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Autore: Espen    19/04/2013    8 recensioni
Si fermò davanti al cancello di ferro del cimitero e, dopo un respiro profondo, vi entrò. C’erano molte tombe, ma a lui ne interessava soltanto una.
Il ragazzino nella foto sorrideva solare, gli occhi rossi pieni di gioia, sogni, vita.
Hera lesse, per l’ennesima volta, le scritte in oro e trattene a stento le lacrime:
Afuro Terumi
23/05/1996 – 17/03/2012
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Oggi è il 9 aprile.
Per molti potrebbe essere una data qualsiasi, ma oggi è il Day of Silence.
Il giorno in cui si ricordano tutti i gay, le lesbiche, i transessuali, bisessuali che si sono suicidati a causa dell'omofobia.
Ice Angel
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Afuro Terumi/Byron Love, Hera Tadashi
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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 19 aprile 2013.
Era passato più di un anno da quel giorno, ma Hera non si era dimenticato di lui, e mai lo avrebbe fatto.
Camminava sul marciapiede di quella città odiata, cappuccio calato e cuffie nelle orecchie, in mano aveva un mazzo di rose rosse. Percorreva quel tragitto quasi meccanicamente, lo faceva ogni giorno singolo della sua vita.
Si fermò davanti al cancello di ferro del cimitero e, dopo un respiro profondo, vi entrò. C’erano molte tombe, ma a lui ne interessava soltanto una. Il ragazzino nella foto sorrideva solare, gli occhi rossi pieni di gioia, sogni, vita.
Hera lesse, per l’ennesima volta, le scritte in oro e trattene a stento le lacrime:
                                                                                                                                             Afuro Terumi
                                                                                                                                   23/05/1996 – 17/03/2012

-Ciao Afuro, come va oggi?- gli domandò, pur sapendo che non avrebbe ricevuto una risposta, la cosa strana era che a lui sembrava  di sentire davvero la sua voce, così orgogliosa e spensierata. Per un attimo i ricordi lo travolsero al loro primo incontro, quando ancora erano bambini.

Hera si era trasferito da poco in quella città e non aveva fatto ancora amicizia con gli altri bambini.
Sua madre, un pomeriggio in cui non lavorava, lo aveva portato al parco giochi, era da tanto che il castano insisteva per andarci.
Era più grande di quello che c’era nel paesino di campagna dove abita prima, c’erano tantissime giostre, ma quella che lo aveva colpito di più era l’altalena, o meglio, il bambino accanto ad essa.
Non sapeva per quale assurdo motivo, ma lo incuriosiva. Se ne stava lì, con qualche ciuffo biondo a coprirgli gli occhi cremisi, ad esaminare il gioco da giardino, come se fosse indeciso se salirci o meno.
-Come mai stai osservando l’altalena?-
Il bambino sobbalzò all’udire di quella voce e si girò, trovando due occhi grigi osservarlo. Era talmente assorto nei suoi pensieri che non aveva nemmeno sentito arrivare quel bambino, era la prima volta che lo vedeva in quel parco giochi, forse era il figlio di quella famiglia che si era appena trasferita.
-Ecco, io vorrei salirci però…-
-Però?-
Il biondino sembrò tentennare un po’ prima di rispondere:
- ehm..io…nonsodondolarmidasolo.-
Se ne vergognava terribilmente, aveva sei anni e non sapeva neanch’ora dondolare su un’altalena, al contrario di tutti i suoi amici che avevano imparato già da un anno.
Era sicuro che l’altro bambino gli avrebbe riso in faccia, invece gli sorrise porgendogli la mano.
-Non è molto difficile, se vuoi ti insegno!-
-Davvero? Grazie mille!-
-Prima posso sapere il tuo nome?-
-Certo…io sono Afuro Terumi, tu?-
-Hera, Hera Tadashi.-
E da quel semplice discorso nacque un’amicizia molto profonda, che col tempo si sarebbe trasformata in qualcosa in più.

 

Tadashi sorrise lievemente ripensando al volto innocente di Terumi, quando ancora non conosceva il male e il dolore, all’epoca erano entrambi troppo piccoli e puri anche solo per pensare a quello che sarebbe successo.
-Ti ho portato delle rose rosse, i tuoi fiori preferiti.- ricominciò a parlare cercando di non far sentire il tremolio nella sua voce, anche se erano passati mesi dal funerale, accettare che fosse realmente morto era difficile, dannatamente difficile e frustante. Posò il mazzo di fiori ai piedi della lapide.
-Ti ricordi quando me l’hai confessato? Facevamo ancora le medie.-

 

Hera Tadashi e Afuro Terumi erano inseparabili.
Era sempre stato così, fin dalle elementari.
Chiunque riusciva a capire che fra i due c’era alchimia, un legame di amicizia molto speciale. Andavano d’accordo pur essendo diversissimi, si completavano.
Avevano appena finito gli allenamenti di calcio e stavano tornando a casa insieme, quando Afuro si fermò improvvisamente.
-Si può sapere perché ti sei fermato?- gli domandò l’amico con lo sguardo tra il curioso e il seccato.
Il biondino non gli rispose subito, ma si chinò davanti a un giardino, gli occhi puntati su delle rose rosse.
-Sai Hera-kun, amo moltissimo le rose, però a mia madre non piacciono molto, per questo non le pianta mai in giardino. Così ogni volta che le vedo, non posso fare a meno di ammirarle. Sono così belle, soprattutto quelle rosse, sembrano piene di passione e amore.-
Era così serio mentre parlava che Tadashi quasi si spaventò, i suoi occhi avevano uno strano scintillio, come se fossero meravigliati. E lui pensò subito che non si sarebbe mai aspettato un simile discorso da un ragazzo, tanto più se era Afuro Terumi.
Era altezzoso e arrogante, per non far capire i suoi sentimenti si nascondeva dietro una maschera di superficialità. Era davvero sé stesso, come in quel momento, solo con lui, il suo migliore amico.
Ed Hera si sentiva un po’ orgoglioso di questo.

 

Il castano osservò la lapide del fidanzato e sorrise amaramente. Era quasi vuota, ad adornarla c’erano solo le sue rose e dei fiori che aveva portato qualche giorno fa’.
Tutti sembravano essersi dimenticati di lui da quando aveva fatto coming-out e aveva dichiarato apertamente la sua omosessualità, tre anni fa. Tutti gli amici che aveva, alcuni che conosceva dall’infanzia, lo abbandonarono schifati. Persino i suoi genitori non lo accettarono, lo buttarono fuori di casa insultandolo come se fosse il peggiore dei criminali, mentre l’unica colpa che aveva era di voler essere se stesso, senza segreti ne maschere.
Tutti lo avevano abbandonato, eccetto lui.
Al’epoca Hera non aveva neanch’ora capito di essere gay, ma non gli importava se al suo migliore amico piacessero i ragazzi, infondo era sempre lui, lo stesso Afuro Terumi con qui aveva condiviso la maggior parte della sua vita.
All’inizio il biondo veniva semplicemente ignorato, ma l’anno dopo (in cui Hera si era fidanzato con Terumi) alcuni ragazzi cominciarono a prenderlo in giro, dicendogli il peggio delle parole, per fortuna non avevano mai usato le mani, fino a quel giorno.

Si era presentato davanti a casa sua, il cappuccio calato sulla testa a nascondere il volto.
-Posso entrare?- gli chiese in un flebile sussurro ed Hera per un attimo si chiese se lo avesse solo immaginato.
Annuì leggermente e si scostò dalla porta per farlo entrare.
-È successo qualcosa?- gli domandò notando di come fosse stranamente silenzioso, e questo non gli piaceva.
Sentì Afuro sospirare leggermente e, con una lentezza snervante, si calò il cappuccio e lo guardò negli occhi grigi.
Quel che vide lo lasciò a bocca aperta e strinse i pugni dalla rabbia, il viso si Afuro era segnato da un livido sulla guancia e aveva un taglio sul labbro inferiore, che mille volte aveva baciato con estrema passione e amore, e sul sopraciglio destro.
Ma la cosa che lo aveva sconvolto più di tutto erano i suoi occhi, gli stessi che erano sempre pieni di felicità e gioia, in quel momento erano disperati, sembravano urlare un aiuto, ma sapeva che ad udirli sarebbe stato soltanto lui, Hera Tadashi.
-Chi è stato?- chiese abbracciandolo stretto e accarezzandoli i lunghi e morbidi capelli, cercando di calmarsi.
-K-kaiou e gli altri…-
Afuro esplose in un pianto straziante, trattenuto fino a quel momento.
Quella sera fu l’inizio della fine.

 

Una lacrima solitaria solcò il viso del ragazzo.
Si sentiva terribilmente in colpa, se solo non avesse creduto alle parole che gli rivolgeva il fidanzato ogni volta che curava le sue ferite, avrebbe dovuto capire che quei “va tutto bene, non mi lascio abbattere” erano falsi.
Nessuno, nemmeno i professori o il preside della scuola, lo aveva aiutato contro di loro.  Afuro poteva contare solo su di lui, su l’unica persona che lo aveva accettato e amato. Lui che non era nemmeno nella sua scuola per proteggerlo perché ne frequentava un’altra e non poteva proteggerlo dai bulli.
Si avvicinò alla foto del fidanzato e vi posò le labbra sopra.
-Ti amo e ti amerò per sempre.- gli sussurrò a bassa voce, come se gli stesse dicendo un segreto.
Poi si girò e andò verso l’uscita del cimitero, mentre un altro ricordo si fece strada nella sua testa, quello più doloroso e straziante, che lo avrebbe tormentato fino al giorno della sua morte.

Lo avrebbe dovuto immaginare.
Avrebbe dovuto sapere che sotto al suo sorriso si nascondeva una disperazione terribile.
Afuro, il suo dolce angelo biondo, si era suicidato, aveva messo fine alla sua vita e alle sue sofferenze con dei sonniferi, aveva ingoiato tutte le pillole.
Quando ricevette la notizia pianse, come non aveva mai fatto in vita sua.
Pianse finchè non gli rimasero più liquidi nel corpo 
Distrusse tutto quello che gli capitava sotto mano.
Era arrabbiato, frustato e disperato per non aver compreso i suoi sentimenti.
Il giorno dopo ci fu il funerale.
Erano presenti solo lui, sua madre e la zia di Terumi, che lo aveva ospitato in casa sua quando la sorella lo aveva ripudiato.
Quest’ultima, dopo la cerimonia, gli aveva consegnato un foglietto.
-L’ho trovato sul suo comodino- gli disse tra le lacrime –è indirizzato a te.-
Hera lo aprì, c’era scritta solo una sola frase:
Non dimenticarti di me, Hera-chan.

 

 Soltanto qualche giorno più tardi  capì realmente il significato di quelle parole. Afuro non era il primo che si era suicidato per colpa dell’omofobia, era già successo a molti altri ragazzi. Non bisogna dimenticare quei ragazzi, il quale grido d’aiuto non è stato ascoltato.
Bisogna sconfiggere l’omofobia e uno dei modi per farlo è ricordarsi di loro, di quelle persone che avevano la sola colpa di essere se stessi e di amare.
Hera guardò la scritta sulla sua mano:
Day of Silence.



Angolino dell'autrice

Buonpomeriggio gente, inanzitutto, come avrete capito dalla trama, oggi è il Day of Silence,
giorno in cui si ricordato tutti gay, lesbiche, transessuali e bisessuali che si sono suicidati a causa dell'omofobia.
Se volete commemorarli scrivetevi sulla mano o sul braccio "Day of Silence" e cercate di parlare il meno possibile.
Credo che l'omofobia sia la paura più stupida che esista su questo pianeta, perchè non si può avere paura di alcune persone solo per il loro orientamento sessuale.
È una cosa stupida, tremendamente stupida.
Per quel che riguarda la fic non ho molto da dire...
beh, è stata la cosa più difficile che abbia mai scritto e ringrazio di cuore Black_Fire che la corretta! ^^
Ti adoro!
Ora vi lascio che devo studiare latino (domani ho la versione e devo ancora aprire il libro, yeah!)
Ice Angel

P.S. non voglio ricevere recensioni negative per quello che penso sull'omofobia, se avete qualcosa da ridire su questo argomento inviatemi un messaggio personale, intesi? Accetto recensioni critiche solo se sono inerenti alla OS.
Ora vi lascio davvero!
Bye

  
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