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Autore: Damson    01/05/2013    3 recensioni
Questa storia è un adattamento moderno del romanzo di Jane Austen Orgoglio e Pregiudizio. Speriamo che l'autrice non si offenda troppo per le eclatanti modifiche alla trama da noi apportate: purtroppo le abbiamo ritenute necessarie.
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“Non sta evitando te, sta evitando Wickham.” cercò pazientemente di farla ragionare Giovanna.
“E, dato che ci esci in continuazione, non gli stai certo facilitando le cose.” rincarò la dose Carlotta.
Andrea guardò basito Elisabetta, dato che l'amica non faceva altro che offendere Darcy per lui era appurato che le facesse schifo: “Wow! Lisa ma cosa combini? È un super triangolo!” gongolò entusiasta, la cosa si stava facendo più interessante del suo programma preferito Cortesie per gli ospiti.
“Non c’è nessun triangolo chiaro!? Il triangolo è solo nel cervello di Giovanna e Carlotta!”
“Tua madre sarebbe al settimo cielo a sentire una storia così.”
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 4.
Sguardi
 
“Né tu né io
siamo pronti
a incontrarci.”
(García Lorca, Incontro)
 

Darcy si passò per l’ennesima volta le dita sulle tempie, massaggiandole lentamente. Era tutto il giorno che quel maledetto mal di testa non si decideva ad andarsene: non vedeva l’ora di finire la cena e di gettarsi a letto. La parlantina di Bingley e le continue, costernatissime, domande di Caroline stavano diventando una tortura cinese.
“..e poi a un certo punto hanno messo quella canzone di cui non ricordo il titolo.. ma è divertentissima! Così io e Giovanna ci siamo buttati a ballare in mezzo alla folla. E’ stata una delle serate più divertenti della mia vita, lo giuro!”
“Ma per favore Charles!” Esclamò spazientita la sorella, spostando lo sguardo dal povero Darcy verso il fratello “Era un posto squallido pieno di bifolchi! Andrea si è scusato tutta la sera e mi ha promesso di organizzare una serata col Rotary in Versilia per fare ammenda di averci portato in un porcile.”
“Porcile? Ma cosa dici?” Ribatté sconvolto Bingley, il quale credeva fermamente di non essere mai stato prima in un posto tanto divertente e con migliore compagnia.
“Forse tu eri troppo distratto per notare quello che ti circondava! Sono sicura che Fitzwilliam la pensa esattamente come me.”
Il diretto interessato dovette fare uno sforzo sovrumano per costringersi a rispondere: mai come in quel momento aveva desiderato di starsene alla larga dai litigi fraterni… e che Caroline smettesse di chiamarlo Fitzwilliam!
“Direi che questo mal di testa è la giusta punizione per essermi fatto convincere a venire in quel posto.” Detto questo fece cenno al suo cameriere affinché gli togliesse davanti il piatto che aveva appena toccato e gli riempisse nuovamente il bicchiere: se quel posto aveva qualcosa di buono, di sicuro era il vino.
“Suvvia Darcy!” Lo rimbeccò Charles, continuando, da parte sua, a mangiare con gran gusto (il come non si strozzasse con una spina rimase sempre un mistero per l’amico) “Non ti sai godere niente! Nemmeno le belle ragazze che sono state così gentili da passare la serata con noi..”
“Belle?!” Lo interruppe sconvolta Carline “Forse la tua amica, quella Giovanna, può essere considerata una ragazza carina. Le altre lasciamo perdere! Oltretutto, so che è inutile dirlo perché non sapresti distinguere un abito di Armani da un paio di pantaloni di fustagno, ma quelle belle ragazze erano vestite in una maniera vergognosa! Credo proprio di non sbagliare ad affermare che quegli abiti potrebbero tranquillamente averli acquistati in un pulcioso mercatino!”
“..e anche se fosse, non le rendeva meno carine.” Le risposte Bingley, stavolta un po’ infastidito “Ma, evidentemente, sono l’unico a pensarlo!” concluse lanciando un’occhiataccia a Darcy, il quale si sentì in dovere di difendersi.
“Sinceramente non ci ho fatto molto caso, avevo altre cose per la testa e le discoteche hanno l’invidiabile pregio di essere quasi completamente buie; tuttavia, a parte la tua amica, non mi pare di aver visto grandi bellezze. Spero non vorrai farmene una colpa per questo; anzi, accettalo come un complimento.”
“Secondo me anche la sorella di Giovanna è molto graziosa.. mi pare si chiami Elisabetta.”
“Te l’ho già detto, non mi è sembrata niente di che. Ed ora vi chiedo scusa, ma credo sia l’ora di andare a letto, prima che il mal di testa mi uccida qui in sala da pranzo: sarebbe una cosa tremendamente disdicevole.”
Detto questo non lasciò tempo né a Charles di ribattere né a Caroline di augurargli calorosamente la buonanotte che era già a metà della scalinata, diretto verso la zona notte.
Non aveva la minima voglia di continuare ancora e ancora a parlare (discutere) della serata precedente: cosa ci sarà mai stato da dire?!
In verità una cosa da dire c’era; ma era un pensiero fugace che si sarebbe guardato bene da condividere con alcuno dei due Bingley: aveva notato nel corso della serata il volto della sorella di Giovanna (quella che Charles aveva tentato di affibbiargli) farsi divertito e sorridente quando si rivolgeva ai suoi compagni (sì, anche quando rispondeva cortesemente alle domande di Caroline!); ma diventare duro e freddo nei rari attimi in cui incontrava i suoi occhi. Ma forse quest’ultima era solo una sua impressione: era così buio in quel posto infernale e, in fin dei conti, non c’era motivo per cui lei lo dovesse odiare, senza averci scambiato nemmeno una parola.
 
 
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“Lisa! Dove stai andando!?”
“Al bar mamma!”
“Vai a dare una mano a Giò?”
“No, stavolta le farò solo da supporto morale. Voglio correggere il mio articolo in santa pace!”
“Sei sempre a girellare o a fare questa benedetta tesi! Perché non pensi a pulire un po’ casa o a trovarti un fidanzato!? Anche se non lavoro non vuol dire che sono la vostra schiava!”
Se c’era una cosa che Elisabetta detestava della madre, oltre al fatto di essere sufficientemente frivola e soggetta a completi sbalzi d’umore (e no, non era colpa della menopausa: la signora Benetti era sempre stata così fin dalla più verde età), era il viziaccio di urlarle come una scimmia isterica dal piano superiore.
“Falle fare a Lidia le pulizie, visto che è riuscita a farsi bocciare anche quest’anno!” Le rispose, mettendosi velocemente lo zaino del computer sulle spalle.
“Guarda che ti ho sentito!” Rimbombò per le pareti la voce stizzita della diretta interessata “Se quella zoccola della professoressa di matematica non ce l’avesse con me.. e anche quel cretino di italiano!  E’ dal primo giorno che sono arrivata in quella scuola…”
Lisa si chiuse il più velocemente possibile la porta alle spalle e si diresse verso la vecchia Panda bianca del padre. Non aveva fatto in tempo a chinarsi per prendere le chiavi nascoste al solito posto sotto il tappetino (vista l’appetibilità dell’auto avrebbero potuto anche lasciarle inserite nel quadro in piena notte nella periferia di Roma, sicuri di trovarcela il giorno dopo) che una vocetta scandì il suo nome con una cantilena ben conosciuta.
“Cate!” Esclamò la sorella, abbracciandola “Finalmente ti trovo da sola! Tutto a posto?”
“Si dai.. papà non se l’è presa molto per la faccenda dei debiti… Lidia mi ha rubato la scena di nuovo. Però questa volta sono felicissima!”
Scoppiarono a ridere entrambe, ma senza fare troppo rumore per non farsi sentire dalla signora Benetti. Caterina, la minore delle sorelle, era la pupilla di Elisabetta; la quale cercava, pur con risultati non sempre soddisfacenti, di ridurre l’ascendente che la due volte bocciata sorella (di solo un anno più grande) aveva su di lei. Ma l’adolescenza è un’età difficile, e la piccola Caterina, spesso e volentieri non riusciva a sottrarsi all’influsso negativo di quella ventata di energia e stupidità che rispondeva al nome di Lidia. I tre debiti promessi e giunti di fresco ne erano una riprova lampante.
“Già, com’è stato quando è arrivata la lettera della bocciatura? Non sono mai stata così contenta di morire di caldo a Pisa!”
“Un delirio! Papà si è arrabbiato tantissimo.. e la mamma ha peggiorato la situazione prendendo le difese di Lidia.. sai, crede anche lei nel complotto dei professori.”
“Poveraccio...”
“Già, ma è stata una discussione breve. Poi lui si è chiuso il libreria e non è più uscito fino a dopocena; così i miei debiti sono passati in sordina..”
Lisa non poté far a meno di sorridere “Guardiamo di recuperarli a fine estate, eh?”
“Lo sai che Lidia ha detto che vuole smettere?” Disse la sorella, guardandosi bene dal rispondere in qualsivoglia modo all’esortazione.
“Me l’ha detto papà al telefono. Lascia stare, vedrai che ci ripensa quando scopre quant’è faticoso il lavoro e quanti anni si può far mantenere ancora se riesce a passare.”
“Beh.. Alla fine non è meglio? Tanto lavoro non c’è comunque.. almeno uno se lo cerca prima”
Lisa non la pensava esattamente allo stesso modo, ma non aveva tempo di discutere: constatato il ritardo che aveva sulla tabella di marcia, lanciò un grido disperato e si lanciò in macchina.
“Ne parliamo poi, ora devo scappare!!” Urlò, mentre partiva a razzo in direzione del bar.
 
Era stata presuntuosa anche solo a sperare di trovare un tavolino libero vicino ad una presa della corrente dove potesse lavorare in santa pace al computer: orde di tedeschi con ettolitri di cappuccini disseminati sui tavoli si godevano tranquillamente il fresco, al riparo dall’assassino sole dell’una. Lisa si sentì rivoltare lo stomaco al solo odore del latte mischiato a un caldo quasi tropicale.
Avrebbe voluto salutare la sorella, ma stranamente Giovanna se ne stava cinguettando col tizio coi capelli rossi, approfittando di quell’attimo di relativa calma tra un’orda e l’altra di clienti; così la nostra povera eroina dovette circumnavigare in solitudine il perimetro del bar alla ricerca di un tavolo.
Non aveva fatto ancora in tempo a balenarle nella mente un ovvio quanto mai terribile collegamento logico che l’oggetto dei suoi timori se ne stava lì davanti a lei, seduto comodamente al tavolo col suo amato Ipad e il telecomando dell’ Enterprise (che, evidentemente, doveva funzionare anche come cellulare) attaccato all’unica presa presente nel raggio di diversi metri. In quel momento Lisa avrebbe preferito sbarbare il cavo dell’alimentatore per metterci il suo caricabatterie piuttosto che chiedere un favore a quell’antipatico.. antipatico e feticista tecnologico.
Stava quasi per sacrificare l’intero bar per salvarsi, che l’inglese alzò gli occhi e la salutò con un epico “Hallo”.
Lisa rimase probabilmente per più di cinque secondi inebetita a fissarlo, stupita come se lui avesse recitato dei versetti del corano e lei dovesse continuare.
Lo straniero, evidentemente con uno sforzo sovrumano, le rivolse di nuovo per primo parola. Ma questa volta la sorpresa della giovane, per quanto possibile, fu ancora maggiore.
“Può sedersi qui se vuole.” Le disse indicando la sedia di fronte a lui. Tuttavia, nonostante il grande passo avanti che aveva fatto rispetto alla serata precedente Elisabetta rispose malvolentieri alla sua offerta: le pareva che gli inviti dell’uomo le fossero fatti solo perché l’educazione lo imponeva e rivolti con fredda cortesia. Il suo sguardo rimaneva altero e i modi eccessivamente affettati.
“Ma lei sa l’italiano, signor.. Darcy, vero?” Rispose educatamente Elisabetta, sedendosi nel posto indicato e tirando fuori il computer dalla borsa.
“Un po’.” Si limitò a rispondere l’uomo con un marcato accento inglese, facendole un cenno con la testa per rassicurarla che il nome era giusto. In effetti con quel caldo sprecare due parole in più avrebbe potuto essere fatale.
“Posso chiederle come mai? Non credo si studi molto nelle scuole inglesi.”
“No. In effetti, togliendo la letteratura, è una lingua  abbastanza inutile”
Lisa a queste parole si trattenne da fracassargli nella testa l’Ipad… ed era già la seconda volta in due giorni che aveva questo impulso; sarebbe stato meglio, da quel momento in poi, girargli alla larga il più possibile.
“La letteratura non è mica poco.” Si sforzò di sorridergli, osservando di tanto in tanto con estremo astio la barra di caricamento di Windows che non riusciva a fare il suo lavoro: va bene che aveva cinque anni quel computer, ma quella lentezza puzzava di congiura. Magari si era lasciato sedurre dall’Ipad e non si decideva a partire per farla chiacchierare ancora con la persona più antipatica e indisponente che il globo terracqueo avesse mai partorito.
“E’ molto, ma non tutto. Comunque mia zia abita in Trentino e, sin dall’infanzia, mi reco lì ogni anno.”
“Parla davvero bene, complimenti.” Si limitò a rispondere Lisa, con quanta più gentilezza possibile.
“Grazie. Le auguro buon lavoro.”
Detto questo lo straniero si fissò di nuovo con il suo apparecchio mefistofelico e tacque, come se gli avessero improvvisamente applicato un quintale di silicone sulla bocca.
Elisabetta ringraziò mentalmente l’improvviso mutismo del suo compagno e, dopo essere finalmente riuscita ad aprire la cartella della tesi ed il relativo documento word, si mise a rileggere il sudatissimo lavoro. Non prima di aver fatto un salto su Facebook, naturalmente.
Come di consueto non poteva mancare tra i messaggi di posta uno della fedele Carlotta, latore  della cretinata quotidiana. Tuttavia, Lisa non poteva prevedere né sospettare era che l’oggetto dell’ironia dell’amica, stavolta, fosse proprio il suo simpatico compagno.
Quando apparve sulla schermata del computer la scritta nera in campo celeste “A primo impatto mi eri un po’ antipatico, però conoscendoti ho capito che mi ero sbagliata. Mi stai proprio sul cazzo” l’effetto fu tanto travolgente quanto improvviso: la nostra eroina non poté trattenersi dallo scoppiare a ridere in faccia al povero Darcy, il quale alzò gli occhi stupito.
“Deduco che il suo lavoro sia molto più divertente del mio”
Se l’intento del piccolo Lord voleva essere quello di fare una battuta, Elisabetta (la quale aveva ormai bollato l’inglese come un vecchio scorbutico) non la prese proprio così.
“Mi scusi se l’ho disturbata.” Rispose piccata “Ha per caso finito di caricare il cellulare? Perché avrei bisogno della presa per il pc”
L’uomo aprì un attimo la bocca per correggere le parole e dirle che forse aveva mal interpretato la sua frase; ma, dopo averci riflettuto qualche secondo, decise di tacere. Fece un segno di assenso e si affrettò a liberare il prezioso oggetto della contesa.
 
Passarono così un intero pomeriggio in silenzio, durante il quale Lisa ebbe la spiacevole sensazione che lo straniero spesso alzasse lo sguardo e si fermasse a fissarla con insistenza, per poi abbassare di nuovo gli occhi non appena veniva colto in fallo. Che voleva da lei? Ce l’aveva ancora per essergli scoppiata a ridere in faccia? Ogni sguardo di quel borioso le pareva un’accusa, come se non potesse far a meno di contemplare l’oggetto del suo disprezzo.
Passi il fatto di non essere era abbastanza bella per tentarlo (come se poi il signorino fosse un modello di Armani), ma adesso stava esagerando!
Dopo due intere ore di terribile tortura psicologica, Elisabetta decise di alzarsi e di andare a finire la l’articolo a casa. Le grida isteriche della madre erano nulla rispetto a quella situazione fastidiosa e imbarazzante.
Spense il computer e lo tirò letteralmente in borsa, cercando di fare il prima possibile per evitare eventuali convenevoli. Tentativo che si arenò vergognosamente sul principio.
“Se ne va?” Chiese Darcy, tornandola a guardare con quell’espressione strana.
“Già, si è fatto tardi.” Biascicò lei a testa bassa e fece per alzarsi, ma un pensiero la bloccò sulla sedia “Certo che potresti darmi del tu.. mi fai sembrare vecchia.”
Si sforzò di sorridere. Anche se pareva più un sorriso di sfida che di gentilezza.
“Come preferisci, volevo solo essere educato.” Rispose l’uomo, guardandola con un’espressione incredibilmente raddolcita “A casa di mia zia è praticamente obbligatorio.”
“Come siete formali!”
“Mia zia è un tipo.. particolare.”
“Dev’essere una caratteristica di famiglia.”
La frase le uscì di bocca istintivamente, prima che potesse mordersi la lingua: sapeva di aver esagerato, ma evidentemente era più forte di lei dire sempre quello che le passava per quella testolina iperattiva. Se il diretto interessato le avesse sfracellato il telecomando dell’Enterprise nei denti avrebbe avuto tutte le ragioni del mondo.
Tuttavia Darcy, non solo non tentò di ucciderla, ma non parve nemmeno offeso. Sgranò solo gli occhi per un impercettibile secondo, preso in contropiede dalla confidenza della ragazza e le sorrise conciliante.
“Le sembro.. ti sembro così strano?”
“No.. sei solo così… come posso dire?.. Inglese, ecco..”
“E questa sarebbe un’offesa?”
“Assolutamente no, se si eccettua il colore bianchiccio della vostra pelle.” qui Darcy la fulminò con lo sguardo “Intendevo dire che te sei il più inglese degli inglesi.. Non mi stupirebbe che ordinassi il pudding ogni domenica.”
“Chi ti dice che non lo faccia?”
“Castiglione è un paese così piccolo che certe scandalose notizie trapelerebbero immediatamente.”
“Allora è una immensa fortuna per me che odi il pudding” Le sorrise l’uomo, chinando leggermente la testa, come se fosse costretto ad una vergognosa ammissione. “Ma io ti sto trattenendo un po’ più del dovuto. Ti farò fare tardi.”
Lisa si riscosse, pareva quasi che se ne stesse andando perché voleva allontanarsi dal piccolo lordino snob! Fece finta di dare un’occhiata preoccupata all’orologio.
“Ho un appuntamento con degli amici per vedere la partita, se non mi sbrigo arriverò a primo tempo già ampiamente iniziato.”
Darcy, da gentlemen qual era, evitò di farle notare che la partita sarebbe iniziata tra più di tre ore e optò per una cortese saluto.
“Allora ti lascio andare e non preoccuparti: gli irlandesi non sanno giocare a calcio”
Dopo queste ultime parole la nostra eroina decise che era giunto il momento della fuga strategica prima che iniziasse a non trovarlo poi così antipatico.
 

  
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