurrò come se gli stesse svelando un segreto di stato, senza evidentemente far capire la coerenza della sua affermazione nel discorso < J-Joffrie? E quindi, cosa dice? > domandò infatti confuso Austin, oltre che sorpreso di sentir nominare il ragazzo così d'improvviso, mentre la rossa che sembrava mossa da un lampo di pazzia esitava nello spiegarsi < Dolcetti al cocco... i miei adorati dolcetti al cocco sono in vetrina, andiamo a comprarne! > fece decisa, ancora febbricitante davanti all'espressione confusa del compagno < Ma come non ci arrivi? > sbuffò quasi scocciata lei. Austin portò gli occhi scuri al cielo, sospirando < Evidentemente no! Ma se sono i dolcetti che vuoi posso venire con te... ma non so se me la sento di mangiarli. Sai Rika, la mia matrigna, ha provato a farmi una torta e non è restata nel mio stomaco per molto tempo... > azzardò lui, mentre era il turno di Sarah di alzare gli occhi al cielo < Prima cosa, non paragonare la pasticcieria pericolosamente sperimentale di Rika a quella dei miei pasticcieri di fiducia! > iniziò minacciosa < Seconda cosa, stavo pensando poiché Joffrie ti ha fatto svegliare la prima volta, magari ti potrebbe dare un altro po' di convinzione > sorrise allora, piena di aspettativa. Ad Austin non sembrava effettivamente una cattiva idea, si poteva provare a chiedere un parere al perfetto ed indelicato Joffrie, il massimo che poteva accadere era sentirsi dire dietro qualcosa come < E io cosa c'entro? > oppure < Ma vi sembro forse un dietologo o qualcosa di simile? >.

Nonostante il ragazzo fosse ancora parecchio dubbioso, Sarah lo convinse come sempre a fare un tentativo e lo trascinò alla "Sweet Dream" prima che potesse protestare oltre. Durante il tragitto Sarah sembrava davvero esagitata e mentre parlava di come con la sua idea avrebbero risolto il problema, Austin sapeva che la sua testa era altrove, tra una montagna di dolcetti al cocco, ai quali era con ogni probabilità dovuto anche il suo buon umore.
L'ambiente della pasticcieria era il solito di ogni giorno, con l'odore dolce di zucchero sempre presente nell'aria, ma dopo aver salutato Mrs. Mayflower, la riccia donnetta sulla quarantina, proprietaria dello "Sweet Dreams", entrambi i ragazzi notarono qualcosa di diverso, o meglio qualcuno di diverso.
Una ragazza giovane, con un bel fisico e dal viso arrossato e pieno, stava in piedi davanti al bancone, mentre parlava amorevolmente con Joffrie, che la ascoltava come imbambolato. < Credo sia la sua ragazza... sai quella di cui ci ha parlato, dalla descrizione corrisponderebbe, non troppo alta, castana, belle curve... > osservò Sarah sottovoce mentre, dopo aver ordinando i suoi tanto sospirati dolcetti, osservava i due piccioncini. Anche Austin intanto li aveva tenuti sott'occhio, concludendo che la ragazza sembrava in tutti i sensi perfetta per il castano, ed insieme erano davvero bene assortiti; insomma sembravano una di quelle coppiette che a vederle per strada in atteggiamenti smielati verrebbe da pensare "Wow! Che bella coppia!". E proprio per questi pensieri, da lui formulati, Austin provava una sorta di inspiegabile gelosia nei confronti della ragazza, che in quel momento aveva per sé tutte le attenzioni di Joffrie, ma allo stesso tempo provava timore anche solo nel pensare di intromettersi in quella perfezione.
< Non dovremmo disturbarli... > fece in un sussurro Austin, distogliendo lo sguardo, con un'espressione sofferta sul viso, per poi indirizzare la sua attenzione al pavimento in marmo con crescente imbarazzo per il suo strano ed infantile comportamento, che non sembrava essere stato notato da Sarah, la quale nonostante tutto voleva ugualmente parlare con Joffrie < Ehi Rie! Oltre a non accorgerti di noi non ci presenti nemmeno la tua fanciulla?! > fece allora fintamente offesa.
Joffrie risvegliatosi dal suo stato di trance, girò appena il capo nella loro direzione e li accolse con un sorriso appena imbarazzato < Oddio! Scusate, ero un attimo in coma! > farfugliò allora raggiungendoli al di là del bancone per poi cingere la ragazza per la vita, mentre Mrs. Mayflower alzava gli occhi al cielo esprimendo la sua opinione < Sicuramente non ce ne eravamo accorti, Joffrie... ogni tanto potresti anche lavorare, sai? > disse lanciando un'occhiata severa sia a lui che sia alla ragazza, che tentarono almeno di sembrare dispiaciuti.
< Lei è Melory, è... la mia ragazza, ma si era capito... come state? Austin, non mi sembri molto in forma che succede? > sorrise Joffrie, a cui non sfuggiva mai nulla. Sarah stava per intervenire e come suo solito spiegare di per sé il problema del ragazzo, quando Melory, che a quanto pareva non poteva starsene zitta, si inserì nella conversazione esclamando sconcerta < Cavolo se sei magro! Anch’io vorrei essere più magra! > si lamentò sbattendo le ciglia in direzione del fidanzato, che ammaliato ed inebetito le rispose con un dolce sorriso < Sei bellissima così, le ragazze scheletriche come le modelle non mi sono mai piaciute... E poi Austin deve mangiare, non fa bene essere così magri > disse parlando più che altro con Melory, dalla quale non staccava mai lo sguardo.
Austin si sentiva parecchio ferito da quelle sue parole, sapeva che non aveva detto nulla con cattiveria e che non voleva demolire sul nascere i sentimenti che mano a mano stava cominciando a comprendere e del quale non era nemmeno a conoscenza, ma in quel momento quelle consapevolezze non stavano diminuendo il peso del macigno che sentiva sullo stomaco e preferendo, piuttosto che ribattere inutilmente contro persone che nemmeno badavano a lui, tacere ed accennare ad un sorriso, uno falso e di circostanza, di quelli che se solo Joffrie si fosse degnato di girarsi nella sua direzione, si sarebbe subito accorto del disagio che provava.
E se Austin restava senza fiatare nella sua confusione di sentimenti, al contrario Sarah non si trattenne dall'intervenire, avendo colto la scelta sbagliata di parole usate dall'amico e sentendosi a sua volta non esattamente a suo agio < Beh, vedo che sei impegnato, magari ne possiamo parlare un altro giorno... > propose, soprattutto preoccupata per Austin al suo fianco che non accennava a reagire ed anzi sembrava piuttosto sconsolato < Ti lasciamo al tuo lavoro... e non solo a quello... > spiegò quasi di fretta prima di prendere Austin a braccetto e dirigerlo verso l'uscita, salutando tutti.

Una volta usciti dal negozio Sarah camminò frettolosamente verso l'auto e solo una volta ritrovatasi al sicuro dentro ad essa insieme ad Austin decise di parlare: < Puoi spiegarmi cosa succede? > domandò quindi con voce seria e preoccupata, mentre fissava persistentemente Austin, accanto a lei. < Io... credo di essere una pessima persona... > si lagnò lui sentendo salire i sensi di colpa e ricambiando lo sguardo con in viso un'espressione inquieta < Sono... geloso, mi sa > azzardò lui, aspettandosi ovviamente una reazione scioccata da parte della ragazza, che in realtà confusa su ciò che intendesse provò a rasserenarlo < Oh Tesoro, se pensi che ci trascurerà sempre così per la sua fidanzata non hai di che preoccuparti, possiamo sempre evitarla a vita, o finché durerà! Non molto secondo il mio modesto e preciso parere > gli sorrise appena Sarah, prendendogli una mano per trasmettergli fiducia, mentre lo vedeva scuotere la testa < No! Non è quello... non si è nemmeno accorto che eravamo lì e ha praticamente detto che mi trova orribile... io non voglio che mi trovi brutto… Cos'è per lui bello? > si mise quasi a gridare Austin sull'orlo delle lacrime, mentre a Sarah tutto appariva più chiaro ora che si era spiegato < Devo ingrassare ancora per piacergli come gli piace lei? Per fargli provare quello che prova per lei? > chiese non sapendo bene se a Sarah o se ad una non meglio definita entità di natura divina in ascolto. < Austin, non ti sarai mica preso una sbandata per Joffrie? Ma... > cominciò lei, per poi venire subito interrotta < Lo so, lo so! Non si può, è fidanzando e tutto il resto, ma mi sento già abbastanza in colpa, non farmi nessuna predica per favore... > la fermò così dicendo Austin. Sarah, che per la seconda volta nella giornata era stata interrotta mentre aveva tutto il diritto di spiccicare parola, schiaffò la mano sulla bocca del ragazzo di fronte a lei, fermandolo dal fiume di parole messegli in testa da quella sua coscienza dal rimorso facile < Fermo, fermo, fermo! Non ho detto né stavo per dire niente di tutto questo! > gridò un po' alterata < Quello che stavo per dire se non avessi tratto tutto da solo conclusioni affrettate, era che... fidanzato o no... hai una cotta! E forse è la motivazione che ti serve... voglio dire, lui non sarà occupato per sempre e tu puoi impegnarti a riprendere peso intanto che lui fa l’idiota con Melory… che ne dici? > si pronunciò finalmente dicendo la sua.
Austin, lo sguardo fisso in un punto non ben definito, sembrò pensarci seriamente, aprendo bocca solo dopo qualche momento < Cosa ne dico? ... passami un dolcetto al cocco per favore! > disse con determinazione, asciugandosi gli occhi umidi di lacrime, ed addentando il suddetto dolce spiegò a Sarah le sue intenzioni < Ecco cosa farò! Non gli piaccio da "scheletrico"? Bene! Comincerò a mangiare per davvero e quando sarò diventato uno schianto così da svenimento che nemmeno il più etero degli etero non potrà girarsi a guardarmi mentre cammino, tornerò e mi farò avanti... beh certo, se la sua fidanzata per quel giorno si sarà tolta di mezzo allora sarà anche meglio... di certo non gliela sto tirando, ma il punto è che mi impegnerò per tornare ad avere di nuovo un po' di ciccia su queste ossa e lo farò sia per me e per il mio bene, sia per lui... abbastanza convincente come futuri propositi? … diamine se questi dolcetti sono buoni! > chiese poi alla fine del discorso, continuando imperterrito a magiare dolci, mentre anche Sarah si era aggiunta per non farsi fregare il suo recente acquisto < Ricordati di non esagerare, mangia quello che senti, ma MANGIA! > lo ammonì la rossa < Ricordati che ti tengo d'occhio... > disse poi assottigliando lo sguardo e mimando appunto il fatto del tenerlo d’occhio con gesti assurdi che fecero scoppiare Austin in una risata che smorzò tutta la tensione del momento.


Austin s’impegnò a fondo per mantenere la sua promessa.
Da quel giorno Sarah gli fu sempre più vicina, aiutandolo con la sua dieta speciale e spingendolo anche a socializzare con altri amici. Tutto quello che si impegnava a fare per lui la rendeva agli occhi di Austin la prima vera amica che avesse mai avuto.
Ma il tempo passava e nonostante Austin avesse preso parecchi chili e fosse tornato in piena forma fisica, non si sentiva del tutto pronto per tornare da Joffrie, perché sì, dopo la fine delle superiori aveva smesso di andare alla pasticcieria per parlare con lui, sorridergli e sentirsi elogiare sempre per il suo impegno, che aumentava di valore ogni volta che dalla bocca di Joffrie usciva un apprezzamenti sul suo aspetto. Smise di andarci anche solo per accompagnare Sarah a prendere le sue ordinazioni, pur di evitarlo fino al momento in cui il suo impegno non fosse stato del tutto soddisfacente anche per se stesso. Tale scopo era diventato quasi un'ossessione per Austin che non si vedeva mai abbastanza in forma, mentre Sarah faticava a mantenere la promessa di non intromettersi che era stata costretta a fare all’amico, che al solo sentir nominare il nome di Joffrie, si rifiutava di proseguire il confronto.

Sopportò infatti quella fissa fino a che poté, trattenendosi dal parlare di tutto ciò che non fosse desiderato, fino a quando una giorno non provò a far affrontare ad Austin l'argomento, cosa che prima o poi avrebbe dovuto fare... dal punto di vista di Sarah, meglio prima.
< Ehi, sai cosa? Joffrie chiede spesso come stai, dice che parlare con te gli manca e vorrebbe che lo andassi a trovare... > la buttò lì Sarah come se niente fosse, un giorno in cui come quasi tutte le mattine stavano facendo colazione a casa di Austin. Tale discussione iniziata dalla rossa, fece quasi strozzare Austin con quello che stava mangiando, portandolo a tossire yogurt e cereali un po' ovunque < Sarah, no. Non se ne parla! Tralasciando il fatto che non dovevi parlare di me con Joffrie, non sono pronto! Non vedi che sono così non alla sua portata? > spiegò gesticolando energicamente, agitando il barattolino di yogurt sopra la sua testa, rischiando di rovesciarselo in testa. La rossa sbuffò scocciata < Adesso basta! Tu ora fai quello che dico io, come lo voglio io e quando lo voglio io! Il tuo comportamento è eccessivo, sei già in formissima così, insomma guardati! Ora hai della carne su quelle ossa, i tuoi capelli biondi finalmente non sono più stopposi come paglia, i tuoi occhioni scuri non sono più da zombie, non hai nemmeno più le occhiaie e riempi quegli accidenti di vestiti, che finalmente non sono stati presi dal reparto pre-adolescenti! > sbraitò Sarah alzandosi in piedi, sbattendo le mani sul tavolo della cucina, mentre il povero Austin temette che il suo bellissimo tavolo di legno intarsiato stesse per sfracellarsi (poi sì che la matrigna gli avrebbe tirato qualcosa) sotto la frustrazione della migliore amica.

Austin nonostante le insistenze, le pressioni e le minacce fatte dalla rossa non ne voleva davvero sapere di risolvere alla maniera di lei e, pensando di aver avuto finalmente la meglio (evento che sarebbe stato da segnare sul calendario, vista la rarità della cosa), abbassò la guardia. E fu proprio a causa della sua piccola distrazione che il giorno dopo, sentendosi suonare il campanello della porta d'ingresso, si era trovato ad osservare dallo spioncino della porta d'ingresso Joffrie, con in una mano il casco e nell'altra un paio di scatole contenenti una valanga di dolci che per intuizione dovevano essere stati ordinati da Sarah, perché se Maometto non va alla montagna, allora la montagna dovrà andare da Maometto. Già... ma montagne a parte, Austin era sprofondato in una delle sue solite crisi e non sapeva se scappare lanciandosi dalla finestra o andare a nascondersi dentro l'armadio come quando da piccolo non voleva incontrare i parenti appostati in soggiorno (anche se ai tempi, in tutta la sua rotondità stava un poco stretto), così, esitante e senza staccare gli occhi dalla piccola fessura, provò a pensare ad un'ennesima alternativa che non fosse il volo d'angelo dalla finestra, che tra l'altro era al piano terra e perfettamente di fronte all'ingresso dove Joffrie attendeva di farsi aprire la porta.
Cercò di raccogliere il coraggio più che poteva, ma più lo guardava, meno si sentiva pronto a parlargli. Durante quell'anno e mezzo in cui non si erano visti anche Joffrie era cambiato, certo era sempre il solito bellissimo ragazzo, ma sembrava essere diventato più alto e forse era anche dimagrito, i capelli erano sempre corti sopra le spalle, tirati sul davanti da due spille argentee che sembravano brillare attraverso lo spioncino.
Smise di sbavare dietro a quella figura perfetta, solo quando all'ennesimo suono del campanello, sentì i passi di Rika avviarsi in quella direzione, evidentemente per aprire la porta, per la quale Austin aveva chiaramente indugiato troppo. In pochi secondi però realizzò che se si fosse lasciato scappare un'occasione del genere per rivederlo e parlare con lui, probabilmente non se lo sarebbe mai perdonato, così gridò un frettoloso e balbettante < V-Vado io! > per farsi sentire dalla matrigna che, annuendogli da sopra la scalinata che portava all’ingresso, tornò sui suoi passi, lasciando che Austin aprisse titubante la porta, trovandosi quello sguardo color ambra fisso su di sé.
< Joffrie? > lo chiamò piano, per poi vedere l'espressione del suo volto trasformarsi ed aprirsi ad un sorriso < Austin! Sei davvero... wow, stai davvero bene... è casa tua questa? > disse davvero colpito, mentre sotto il suo sguardo acceso e vitale il viso di Austin si colorava di un rosso acceso < I-Io... grazie... devi consegnare quelle? > domandò puntando lo sguardo sulle scatole e, scostandosi per farlo entrare, lo scortò fino alla cucina per fargli appoggiare il casco e le scatole da qualche parte, cercando di pensare ad un qualsiasi cosa da dirgli.
< Come... va? > chiese una volta raggiunta la cucina, senza la minima idea di come iniziare in altro modo la conversazione. Joffrie, una volta appoggiato ciò che aveva tra le mani sul tavolo, si girò verso di lui con il solito splendido e rasserenante sorriso < Non va niente male, considerato che quella vecchiaccia della Mayflower mi sta schiavizzando parecchio… ma è il lavoro che voglio fare, quindi è ok. Ho anche smesso di fumare, e diciamo che potrebbe andare ancora meglio se una certa persona venisse più spesso a trovarmi... > cominciò, entrando immediatamente nell'argomento che Austin avrebbe voluto evitare (il che era tutto sommato impossibile, visto che era sparito da un giorno all'altro, cominciando ad evitare persino di passare per la stessa via della pasticcieria).
< Mi spiace... non credo di avere scusanti > ammise il biondino, appoggiando una mano su una della due guance bollenti, mentre cercava di guardare ovunque meno che in direzione di Joffrie, che invece cercava il suo sguardo e si avvicinava con un sorriso più flebile < Fatti almeno abbracciare... è più di un anno che non ti vedo > disse piano, con una punta di malinconia nella voce ed allungando le braccia verso l'altro che assumendo sempre più un colore poco naturale e riscaldandosi ancora, gli si avvicinò, avvolgendogli le braccia intorno alla vita, appoggiando la testa alla sua spalla e lasciandosi stringere ed accarezzare i capelli. < Sono contento che tu sia riuscito a ristabilirti... > mormorò piano nell'abbraccio il castano, facendo salire piccoli brividi su per la schiena di Austin < Lo so... ma non so se è ancora abbastanza... > rispose il più piccolo, staccandosi appena e trovando il coraggio di guardarlo negli occhi, mentre scuotendo la testa gli sorrideva nuovamente < Di che parli? Così sei perfetto > si sentì in dovere di dire il più grande. E nel momento in cui fissando gli occhi nei suoi, Joffrie ricambiò lo sguardo di Austin, scoprì sul suo viso un'espressione tanto dolce quanto bella, pareva un misto tra sorpresa e felicità, abbellito ancora di più da un sorriso timido e sincero.
Joffrie lo trovò splendido, così tanto bello ed ammaliante che, come mosso da un istinto impossibile da frenare, non riuscì a non prendere il suo viso tra le mani per poi baciarne piano le labbra, prima dolcemente e contenendosi, in seguito in modo più partecipe e con ancora più sentimento, stringendolo sempre più a sé per la vita, mentre Austin dopo un primo momento di confusione, si ritrovò a ricambiare il bacio, alzandosi appena sulle punte ed aggrappandosi timidamente alle spalle di Joffrie, con il cuore sul punto di scoppiare.
Si staccarono per riprendere aria dopo un tempo che ad entrambi sembrò infinito, guardandosi in viso imbarazzati, questa volta senza osare alzare lo sguardo sino agli occhi, imbarazzati. < Quindi… non stai più con Melory… > osservò un po’ affannato e spezzando il silenzio Austin, riuscendo a vederlo annuire con la coda dell’occhio mentre distoglieva lo sguardo, abbassandolo sul colletto della camicia di Joffrie, che ancora con una mano fra i suoi capelli, ne stava lisciando alcune ciocche < Già, mi ha lasciato lei una decina di mesi fa… mi ha detto che non ho tatto perché dopo un po’ che non parlavo con te ho cominciato ad essere più diretto e schietto con lei e… beh, non il mio essere sincero non le è piaciuto… allora ho pensato che se non riusciva ad apprezzarmi per come ero veramente, forse non era lei la persona più adatta per starmi vicino… > rispose senza traccia di tristezza o malinconia sul suo volto, anzi, mostrando apertamente un dolce sorriso. In effetti ad esserci rimasto quasi male pareva Austin, guardandolo sconcertato provò a dire qualcosa < Oh… mi spiace, per il fatto che ti abbia lasciato intendo… > mentì.
Era sicuramente una bugia. Una grossa, gigantesca bugia, Austin non convinse nemmeno se stesso con quel commento titubante, figuriamoci Joffrie che, ilare riguardo la questione pensò “sì, certo se a lui dispiace, allora io sono il Bianconiglio!”. < Sai cosa? Non ci credo neanche un po’… > ghignò infatti il più grande, notando anche come Austin, consapevole della grande cavolata appena detta, guardava altrove, probabilmente dandosi mentalmente dell’idiota e riprendendosi dalla distrazione solo quando Joffrie gli posò con dolcezza un bacio su una guancia ancora tinta appena di rosso. < Beh... dopotutto anch’io non sono stato del tutto onesto... sapevo che questa era casa tua, me l'ha detto Sarah, visto che non riusciva a convincerti venire in pasticceria mi ha detto di andare da te... è stato comunque meglio così, giusto? > confessò Joffrie. Austin annuì in risposta, appuntandosi mentalmente di ringraziare Sarah come minimo una dozzina di volte.

< Allora… a domani, ti aspetto in pasticceria eh! > si raccomandò Joffrie, fermo sull’uscio ed ormai in procinto di uscire < E magari… alla fine del mio turno potremo… che ne so, fare un giro da qualche parte… sempre se ti va! > aggiunse imbarazzato e facendo per andarsene. Austin si sentiva venti volte più leggero, il suo cuore stava per uscirgli dal torace ma, nonostante quell'insieme di sensazioni che quasi lo frastornava, trovò il coraggio di tirare il più grande a sé, prendendolo per la giacca e dargli così un ultimo bacio sulle labbra dolci, per poi spingerlo fuori dall’ingresso, mormorare un timido < A domani! > e chiudere la porta di scatto, cercando di respirare con regolarità ed accasciandosi seduto a terra, con le spalle contro il legno duro, mentre Joffrie ancora intontito dall’ultimo gesto inaspettato, sbatteva più volte gli occhi con un sorrisino ebete in procinto di formarsi sul suo viso.

Quella sera, ancora stordito dalla serie di eventi di quella giornata, Austin si ritrovò a riflettere su quanto la fortuna gli fosse stata amica negli ultimi anni.
Dopo essersi lasciato andare alla solitudine ed alla depressione, aveva finalmente trovato un nuovo equilibrio. Era sicuro al cento per cento che, se quel giorno alla festa di Sarah era caduto nella piscina per poi essere salvato da Joffrie, era stata una condizione imposta dal destino per potergli regalare una seconda possibilità per viversi la sua vita. Ma non era certo merito del destino se aveva deciso di iniziare a curarsi di sé e di come avesse voluto vivere, proprio no. L’amore l’aveva spinto a non sottrarsi al cibo.
L’amore l’aveva messo in condizione di farsi degli amici.
E sempre l’amore ora lo stava facendo sentire tanto felice.
Era stato tutto grazie all’amore.




Angolino di Val_chan :

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Ehilà Fanciulle e Fanciulli!
Dopo secoli ad aspettare il giudice del contest a cui ha partecipato questa storia, finalmente posso pubblicare! (so bene che avrei potuto farlo anche una volta consegnato, ma per principio io aspetto sempre di sapere il risultato ù.ù)
Beh... che dire, grazie ai giudici sostitutivi che sono stati velocissimi ed efficienti!
Ho saputo di essere arrivata seconda la sera del primo giorno nel quale ero in gita grazie ad uno dei miei più coccolosi e cari amici (la costiera Amarfitana è una figa, ma per i miei polpacci ci sono troppe salite e troppe scale XD) e mi sono messa a saltare per tutta la camera d'albergo, coinvolgendo le mie compagne di stanza, che pur non sapendo di cosa stessi parlando e del perchè fossi andata fuori di testa, si sono messe a festeggiare con me e mi hanno regalato dei cioccolatini... buoni. <3
Detto ciò, potrei chiamare questo angolino "L'angolino di curiosità prive di interesse di Val_chan".

Grazie per aver letto, se avete voglia lasciate una recesione... mi rendono felice di qualunque genere siano ù.ù

Baci Val_chan

  
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