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Autore: Macross    14/11/2007    4 recensioni
Questa storia è ambientata nell'universo di Warhammer 40.000. Un'età oscura, tetra, gotica, dove c'è solo guerra e dove l'imprevisto accade su base giornaliera. In questo racconto ho deciso di narrare l'abbordaggio di una Space Hulk (relitto spaziale) da parte di un Capitolo di Space Marine di mia invenzione, maturato durante le interminabili partite a Dawn of War (classica missione a cui sono adibiti i Marines).
Sono ben accetti commenti, suggerimenti e critiche.
Anche chi volesse saperne di più è pregato di contattarmi.
Genere: Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un enorme portone di acciaio e titanio, spesso circa cinquanta centimetri e rinforzato da alcune lastre in adamantio si parava di fronte ai Marines, separandoli dalla sala di controllo principale.
Le decorazioni e gli intarsi d’oro e di bronzo sugli spallacci e sul pettorale dell’Armatura Terminator rilucevano gloriosamente nella penombra, creando una delicata cacofonia di colori sulle pareti di metallo brunito.
Il simbolo del capitolo prendeva fuoco nell’oscurità, mentre i numerosi teschi ricordavano ad ogni Fratello cosa portavano e il loro fine ultimo: la morte.
L’obiettivo della missione era prendere possesso di quella sala, attivare i motori per la navigazione nello spazio normale e portare il relitto spaziale fuori dalla rotta di collisione; proprio per questo avevano attraversato numerose sezioni di corridoi semi abbandonati e polverosi, immense sale maggiormente somiglianti a cappelle e a sacrestie che a baie di contenimento armi o semplici hangar di stoccaggio materiale.
Eccettuato il grosso scontro centrale avvenuto circa quaranta minuti fa e un paio di agguati, non avevano incontrato ulteriore resistenza.
Ciò purtroppo significava una sola cosa: il Patriarca li stava aspettando nella sala di controllo.
Dovevano eliminarlo se volevano raggiungere l’obiettivo. Inoltre, dovevano fare presto: una decina di minuti fa era giunta una comunicazione dalla Malleus Hereticis che avvertiva una forte incremento dell’attività biorganica nella sezione posteriore proprio sotto il ponte di comando del Relitto: la minaccia Tirannide si stava risvegliando in tutta la sua potenza.
Per affrontare questo nuovo pericolo, si era optato per l’invio di una piccola task force composta da un Techmarine, il suo stuolo di servitori e una squadra in armatura potenziata.
Il Techmarine doveva assicurare il corretto funzionamento di un collettore di gas letale: infatti, anche se la quantità di gas necessario all’uccisione di un singolo Genestealer era circa un migliaio di volte superiore alla quantità necessaria a sterminare un essere umano, una volta superato l’ammontare massimo l’alieno moriva come una mosca.
Comportamento assai diverso dagli spasmi muscolari e dalla lenta agonia di un essere umano, ma indubbiamente questo serviva gli scopi del Capitolo.
Purtroppo, non era stato possibile fare lo stesso con la sala di controllo principale: ad un’attenta analisi era emerso che la sala galleggiava (letteralmente) in uno strato liquido multiplo, composto si sostanza altamente reattive se miscelate e strati di materiale ablativo.
Praticamente l’intera sala di comando era un enorme bomba: ogni tentativo di forarla o penetrarla a forza avrebbe causato l’esplosione e la conseguente ingovernabilità della nave.
Nei database Imperiali non c’era nulla di simile a una simile tecnologia, anche se la pratica di distruggere le informazioni vitali non era inusuale. Ma di questo ci sarebbe stato il tempo di discuterne dopo, a missione compiuta.
Il grosso portale, emettendo un suono cingolato che si espandeva lentamente nell’atmosfera rarefatta e stantia, si aprì, rivelando al suo interno un’oscurità che pareva ribollire di migliaia di tizzoni ardenti.
Un faro occasionalmente illuminava un arto, una lingua aguzza terminante con un ovopositore, un artiglio, un piede. - FUOCO!
Sciamarono, come una nube di locuste sui ranghi affastellati dei Terminator.
Frammenti di corazza chitinosa volarono per aria mentre i cadaveri si spiaccicavano al suolo, come pula che si separa dal frumento.
I Cannoni d’Assalto intonavano un monotono cantico di morte, spirali sequenziali di petali di fuoco impattavano ferocemente dilaniando carni ed ossa, mentre i ruggiti di dolore degli alieni facevano da coro all’intera scena.
Ben presto il combattimento divenne ravvicinato, una mischia disordinata sull’icore scivolosa, alla quale presto si unì una buona quantità di sangue di un colore rosso intenso. Non era adesso il momento di cedere. Adesso dovevano dare tutto in un’orgia di furia e morte.
Qua e là si consumava l’estremo eroismo: laggiù un Terminator, ormai con il ventre squarciato, sovraccaricava il lanciafiamme e portava con se almeno una dozzina di mostri, là un altro parava i colpi con lo Scudo Tempesta e rispondeva con il Martello Tuono, rimbombando per tutto il salone.
Poi, lo vide: un’oscenità gonfia, adagiata su un trono. Si drizzò in piedi, sovrastando i suoi figli. Ruggì, e sembrò penetrare nelle menti e nei cuori bianchi, inchiostro di una disperazione assoluta.
Non si scoraggiarono: sapevano che una volta ucciso il Patriarca avrebbero avuto campo libero. - Il Patriarca! Eliminiamo la feccia Xenos una volta per tutte!
Il Capitano si mosse, veloce.
Optò per il lancio di una granata, non un modello normale in dotazione alle forze Imperiali, ma un sofisticato pezzo di artigianato prodotto dai più bravi Artificieri del Capitolo, un piccolo congegno al plasma che era in grado di raggiungere una temperatura di moltissimi gradi. Normalmente un Terminator non sarebbe stato in grado di lanciare una granata, a causa delle dimensioni del maglio ad energia, ma non il Capitano: quello che indossava infatti era un pezzo pregiatissimo, dotato di armi digitali (piccoli laser utili in corpo a corpo) e un lanciagranate integrato con due colpi.
Il proiettile compì un breve volo, impattando sul torace dell’alieno. Ci fu una forte luce a forma di sfera e un gran botto; l’espediente sembrò funzionare: l’enorme bestia ruggì di dolore mentre si reggeva il torace ustionato e carbonizzato.
Approfittando della confusione temporanea tre Terminator, armati con martelli tuono e scudi tempesta, circondarono il Patriarca tempestandolo di colpi; tuttavia l’oscenità aliena era lungi dall’essere fuori combattimento: presto furono eliminati, lo scudo spezzato e il martello rotto, dilaniati da un vortice di possenti artigli e da un morso micidiale, che un uomo comune non avrebbe potuto osservare chiaramente, tanto era veloce.
Nel mentre, vedendo il Patriarca in difficoltà, la furia dei Genestealer era aumentata ancora di più, in una scarica di adrenalina.
I Marines dovevano terminare alla svelta il combattimento, altrimenti non ci sarebbe stata nessuna speranza.
Il Capitano fronteggiò la creatura, sparando a bruciapelo là dove aveva impattato la granata e creando un buco ancora più grosso dal quale usciva il tipico icore acido alieno.
Il Cappellano sia avvicinò da dietro, troncando una gamba con un fortunato colpo di Crozium Arcanum e azzoppando la bestia.
Ma non era ancora finita, anche se prono il Patriarca rappresentava un nemico da non sottovalutare.
C’era solo una possibilità: andava eliminata la testa.
Anni e anni di addestramento e di lotta avevano ormai temprato l’animo guerriero di ognuno dei presenti, ed era compito dei comandanti spronarli ed incitarli al massimo sacrificio, affinché nessuno di loro fallisse il compito di difensore dell’Umanità che gravava come un pesante fardello sulle loro spalle.
Non pensando al sacrificio personale, il Capitano colpì con tutta la sua forza attraverso la prominente dentatura aliena, la quale scattò repentinamente bloccando nel mezzo il maglio ad energia con la semplice forza delle mascelle. Era quello che voleva: innescò direttamente la granata, facendo saltare guanto, mano e la testa del Patriarca. Avevano vinto. Crollarono entrambi a terra. Il sangue stava già iniziando a coagularsi, sul moncherino del braccio, appena si rialzò (a fatica), i Terminator si concessero un urlo di vittoria.
Gli alieni rimanenti sembravano allo sbando: proprio come le api, una volta uccisa la regina veniva a mancare una guida e buona parte dell’istinto combattivo, perciò fu abbastanza semplice liberarsene, nonostante le successive perdite. Fu abbastanza semplice,a questo puro, cambiare la rotta della nave.
Dei venticinque Marines iniziali ne erano rimasti appena otto, tuttavia non avevano né disonorato il Capitolo né erano venuti meno alla loro missione.
Adesso, era giunto il tempo del riposo e della sepoltura degli eroici guerrieri deceduti nell’adempimento del loro dovere, mentre la Malleus Hereticis faceva ritorno a casa viaggiando nello Spazio Warp.
I riti di Sepoltura vennero amministrati nella cappella principale dell’astronave, mentre sul pianeta di Gounax si gioiva per lo scampato pericolo; nessuno avrebbe dovuto abbandonare i propri campi, e i commerci sarebbero potuti proseguire senza intoppi. Si arrivò persino a proporre una medaglia e un riconoscimento al capitano Albertus, proposta che però venne prontamente bocciata quando si venne a conoscenza del passato burrascoso dell’uomo.
Forse, avrebbe avuto altre occasioni per rifarsi, anche se con uno di quella risma non era assolutamente detto.
L’Adeptus Mechanicus sarebbe arrivato di lì a poco, per esplorare il Relitto Spaziale nella sua interezza e per cercare di carpirne i segreti.
Alcune luci adesso brillavano intorno al Relitto: alcune Fregate d’Assalto stazionavano vicino all’immensa forma, ormai piena di cadaveri alieni.
Tutto era tornato alla tranquillità.
Almeno, fino alla prossima missione.
   
 
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