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Autore: Nivees    22/04/2013    2 recensioni
[ Laven | Lavi/Allen ]
Lavi non voleva andare via. Infondo gli piaceva vivere lì, nonostante la guerra, perché diversamente da quando partiva con Bookman verso chissà dove a trascrivere la storia corrente, lì non era solo. Aveva dei compagni – aveva un compagno – a cui voleva bene – che amava – e che non voleva lasciare indietro. E al diavolo il fatto che per essere un Bookman non gli serviva affatto avere dei cari, avere un cuore e stupidaggini simili, ormai aveva ben capito che non era in grado di restare impassibile di fronte a ciò che gli circondava.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Allen Walker, Rabi/Lavi | Coppie: Rabi/Allen
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Miles
( Last Night on Earth )



I text a postcard, send to you, did it through?
Sending all my love to you.

Il collo iniziava a dolere in modo quasi insopportabile, ma Lavi non accennò nemmeno minimamente a cambiare la scomoda posizione che aveva assunto. Seduto sulla sedia, aveva la testa appoggiata sul tavolo ruvido, incurante delle schegge di legno che tendevano verso l'alto e che rischiavano di ferirgli il viso, e la schiena curvata proprio come se sopra di lui ci fosse un peso troppo grande da trasportare, e che lo stava trascinando giù.
La penna era abbandonata tra le dita, il foglio di carta giaceva intatto al fianco al suo volto.
Non sapeva neanche lui stesso perché avesse deciso di iniziare a scrivere una lettera e non sapeva nemmeno cosa scriverci, dato che secondo i suoi calcoli era seduto lì, immobile in quella posizione, da quasi due ore esatte senza concludere assolutamente niente. Proprio lui, il futuro Bookman, colui che tra libri, letture e scritture aveva basato la sua completa esistenza, in quel momento si ritrovava a corto di parole.
Alzo appena la testa, per poi farla ricadere pesantemente contro la superficie del tavolo di nuovo: come previsto, il collo faceva un male pazzesco e si sentiva il resto del corpo indolenzito. Prese coraggio e – dopo svariati tentativi non riusciti – si rimise in posizione eretta, portando il suo unico occhio sulla penna tra le sue dita, che a sua volta di avvicinava al foglio bianco. Ma ancora, non riuscì ad esprimere a parole quello che sentiva dentro.
Il giorno dopo – o meglio, tra meno di cinque ore, dato che guardando il cielo fuori dalla finestra notò che dovevano essere almeno le due del mattino – lui e Bookman avrebbero lasciato l'Ordine per seguire le vicende di una nuova guerra che stava per scoppiare ad est, molto ma molto lontano da lì. Probabilmente, non sarebbero più tornati. E se fosse successo, forse sarebbero passati anni prima del loro ritorno.
Non gli sembrava una prospettiva molto allettante.
Lavi non voleva andare via. Infondo gli piaceva vivere lì, nonostante la guerra, perché diversamente da quando partiva con Bookman verso chissà dove a trascrivere la storia corrente, lì non era solo. Aveva dei compagni – aveva un compagno – a cui voleva bene – che amava – e che non voleva lasciare indietro. E al diavolo il fatto che per essere un Bookman non gli serviva affatto avere dei cari, avere un cuore e stupidaggini simili, ormai aveva ben capito che non era in grado di restare impassibile di fronte a ciò che gli circondava.
Lanciò la penna sulla scrivania, irritato. Poi si girò, guardando verso il letto alle sue spalle occupato da un lato e sorrise amaramente, dopo essersi passato una mano sull'occhio per resistere alla stanchezza. Si alzò dalla sedia per potersi poi sedere accanto a lui, osservandolo dormire senza quasi osare nemmeno respirare e trattenendo la voglia di posare le dita tra quei candidi capelli.
Era proprio a causa di Allen se stava cercando di scrivere una lettera. Certe volte pensava che il nomignolo ʽconiglioʼ che spesso Yuu-chan usava per deriderlo gli calzava proprio a pennello, e non solo per quanto riguardava il suo nome, ma anche perché si sentiva veramente un coniglio in quel momento. Non trovava il coraggio di svegliare il ragazzo e di dirgli che sarebbe andato via ancora prima che lui aprisse gli occhi, di dirgli quanto davvero lo amava e quanto gli sarebbe mancato, quindi aveva tentato di scriverglielo. Era un vigliacco. Eppure, al momento, gli importava veramente poco, se l'ultima notte lì all'Ordine la passava con lui – e gli bastava solo quello, anche se Allen sarebbe rimasto addormentato.
Quindi quella stupida lettera non aveva più importanza, preferiva di gran lunga passare la notte insonne – ignorando la stanchezza – a guardare il visino angelico di Allen, piuttosto che restare su una sedia attendendo parole che mai sarebbe riuscito a scrivere. Perché in realtà voleva dirgli tutto di persona, non attraverso un pezzo di carta. Un semplice ʻti amoʼ scritto in modo frettoloso non andava bene, non rendeva giustizia a ciò che realmente voleva dire.
Non voleva che il suo amore diventasse come un Bookman credeva che chiunque fosse: solo inchiostro su carta.

My beating heart belongs to you
I walk for miles 'til I found you.


La notte del giorno dopo era arrivata un po' troppo velocemente per i suoi gusti. Con lo sguardo annoiato, analizzò ogni minima cosa che lo circondava, lì in quella fredda e umida strada, camminando al fianco del suo vecchio. Nevicava in modo lieve, tanto che la neve non arrivava nemmeno ad appoggiarsi sul terreno che già di scioglieva e ciò, fortunatamente, non rendeva i movimenti precari a causa del ghiaccio. Faceva comunque tanto freddo, sentiva le punte dell'orecchie bruciare e il naso gocciolare, e si sentì quasi grato per avere quella sciarpa sempre con sé.
Avevano lasciato l'Ordine quella mattina poco prima dell'alba, senza dire niente a nessuno tranne che a Komui un po' come se fossero dei ladri – o se non proprio ladri, come qualcuno che stava facendo qualcosa di terribilmente sbagliato. Aveva lasciato Allen nel suo letto, senza osare svegliarlo, lasciandogli un leggero bacio tra i capelli.
«Lavi, dove stai andando?» brontolò Bookman al suo fianco, fermandosi. Lavi sbatté le ciglia e lo guardo, qualche passo avanti a lui, «Quella non è la strada che dobbiamo prendere» gli fece notare, con gli occhi ridotti a due fessure.
Grattandosi il capo, si rese conto appena che il vecchio fosse rivolto con il corpo verso una luminosa strada a destra, probabilmente per pernottare momentaneamente in una pensione per quella notte. Si mise le mani in tasca, stringendosi nelle spalle mentre, con un sorriso, gli rispose: «Devo fare una commissione. Faccio in un lampo, vecchio» assicurò, prima di dargli le spalle.
«Una commissione?» lo sentì ripetere, «Che cosa?».
La notte prima non aveva affatto scritto quella lettera per Allen. Era rimasta completamente immacolata, intatta senza la benché minima traccia di inchiostro; nonostante questo, però, quella lettera non era rimasta sulla scrivania, ma si era ben riguardato ad afferrarlo e metterlo nella sua tasca, pensando che forse, prima o poi, quando sarebbe riuscito ad esprimere bene quel che sentiva, gliel'avrebbe potuta spedire.
«Nulla di importante» si limitò a dire, allontanandosi. Non attese la risposta di Bookman, strinse solo tra le dita quella lettera che giaceva nella tasca della sua giacca mentre camminava verso una meta che non conosceva nemmeno lui.
Il freddo pungente gli faceva battere i denti e gli entrava fin dentro le ossa, ma non smise di camminare e avanzare. Ignorò persino il fatto di aver abbandonato suo nonno in città senza dare il benché minimo peso alle sue grida che gli arrivavano alle spalle, ignorò il fatto che nella sua mente non aveva deciso proprio niente e che si stava lasciando trasportare solo dall'istinto – che non aveva mai seguito in tutta la sua vita, preferendo di gran lunga razionalizzare ogni cosa attorno a lui e soppesare cosa fosse meglio per se stesso – che lo fece avanzare nelle strade vuote per miglia e miglia.
Fino a che non trovò quello che stava involontariamente cercando.

With every breath that I am worth
Here on Earth, I'm sending all my love to you.


I Bookman erano soliti cambiare totalmente vita quando iniziavano qualcosa di nuovo, lasciandosi alle spalle tutto quello che avevano fatto fino a quel momento – solo con lo scopo di trascrivere la storia, solo per quello – e dimenticando tutte le persone che avevano incontrato. Per quanto riguardava Lavi, queste azioni si ripetevano ormai come un ciclo infinito da quando Bookman lo aveva preso sotto la sua ala protettrice come un apprendista, e arrivato ormai a diciotto anni aveva cambiato ben quarantanove volte il suo nome e altrettante volte aveva dovuto riniziare tutto daccapo, a guardare impassibile il susseguirsi di guerre una dopo l'altra e considerare gli uomini come degli esseri estremamente inutili – non contando il fatto di essere anche lui uno di loro.
Quella notte, Lavi aveva sentito il bisogno impellente di restare Lavi ancora per un po' di tempo.
Non sapeva come Allen fosse riuscito a trovarlo lì in mezzo al nulla – o forse era stato lui stesso a farlo, dopo aver camminato per miglia senza mai fermarsi finché non aveva visto la sua chiara figura in lontananza, illuminato dalla luce della luna – ma arrivato a quel punto veramente non gli interessava più niente. Strinse solo la lettera nella mano chiusa a pugno, correndogli incontro per poi porgergliela mentre riprendeva fiato, senza guardarlo – era un coniglio, dopotutto – in faccia.
Allen sembrava confuso quanto lui. Non vedeva la sua espressione mentre apriva la lettera stropicciata, ma il suo silenzio valeva forse più di mille parole. Non aveva pronunciato il suo nome – il nome che non voleva ancora cambiare –, non aveva chiesto né spiegazioni né gli aveva tirato un pugno dritto nella bocca dello stomaco per essere scappato così senza dire nulla quella stessa mattina.
Guardò solo quel pezzo di carta tra le mani, mormorando lievemente «Lavi, qui non c'è scritto niente» dopo averla studiata con attenzione, magari pensando che forse gli stava sfuggendo qualcosa.
«Lo so». Ed era vero, quella lettera era ancora vuota e priva dei suoi sentimenti come lo era anche la notte prima, e capì che era proprio così che doveva essere, «E va bene così, sai perché?». Al cenno negativo della sua testa, continuò a spegare, con il sorriso sulle labbra fissandolo intensamente nei suoi occhi color mercurio, «Perché ho passato quasi due notti a pensare che diavolo potessi scrivere in questa dannatissima lettera d'addio prima di dartela, o spedirtela se fossi stato ormai lontano. Volevo che fosse una lettera che tu non avresti mai potuto dimenticare, perché così non ti saresti dimenticato di me, di Lavi, del Bookman che... che ti ama... Ma non trovavo le parole giuste». Si fermò, inuminendosi le labbra per riprendere fiato, «Alla fine, credo che questo sia tutto quello che io sia in grado di darti...».
«Ovvero... niente?».
Lavi si grattò la testa, smettendo di sorridere, «Se vuoi metterla così...».
«No, non la metto così» lo interruppe lui, mettendo su un adorabile broncio. «Io so perché non sei riuscito a scrivere niente in questa lettera» rivelò, annullando quella piccola distanza che c'era tra loro per abbracciarlo di slancio e affondando il viso nel suo petto, «Perché tu non sei ancora pronto per dirmi addio, Lavi!».
La consapevolezza di ciò lo colpì quasi con estrema violenza, lasciandolo a guardare fisso davanti a sé senza nemmeno ricambiare l'abbraccio di Allen. Era stato tanto occupato al pensare al come – come fare per lasciarlo solo? Come fare per dirgli addio? Come trovare le parole giuste per scrivere la lettera? – che aveva totalmente ignorato il perché. Perché il suo cervello non riusciva in una cosa così semplice, proprio il suo che era così tanto sviluppato, un cervello Bookman? C'era bisogno proprio di Allen per riuscire a trovare una risposta.
«G–Già... Deve essere proprio così, Allen» bisbigliò al suo orecchio, ritornando a sorridere in quel modo un po' ebete che era tipico del Lavi che era in quel momento – e che lo sarebbe stato ancora per un po' di tempo.
«Dunque questo significa che torni alla Home?» gli rispose il ragazzino, senza sciogliere l'abbraccio.
Lavi si limitò ad annuire energicamente, lasciandosi poi trascinare via, lontando da quella landa desolata verso quelle persone che aveva imparato a volere bene, verso quel posto che ormai anche lui chiamava ʽcasaʼ.
Quella non sarebbe stata l'ultima notte sulla terra per Lavi.

If I lose everything in the fire
I'm sending all my love to you.



 


Ho veramente veramente poco da dire. Vi informo che questa storia è stata scritta per un contest - questo - della quale giudice è sparita nel nulla, abbandonandoci. *soffre* Quindi, non saprò mai se questa storia sia decente o no, se abbia centrato il significato della canzone, eccetera. Magari sta a voi deciderlo; sappiate che è la mia prima Laven e sono emozionata. (?)
La canzone è Last Night on Earth dei Green Day - e spero ancora che la giudice si faccia sentire, presto o tardi. In quel caso, aggiornerò poi le note autrice con le novità.


Niv
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