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Autore: Shiki Ryougi    24/04/2013    4 recensioni
[Ha partecipato alla Sfida 57 del forum Writer's Dream]
«Buona notte...» sussurrò all'orecchio della donna ormai senza vita.
Sul viso era impressa un'espressione di puro terrore; la bocca spalancata, gli occhi bianchi e pieni di lacrime.
Era bellissima.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Horror, violenza, rating rosso


Sfida 57

Sfidante: Shiki Ryougi
Sfidati: crazycat, daydream
Arbitro: Jessie F. Loneliness
Genere: Horror
Argomento: Zombie e incubi (che abbiano un ruolo importante nella trama)
Boa: Nessuna
Limite caratteri: 10'000

Link: QUI CONTEST (Post numero 69)
Storie degli altri partecipanti: crazycat (Parte 1, Parte 2); daydream (Unica parte)


Tenete presente che è la primissiva volta che scrivo un racconto di questo genere...
Buona lettura.









La lama, sorridendo alla luna, affondò nella carne e si aprì la strada senza fatica. Riemerse grondante di sangue, per poi calare di nuovo, con potenza e desiderio di bere ancora. Si sarebbe fermata soltanto una volta saziata la sua sete.
Davide ubbidiva, partecipe di quell'euforia. Alzava e abbassava il coltello, reggendolo con entrambe le mani. Affondava fino alla fine della lama per poi ricominciare daccapo. Gli occhi erano spalancati, non battevano ciglio e il sangue tingeva ogni cosa di rosso. Quel colore era ovunque, sfumando il nero della notte e il bianco della luna. Un cocktail di follia; quella di Davide per il suo coltello.
Sentiva il potere incanalarsi dalla punta che apriva ogni cosa. Era come avere in mano lo strumento di Dio. Poteva lasciare o strappare la vita; ridurla in una poltiglia rossa.

«Buona notte...» sussurrò all'orecchio della donna ormai senza vita.
Sul viso era impressa un'espressione di puro terrore; la bocca spalancata, gli occhi bianchi e pieni di lacrime.
Era bellissima.
Davide aveva smesso di colpirla. A cavalcioni sopra il corpo osservava la propria opera, mentre scosso dal fiatone, la mano con cui reggeva il coltello tremava.
Si chinò nuovamente sul volto sfigurato e le bacio la fronte, assaporando il sudore e il calore che stava scomparendo.
Amava vedere come lo sguardo si spegneva, l'orrore prendeva forma e il sangue che, zampillando, marchiava tutto. Lasciava un segno indelebile dentro di lui. Lo faceva sentire vivo, euforico. Lo eccitava più di qualsiasi droga. Uccidere con quel coltello era la sua estasi.
Non importava chi. Donne, uomini, bambini, anziani; chiunque andava bene. Quando si ritrovavano ad avere un coltello piantato nella pancia sembravano tutti uguali. Tutti con la stessa espressione di terrore e dolore dipinta sul viso. Quindi non faceva differenza, Davide uccideva chi gli capitava a tiro.
In una settimana aveva già fatto parlare di sé.
Maniaco omicida massacra un anziano nella notte.
Poi era toccato a un ragazzo. Poi a una sua ex-compagna d'università e poi a quella donna.

Doveva avere circa quarant'anni, cioè oltre dieci più di lui.
Non era l'ultima, Davide lo sapeva bene. Sdraiandosi sull'erba, a qualche metro dal corpo, osservando le stelle, sentiva che presto avrebbe ucciso ancora.
“Finché non mi ammazzano, finché la lama mi sorriderà... ”

Tutte le vittime erano state uccise senza un motivo preciso. Frutto di sussurri nella testa e degli impulsi che scaturivano dalla lama del suo coltello. Aveva reagito e soddisfatto le proprie voglie. Basta.
Soltanto una volta le cose erano accadute per circostanze diverse.
Quella ragazza l'aveva provocato, la sua ex-compagna d'università l'aveva guardato in uno strano modo. Il suo sguardo gli era entrato fin dentro l'anima. Davanti a lei s'era sentito nudo, vulnerabile.
Questo aveva provocato la scintilla, accendendo nuovamente il fuoco della pazzia omicida che cresceva dentro di lui. Per una volta aveva ucciso con un motivo ben preciso in testa: spegnere quello sguardo penetrante, di cui aveva avuto paura.
Ma fino all'ultimo momento, mentre la pugnalava, lei non aveva cessato di guardarlo. Nel istante del trapasso le pupille erano rimaste fredde e ben piantate su di lui, mentre nella testa aveva sentito distintamente delle parole sussurrate: “Morirai assassinato dalle tue stesse vittime. Parola mia.”
Pensando che fosse il frutto della propria pazzia, aveva scacciato quel pensiero e finito l'opera.

Passarono delle notti molto insolite. Notti fatte di incubi e insonnia. Notti in cui non scorgeva nessun sorriso. La sua lama era immobile. Poi si svegliava, in un bagno di sudore e il ciclo ricominciava.
Era agli sgoccioli, presto lo avrebbero trovato e chiuso in prigione. Lui non aveva fatto nulla per nascondere i crimini. Dovevano essere sulle sue traccie.
“Non mi prenderanno... morirò prima”. Questa convinzione gli s'era radicata dentro la mente. Ma come facesse a saperlo era un mistero.
Per questo doveva uccidere.
Ma prima avrebbe cercato di riposare perché dormiva da schifo e senza forze avrebbe fatto una fine patetica.
Fissò lo sguardo sul soffitto della camera da letto. Sorridendo si addormentò, pensando alla sua ultima vittima.

Il vicolo era buio e silenzioso. Soltanto il vento sibilava, cantando una litania funebre.
Davide respirava in modo controllato per non infrangere quell'atmosfera. Attendeva il momento esatto, la sua ultima vittima; la scelta doveva essere fatta con attenzione. Il cuore batteva forte e il cervello richiedeva una maggiore quantità d'ossigeno. Era quasi ora.
Alzò il coltello e l'osservò. Il suo sorriso si riflesse nella lama. Lo strumento di Dio attendeva altro sangue. Forse l'ultimo.
Stava per uscire dall'oscurità, quando dietro di sé sentì un rantolo. Il silenzio venne rotto da dei passi incerti, strascinati. I versi aumentavano.
Davide si voltò stringendo saldamente la sua arma, ma in fondo al vicolo era troppo buio per vedere. Decise di uscire sulla strada illuminata. Quei rumori si stavano avvicinando.
Però, dopo aver corso una decina di metri, si rese conto che la fine non arrivava mai. Scorgeva la strada in lontananza, illuminata, e i frammenti di luce rischiaravano a malapena quella parte del vicolo, però non riusciva mai a raggiungerla. Gli sembrava di correre a vuoto e presto prese a girargli la testa. La nausea lo invase e si fermò. Aveva il fiatone, una mano sul petto e il sudore che colava dalla fronte.
I versi tornarono, come anche i passi strascinati. Si muoveva con lentezza ma presto l'avrebbe raggiunto, qualunque cosa fosse.
Davide riprese a correre mentre l'euforia incendiata dalla voglia di uccidere lasciava spazio alla paura.
Tutto non aveva senso, non era reale. Ma se si fosse fermato, se non avesse raggiunto quella strada, sarebbe morto.
“È nella mia testa. Solo nella mia testa”. Però continuava correre, nonostante avesse compreso che si trattava di un incubo; sapeva che sarebbe morto.
Morirai assassinato dalle tue stesse vittime. Parola mia.
«PUTTANA!» urlò tra gli affanni. Poi si fermò, esausto.

La fine del vicolo era sempre davanti a lui. Né più vicina né più lontana. Irraggiungibile.
Si voltò, capendo che era inutile continuare a correre. Presto avrebbe perso tutte le forze, quando invece avrebbe dovuto risparmiarle per combattere.
Non era certo che semplicemente morendo si sarebbe svegliato.
Tese il coltello davanti a sé e cominciò ad attendere.
I passi, i versi incomprensibili, lentamente, si fecero man mano più vicini. Poi, la leggera luce che proveniva dalla strada illuminò quei esseri che nulla avevano d'umano.
Vagamente riconoscibili, davanti a Davide c'erano tutte e quattro le sue vittime. L'anziano, il ragazzo, la compagna d'università e la donna.
La faccia dipinta dall'orrore e gonfia di decomposizione, la pancia aperta da cui pendevano fuori le budella, il sangue rappreso sui vestiti strappati e gli occhi vacui, acquosi, con le pupille dilatate, dei pozzi senza fondo.
Davide emise un urlo di puro terrore e agitò la lama contro gli zombie ma loro non reagirono. Continuavano semplicemente ad avanzare, senza nessun timore. Erano delle macchine in cerca di sangue.
L'assassino non sapeva che fare, la lama non gli sorrideva più. Non era più lo strumento di Dio, perché lì non c'era nessuna vita da strappare. Quelli non avevano nulla di vivo.
Tentò inutilmente di ferirli, colpendoli al viso, alle braccia allungate, al ventre. Era inutile fuggire quindi decise di combattere.
Ma la sua lotta durò molto poco. Uno dei mostri gli morse il braccio sinistro e il dolore arrivò acuto e pulsante da annebbiargli la vista. Vacillò e lo zombie gli stacco un pezzo di carne.
Davide urlò e le lacrime gli invasero gli occhi. Disperato agitò il braccio destro, quello con lo strumento di Dio, il suo coltello, ma mancò il bersaglio.
Lo zombie che doveva essere la sua compagna dell'università lo bloccò e gli morse il collo. Davide cadde in ginocchio e gli zombie si ammassarono su di lui, massacrandolo.
Lo sventrarono, si mangiarono le sue budella mentre ancora in vita agonizzava per il dolore. Gli staccarono parte degli arti e infine gli strapparono la testa dal collo.

Il giorno dopo dei poveri malcapitati lo trovarono.
Fatto a pezzi, nel vicolo, in un lago di sangue. Il suo sangue. Il coltello ben piantato nella testa, posta a qualche metro dal corpo.

   
 
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