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Autore: Kiki75    27/04/2013    6 recensioni
“Non so più cosa pensare”, sospira Stoick.
“Nemmeno io”, conviene Skaracchio. “Ma tu pensa che sei orgoglioso di lui.”
Una one shot incentrata su Stoick, subito dopo la battaglia con Morte Verde. Rating arancione per qualche descrizione (forse) troppo esplicita.
Genere: Angst, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hiccup Horrendous Haddock III, Sdentato, Skaracchio, Stoick
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Picking up the pieces'
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Fragile
Fragile (How to get to know your son)



“Bé… quasi tutto”, fa Skaracchio, e Stoick Haddock, detto l’Immenso, guarda il suo migliore amico, compagno di tante battaglie, e pensa, Questa volta è andato fuori di testa.

Suo figlio, Hiccup Horrendous Terzo, più semplicemente Hic, unico erede della Tribù dei Bifolki Pelosi, è fra le sue braccia, privo di conoscenza, leggero e bianco in viso come un foglio di carta, le lentiggini ancora più evidenti del solito in quel pallore, la bocca semiaperta, gli occhi chiusi, la tunica strappata, macchiata di sangue e fuliggine. Ha un brutto taglio sopra il sopracciglio sinistro, una bruciatura all’angolo destro della bocca, una sul naso, e perde sangue dalle narici. Più in basso, una ferita all’avambraccio sinistro sanguina pigramente. Dallo strappo nella manica, Stoick può vedere che è piuttosto profonda, ma niente di irrimediabile.

Hiccup è caduto dall’alto, da molto in alto e, malgrado la protezione offertagli dal corpo e dalle ali della Furia Buia, potrebbe essersi fratturato qualche osso… le costole, per esempio. O una gamba. O tutte e due. Ma niente, sommato alle ferite più evidenti, che possa far sputare a Skaracchio, che ama il suo apprendista come il figlio che non ha mai avuto, una battuta agghiacciante come quella.

Le gambe.

Stoick abbassa gli occhi alle gambe di Hiccup, e lo vede. Come aveva fatto a non notarlo prima?

Lo stivale sinistro del ragazzo gronda sangue. Sul terreno polveroso sotto di esso si è già raccolta una piccola pozza scarlatta. La caviglia è piegata verso l’esterno in modo innaturale, e non è un osso spezzato quello che s’intravede sotto allo strappo del pantalone, all’altezza del polpaccio?

“Granbestia!” chiama Stoick. “Sbrigati!”

Suo fratello accorre, ha abbandonato ascia e scudo, e la sacca con gli attrezzi da medico gli ciondola sulla schiena. “Eccomi.”

“Zio, che cos’ha Hiccup?” domanda Moccicoso, che essendo suo figlio si sente in diritto di poterlo seguire, malgrado ne sappia di medicina quanto di buone maniere.

“Vieni via, Facciadimoccio”, Skaracchio lo prende per le spalle, fermo e gentile, e lo spinge via, ma Moccicoso deve aver già visto abbastanza, perché Stoick lo sente esclamare: “Ehi, che è successo alla sua gamba?”

La voce del nipote è preoccupata, Stoick vi riconosce una nota isterica, e non riesce a reprimere un mezzo sorriso. E’ la prima volta che sente Moccicoso preoccuparsi per Hiccup, di solito il ragazzo si riferiva al cugino più giovane apostrofandolo come quell’incapace, o con altri epiteti altrettanto poco gentili.

Mentre Granbestia taglia lo stivale e la gamba del pantalone di Hiccup, Stoick sente Skaracchio ordinare ai presenti di stare indietro. Le voci di Astrid Hofferson e Gambedipesce Ingerman s’ingarbugliano concitate, domandano cosa sta succedendo, e Skaracchio risponde loro qualcosa di vago sul fatto che Hiccup è ferito e deve essere medicato in fretta.

Qualcuno scoppia a piangere, forse è proprio Astrid – è comprensibile, è una femmina, e ha solo quindici anni. Anche Stoick però, guerriero ormai trentasettenne, vorrebbe poter scoppiare in singhiozzi quando, una volta tolto lo stivale, il danno alla gamba di Hiccup si presenta in tutta la sua gravità.

Stoick l’Immenso del Clan Haddock è un Vichingo. E’ un guerriero, un condottiero, un Capo, un cacciatore di draghi. Ha combattuto molte battaglie, ha visto molte ferite, gravi e meno gravi; ne ha subite, anche. Ma questo è diverso. Qui si tratta di suo figlio.

Suo figlio, che poche ore prima aveva diseredato e mandato in esilio, accusandolo di essersi alleato con il nemico.

Suo figlio, sensibile e sarcastico, tanto diverso da lui, che non è mai riuscito a comprendere, né fino in fondo, né appena superficialmente.

Suo figlio, magro e gracile, coperto di lentiggini, dalle espressioni facciali tanto simili a quelle di sua madre.
 
Suo figlio, il suo unico figlio, che lei, prima di morire, gli aveva raccomandato di proteggere.

Suo figlio, che ha attirato tutto da solo quel mostro dietro alle nuvole, e tutto da solo l’ha combattuto e vinto.

E ora…

Skaracchio lo scuote: “Ehi, Stoick. Tutto bene?”

Stoick annuisce.

Ma non va bene. Non va bene per niente. Il piede di suo figlio non sembra più un piede, è gonfio come un pallone da pallarozza, la pelle tesa fino a scoppiare, tumefatta, nera e viola e blu e marrone, fino alla caviglia, che a sua volta è piegata verso l’esterno, a più di novanta gradi. Ma il danno peggiore è più su, a livello del polpaccio, dove l’osso, spezzato, è fuoriuscito in due punti. La parte inferiore della gamba è attaccata a quella superiore solo da un pezzo di carne viva punteggiata di frammenti bianchi, mentre quella superiore è marchiata da svariati, lunghi graffi sanguinolenti che partono leggeri da sopra al ginocchio, per raggiungere verticalmente, approfondendosi, il disastro sottostante. C’è sangue ovunque, e l’emorragia non sembra diminuire.

“Non c’è modo di salvare la gamba”, sentenzia Granbestia, ma né Stoick né Skaracchio avevano bisogno della sua conferma. “Piuttosto, sta perdendo troppo sangue. Bisogna intervenire subito. Skaracchio, accendi un fuoco. Grankartone, cerca di tamponare questo macello con delle bende pulite.”

Mentre Skaracchio e il giovane assistente di Granbestia eseguono gli ordini, Granbestia prepara gli strumenti chirurgici. Attrezzi puliti, dalle lame affilate e appuntite, assolutamente inutili in battaglia, ma perfetti per salvare vite umane, come una volta Stoick aveva sentito dire al fratello.

“Io farò il possibile, ma non garantisco niente”, dice Granbestia, asciutto. Poi passa una mano fra i capelli del nipote: le punte sono bruciacchiate. “Credo che per oggi abbia già esaurito la sua dose di fortuna. E’ stato un miracolo che non sia finito arrosto, o sfracassato al suolo.”

Stoick allora si volta verso la Furia Buia, a pochi passi da lì. Ha perso conoscenza ed è immobile, gli occhi chiusi. L’unico movimento è il lieve alzarsi ed abbassarsi del suo torace nella respirazione, appena percettibile.

Hiccup si è salvato dalle fiamme e dall’impatto con il terreno perché la Furia – Sdentato, come lo chiamava Hic – l’ha protetto avvolgendolo nelle proprie zampe, nelle proprie ali.

Ma come ha fatto a prenderlo, mentre precipitavano entrambi alla velocità di chissà quante miglia all’ora?

Il muso della Furia Buia è pulito, ma le sue zampe anteriori sono macchiate di sangue. In verità, la bestia è macchiata di sangue un po’ dappertutto, ma sarebbe strano il contrario, viste le ferite di Hiccup e le lesioni minori sulla schiena e sulle zampe del drago stesso.

E quegli strani graffi...

Un dubbio, strisciante e atroce, si fa strada nella mente di Stoick.

“Granbestia”, mormora. “Secondo te… come…”

Le parole non gli escono. Non riesce a chiederlo. Ma suo fratello capisce. Solleva la testa dalla gamba del nipote, dove le bende con cui Grankartone ha coperto e tamponato la ferita sono già chiazzate di rosso, e sospira.

“La caviglia sembra spezzata di netto... forse il piede gli è rimasto impigliato nella staffa, o qualcosa del genere”, spiega. “Quanto al resto...” guarda la Furia Buia, poi rivolge di nuovo lo sguardo verso Stoick. “Tutto questo è pazzesco”, mormora. “Quel gamberetto di tuo figlio ha addestrato un drago. Una Furia Buia.”

“Granbestia”, ripete Stoick.

“In qualche modo avrà pur dovuto afferrarlo”, sospira infine Granbestia. “Dal tipo di lesioni, direi che l'ha fatto con gli artigli.”

Ma Stoick non sente più le parole del fratello. Sente invece il sangue salirgli agli occhi, accecandolo, poi alla testa, facendola girare. Non fosse perché tiene Hiccup fra le braccia, si alzerebbe e impugnerebbe l'ascia, e…

“Se quel gattone troppo cresciuto non l'avesse acchiappato per quella gamba e protetto dalle fiamme”, interviene Skaracchio, alle prese con il fuoco, che ormai crepita allegro, “tuo figlio sarebbe finito arrosto. E se non fosse finito arrosto, ci avrebbe pensato l’impatto col terreno a ridurlo a una polpetta.” Skaracchio alza la testa dalle fiamme e fissa Stoick, serio, alzando la mano destra e incurvando pollice e indice a formare una c, i polpastrelli vicini fin quasi a toccarsi. “Se non fosse stato per quel drago, di tuo figlio non ti sarebbe rimasto nemmeno un ossicino lungo così per fargli il funerale.”

Granbestia annuisce. “Il danno alla caviglia era comunque irrimediabile. Avrei dovuto amputare il piede in ogni caso.”

Stoick guarda la Furia Buia. Sdentato. Il sangue che ha alla testa, bollente, sembra lentamente raffreddarsi e ritornare in circolo.

Una gamba in cambio della vita.

Stoick non sa cosa pensare. Suo figlio ha addomesticato una Furia Buia. Gli ha costruito qualcosa come una protesi per l’ala caudale mozza, finimenti appropriati, e ha imparato a volare sopra di lui, come si impara a cavalcare un cavallo.

Pazzesco.

E ancor più pazzesco, è che Hiccup voglia davvero bene a quell’animale. E’ emotivamente, spiritualmente legato a lui. Lo ha difeso nell’arena, poi in seguito, durante il loro scontro nella Meade Hall, e non ha esitato a tuffarsi nelle acque gelide dell’Oceano per salvarlo dall’annegamento.

Ma la Furia Buia vuole bene a Hiccup? Può un demonio come quello provare sentimenti? I draghi non sono semplici animali. Sono creature selvagge, demoniache, macchine da morte volanti e, per quanto ne sa Stoick, non possono provare sentimenti, tantomeno sentimenti di affetto.

Dalla gola della bestia esce un brontolio lieve. Sdentato solleva la testa e guarda in direzione di Stoick, con occhi color verde erba, vitrei e sofferenti, le pupille dilatate.
 
Stoick aveva già guardato in quegli occhi, qualche minuto prima. E ora ha la conferma: quell’animale non parla, ma sicuramente pensa, non come un cane o un gatto o una qualsiasi altra bestia, ma esattamente come un essere umano, e la sua capacità emozionale è la medesima.

Perdonami, sembrano dirgli ora quegli occhi. Perdonami. Era l’unico modo.

O forse è solo Stoick a volervi leggere quella muta richiesta di perdono?

“Grankartone, portami quella lastra di pietra”, ordina Granbestia, prendendo gli strumenti chirurgici che aveva messo ad arroventare nel fuoco. “Okay, mettila sotto alla gamba, mi serve una superficie stabile su cui operare. Stoick, tieni Hiccup per le spalle. Skaracchio, tu mettiti qui in ginocchio e tienigli le cosce. Non si sa mai.”

Stoick stringe forte Hiccup, preparandosi al peggio ma pregando che il figlio non riprenda i sensi. Il suo corpo è minuto e fragile al punto che Stoick teme di rompergli qualcos’altro, nel caso dovesse tenerlo fermo con la forza.

Granbestia lega una striscia di cuoio a metà della coscia sinistra di Hiccup, tanto strettamente da far sbiancare la pelle circostante, poi versa abbondante alcol al di sotto di essa, sui graffi e sulla frattura esposta. “Taglierò qui”, dice, e con la lama indica il punto in cui l’osso si è spezzato, dove ci sono solo carne sanguinolenta e frammenti biancastri. “Sarà un lavoro veloce, l'osso è già tagliato e la parte superiore è in buone condizioni.”

La Furia Buia si muove. A fatica, barcollando e rantolando, si alza. Stoick, Skaracchio, Granbestia e Grankartone la guardano stupefatti. Stoick, d’istinto, stringe a sé Hiccup mentre Sdentato si avvicina al ragazzo, zoppicando sulla zampa anteriore destra.

La Furia annusa la testa di Hiccup, gli da un colpo leggero sulla fronte con il naso umido, gli lecca una guancia con la lingua rosea e biforcuta, poi emette un lamento sommesso. Stoick e gli altri sono allibiti, incapaci di muoversi.
 
Se questo demonio avesse avuto altre intenzioni, ferito o meno, a quest’ora saremmo tutti quanti delle frittelle.

Invece Sdentato, che ha iniziato a emettere un suono simile alle fusa di un gatto, si acciambella vicino a Hiccup, il muso sopra alle grosse zampe incrociate, e lo guarda con occhi apprensivi e preoccupati. In quella posizione sembra davvero un gatto troppo cresciuto, munito di ali e strane, buffe orecchie da coniglio.

“Tu…” mormora Stoick. “Tu… puoi capirmi?”

Sdentato solleva la testa e lo guarda. Occhi verdi, grandi e lucidi e sofferenti e addolorati.

“Dobbiamo fargli… una cosa brutta”, prosegue Stoick. Sta parlando con un drago, ma non si sente affatto un idiota. Ha solo una sensazione di straniamento, come se la sua mente fosse staccata dal corpo e potesse osservare tutta la scena a qualche passo di distanza. “Molto brutta. Dobbiamo… tagliargli via quel pezzo di gamba. E’ l’unico modo per cercare di salvargli la vita.”

Sdentato guaisce debolmente, poi china la testa, riappoggia il muso sulle zampe e sospira.

“Credo che non ci convenga tentare di allontanarlo”, commenta Skaracchio, con un sorriso storto.

“Se resta lì, non mi da alcun fastidio”, conferma Granbestia. “Del resto, non mi sembra ci sia altra scelta, e qui dobbiamo sbrigarci. Allora, pronti?”

Stoick annuisce, e suo fratello inizia a operare, veloce e preciso. In un baleno, la parte inferiore della gamba di Hiccup è separata da quella superiore, ma il sangue, ora, esce di nuovo a fiotti. Grankartone sposta da un lato il pezzo amputato, poi passa a Granbestia un lungo bastone di ferro dall’impugnatura di legno, con una piastra rossa e rovente e fumante all’estremità. Granbestia appoggia la piastra al moncherino, e la ferita sfrigola, lo stesso rumore che fa il cibo gettato nell’olio bollente. L’odore però è diverso, un lezzo dolciastro e metallico, di carne e sangue umani. Stoick conosce quell’odore, lo ha già sentito parecchie volte nella sua vita, ma ora sente lo stomaco contrarsi e ribaltarsi e spera di non vomitare.

Contemporaneamente, Hiccup spalanca di colpo la bocca, inspirando convulsamente in cerca di aria, tendendosi e torcendosi fra le braccia di Stoick, che aumenta la stretta.

“Thor onnipotente”, sibila Skaracchio, che per riuscire a tenere bloccate le gambe del ragazzo deve spostare su di esse tutto il peso del proprio corpo.

Hiccup è piccolo e minuto, facile da tenere fermo, e resta cosciente solo per pochi secondi. Ma Stoick sente gelare il sangue e quasi molla la presa quando il ragazzo, con voce talmente straziata da sembrare irriconoscibile, urla

Basta. Padre, basta, ti prego, fa male. Fallo smettere. Ti prego, fallo smettere.

Poi, grazie a tutti gli dei, perde nuovamente i sensi.

Sdentato alza la testa, mugolando debolmente. Lecca di nuovo il viso di Hiccup, questa volta più a lungo, pulendolo da lacrime e sudore e sangue e fuliggine. Poi riabbassa il capo, appoggiandolo accanto al fianco destro del ragazzo.

Se non capisse che quello che stiamo facendo a Hiccup è per salvargli la vita, questo demonio ci avrebbe davvero ridotti a un mucchio di frittelle.

“Se me lo raccontassero, non ci crederei”, commenta Granbestia, come a conferma dei pensieri di Stoick, lanciando un’occhiata alla Furia. “Stoick, tu non dare troppo peso alle sue parole. Probabilmente, non ricorderà nulla di questi momenti. E’ facile che non ricordi neanche di essere caduto.”

Skaracchio annuisce. “A volte gli dei sono misericordiosi.”

Ma a Stoick, questo non è di alcun conforto. Davvero Hiccup aveva potuto credere che fosse suo padre a fargli del male?

Granbestia termina di medicare il moncherino, suturando dove necessario, disinfettando di nuovo, infine avvolgendo il tutto in bende pulite di lino bianco, fino a metà coscia. Grankartone lo assiste, preparando e passandogli gli strumenti richiesti, e intanto getta nel fuoco il pezzo amputato. Nell’aria si diffonde lo stesso odore di prima, ancora più intenso e penetrante, e Stoick sente le voci dei suoi guerrieri parlottare e bisbigliare, qualcuno sta singhiozzando, qualcuno sta pregando. A questo punto, devono aver capito cos’è successo al figlio del Capo.

“Ora vediamo cos’altro c’è da sistemare”, fa Granbestia, e inizia a tagliare la tunica di Hiccup per esaminare il corpo del ragazzo. Continua a lavorare sul nipote per un tempo che a Stoick sembra interminabile, in silenzio, impartendo ordini a Grankartone di tanto in tanto. Hiccup ha tagli e ferite e ustioni e contusioni più o meno gravi un po' dappertutto. Ha picchiato la testa, e il taglio che ha sopra il sopracciglio sinistro è solo la cima di un grosso bernoccolo. Granbestia pulisce il taglio, dice che guarirà da solo e applica un unguento sulla zona gonfia e livida tutto intorno, fin sotto all’attaccatura dei capelli, e infine gli benda la fronte. La ferita all’avambraccio sinistro è piuttosto profonda, e Granbestia la sutura con una decina di punti, poi la disinfetta e la fascia. Un’ustione sul fianco destro è parecchio estesa, parte dal bacino e arriva fino al torace, ma per fortuna è solo superficiale e Granbestia vi applica una pomata verdastra e trasparente, prima di bendarla. Sempre sul lato destro, le prime quattro costole sono incrinate, la pelle che le ricopre è gonfia, tumefatta e violacea, e Granbestia sentenzia che le uniche cure per questo tipo di contusione sono riposo, tempo e pazienza. La gamba destra, fortunatamente, è illesa, eccetto qualche lieve bruciatura sulla coscia, un livido sul ginocchio e uno sgraffio sullo stinco.

Stoick non riesce a distogliere lo sguardo dal busto nudo del figlio: il ragazzo è davvero scarno e ossuto, le costole sporgenti, il ventre incavato, le spalle esili, le braccia come ramoscelli. Gli avambracci sono coperti da vecchie cicatrici, perlopiù bianche e sottili, che si mischiano alle lentiggini: deve essersele procurate lavorando nell’officina di Skaracchio.

Da vestito, era evidente che Hiccup fosse molto magro, il suo corpo fluttuava negli abiti, sempre troppo grandi per lui… ma Stoick non si era mai reso conto che lo fosse così tanto. Diamine, lui alla sua età lo superava in altezza di tutta la testa, e pesava almeno il doppio.

Da quanto tempo era che non lo vedeva senza vestiti addosso?

E da quanto tempo non si preoccupava che il ragazzo si nutrisse regolarmente? Hiccup era nato prematuro ed era sempre stato piccolo e gracile, ma ora sembrava addirittura denutrito, parecchio indietro rispetto al normale sviluppo di un ragazzo della sua età. Non aveva nemmeno un accenno di barba e baffi sul viso, i suoi lineamenti erano ancora quelli arrotondati di un bambino, e non fosse stato per la voce, che gli si era abbassata circa un anno prima, anziché un Vichingo adolescente di quattordici anni compiuti, in procinto di diventare un guerriero, sarebbe sembrato un bambinetto di dieci.
 
Ammettilo, Stoick: da quanto tempo è che non osservi tuo figlio?

Stoick sente un nodo alla gola. Non riesce a rispondere a quella domanda, perché non ha la più pallida idea della risposta. E’ talmente tanto tempo che non osserva il suo unico figlio che non ricorda l’ultima volta che l’ha fatto.

Che razza di genitore sono mai stato?

Ci credo che ha creduto che fossi io a fargli del male. Averlo diseredato e bandito è stata solo la punta dell'iceberg. Per quattordici anni... l'ho trattato come una noia. Come il singhiozzo che ho sempre pensato che fosse.

Ma gli voglio bene. Gli ho
sempre voluto bene... l'ho sempre amato, almeno quanto amavo sua madre.

Un modo un pò strano per dimostrarglielo, non trovi?

“Ehi”, fa Skaracchio.

“Non sapevo che fosse… così magro”, si lascia scappare Stoick.
 
“E’ un singhiozzo”, ribadisce Skaracchio. “Uno stuzzicadenti per draghi… che ha finito per addomesticare nientepopodimeno che una Furia Buia e ammazzare quel… quel… coso. Quella Morte Verde.”

“Non so più cosa pensare”, sospira Stoick.

“Nemmeno io”, conviene Skaracchio. “Ma tu pensa che sei orgoglioso di lui.”

“Sono stato un pessimo genitore.”

“Nah. Tu e lui siete incompatibili. Era difficile che tu riuscissi a fare di meglio, come suo padre… ed era difficile che lui riuscisse a fare di meglio come tuo figlio.”

“Io gli voglio bene”, esclama Stoick, piccato. “Gli ho sempre voluto bene!”

“Certo. E anche lui te ne vuole. Te ne ha sempre voluto. Uno dei suoi desideri più grandi era diventare come te.”

“Meglio di no”, sbuffa Stoick con un sorriso. “Di Stoick Haddock al mondo ne basta e avanza uno solo.”

Skaracchio ridacchia.




Credits: "Fragile" è una canzone di Sting.

Disclaimer: I personaggi di Hiccup Horrendous Haddock Terzo, Stoick l'Immenso, Skaracchio Ruttans, Granbestia Trippadibirra, Moccicoso Facciadimoccio, Astrid Hofferson, Gambedipesce Ingerman, Grankartone, nonché Sdentato e Morte Verde (che poi nel film viene chiamato Morte Rossa) appartengono a Mrs. Cressida Cowell e DreamWorks.

Se qualcuno riconoscesse nella mia storia idee che ritiene di sua proprietà, mi creda se gli dico che non l'ho fatto apposta, e spero non si offenda.

Infine, preciso che questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


   
 
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