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Autore: OneShotMaker    25/04/2013    3 recensioni
Ricordate quando dissi che non ricordavo il colore dei suoi occhi?Bhè, quando li rividi dopo tutto quel tempo, capii che non era affatto così. Il verde dei suoi occhi, che tanto mi richiamava alla mente delle immense distese di prato, mi colpii con la potenza di un raggio di sole in una giornata estiva. Tutte le volte che mi capitava di fissarli, avvertivo sempre dei brividi, che mi percorrevano la pelle e il cuore con la dolcezza di mille, delicate carezze. All’inizio, diedi la colpa al freddo, poi capii quello che in realtà avevo sempre saputo, e cioè che mi ero innamorata.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Max George
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Se avessi perso Max come ho perso Michelle, me ne sarei fatta una ragione prima o poi. Ma, siccome così non è stato, lasciatemelo dire: la vita fa davvero schifo e insieme al destino - il suo peggior complice -, possono togliervi ciò che di più bello avete in un istante, ed è inutile aspettare che quel qualcuno o quel qualcosa ritorni: nessuno ve lo restituirà, mai più. No, non sono pessimista, né tantomeno depressa. Sono solo realista e, una volta che vi avrò raccontato tutta la storia - la nostra storia - sono più che sicura che mi darete tutti ragione.
Per comprendere a pieno ciò che sto per dirvi, non è necessario aprire bene gli occhi, per comprendere ogni parola letta. Voi dovrete vivere queste righe, e per farlo, vi basta spalancare il cuore ed essere stati innamorati almeno una volta. In caso non vi fosse ancora successo, bhè… Allora state a sentire come io mi sono innamorata, e capirete che alla fine, nonostante tutte le difficoltà che incontrerete lungo la vostra strada, l’amore è l’unica cosa che vi farà sentire vivi, anche se la persona che tanto avete amato e che ancora amate non lo sia più.

 
10 gennaio 2009
Oh, finalmente! Un’altra triste, noiosa e inutile giornata di scuola è terminata. Adesso, come al solito, mi toccherà aspettare Michelle per un’eternità prima di tornare a casa, visto che è lei che mi passa sempre a prendere. Quando me lo propose la prima volta, stavo per dirle di no dato che già immaginavo i ritardi che avrei dovuto sorbire a causa sua. Ma, in fin dei conti, come potevo dire di no alla mia migliore amica, che mi implorava con due occhi da cerbiatta? E adesso, eccomi qui, in una fredda giornata invernale all’uscita della scuola, stretta nel giubbotto nuovo di zecca, mentre il cortile si svuota e quasi rimango sola.
All’improvviso, sento il telefono vibrare nella tasca.
E’ lei.
- Michelle! -
- Ciao Paige! -
- Shell, per l’amor del cielo, sto morendo di freddo! Potresti provare per una buona volta ad arrivare presto? Ormai se ne sono andati quasi tut… -
- Ecco, ehm… E’ proprio di questo che devo parlarti - mi dice nervosamente Michelle interrompendomi.
- Bene, sputa il rospo. -
- Senti, lo so che ti arrabbierai molto ma… Oggi proprio non posso passare a prenderti e… Mi dispiace davvero ma… -
Stavolta sono io ad interromperla.
- Ok, ho capito va bene… No aspetta COSA?!? Sei matta per caso? E io come ci torno a casa adesso, me lo spieghi? Il prossimo autobus passerà tra non meno di due ore!!! -
- Lo so, sono un disastro, mi dispiace davvero da morire Paige… Sei sicura che non ci sia proprio nessuno a cui puoi chiedere un passaggio? -
Provo a guardarmi intorno alla disperata ricerca di qualcuno che possa essermi d’aiuto, ma, a parte un ragazzo pelato beatamente appoggiato ad una macchina - che presuppongo sia la sua - a fumare una sigaretta, non vedo nessun altro. Riferisco a Michelle, le dico di non preoccuparsi, che troverò un modo e, dopo averle detto un frettoloso “Ti voglio bene”, attacco, in preda al panico. Mentre con la testa cerco disperatamente  una soluzione, decido che almeno posso trovare un posto in cui stare per ripararmi dall’aria gelida di Manchester.
Nel frattempo, potrei chiamare i miei. Ma no, meglio non farli preoccupare.
Mi dirigo in un bar poco distante dalla scuola, compro un panino e con gli altri pochi spiccioli che mi rimangono, ordino anche una cioccolata calda. Non sapendo cosa fare, tra un mozzico e l’altro, mi guardo intorno. Mi soffermo sul soffitto alto, dal quale pendono diverse palline natalizie colorate, appese a delle travi di legno. Anche il lampadario, in quanto a colori, non scherza: si alternano i rossi più sgargianti con le sfumature più improbabili di verde e, ad esagerare il tutto, due ghirlande color oro completano quell’esplosione di colori, tanto da far pensare che ad essere trascorso da poco sia il Carnevale e non il Natale.
Sembra che il bar sia poco frequentato oggi: due anziani stanno consumando silenziosamente i loro boccali di birra in un angolo solitario, mentre tre tavoli più a destra, una donna si stringe nel suo cappotto di pelle, nonostante nel bar non faccia poi così freddo.
E poi, ci sono io, che mi rigiro tra le mani la tazzina imbarazzata, sentendo gli occhi del barista puntati addosso. Fortunatamente, dalla piccola porta del bar si materializza un cliente e il barista è costretto a voltarsi per servirlo con il suo sorriso mesto.
- Una birra, grazie. –
- Peroni? -
-Vada per la Peroni! - accetta entusiasta il ragazzo appena entrato con un sorriso.
Ma… un momento. Conosco questa faccia, ho come l’impressione di averla già vista… Magari mi sto confondendo con qualcun altro, chissà… Ripercorro velocemente i suoi tratti: occhi verdi, belle labbra, capelli rasati.. Pelato, direi.
- Ehi, tutto bene? - mi chiede lo sconosciuto curioso. Ah, ora ricordo! E’ il ragazzo che ho scorto fuori, appoggiato alla macchina. Devo averlo fissato troppo a lungo mentre riflettevo prima, perché ora che mi ha ripetuto la domanda il tono è lievemente preoccupato.
- Si, si stavo solo… Pensando – concludo, con un timido sorriso.
- Ci conosciamo per caso? Dal modo in cui mi osservavi poco fa, sembrava di sì. –
- Oh, no. Ti ho visto di sfuggita prima di entrare qui. – Rido, e sento le guance avvampare. “Maledetto imbarazzo”, penso.
- Davvero? Bhè, allora è il caso che mi presenti. – Lo vedo impugnare la sua birra, alzarsi e dirigersi verso lo sgabello accanto situato accanto al mio. Poi si siede e mi tende la mano.
- Max, piacere. – E mentre si presenta sfodera un sorriso bellissimo, da sogno, mostrando una dentatura incredibilmente bianca e perfetta. A mia volta, tendo la mia mano che, tremante, afferra la sua.
- Io sono Paige, Paige Harrison. –
- Paige… Paige… Mi è sempre piaciuto questo nome. Ti si addice molto. –
- I-io… Bhè, grazie! Anche a me piace molto. Voglio dire, è… bello no? – Alle mie parole, Max butta la testa all’indietro e ride di gusto. “Ecco, sei la solita patetica che dice cose pateticamente patetiche”, mi dico sottovoce.
- Come scusa? –
- Oh, no niente… -
- Stai solo… pensando giusto? – dice Max con fare divertito, come a continuare la mia frase.
Rido. – Già. – Anche lui ride, di nuovo, come se ci fosse qualcosa di estremamente comico in ogni cosa che faccio o dico. E, in effetti, come biasimarlo? Io stessa mi sento ridicola, figuriamoci se non lo pensi anche lui, Max.
Improvvisamente, queste mie riflessioni si interrompono in modo brusco, perché mi ricordo che a quest’ora dovrei essere a casa, invece che a scherzare con un ragazzo del quale conosco solo il nome.
Poi mi viene in mente la macchina.
Potrei chiedergli un passaggio. Potrei. Se solo non fossi così maledettamente timida.
Mentre aspetto che mi venga il coraggio, estratto il mio portafoglio Fergi dalla tasca destra per pagare, ma Max mi blocca.
- Non preoccuparti, posso pensarci io. – Poi, dopo aver frugato anche lui nelle tasche, estrae i soldi e li consegna al barista. – Ecco a lei.-
- Max, davvero, non è un proble… -
- Ehi. Stà tranquilla. – E sorride. E di nuovo io mi sento avvampare.
Usciti dal locale, tento almeno di convincerlo a ripagarlo per la sua gentilezza.
- Dimmi… Dimmi come posso sdebitarmi almeno. –
- Bhè, in effetti un modo ci sarebbe. – Fa una pausa e assume un’aria pensierosa. – Hai bisogno di un passaggio? –
- Sì, cioè… Sì, in realtà sì, ma non devi disturbar… -
- Paige. Vuoi sdebitarti o no? – mi interrompe lui, con il solito sorriso. Rido, e dentro di me tiro un sospiro di sollievo, dato che tuttora non sono sicura che avrei avuto mai la sfrontatezza di chiederglielo.
- Va bene, accetto. Oh e… Grazie Max, sei molto gentile, davvero. – Lui non risponde, si limita solo ad accennare il suo classico sorrisetto e a fissarmi con i suoi vispi e seducenti occhi color smeraldo, quasi come se volesse penetrarmi l’anima.
 
Il giorno dopo
- Quindi… Mi stai dicendo che, mentre io mi disperavo per te, tu te la spassavi con un certo Max in un bar? – domanda Michelle, con tono fintamente tragico.
- Ma smettila! In qualche modo doveva pur tornare a casa e poi Max è stato carino ad offrirmi un passaggio, che non ho rifiutato per non essere scortese. –
- Oh, avanti Paige! Basta con questo perbenismo e piuttosto, confessalo. – E mentre lo dice, il suo tono è naturale, come se ci fosse qualcosa di scontato nelle sue parole che io faticavo ad ammettere.
- Confessare cosa? – le chiedo stupita.
- Ma si dai, che quel tipo un po’ ti piace. Insomma, dal fervore con cui mi hai introdotto l’argomento, sembrava che fossi pronta a convolare a nozze con lui all’istante. – Dopo un attimo di pausa, aggiunge: - E non dirmi che sono la solita esagerata, perché non è vero. –
- Ok, sei la solita esagerata – le dico ridendo, mentre la guardo con aria divertita.
- Ok, ti piace – ribatte Michelle, in tono di sfida.
- Shell no. N.O. E’ carino, punto. E poi scusa, lo conosco da neanche ventiquattro ore, anzi sarebbe meglio dire che ho scoperto della sua esistenza. Perché in effetti non so nulla di lui, neanche ricordo di che colore ha gli occhi, figurati. Quella è la prima cosa che guardo, se non ricordo quello significa che non è scattato il classico “colpo di fulmine” e…-
- Paige. Riprendi fiato. – E scoppia in una risata fragorosa che poi interrompe subito, essendosi accorta del mio sguardo truce.
- Hai mica il suo numero? Che magari ti avrà dato con la classica scusa del “ Se ti va di sentirci” invece di dire “ Se ti va di sco…” –
- SHELL!!! Vedi, avevo ragione. Sei la solita esagerata! – le urlo alterata.
- Non hai risposto alla mia domanda, Paige. –
- Non sono fatti tuoi, Michelle. –
- Ok, allora è si. –
- No! Cioè sì. Cioè no, volevo dire… Sì, mi ha dato il numero, e allora? Non significa nulla questo, è solo un piccolo, stupido, inutile dettaglio. –
- Lo chiamerai? –
- No. Perché dovrei? –
- Bhè per… Ringraziarlo come si deve, no? Sei o no una brava ragazza? –
- Certo che lo sono, e comunque l’ho già ringraziato, se proprio lo vuoi sapere… Oh, un messaggio. –
- Ohhh, eccolo che ti cerca! –
- Cretina, è mia madre – le dico ridendo. – Max non ha il mio numero. Non avrai mica pensato che sarei stata così stupida da darglielo, ma ti pare? –
- Ma sarai così stupida da richiamarlo. Fidati della tua vecchia saggia – ribatte Michelle, facendomi l’occhiolino.
Io le sorrido solamente, mentre, per la prima volta dentro di me, comincio a considerare seriamente l’dea di chiamarlo.
 
Alla fine lo chiamai, con la scusa di bere qualcosa. Quando mi decisi a farlo, erano trascorsi due mesi dall’ultima volta in cui ci eravamo visti e ormai, quasi no ci speravo più. Temevo persino che non si ricordasse di me o che mi avrebbe considerata una stupida, un’illusa.
Invece, nulla di tutto ciò accadde, perché lui accettò ed io, come al solito, avvampai, tanto sapevo che quella volta non mi avrebbe vista, e questo mi fece sentire profondamente sollevata.
Ricordate quando dissi che non ricordavo il colore dei suoi occhi?Bhè, quando li rividi dopo tutto quel tempo, capii che non era affatto così. Il verde dei suoi occhi, che tanto mi richiamava alla mente delle immense distese di prato, mi colpii con la potenza di un raggio di sole in una giornata estiva. Tutte le volte che mi capitava di fissarli, avvertivo sempre dei brividi, che mi percorrevano la pelle e il cuore con la dolcezza di mille, delicate carezze. All’inizio, diedi la colpa al freddo, poi capii quello che in realtà avevo sempre saputo, e cioè che mi ero innamorata. Quando presi consapevolezza del profondo sentimento che mi legava a lui, risi delle mie paure e gliele confessai tutte, una dopo l’altra. E lui non mi prese in giro, no. Lui mi confessò con lo sguardo e con quel suo splendido sorriso imbarazzato le sue, di paure. E così, scoprii che eravamo uguali, entrambi fragili ed umani e insieme, così facendo,avevamo appena superato la nostra più grande paura: quella di avere paura.
Così, nulla poteva più abbatterci: gli sguardi invidiosi dei passanti, la citta chiassosa, il dolore, i sorrisi mesti di chi non conosceva la felicità e la provo per la prima volta guardandoci negli occhi…
Persino la morte.
Nulla, nulla ci poteva fare più paura. Ma quando si riceve qualcosa di così bello, c’è sempre un prezzo da pagare: quello di dare qualcos’altro in cambio e nel nostro caso quel qualcosa fu Michelle, che aveva la pretesa di condividere con me sempre tutto, e a me, stava anche bene. Finchè non pretese anche Max. E questa volta lo voleva tutto per sé, altro che condividere. In poco tempo la nostra splendida amicizia si logorò, fino a che non ne rimase più nulla. Dopo mesi trascorsi a tentare di recuperare l’irrecuperabile, decisi finalmente di lasciar perdere. Che se ne andasse pure per la sua strada, io me ne sarei fatta una ragione, prima o poi, nonostante sapevo che non sarebbe stata affatto facile. Ma, potevo farcela, almeno finchè avrei avuto Max al mio fianco.
Lui fu come una presenza silenziosa nella mia vita, un silenzio che si trasformò in un rumore assordante quando smise di farne parte, un silenzio che, in una mattina qualunque di marzo, si trasformò nel dolce suono di un pianoforte.
 
5 marzo 2011
- Ehi, svegliati pigro! – gli sussurrai all’orecchio dolcemente. Max si agita nel letto e bofonchia qualcosa a denti stretti, ma non dà segno di volersi alzare.
- Maaax. E’ tardi, alzati. Tra un’ora e mezza abbiamo un appuntamento con quel tuo amico d’infanzia, Jay, ricordi? Non vorrai mica farlo aspettare! - . All’ennesima domanda senza risposta, provo a svegliarlo con il classico metodo: i baci sul collo, che lo mandano letteralmente fuori di testa fino quasi a procurargli la pelle d’oca. Gliene dò tanti ripetutamente, mentre accarezzo piano la sua testa pelata e stavolta, sono io che mentre lo faccio mi sento percorrere dai brividi.
Missione compiuta.
Lo vedo voltare lentamente la testa verso di me, mentre, sempre con la stessa lentezza, apre i suoi meravigliosi occhi verdi. Poi, per ultimo, arriva quel sorriso sonnolento e dolcissimo che ha ad ogni risveglio e ogni volta che lo osservo, sono dannatamente felice e sento che non lo voglio perdere, per nessuna ragione al mondo. Io… Io voglio averlo con me, al mio fianco e risvegliarmi così ogni mattina, per sempre…
I miei pensieri vengono interrotti dalla sua voce, impastata dal sonno.
- Buongiorno amore. – Mi dà un bacio, poi prosegue: - Che ore sono? –
- Buongiorno a te dormiglione! – Rido e lo bacio a mia volta. – Sono le 11 meno un quarto e ci dobbiamo assolutamente sbrigare. Io ho un sacco di cose da fare prima del nostro appuntamento e anche tu, ne sono sicura. Quindi ora ti vai a fare una bella doccia, mentre io preparo il caffè! –
- Ai suoi ordini, Paige Harrison –
- Bene. Fila in doccia Max George, altrimenti… -
- Niente caffè, ho capito. Vado subito. – Mi bacia un’ultima volta, poi si dirige con una camminata da zombie verso il bagno. Ed è in quel momento che me ne accorgo con stupore.
- Max.-
Lui si volta, rivolgendomi uno sguardo assonnato.
- Sei… Sei molto dimagrito.- In realtà non è che me ne fossi accorta proprio ora, anzi, già qualche settimana fa notai un qualche cambiamento e glielo riferii, anche. Ma lui, frenò i miei sospetti con un “ E’ tutto a posto, tesoro”. E invece no che non lo è. Ma tanto lui non mi darà mai ragione.
- Paige, di nuovo con questa storia? Te l’ho già detto: è tutto a posto, davvero. –
Appunto.
Max mi si avvicina, con passo lento, per poi stamparmi un bacio sulla fronte e tornare sui suoi passi, dritto verso la doccia.
Spero solo che lui abbia ragione.
Ora però, tocca a me alzarmi: mi stiracchio, come mio solito, poi scendo rumorosamente le scale e, una volta arrivata al piano terra, mi incammino verso la cucina, strascicando le pantofole sul pavimento, altra mia abitudine che Max ha provato più volte a correggere, ma senza ottenere alcun risultato.
Apro il mobile, prendo le cialde e le poggio sul ripiano di marmo bianco della cucina, in attesa che il tasto d’accensione della macchinetta smetta di lampeggiare. Nel frattempo, mi cerco qualcosa da fare e girovago sconsolata per la casa, fino a fermarmi davanti al maestoso specchio del salone. Gli occhi esplorano curiosi la mia immagine: lunghi e spettinati capelli castani, occhi verdi, contornati ancora lievemente dalla matita del giorno prima, qualche brufolo sparso qua è là – l’acne, fortunatamente, non è mai stato un problema per me – e un fisico esile, nonostante con indosso il ridicolo pigiama pieno di orribili orsetti regalatomi da mia madre appaio più grassa. Se a questo poi aggiungo la mia vita, semplice e felice, tutto sommato, non avrei di che lamentarmi. E in effetti, perché dovrei farlo?  Ho tutto quello ho sempre desiderato, e mai riuscirei ad immaginare di meglio: una casa più spaziosa o accogliente, un sole più caldo, una neve più soffice, un’aria più cristallina… e poi, un fidanzato più dolce, affettuoso, protettivo e sensibile. No, proprio non potrei avere di meglio. Ed è proprio quando penso a tutto questo che mi viene da sorridere, uno di quei sorrisi che ti tolgono il respiro, tanto sono colmi di gioia. Lui è mio. Mio, mio, mio, mio. Più me lo ripeto, più assaporo ogni parola. Più le assaporo, più lo sento infinitamente mio. Mio.
- Paige, è pronto il caffè? -. La voce di Max, proveniente dal piano di sopra, mi riporta improvvisamente alla realtà. Cavolo, il caffè. Corro subito in cucina e infilo frettolosamente la prima cialda nella macchinetta.
Prima tazzina pronta.
Infilo velocemente anche l’altra.
Seconda tazzina pronta.
Prendo un vassoio e mi avvio con cautela per le scale. – Arrivooo! – Mentre salgo, sento una musica dolce, che si interrompe di tanto in tanto, per poi riprendere, con la medesima dolcezza. In effetti, non mi stupirei se stesse sentendo della musica classica, è il suo genere prefe… Oh, mio Dio.
La musica si interrompe.
- Ehi, entra pure. Scusa, magari ti dà fastidio che suoni il pianoforte di tuo nonno, in fondo è comprensibile, è un ricordo di famiglia, io… -
- Oh, nono. Nessun problema, è solo che… Non sapevo che sapessi suonarlo, voglio dire… Non me ne hai mai parlato. –
- In effetti no, non ne ho mai avuto l’occasione. Bhè, adesso lo sai. Avanti, entra. Non vorrai mica rimanere lì impalata? – mi chiede Max in tono ironico.
- Ah si, certo scusa io… Sono un po’ sorpresa, ecco. – Rido impacciata. Poggio il vassoio sul tavolino e mi siedo. Poi, dopo aver riacquistato sicurezza, continuo: - Sai, è da quando mio nonno è morto che non ho più sentito suonare un pianoforte dal vivo. Sentirlo fare dopo tutto questo tempo, e per di più dalla persona che amo, è il massimo. Sei… Sei bravissimo. – In tutta risposta, lui mi si avvicina, guardandomi con infinita tenerezza e mi bacia. Il bacio giusto, al momento giusto, dalla persona giusta.
- Quando… Quando hai imparato a suonarlo? –
- Avevo più o meno otto, o nove anni. Mio padre ci teneva molto che io imparassi a suonarlo, dato che mio fratello non ne ha mai voluto sapere. Piano piano, mi sono appassionato sempre più, ed ho continuato a suonarlo – conclude con un sorriso Max.
- Hai mai composto qualcosa? –
- Bhè, diciamo che… Si, ne ho composti diversi. Il più recente risale ad un anno fa, ma non è un granchè. Va ancora perfezionato nei tempi, nelle battute… -
- Dai ti prego voglio sentirla!!! – esclamo io, interrompendolo. – Anche… Anche solo un pezzo della melodia… Sono troppo curiosa! E poi sono sicura che sarà perfetta così com’è. Sei tu ad essere troppo pignolo. – Mi guarda, incerto sul da farsi. Poi mi rivolge uno sguardo, e posiziona le dita sulla tastiera.
Io mi rizzo sulla sedia, sentendo già i brividi percorrermi, prima ancora che lui cominci.
http://www.youtube.com/watch?v=wJhixiCZokU
***
- I-io sono… Sono senza parole è… E’… E’ bellissima. A cosa… A cosa pensavi quando l’hai composta? -
Alla mia domanda lui ride, mentre scuote la testa. – E me lo chiedi anche? - . Mi si avvicina così tanto che non riesco più a vedere nulla, se non lui. Adesso ci siamo solo noi, tutto il resto può aspettare, deve farlo. Perché noi, ora, non ci siamo per nessuno, neanche per lui.
- A te, amore mio. E’ a te che ho pensato. E sai che ti dico? Io non modificherò la melodia, perché per me sei tu, quella melodia. E io di te non cambierei niente, neanche un dettaglio. - I suoi occhi brillano come fossero gemme, mentre lacrime di cristallo scorrono sul suo bel volto. I miei invece, riflettono le sue emozioni. Io tutta, sono un concentrato di emozioni che non riesco a controllare, bensì sono loro a controllare me.
I nostri sguardi si incontrano.
- Ti amo.-
- Anche io .-
Ma non una parola venne proferita con le labbra. Furono gli occhi a parlare.
 
9 marzo 2011
- Senti, io sto morendo di fame, anche se non so proprio cosa cucinare. Tu hai qualche idea? – chiedo a Max con espressione interrogativa.
- Non so… In frigo ci dovrebbe essere il sugo che avevi preparato ieri: potresti condirci la pasta. Comunque.. Io non ho fame. Credo che andrò a riposarmi un po’ sul divano.-
- Ma… Dovrai pur mangiare qualcosa, non puoi rimanere a stomaco vuoto. Non hai neanche fatto colazione stamattina, se non con un misero caffè. –
- Paige, non insistere. Ascoltami, per una buona volta – risponde Max. – Per favore – aggiunge poi, in un tono che non ammetteva repliche.
- Max, io sono solo preoccupata… -
- Paige… -
- No Max, fammi finire. Ultimamente sei sempre stanco, mangi poco e in più… Sei molto, troppo dimagrito. Si, ok, te lo avrò ripetuto milioni di volte, ma non importa, io… Io ti amo Max, e se c’è qualcosa che non va, sai che con me puoi parlarne. Non capisco perché a dovermi preoccupare per te sono sempre io mentre tu… Tu sei sempre indifferente e pronto a contrariar… -
- Paige, adesso basta, stai esagerando. Andiamo, mi hai descritto come se fossi apatico, insofferente a te e a tutto quello che mi circonda e per di più, sembra davvero che io non mangi mai, il che non è affatto vero… -
- Ah no? – ribatto io interrompendolo. – Ieri hai pranzato?-
- No ma… -
- E l’altroieri? –
- Neanche ma questo non c’entra nulla Paige! Adesso vuoi farmene una colpa se non ho fame? O se ho più sonno del solito? Deve esserci per forza una spiegazione per ogni cosa che faccio, Paige? Non credo, quindi smettila di farti paranoie su paranoie e mangia pure, se ne hai voglia. A differenza tua, io non perdo tempo a giudicare quello che fai. – Poi si volta e sbatte furiosamente la porta, lasciandomi lì in lacrime, impotente, mentre sento le sue parole taglienti come lame penetrarmi dolorosamente nel cuore.
 
Il giorno dopo
Inutile dire che ieri sera ho dormito malissimo. Anzi, non ho proprio dormito, ad essere sincera. Ho continuato a morsicarmi le unghie per tutta la notte, mentre in testa mi ripetevo le sue, e poi le mie parole, desiderando di non averle mai dette.
Non voglio nulla, - il latte fumante, gli invitanti biscotti al cioccolato - se non stringere Max forte a me e lasciarmi tutto alle spalle, come se nulla fosse mai successo o fosse mai stato detto. Mentre mastico controvoglia un biscotto, lo vedo arrivare in cucina e dirigersi verso la macchinetta, per prepararsi il suo famigerato caffè. Spesso i nostri si incrociano, ma essi mettono troppo a nudo le nostre anime e così, li distogliamo. Ma non appena uno dei due si volta, eccoci di nuovo ad osservarci, ma stavolta di nascosto, pronti poi a distogliere lo sguardo di nuovo non appena esso rincontri accidentalmente quello dell’altro.
Così facendo, ci siamo detti - almeno in parte, almeno per il momento - tutto quello che le nostre labbra non trovano il coraggio di pronunciare. Ma, il silenzio, imbarazza sempre chi ha troppa voglia di riempirlo, così proferisco un timido “Buongiorno”, sperando che lui non mi mandi a quel paese o che mi ignori.
Ancora silenzio.
Poi, finalmente, la sua voce.
- Buongiorno. - Prende un respiro, come se volesse aggiungere qualcosa, ma poi non lo fa e tutto ripiomba nel silenzio.
Passano dei minuti, con la lentezza delle ore, poi, lo sento rivolgermi di nuovo la parola.
- Senti Paige io… Ho delle cose da dirti. - Si blocca, in attesa di una qualche mia parola o reazione, ma io rimango in attesa, muta e impassibile.
- Prima di tutto, volevo chiederti scusa per ieri. Sono stato molto brusco e mi dispiace. E’ solo che… Mi sono sentito sotto pressione, ecco. Io ci ho riflettuto e… Ho deciso di assecondarti. -
- In che senso? Cosa intendi per… “assecondarti”? gli chiedo io, senza capire.
- Intendo che ho deciso di andare da un dottore e farmi visitare. Così smetterai di preoccuparti. O almeno, lo spero - conclude Max accennando un sorriso.
- Oh! -. Non credevo mi avrebbe mai presa sul serio, né tantomeno pensavo che prendesse la decisone di farsi visitare, dato che io non glielo avevo mai detto espressamente perché speravo che prima o poi lo avrebbe capito da sè. Così, provo ad esprimergli la mia gratitudine per avermi assecondata, o quantomeno, per aver riflettuto sulle mie parole, per avermi capita: - Io… Io sono contenta. Voglio dire, mi fa piacere che tu abbia deciso di ascoltarmi. Grazie, davvero. -
- Vieni qui, abbracciami. - Non aspettavo altro. Mi alzo e gli corro incontro. Tra le sue braccia mi sento finalmente protetta, invincibile. Forte, ma allo stesso tempo tanto fragile.
- Ehi - mi dice Max con dolcezza, prendendomi il viso tra le mani. Io lo guardo, con gli occhi che mi brillano.
- Ti amo Paige. Non dimenticarlo mai. -
- Mai Max, te lo prometto. -
 
13 aprile 2011
Sono passate settimane da quando Max ha fissato la prima visita, settimane in cui l’ho visto trotterellare da decine di medici che non hanno fatto altro che prescrivergli medicinali e spedirlo da altrettanti medici, come se lui fosse stato un regalo indesiderato. Ho l’impressione che tutti loro stiano girando intorno al problema, piuttosto che risolverlo. E questo non mi piace, né mi fa stare tranquilla.
Max, dal canto suo, continua a dirmi che è tutto a posto, tutto sotto controllo. Io sto provando a credergli, ma, più il tempo passa, e più mi convinco che c’è qualcosa che non va. Naturalmente, sto ben attenta a non farlo trapelare: non voglio stressarlo di nuovo con le mie paure, non dopo essermi ripromessa che avrei smesso di preoccuparmi per ogni cosa. Devo solo stare calma, ed avere fiducia nei dottori.
Proprio ora è ad una visita, nello studio di quel suo amico, Jay. Pare che, in zona, sia uno dei più bravi e preparati. E poi, è davvero cordiale. Anche se, in effetti, non è che mi importi molto di questo: l’unica cosa che desidero è che si decida una volta per tutte - almeno lui - a dirmi come stanno le cose.
All’improvviso, sento le chiavi girare nella toppa.
Ecco, deve essere lui.
Finalmente.
- Amore, sei tornato! - Corro a dargli un bacio, sollevata di vederlo tornare. - Allora, come è andata? - gli chiedo con un sorriso destinato a spegnersi poco dopo, per lasciare spazio ad un’espressione spaurita.
Max è immobile. Gli occhi vitrei fissano un punto indefinito nel vuoto. Il volto è pallido, l’espressione indecifrabile, quasi di ghiaccio, che sembra congelare la casa intera, me compresa. Inizio a tremare: ora sento quel gelo penetrarmi dentro, fin nelle viscere. Il cuore batte all’impazzata, sembra quasi che da un momento all’altro possa uscirmi dal petto, tanto batte.
Poi, di nuovo, quella paura, così forte che mi sento quasi soffocare.
- Max è… E’ successo qualcosa? - dico balbettando. Deglutisco rumorosamente e mi sforzo di apparire tranquilla.
Dopo quella che mi sembra un’eternità, finalmente lo sento parlare.
- Siediti. -
Io lo faccio, continuando a tenergli gli occhi puntati addosso. Mi aspettavo delle spiegazioni, una volta che mi fossi seduta,invece Max continua a rimanere chiuso nel suo silenzio e questo mi innervosisce profondamente.
- Max, parla. Sto impazzendo. -
Niente.
- Insomma, ti decidi o no? E’ da settimane che aspetto di sapere qualcosa. Non hai fatto altro che visitarti, sempre da un medico diverso, ogni santo giorno. E nonostante questo, non una notizia, non una parola. Ora basta, ti prego. Non ce la faccio più ad aspettare. - Scoppio in lacrime, disperata e finita.
Finalmente Max si muove, e si dirige con lentezza verso di me. Prende ad accarezzarmi e ad asciugarmi quelle maledette lacrime che avrei voluto trattenere.
- Paige… - Le lacrime cominciano a scorrere lievi e silenziose sul suo viso sofferente. - Promettimi che resterai calma e che non urlerai o piangerai di nuovo… Niente di niente. Promettimelo, ora. -
- Ok, ok. Te lo prometto - dico, mentre asciugo le ultime lacrime ribelli.
Aspetto immobile. Il tempo si ferma, il mondo intero lo fa, anch’esso in attesa. Max deglutisce, mi prende le mani e le stringe forte. Faccio lo stesso con le sue.
- Paige io… Io ho… Io ho un tumore. Ai polmoni. Mi rimangono pochi mesi di vita. -
- No. No, no, no. Non è possibile, non è vero. - Mi alzo di scatto dalla sedia, continuando a negare, alzando sempre più il tono della voce, fino ad urlare. - Paige, ti prego calmati! Mi avevi promesso che… -
- Calmarmi? - urlo furiosa. - Mi hai appena detto che hai un tumore e che stai per morire e io dovrei… Calmarmi? Eh? - Vado avanti e indietro, nervosa come non mai. Non posso crederci, non voglio crederci, non devo crederci perché, se lo facessi, morirei anche io. Per me non c’è vita che tenga, se lui non può più farne parte. Piango, di nuovo. Tanto, cosa importa di quella maledetta promessa? L’ho già infranta, tutto è infranto. In mille, piccolissimi e taglienti pezzi di vetro, che si conficcano nel mio cuore esausto.
- Paige, neanche per me è semplice accettarlo, credimi. E sappi che a me non me ne frega niente di questo stupido tumore, né ho paura della morte perché nulla, nulla, potrà mai dividermi da te. Non importa dove andrai, io sarò sempre al tuo fianco. Non importa se starai male, ti dispererai o piangerai, io sarò pronto ad asciugare tutte le tue lacrime e a spazzare via tutto il tuo dolore. Non importa se non potrai più vedermi, o toccarmi, o guardarmi, perché io continuerò a farlo… A vederti, a toccarti, a guardarti. Finchè tu vivrai, io non morirò mai davvero, come mai davvero me ne potrò andare. Rimarrà una parte di me, qui, con te. E tu dovrai solo aspettarmi, amore mio. Perché giuro che io tornerò a prendermela, un giorno. E finalmente ci rincontreremo, per non lasciarci mai più, mai Paige. Mai, mai,mai - e dolcemente ci stringiamo l’uno all’altro, mentre ci riversiamo addosso tutto il dolore, la frustrazione, la rabbia, la sofferenza. Ma il tempo no, quello ce lo teniamo stretto, nonostante sappiamo che, inevitabilmente, già ci sta sfuggendo.

6 settembre 2012
Alla fine fu davvero così. I giorni passarono, inarrestabili e uno dopo l’altro, sentivo di perdere un pezzo di me, nonché Max. Io lottavo continuamente affinché lui si salvasse, Max si arrese al suo destino già da subito. Io piangevo afflitta, lui sorrideva. Sempre. E il suo era un sorriso stanco, affaticato dalle chemioterapie, ma rimaneva pur sempre il più bello che avessi mai visto. Diversamente dalle altre volte però, esso non riusciva più a calmarmi o rasserenarmi come una volta, anzi, non faceva altro che aumentare la mia paura, il mio senso di smarrimento…
La mia rabbia.
Verso me stessa, che mi piangevo addosso. Verso Max, che non sembrava aver capito a cosa andava incontro. Verso il dolore, che non ci dava pace. E infine, verso Dio, che aveva permesso tutto questo.
Avevamo mille progetti per il futuro. “C’è ancora tempo, è inutile correre”, ci dicevamo. Al tempo, ormai, ci avevamo rinunciato. Ma a tutte quelle esperienze nuove, fresche e ancora da vivere no. Così, ad uno ad uno, ci incamminammo in tutti i posti in cui avevamo sempre desiderato andare, ci dicemmo tutte le parole, tutti i pensieri che ci passavano per la testa, poco importava se avessero senso o no. Non ci lasciammo sfuggire nulla di quello che ci capitava sotto gli occhi e, a pieni polmoni, respiravamo tutta l’aria e la felicità del mondo e ridevamo forte, fino a che tutta l’aria non veniva a mancarci e a riempirci rimaneva solo il nostro amore e il calore dei nostri corpi che si univano, bisognosi l’uno dell’altro. Ci bastava tenerci per mano, e tutto sembrava congiungersi insieme a noi. Il giorno, con la notte. Le stelle, con i raggi del sole. L’amore, con l’odio. I suoi occhi, con i miei. La mia vita, con la sua morte, che avvenne il 7 luglio, un giorno come tanti, in uno di quei momenti crudeli, di quelli che arrivano quando meno te l’aspetti, come improvvise bufere che minacciano di spegnere il tuo fuoco. Caldo, rassicurante, scoppiettante di vita. Poi, dopo neanche un attimo, rimangono solo le ceneri e lì, ti rendi conto davvero di quanto agghiacciante sia quel freddo, che prima a malapena percepivi.
E il fuoco? Max, come si accende quel fuoco?
Ti supplico, insegnami come si fa. Qui si gela, senza di te.
***
 
Se ora mi guardo intorno, non c’è una cosa che non mi parli di Max. Persino il giorno di oggi, il giorno del suo compleanno. Ma, più di tutto, c’è quel pianoforte. Qualche volta, mi capita di osservarlo e lui, con umile riverenza, sembra chiedermi di tanto in tanto dove sono finite quelle mani delicate che lo sfioravano piano, quelle dolci melodie che esplodevano tra una corda e l’altra… Dove sono? In fin dei conti, neanche io ne ho la minima idea.
L’unica cosa di cui sono sicura è che mancano tanto anche a me. E l’assenza comincia a pesare troppo nel silenzio che, dalla morte di Max, regna nella nostra casa. Così, ho deciso di riempirlo io, quel silenzio. E con altrettante note.
Qualche settimana dopo la sua scomparsa, mi rivolsi ad un insegnante privato di pianoforte, una vecchia conoscenza di famiglia e dopo mesi, finalmente, acquisii l’esperienza necessaria per proseguire da sola il mio studio. Per farlo però, dovevo continuare ad allenarmi, avevo bisogno di spartiti. E non spartiti a caso: io volevo quegli spartiti, che Max conservava chissà dove. Ma io non mi sarei arresa così facilmente: li avrei ritrovati, costasse quel che costasse.
Con pazienza ispezionai ogni angolo della casa, fino a che non li trovai, riposti con cura in una scatola rossa. La aprii, con le mani che mi tremavano, poi ne estrassi gli spartiti, per sfogliarli uno ad uno. Ce n’erano almeno una decina, ed avevamo tutti un titolo, una parola che li rappresentasse. Tranne uno. Ciò mi incuriosii a tal punto che decisi immediatamente di suonarlo. Chissà che non fossi riuscita a darglielo io, un titolo.
Tutto quello che riuscii a fare invece fu versare calde lacrime e provare delle emozioni passate, che credevo essere morte con Max, e invece no: erano lì, in quelle note e aspettavano solo di essere rivissute, come quel mattino di marzo in cui lo sentii per la prima volta suonare. Allora, non gliene chiesi il titolo, tanto ero stupita ed emozionata, come vi raccontai. E in effetti feci bene, perché non ne aveva uno.
Questa melodia allora potrebbe essere qualunque cosa, una diversa dall’altra: l’angoscia, il dolore, la felicità, la gioia, una lacrima, un sorriso, il fiore che sboccia, l’altro che muore. Ma, pur nella loro diversità, ci sarà sempre un punto che le attrarrà tutte verso un unico centro, perché quel punto le ha generate. E’ l’inizio e la fine di tutto, è la mia forza, la ragione per cui tutto esiste, per cui io esisto: sei tu, tu amore mio. Tu, e nessun altro. Tu sei lì, in quella melodia ed io, nota dopo nota, ti ricompongo, pezzo dopo pezzo. Proprio come si fa con i puzzle, con la pazienza che solo chi ama sa avere.
Buon compleanno, amore mio. Conquista pure il cielo, così come hai conquistato il mio cuore, e fanne il tuo reame, dove a regnare sempre sarà il tuo amore, leggiadro come nuvola.

My space:)
Ciaaaaaaaaaao c:
Questa one shot mi è stata suggerita da un sogno, dove io stavo con Max (magaaaaaaaaaari *-*) e avevo la consapevolezza che, prima o poi, lui sarebbe morto per un tumore ai polmoni. Così, non so perchè, ho deciso di ricavarne una storia. All'inizio mi ero bloccata, non sapevo più come proseguire. Poi, in preda ad un attacco inaspettato di ispirazione, ho ripreso a scrivere. Ancora non mi capacito di come sia potuta venire così lunga, dato che scrivere tanto non è proprio nel mio stile. Io sono per l'essere brevi ed essenziali, sempre.
Questa volta ho fatto uno strappo alla regola LOL
E' inutile che vi dica quanto tempo ci ho messo per scriverla, credo che già da soli lo possiate immaginare. L'importante è che, finalmente, io sia riuscita a pubblicarla :D
Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione! Ve ne sarei davvero molto grata se ne lasciate una :) Ah, dimenticavo! Michelle io l'ho immaginata con il volto di Michelle Keegan, infatti ho anche mantenuto il nome :) Poi, il link di Youtube che trovate si riferisce alla melodia composta da Max, ascoltatela se vi va, così saprete come l'ho immaginata :)
Baci,
Monica :)

  
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