Fanfic su artisti musicali > Mika
Segui la storia  |       
Autore: jjk    30/04/2013    6 recensioni
Capita che tra le lettere dei fan ci sia qualcosa di inatteso.E capita che arrivi una lettera che non ci si immaginava minimamente che potesse arrivare.Una lettera che ha il potere di cambiare la nostra vita in pochi secondi.Una lettera che non possiamo credere di aver ricevuto perché ci porta dritti dentro un sogno
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
questa è la prima ff che scrivo su Mika e in generale su personaggi che esistono davvero questo è un po' un esperimento perciò vi prego di dirmi che ne pensate e, se pensate che faccia schifo, ditelo pure(non mi offendo) e provvederò subito a cancellarla senza alcun problema,ma per favore,lasciate una,anche piccola,recensione.grazie

Le sembrava così strano che stesse per fare una cosa del genere, ma qualcosa dentro di lei le diceva che bisognava farlo.
Al massimo sarebbe andata male, tutto sarebbe rimasto come prima e nessuno avrebbe saputo niente.
Si rigirò tra le mani la busta in cui aveva messo la lettera ancora per un po’.
Oramai la carta portava i segni delle sue dita nervose.
Quasi si vergognava a spedirla così stropicciata, ma non ne aveva altre, quindi si sarebbe dovuta accontentare.
Scrisse l’indirizzo sul retro e lasciò scivolare il cd al suo interno.
Aveva vergato lei stessa le parole che ne indicavano il contenuto, e anche il foglietto in cui spiegava il perché di quella lettera.
Sperava solo che lui capisse.
Non si era mai particolarmente impegnata a scrivere in inglese più del minimo che richiedeva la sua professoressa.
La loro professoressa.
Sorrise e si ricordò che in fondo lo stava facendo per loro.
Fece un profondo respiro e lasciò cadere la busta, che aveva appena chiuso, nella cassetta postale che l’avrebbe portata all’estero.
 
Era una bellissima giornata, il sole splendeva e lui aveva deciso che sarebbe andato al parco vicino casa sua a salutare la primavera, come faceva ogni anno da quando era bambino.
Quando era più piccolo sua madre, il primo giorno di sole di questa bella stagione, portava lui e i suoi fratelli in un prato accanto a dove abitavano, in cui c’era un’unica gigantesca quercia la cui ombra ricopriva gran parte del posto.
Facevano sempre un pic-nic con tutte le specialità primaverili che la mamma conosceva e che a loro piacevano così tanto.
Dopo aver mangiato le sue sorelle si mettevano a fare ruote e capriole sull’erba.
All’inizio lo faceva anche lui, ma non riusciva ad essere bravo nemmeno la metà di loro.
Un giorno, quando si era reso conto che con l’età diventava sempre più goffo  meno atletico, aveva deciso di smettere di provarci e si era seduto appoggiandosi al tronco dell’albero con in mano il suo fedele quadernino che non lasciava mai a casa.
Aveva appena preso la penna dalla tasca quando era sopraggiunta sua madre che, con la grazia che la contraddistingueva, gli aveva sfilato entrambi gli oggetti dalle mani.
"Avrai tempo per scrivere tesoro. Oggi vai a giocare"
"Ma mamma, non sono capace!"le aveva risposto sconsolato.
Un’altra cosa in cui aveva dovuto ammettere di non essere in grado.
Ma lei si era seduta vicino a lui e lo aveva abbracciato, scompigliandogli i folti capelli ricci.
"Guarda tuo fratello"gli aveva detto indicando il bambino di circa 5 anni che cercava di fare una capriola rischiando di rompersi l’osso del collo, che infatti si stava massaggiando.
Malgrado fosse evidente che gli faceva male continuava a ridere e a tentare.
Ogni tanto si girava a controllare che gli altri due membri della famiglia fossero ancora sotto la grande quercia e, solo dopo essersi accertato che non si fossero mossi, ritornava a giocare.
"Ma lui è piccolo!"aveva protestato.
"Allora guarda tua sorella"gli aveva risposto la donna indicando la ragazza più grande che si ostinava a fare una ruota che, se ben ricordava, non le era mai venuta.
"Anche con tutti i problemi che ha non ha mai smesso di provarci. E io sono certa che un giorno ci riuscirà. Magari non oggi, ma ci riuscirà".
Poi lo aveva guardato con quello sguardo strano, a me6tà tra la sgridata e l’incoraggiamento, che lui non era mai riuscito a spiegare.
Che nessuno era mai riuscito a spiegare.
"Se lo fanno loro, perché tu non puoi?"
Lui era rimasto interdetto.
Aveva sempre guardato solo le altre due atletiche sorelle, senza pensare che non era l’unico che cadeva sempre rovinosamente per terra.
La madre, come sempre, aveva perfettamente capito i suoi pensieri.
"Vai.Vai a salutare e a vivere la primavera. Quella che fa fiorire le piante, ma anche quella che fa fiorire le persone. E tu sarai un bellissimo fiore ammirato da tutti" lo aveva incitato nascondendo nella sua borsa alla Mary Poppins la penna e il quaderno, sapendo che lì non li avrebbe mai trovati.
Nessuno trovava niente nella borsa della mamma se non la mamma stessa.
In quel momento non aveva ben capito il significato dell’ultima frase che lei gli aveva detto, ma aveva comunque raggiunto velocemente le sorelle  e il fratellino.
Con il tempo aveva infine compreso che sua madre lo aveva incoraggiato a vivere la sua giovinezza senza essere oppresso dalla paura del fallimento.
Così lui aveva fatto e, dopo che numerose porte gli erano state sbattute in faccia, ora ballava senza poa sul palco facendo acrobazie.
E sua sorella era riuscita a fare la ruota.
Dopotutto le profezie di sua madre si avveravano sempre.
Quel giorno però nessuno era potuto andare co lui.
Suo fratello era partito e le sue sorelle avevano tutte da fare, mentre i suoi genitori erano in vacanza.
Lui però non aveva voluto rinunciare ad andare al parco, data la bellezza della giornata, e per farsi compagnia si era portato il suo adorato quaderno con tanto di penna, fra le altre cose.
Da quando era piccolo ne aveva riempiti tanti, ma quello, con sopra rappresentato un bellissimo quadro astratto, era particolarmente speciale perché glie l’aveva regalato Curtis.
Qualche settimana prima, di ritorno da una mostra, gli si era avvicinato porgendogli un pacchetto.
gli aveva detto mentre da sotto la carta da regalo azzurra cominciava a spuntare la copertina piena di macchie dai colori vivacissimi che creavano buffi disegni in grado di cambiare a seconda di come li si guardava.
Proprio il suo genere, e Curtis lo sapeva, come sapeva che l’azzurro era il suo colore preferito.
Adorava le piccole attenzioni di cui lo ricopriva.
Per gli altri potevano anche sembrare insignificanti, come quel quaderno, ma lui erano di vitale importanza perché erano il segno di quanto teneva a lui.
Ma non voleva pensare al giovane sassofonista in quel momento, quindi rimise a posto il regalo e tirò fuori dalla tracolla che aveva portato con sé le lettere dei suoi fan.
Ci mettevano talmente tanto impegno che gli sembrava da ingrati non leggerle.
Alcuni, non avendo come lingua madre l’inglese, facevano davvero una grande fatica a scrivergli e spesso le loro lettere erano piene di errori grammaticali che, a volte, anzi spesso, lo facevano ridere.
Ma a lui non importava.
Importava solo l’amore e l’affetto con cui le scrivevano.
Ne prese un paio e cominciò a leggerle.
Sorrise vedendo che una conteneva il disegno di un bambino che sul retro, con evidente difficoltà, gli aveva scritto quanto gli voleva bene.
L’altra era di una ragazzina delle medie che gli raccontava di come le sue canzoni l’avessero salvata.
Era contento di ascoltare queste storie perché anche lui era stato salvato dalla musica.
Senza di lei non sarebbe diventato quello che era adesso.
Prese la terza e fu profondamente sorpreso nel notare che era molto più pesante delle altre.
La aprì e dentro vi trovò un disco.
Era evidente che fosse stato fatto in casa e sopra c’rea scritto qualcosa che non comprese bene essendo scritto in una lingua che non era la sua.
In inglese c’rea scritto solo “Ascoltalo”.
Afferrò il lettore cd che gli aveva regalato Curtis per natale, sapendo quanto amava queste cose, e che lui portava sempre con sé e vi infilò rapidamente il disco.
Non fece in tempo a premere play che rimase stregato dalle note che, dalle cuffiette gli si riversavano nelle orecchie.
Non capiva tutte le parole, ma quello che riusciva a comprendere lo colpiva dritto al cuore.
Tirò fuori dalla busta un foglietto di carta con su scritte poche frasi in un inglese scolastico abbastanza buono da fargli comprendere ogni comprendere ogni cosa.
-Ero certo di trovarti qui oggi-esordì qualcuno alle sue spalle facendolo sobbalzare.
Conosceva ogni sfumatura di quella voce, ma in quel momento l’aveva preso alla sprovvista e non era riuscito a riconoscerlo prima di essersi girato verso di lui che lo guardava sorridente, ma cambiò subito espressione quando vide quella del giovane seduto sull’erba.
-Va tutto bene?-chiese preoccupato, avvicinandosi all’amico per capire se era ammalato.
-No. Cioè si. È tutto ok. Devo solo fare assolutamente una cosa di fondamentale importanza-mormorò scansando la mano che si stava posando sulla sua fronte per sentire se fosse calda.
Scattò in piedi, raccolse la borsa e s’incamminò a passo spedito verso casa sua, lasciando Curtis a interrogarsi su quanto fosse strano.
Conosceva lo sguardo che aveva visto sul volto dell’amico, era quello che aveva solo quando era completamente preso da qualcosa, e sapeva che non sarebbe ritornato in sé finché io che lo assorbiva così tanto non fosse stato concluso.
Come faceva quando gli veniva l’ispirazione per qualche canzone.
Sapeva che si sarebbe chiuso in casa per un sacco di tempo.
Tempo in cui lui lo avrebbe “perso”.
A meno che non lo avesse seguito, e quindi così fece, chiudendosi alle spalle la porta dell’abitazione dell’amico che l’aveva distrattamente lasciata aperta.
 
Faceva davvero caldo quel giorno e, malgrado fossero solamente le 14:45, si sentiva già distrutta.
Non vedeva l’ora di potersi togliere lo zaino dalle spalle e buttarsi sul divano.
Grazie a Dio la scuola era quasi finita e presto sarebbero arrivate le vacanze.
Le dispiaceva solo che quell’estate non avrebbe fatto tutti i viaggi che avrebbe desiderato, anzi solo un miracolo l’avrebbe portata via, anche solo per qualche settimana, da casa sua.
Prima di salire in ascensore controllò la cassetta delle lettere.
Quel giorno sua sorella aveva lezione di flauto e nessuno era rientrato a casa, quindi tutta la posta era rimasta lì.
C’erano un paio di bollette indirizzate ai suoi genitori, il nuovo numero di topolino di cui erano fedeli abbonati, qualche pubblicità e, dietro tutto il resto, c’era una busta blu elettrico.
Fu subito incuriosita da quella strana missiva e rimase profondamente sorpresa nel notare che il nome scritto in una bella grafia allegra era il suo.
Nessuno le scriveva mai e quella era stata evidentemente scritta a mano, il che denotava la grande importanza che l’inglese aveva dato a quella lettera.
Poteva capire la nazionalità dello scrivente dal “miss” che precedeva il suo nome.
Era sempre più smaniosa di sapere cosa ci fosse scritto, ma le dispiaceva rovinare quella busta cercando di aprirla con le mani, così aspettò di entrare nell’appartamento e prese subito il tagliacarte.
All’interno trovò un foglio dello stesso colore della busta, ma punteggiato di macchie giallo acceso, che le ricordavano un cielo stellato.
E lei adorava i cieli stellati.
Sorrise immaginandosi il mittente di quella lettera.
Di certo doveva essere eccentrico, magari considerato strano dagli altri, pieno di fantasie.
Un sognatore ad occhi aperti che viveva la vita con allegria cercando di vedere solo il lato positivo  di tutto.
Non poteva sapere se era credente o meno, ma di certo considerava tutto come un dono e si era guadagnato faticosamente tutto ciò che aveva.
Lesse avidamente ogni singola parola cercando di capire tutto quanto, malgrado il suo scarso inglese, e quando arrivò alla fine e vide la firma il suo cuore saltò un battito.
Lei conosceva fin troppo bene chi le aveva mandato quella lettera, la domanda era: come faceva lui a conoscerla?
 
-Mamma devo andare-
-Dove vai?-
-Devo incontrare una persona. È davvero importante! Ne va del mio futuro!!-
-Che cosa vuoi dire?-domandò la donna, ma lei era già uscita.
Sospirò.
Certo che sua figlia era proprio strana!
La ragazza si catapultò giù per le scale.
Era troppo nervosa per aspettare l’ascensore.
Non riusciva a credere che tutto ciò stesse succedendo per davvero.
Le mani stringevano spasmodicamente la busta blu, facendo però attenzione a non rovinarla, era troppo importante per lei ed era anche il suo biglietto d’ingresso per i suoi stessi sogni.
Trovò ad aspettarla accanto al portone una delle sue migliori amiche.
Stringeva in mano una lettera arancione evidenziatore.
Non ebbe bisogno nemmeno di vedere la calligrafia per capire.
-L’hai ricevuta pure tu!-affermò sorridente.
L’altra fece cenno di si con la testa.
-Allora sbrighiamoci o arriveremo tardi. Dobbiamo assolutamente prendere il treno delle 14:30!-
Mise nello zaino che si era portata ciò che fino a quel momento aveva in mano e s’incamminarono a paso svelto verso la stazione.
Il treno passò esattamente nel momento in cui loro arrivarono sulla banchina.
Salirono e destino volle che riuscirono anche a trovare due posti a sedere.
Quello era proprio il loro giorno fortunato.
Dopo un bel po’ di fermate giunsero finalmente a destinazione.
La stazione termini era davvero molto caotica e affollata.
La gente correva da una parte all’altra senza accorgersi di chi aveva attorno, forse per questo l’appuntamento era stato fissato lì in uno degli orari in cui c’erano più persone.
Raggiunsero il bar indicato nella lettera e si guardarono intorno, ma non videro nessuno.
Si sedettero a un tavolino e ordinarono due caffè.
-Forse è stato solo uno scherzo di qualcuno-esordì lei girando il suo cucchiaino nella tazzina anche se non ci aveva messo neanche un po’ di zucchero.
L’amica la guardò divertita.
-Siamo in anticipo  di 5 minuti e i treni qui sono perennemente in ritardo, ricordi? Me l’hai detto tu stessa qualche tempo fa- le rispose armeggiando con la bustina di zucchero di canna.
-Forse hai ragione, ma sarebbe troppo bello se fosse vero quindi non credo verrà nessuno-
-Dagli tempo magari la metro non è passata-
-Ma ti pare che viene con i mezzi?-esclamò ridendo
-Potrebbe essere no?-disse già contagiata dall’ilarità dall’altra.
Appena sollevò la sua bevanda ancora per portarsela alle labbra, qualcuno le picchiettò sulla spalla facendola sobbalzare.
-Sei Giulia?-lei annuì non riuscendo a spiccicare una parola.
-E tu sei Livia, giusto?-domandò un secondo ragazzo riccio, più basso del primo, ma dopotutto il giovane, con i capelli decisamente più mossi che ricci rispetto al compagno, era davvero molto alto.
“Almeno 1,90m” pensò Giulia
-Piacere di conoscervi. Io sono Curtis Stenfield-si presentò il più basso porgendo la mano alle due amiche, subito imitato dall'altro.
-E io sono Mika-
 
ps. le frasi scritte in blu servono per capire quale parte del dialogo è in inglese e quale in italiano quando sono presesnti entrambe le lingue

  
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Mika / Vai alla pagina dell'autore: jjk