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Autore: Florinda_Joh    02/05/2013    1 recensioni
Vi siete mai chiesti quale potrebbe essere il vostro potere se foste supereroi? La risposta a questa domanda è praticamente scontata per una come Abbie, una ragazza troppo impegnata a fantasticare nel suo mondo inventato, per accorgersi di ciò che realmente la circonda. La vita di tutti i giorni è così noiosa! Ma che succederebbe se ad un certo punto si rendesse conto di avere un grande super potere leggendario e di non essere la sola? Riuscirebbe a portare a termine l'incarico a lei affidatole di paladina della giustizia o alla fine la sua sbadataggine avrebbe il sopravvento, senza lasciarle nemmeno il tempo di reagire?
Una volta qualcuno affermò: "Da grandi poteri derivano grandi responsabilità."
E Abbie prontamente rispose: "Naah, la verità è che è davvero una figata!"
Genere: Avventura, Comico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Primo: Io odio le rane.

Da grandi poteri derivano grandi responsabilità.
“Naah, la verità è che è davvero una figata!” Esclamai alla televisione, pescando dal sacchetto un paio di marshmellow.
Serata perfetta: niente genitori, casa libera… un bel film di supereroi e cibo in quantità, era proprio quello che ci voleva. Li avevo visti, oltre che letti, tutti: dai classici Batman, Superman e Lanterna Verde all’imprevedibile Hit Girl e la sua combriccola. Li amavo, erano la mia vita. Avrei fatto di tutto per poter entrare a far parte di quel mondo sensazionale.
Sfogliai uno dei miei numeri di Star Wars a fumetti, non saranno stati supereroi, ma anche loro sono davvero epici. Sarebbe stato davvero fantastico se io fossi diventata, che so, la donna invisibile! Beh, se per invisibile si contava anche il non essere per nulla calcolata a scuola, allora ero la miglior donna invisibile di sempre, ma quella era un’altra storia. Sorrisi, meglio questo che niente. Infondo tutti erano dei supereroi, insomma, più o meno, soprattutto per quanto riguarda i super-rompipalle, quelli sono sensazionali e maledettamente onnipresenti.
La cosa sconveniente per un supereroe però è che si ha sempre un punto debole, vedi Nembo Kid e la Criptonite, vedi Iron Man e i suoi pezzettini di quel dannato qualcosa perennemente conficcati nel petto.
Sono i rischi che si corrono a salvare il mondo, eh, è pieno di folli cattivi in giro.
Alla fine il potere di ogni supereroe deriva dalle proprie paure e insicurezze. Vengono superate e, quasi esaltandole, trasformate in un’arma invincibile. Prendete Hulk, per esempio. È questo il vero insegnamento dei fumetti, il fatto che si può superare ogni sorta di barriera solo credendoci. Con questi sentimenti romantici nel cuore, mi accoccolai sotto le coperte: ormai il mio film era giunto ai titoli di coda, così spensi. Chiusi gli occhi un attimo, dopo aver salutato tutti i mille mila poster attaccati in camera (il mio preferito era una gigantografia spettacolare di Loki e suo fratello Thor che bevevano una birra, non aveva molto senso, ma era questo che lo rendeva così speciale). In un attimo fui nel mondo dei sogni.

La sveglia risuonò come un trapano nella mia testa. L’afferrai e la volli sbattere a terra, ma pima che potessi farlo vidi che ore erano: le 7.58 precise. Dannazione, ero notevolmente in ritardo. Mi buttai giù dal letto, capitombolando sul pavimento in meno di un nanosecondo, alzandomi inciampai nel caricatore del cellulare e fui di nuovo a terra. Santo cielo, quanta sbadataggine! Esasperata mi precipitai fuori dalla stanza, buttandomi sotto il rubinetto del bagno: acqua gelata, giusto per svegliarmi. Pettinai un po’ a grosso modo i miei capelli indomabili. Mi vestii con che capitava e per un qualche miracolo fui fuori casa in poco più di un quarto d’ora. Senza perdere un solo istante, fregandomene del semaforo, mi gettai in strada, sotto una miriade di clacsonate ed imprecazioni: non potevo mollare, ce l’avevo quasi fatta. Manco Flash Gordon, attraversai il corridoio scolastico e in un balzo planai sul mio banco, un secondo prima che il prof entrasse in aula. Con ancora gli artigli ben piantati nel legno ed il fiatone mi sedetti, mi sentivo Wolverine. Mi sistemai gli occhiali sul naso, dannazione, non volevo nemmeno sapere in che stato fossero i miei capelli.
Passarono quarantasette fantastici minuti con il prof impegnato nella sua spiegazione, gli altri che lo seguivano e io che fantasticavo senza sosta su una supereroina di mia invenzione, di nome Pep-Girl (che letteralmente significa Ragazza-Energia), che riusciva ancora una volta a salvare il mondo. Ero arrivata all’apice della scena centrale della storia, in cui Pep combatteva contro un mostro marino a 5 teste, quando la porta dell’aula sbatté e LEI fece il suo ingresso. La guardai indispettita, era arrivata con più di tre quarti d’ora di ritardo, aveva portato caos in classe e, quel che era peggio, aveva interrotto il mio elaborato sogno ad occhi aperti. Alla richiesta di spiegazioni, aveva risposto al professore in malo modo e si era svaccata sulla sedia, continuando per tutto il tempo a masticare rumorosamente il suo chewing gum, giocherellando con i suoi capelli biondi e blu. Sì, dannazione, aveva delle ciocche blu. Ma che era? Si credeva migliore degli altri? Si sentiva superiore? (Ovviamente sì e l’avrei scoperto lo stesso giorno).
La cosa inconcepibile era poi che l’insegnante non l’aveva nemmeno richiamata, lasciandole fare ciò che voleva. Accadeva sempre così. Elizabeth Perrish non aveva mai fatto un compito in vita sua, mai ascoltato una lezione, mai nulla di nulla e nessuno le aveva mai detto niente. Due anni che la conoscevo e nessuno l’aveva mai infastidita anche solo per sbaglio. Non riuscivo a crederci, probabilmente la sua famiglia era una delle più ricche della città, quindi per lei era facile ottenere delle promozioni regalate… Ma da lì al non essere mai ripresa ce ne passava. Non ci eravamo mai parlate, nemmeno un ‘ciao’ all’ingresso. Sinceramente non sapevo nemmeno se conoscesse il mio nome o, più semplicemente, se fosse consapevole della mia esistenza.
Oltre ai fumetti, Elizabeth Perrish era il mio pensiero fisso e, naturalmente, la odiavo.
Passai l’ennesimo intervallo a scarabocchiare assurde storie su Pep-Girl, mentre un paio di altre ragazze spettegolavano al banco affianco al mio. Non si curavano di me, perché poi avrebbero dovuto? Amavo la mia solitaria tranquillità e, sì, ero proprio la donna invisibile, per chiunque.
Per un attimo mi sentii osservata, mi voltai e vidi Elizabeth guardare dalla mia parte, alzare un sopracciglio e poi ritornare alle sue occupazioni. Fui molto sorpresa, ma alla fine mi convinsi che in realtà me l’ero soltanto immaginato. Lei non passava mai l’intervallo sola, era sempre circondata da ragazzi e ragazze: conversava con loro, ma sempre con un certo distacco, come se stesse in realtà pensando ad altro… Come se non gliene importasse nulla di loro, sentendosi superiore e ciò m’irritava parecchio.
L’ora dopo eravamo nel laboratorio di scienze, la professoressa aveva deciso che eravamo grandi abbastanza per le dissezioni. Il solo pensiero mi faceva rabbrividire, eravamo appena in terza e con la sbadataggine che mi ritrovavo e un bisturi in mano, avrei certamente combinato qualche danno.
Arrivata in laboratorio mi tremavano le mani, ma silenziosamente mi sedetti al mio posto, dove mi attendeva la bestiola. Era lì, stecchita e, sinceramente, mi faceva una gran pena. Perché noi americani dobbiamo essere fissati con Galvani e la sua diamine di pila?! Non distolsi mai lo sguardo dalla povera creatura per tutta la durata della spiegazione e, ovviamente, non sentii nulla. Ero troppo concentrata, troppo colpita per fare qualunque altra cosa. E fu in quel momento che il miracolo si compì. Prima ancora che potessi sfiorarla la zampa della rana si mosse. Strabuzzai gli occhi, convinta di aver sognato e lasciai cadere i miei strumenti sul bancone.
“Che succede laggiù?” Chiese la professoressa.
“Nulla, nulla!” Risposi in fretta, tentando di nascondere la mia agitazione, ma non ci riuscii molto. In un attimo sentii gli sguardi accusatori dei miei compagni, me li sentivo addosso: ero schiacciata dai loro pensieri negativi. Scossi il capo imbarazzata e continuai, fingendo che nulla fosse successo.
Non passarono nemmeno cinque minuti però che la rana si mosse ancora, questa volta con entrambe le zampe. Io, terrorizzata e non sapendo che fare, gli fui addosso, ma nel preciso momento in cui la toccai, quella spalancò i suoi grossi occhi gialli e mi fissò. Io non mi mossi, fra il basito e lo spaesato, ma che diamine stava succedendo?! Volevo urlare, volevo dire al mondo che qualcosa di strano stava accadendo alla mia rana, resuscitata anche in meno di tre giorni. Ma non dissi nulla, in quel momento avrei desiderato davvero essere la donna invisibile, per poter sparire, fuggire, tornare nella mia sicura camera fra i miei amati poster e nerdate. La verità era pure peggio del resto: non potevo fuggire, io non avevo superpoteri. Feci questo ragionamento in un paio di secondi, fin quando cioè la bestiola non decise di ribellarsi definitivamente alla mia stretta. La rana infatti iniziò furiosamente a dimenarsi, così, di colpo, quasi fosse indemoniata. Dal canto mio tentavo in tutti i modi di fermarla, ma invano: sembrava avesse preso la forza di un reggimento. Ad un tratto l’animale dette uno strattone così forte da sfuggirmi letteralmente dal bancone e finire (non capii mai come) proprio sulla testa della professoressa, che si mise ad urlare. In quel momento, come prese da una reazione a catena, tutte le rane si rianimarono e cominciarono a saltare ovunque, fra le grida dei presenti. C’era chi correva, chi saliva sulle sedie, ma nulla, non c’era scampo: tutti in un batter d’occhio vennero attaccati dai viscidi rettili verdi.
Io ero immobile, non riuscivo davvero a capirci nulla, ma che era successo? Quale misterioso capovolgimento d’eventi poteva aver portato a quello sfacelo? Mi detti un pizzico, ma ancora niente: evidentemente non stavo sognando. Improvvisamente uno strano pensiero mi avvolse la mente: ‘Sono stata io?’ Mi guardai attorno: le rane avevano ormai conquistato il laboratorio, rompendo una marea di ampolle di liquidi colorati ad ogni balzo.
Ad un tratto mi sentii afferrare il polso. “Vieni con me.” Mi disse Elizabeth, poco prima di trascinarmi fuori dall’aula.
“Ehy, che diavolo…” Tentai di ribattere, ma ormai era troppo tardi: mi aveva agguantata e non aveva nessuna intenzione di mollarmi. Che cosa voleva? Da me, poi! Perché proprio in quel momento?
“Era anche ora.” Sbottò, quando decise di fermarsi, eravamo nell’aula video.
“Ora di cosa?” Chiesi con un filo di voce, la sua sola presenza mi metteva in soggezione.
Quella sbuffò inviperita, dannazione, l’avevo fatta infuriare e non sapevo nemmeno come!
“Senti, Abbie, - Conosceva il mio nome? – non dovrei essere io a parlartene, però, sì, era ora. È dall’inizio dell’anno scorso che ti tengo d’occhio e finalmente hai dato qualche segno decente del tuo potenziale.”
Io rimasi immobile, sconcertata. Prima le rane e poi questo, ma che… Mi detti un altro pizzico.
“E piantala!” Mi rimproverò lei, “Non è un sogno, questa è la vita reale!”
“Io non capisco, cosa stai cercando di dirmi?” Trovai finalmente le parole per parlare.
“Tu, tu sei un supereroe!” Quasi urlò esasperata l’altra.
Mi portai una mano alla bocca sempre più incredula e scoppiai in una fragorosa risata.
L’altra si rabbuiò, parve molto irritata. “Ah, così non mi credi.”
“Ehm, io, veramente…” Tentai di farfugliare qualcosa, la sua espressione in quel momento mi terrorizzava.
“Ok, e va bene. Non volevo farlo, ma non mi lasci altra scelta.” Tagliò corto lei.
In quel momento accadde qualcosa d’inaspettatamente assurdo: i miei piedi non toccarono più terra e io mi misi a fluttuare fino a sfiorare con la testa il soffitto. Con gli occhi fuori dalle orbite per la paura mi affrettai a strillare: “Mettimi giù, mettimi immediatamente giù!”
“Ora mi credi?” Chiese lei fredda.
“Certo! Certo!” Urlai dalla disperazione.
Vedendomi bianca come un cencio e probabilmente spinta da un qualche senso di rimorso, chiese: “Credo di aver un filino esagerato, non volevo spaventarti così… Pensavo che la tua reazione sarebbe stata diversa. Ti senti bene? Dannazione, se ti capita qualcosa quelli lassù mi ammazzano.”
“Sì…” Risposi io qualche istante dopo essermi ripresa. “Ma come..?” Chiesi.
“Beh, contando che tu sei abbastanza esperta di fumetti e cose del genere… Dovresti dirlo tu a me!” Rise. “Il mio vero nome è Litz-Noose, cerca di non dimenticarlo.” Disse alla fine.
 “Abbie, io sono Abbie…”
“Non ancora per molto, te lo dico io. Ora muoviamoci, siamo in ritardo con la tabella di marcia.” Detto questo mi allungò la mano, “Vuoi venire o no?”
Incerta, ma sempre più incuriosita l’afferrai e dopo un ‘Tienti forte’, sentii di nuovo i piedi staccarsi da terra, ma questa volta era diverso: era estremamente piacevole.
In un lampo fummo in cielo e cominciammo a volare a grande velocità, sempre più in alto. Era qualcosa di stupendo, indescrivibile, non riuscivo nemmeno a rendermene conto, troppo presa dal paesaggio. Se quello era un sogno era di gran lunga il migliore che avessi mai fatto.
“Ma dove mi stai portando?” Chiesi, mentre il vento mi scompigliava i capelli. E la scuola? La mia famiglia? Che avrebbero pensato tutti? Per la prima volta in vita mia ero davvero felice di non essere, almeno per qualcuno, la donna invisibile.
“Aspetta e vedrai, devo sempre dirti tutto io? Già ciò che sai è fin troppo, ma, come già detto, siamo in ritardo ed è solo colpa tua.” Mia? Ma che avevo fatto? In quel momento non m’importava.
“È meraviglioso..!” Esclamai tutt’un tratto.
“Lo so, bello il mio potere, eh?” Annuì.
“Molto meglio del tuo!” Concluse, guardandomi con sospetto.
Solo una cosa era certa: non sapevo ancora come classificare quella ragazza fredda, cupa e dai poteri così meravigliosamente letali.

Quando i miei piedi toccarono nuovamente il suolo erano passati appena 10 minuti, ma dalla nostra partenza mi sembravano essere trascorsi anni. Tutto ora mi sembrava più logico, limpido, finalmente c’era qualcosa per cui valeva davvero la pena: esistevano davvero esseri dai poteri straordinari e unici. E io? Facevo davvero parte di questi? Mi erano stati aperti gli occhi, in un attimo tutto mi sembrava nuovo, ma al tempo stesso famigliare. Sarebbe stato davvero difficile descrivere le mie sensazioni, ma quello era appena l’inizio.
Ci ritrovammo in un pese in cui non ero mai stata, un grumolo di abitazioni affianco al mare. Casette bianche, dai tetti azzurri, non molte, il che mi sorprese molto contando quanto fosse grande il campanile proprio nella piazza centrale. Fu lì che fui lasciata, proprio sul tetto della grande chiesa, che mi resi subito conto essere protestante.
“E ora dove vai?” Squittii preoccupata.
“Aspetta qui, torno subito.” Mi rispose velocemente l’altra, poco prima di buttarsi giù.
Mi guardai attorno, non c’era nessuno e non avevo la minima idea di quale parte dello stato mi trovassi. Camminai su e giù un po’ incerta, sperando che come minimo quella squilibrata di Litz-Noose non si fosse dimenticata di me. Mi sporsi per guardare in basso, accidenti, era davvero alto!
“Occhio a non scivolare.” Mi sorprese una voce, mi voltai di scatto e una ragazza mi era affianco. Dannazione, quand’era arrivata? Non l’avevo nemmeno sentita!
“Sarebbe un peccato perderti proprio adesso!” Rise divertita, aveva un bel sorriso e i capelli nocciola legati in due trecce.
“E tu chi sei?” Chiesi, per nulla spaventata. La sua presenza mi emanava una strana sensazione di tranquillità e lietezza.
“Mi chiamo Ella Robert, anche se il mio vero nome è Nixer. Nix significa vuoto.”
“Nixer? Significa che pure tu sei…” L’altra annuì, poi d’improvviso scomparve. Io sobbalzai sul posto, quel giorno ne avevo viste davvero tante.
“Ehy, sono qui!” Ridacchiò lei alle mie spalle: quando mi voltai era seduta a gambe a penzoloni sulla tettoia del campanile.
“Ti sai teletrasportare?!” Esclamai tutta estasiata in quell’istante.
“Non esattamente.” Mi rispose, comparendomi questa volta difronte. Era una ragazza davvero graziosa, con due lunghe trecce che le arrivavano quasi lungo i fianchi, di un intenso color ramato. Il suo naso, un filino a patata era contornato da una fitta rete di lentiggini. I suoi occhi erano nocciola, con piccole venature verdi che sembravano raggi solari. Non avevo mai visto nulla del genere.
La nostra chiacchierata fu interrotta dall’arrivo improvviso di Litz-Noose: “Non state lì a perdere tempo: i vecchi ci aspettano.” Brontolò, aprendo una porta dietro ad una guglia che nemmeno avevo notato.
“I vecchi?” Chiesi, seguendola.
“No, no, non si chiamano vecchi!” Mi spiegò Ellenix, “Sono solo l’Alto Consiglio dei Supereroi, i più antichi della storia, per essere precisi… Anche se Litz non ha tutti i torti perché, sì, un po’ vecchi lo sono.”
“Sono ‘solo’ l’Alto Consiglio dei Supereroi?!” Mi luccicarono gli occhi, ma esisteva davvero un qualcosa del genere?? Non ci potevo credere.
“Cerca di non eccitarti troppo, non è tutta questa cosa straordinaria.” Mi zittì Litz-Noose, ma non riuscì proprio a placare il mio entusiasmo. Ormai la mia mente era partita: correva dietro a mille mila idee e fantasie intrecciate attorno alla figura dei Cinque Saggi e Leggendari sovrani a capo del mondo dei supereroi. Uno per ogni angolo del mondo, tutti provvisti di una lunga barba bianca e con lo stesso potere: il saper manovrare i quattro semi della vita: fuoco, terra, aria e acqua. Magnanimi e corretti con i bisognosi, ma brutali e spietati all’occorrenza. Cinque dei immortali, superiore perfino a Thor e al suo martello di fulmini.
Bruscamente tornai alla realtà, ritrovandomi in una grande sala dalle pareti in marmo dorato, con una luce bianca che entrava da un’enorme finestra decorata con argentati ghirigori geometrici. Mi si ruppe il fiato quando infine una voce parlò: “Venite pure avanti.” Era maestosa e autoritaria, proprio come quella che mi ero immaginata appartenere ad uno dei cinque saggi, magari il più anziano. Ci avvicinammo con passo lento, mentre le nostre ombre venivano disordinatamente proiettate alle nostre spalle. Più camminavamo e più sentivo sulla mia pelle avvampare dal calore della luce. Vidi una sagoma, c’ero: ancora pochi passi e avrei saputo da dove tutto era iniziato, quali erano i meandri e i segreti di quel mondo, perché mi trovav…
Litz-Noose in quel momento applaudì per tre volte e la sua voce ruppe il silenzio dell’enorme sala: “Bravi, bravi, vi siete divertiti abbastanza, no?” C’era dell’impazienza nella sua esclamazione. Io non capii, così mi voltai a guardarla, ma appena misi gli occhi su di lei la sala era scomparsa. La sua luce, il suo marmo, il suo calore, erano stati improvvisamente sostituiti da un normale studio, molto simile a quello di un qualunque avvocato. Le pratiche e i fogli erano ovunque, scaffali e scaffali colmi di libri e polvere. Disorientata sentii girarmi la testa e scivolai all’indietro.
“Eh, lo so, la prima volta è sempre così. Dopo un po’ ci si fa l’abitudine.” Disse Ellenix, comparendomi alle spalle con una sedia, sulla quale mi buttai.
“C’era bisogno di tutto questo?” Chiese ancora più spazientita Litz-Noose.
“Eh, eh, sì!” Esclamò una vocetta stridula.
Inizialmente non vidi nessuno, ma poi fui molto sorpresa nel vedere un nano comparire da dietro la scrivania. Aveva indosso una lunga tunica ambrata e si trascinava avanti aiutato da un bastone con dei campanelli, che ad ogni passo tintinnavano in maniera davvero fastidiosa. Quando fu a poco da me si fermò e ci fu silenzio.
“Finalmente, finalmente, cara! Eccoti qui! Era da tanto che volevamo conoscerti!” Esclamò, “Noi siamo l’Alto Consiglio dei Superiori, tanto piacere!” Strabuzzai gli occhi, d-davvero?!
Notando forse la mia espressione sconcertata quello continuò: “Sarai in cerca di risposte, non è così?” La sua voce parve quasi essere cambiata, più calma. “Ora stacci bene a sentire!” Mi urlò improvvisamente contro. “Sì, cara, a sentire.” Continuò, quasi per auto-confermarsi. Parlava in modo davvero strano, con intonazioni e voci diverse ogni volta, era davvero fastidioso. “Tu sei qui per un motivo… Ed è quello di diventare un’allieva a tempo pieno della nostra scuola, la SHS, Supernatural High School.” Mi sorrise.
Non feci nemmeno in tempo ad elaborare un pensiero razionale che la porta dello studio si spalancò ed un uomo dalla camminata fin troppo sicura di sé fece il suo ingresso. Era un alto, vestito in giacca e cravatta, con gli occhiali da sole in una mano e una valigetta dall’altra. Era ben curato e sprizzava gioia da tutti i pori.
“Zio Tony!” Esclamò in quel momento Litz-Noose, andandogli incontro. L’altro le stampò due affettuosi baci sulle guance, pungendola con la sua barba spinosa.
“Allora, che mi sono perso?” Chiese.
“Guardatelo, sempre il solito in ritardo!” Esclamò il nano furioso, “Oh, è un vero piacere averti qui.” Continuò, questa volta fin troppo cordialmente.
“Ah, non mi dite: avete ancora quel fastidioso problemino, eh? Mi spiace, così è la vita. Mi sono sempre chiesto come fate ad andare d’accordo tutti quanti lì dentro. Dev’essere stretto.”
“Stark, dalla lingua lunga come al solito?”
Il mio cuore in quello stesso istante si fermò, come lo aveva chiamato?..
“Faccio il possibile.”
Tony… Tony Stark, quello era davvero…
“Allora, mi avete fatto venire così di corsa, si può sapere che succede?” Chiese, sistemandosi la cravatta.
Non ci potevo credere, sentivo che da un momento all’altro sarei esplosa.
“Vedi, il fatto è che i suoi poteri si sono finalmente risvegliati.”
“Era ora!”
Non riuscivo nemmeno più a connettere ciò che stavano dicendo, non potevo nemmeno rendermi conto che stavano parlando e quando i suoi occhi caddero su di me non riuscii più a trattenermi: riempii i polmoni di fiato e di getto urlai: “LEI, LEI E’ IRON MAN!” Ero saltata in piedi e senza nemmeno accorgermene avevo allungato il braccio davanti a me, indicando con il dito la causa del mio stato d’animo così turbato. Mi bloccai, rendendomi immediatamente conto di ciò che avevo appena fatto: la figura dell’idiota.
Ci fu un attimo di silenzio, misto fra il mio imbarazzo e l’odio che scaturiva dagli occhi di Litz-Noose. Non riuscivo più a fiatare, né a muovermi. Avrei voluto essere la donna invisibile, già, per la prima volta in tutta la mia vita desiderai non essere lì in quel momento.
Ci fu una fragorosa risata: “Sì, direi proprio di sì.” Esclamò poi, “Non dirmi, ti piacciono i fumetti?”
“Sono, sono una delle sue più grandi fan, signore…” Balbettai, ancora col dito sospeso a mezz’aria.
“Aspettate un secondo, non potremmo fare una cosa per volta? Insomma, questa povera ragazza avrà pur bisogno di una spiegazione prima di tutto, no?” S’intromise Nixer. Sì, aveva ragione: dopotutto io non avevo capito proprio nulla di quella faccenda, ero stata trascinata per caso poco dopo essere stata attaccata da una ventina di rane-zombie, che giornatina.
Tony sorrise, “E va bene, toccherà a me fare le presentazioni per bene. Se aspettiamo loro, potremmo anche aspettare tutta la giornata. Sai, a quei Vecchi piace molto litigare…”
“Vecchi a chi?!” Esclamò il nanetto.
L’altro lo ignorò, non aveva tempo da perdere. “Come saprai le industrie Stark sono molto ricche, dai, io sono un milionario fantastico!” Annuii, insomma, c’era scritto nei fumetti. “Come mia fan conoscerai già molto bene la mia storia, quindi il come arrivano questi soldi non dev’essere un problema.”
“Sì, certo, ma fino ad ora credevo che non fosse la realtà…”
“Infatti non lo è, non completamente. L’idea dei fumetti e di Iron Man è solo una scusa per avere altri soldi. Insomma, ragazzi, ho idee geniali: le devo condividere al mondo e che male c’è a guadagnarci anche su?”
Non faceva una piega.
“Il fatto è che Iron Man esiste, ma non ha mai salvato il mondo tutte quelle volte… Ok, il Progetto Vendicatori è una cosa vera, anche se…”
Lo interruppi di colpo: “ANCHE LOKI ESISTE?!” Per la seconda volta non riuscii proprio a trattenermi.
“Sì, anche se non è proprio come è descritto nel film… Beh, oddio, la pazzia c’è tutta.”
Rimasi quasi delusa dalla risposta, pazienza: per la figaggine avrei continuato ad ammirare le mille mila foto di Tom Hiddleston che giravano per il web.
“Oltre a queste attività che già conosci, io sono il più grande sostenitore della scuola di supereoi che si trova qui… Anzi, ad essere schietti, sono proprio quello che ci mette i soldi. Il nanetto che vedi qui –Lo Stark fu immediatamente squadrato dagli occhi violacei del piccolo uomo- è l’essere dentro cui risiede L’Alto Consiglio dei Supereroi, il preside della SHS. Sai, ogni cento anni devono cambiare corpo di appartenenza e diventare l’ospite di una persona consenziente. Notato, no che sembra un po’ picchiatello? Eh, lo credo bene: sono in 7 là dentro. Condividono lo stesso corpo da non si sa quanti anni, è normale che dopo un po’ diano di testa. Poi in questo secolo sono ancora più ristrett…”
“Basta così.” Fu interrotto dall’altro, evidentemente seccato. “Da qui forse è meglio se continuiamo noi. Parlo per nome dell’Alto Consiglio, mi chiamo Kyan Dorich.” Mi sorpresi molto nel sentire la sua voce, completamente diversa dalle altre che aveva precedentemente usato. Era armoniosa, possente e delicata allo stesso tempo, sembrava un coro. Sembrava anzi che fossero tutti i componenti dell’Alto Consiglio a parlare all’unisono questa volta, in comune accordo, eppure la voce era una sola. “Vedi, il fatto è che tu non te ne sei mai resa conto, ma tu sei molto simile a noi, Abbi: anche il tuo spirito è in grado di rincarnarsi, con la differenza che ogni volta non ricordi nulla della vita precedente. È soprattutto per il fatto di essere così raro che è ritenuto così prezioso: tu hai il potere di curare qualsia cosa e in certi casi di far rivivere le persone.”
Ricaddi sulla sedia, con gli occhi che strabuzzavano dalle orbite. Allora le rane…
“So che quello che ti stiamo dicendo  è assurdo per te, ma continua ad ascoltarci. Pensaci, ti è mai capitato di non sentire di far parte del mondo in cui vivi? Della tua vita?”
Annuii, una marea di volte.
“E poi, non ti è mai capitato qualche episodio strano, inspiegabile nella tua vita?”
Mi fermai un istante a riflettere, quindi rimasi in silenzio.
“Nulla a che vedere con incendi, pioggia o sole a seconda del tuo umore?”
Scossi il capo. No, nulla del genere, nemmeno l’ombra. A parte il fatto delle rane e tutta quella storia pazzesca che ne era collegata, non era mai successo nulla di eccitante nella mia vita.
“Strano…” Commentò Dorich.
“Una volta stavo per essere investita da una macchina, ma in qualche maniera non mi sono fatta nulla. Ed un’altra volta sono caduta in un fiume, ma il mio zaino si è impigliato in un arbusto e sono riuscita a tornare a riva… Non è nulla di emozionante, lo so, ma è tutto ciò che mi viene in mente. Dopotutto è stata solo fortuna…” Spiegai un po’ delusa, notando quanto l’ometto si fosse rabbuiato d’improvviso.
Il suo sguardo fu di nuovo luminoso: “Solo fortuna..?” Ripeté.
“Sì…”
“Fortuna! Ma certo! Questa volta è la Fortuna!” Esclamò tutto pimpante, compiendo un salto.
Io non capii.
“Vedi, ogni volta che il tuo potere si rincarna, circa una volta ogni 400/450 anni, ha una caratteristica differente. Ci sono state tuoi progenitori che erano in grado di creare barriere infuocate per difesa, oppure dare piccole scosse elettriche… Tutte cose del genere, sempre per protezione, il tuo non è un potere come quello degli altri, tu sei destinata ad essere la spalla di qualcuno che combatta per te, dovrai essere capace di sostenerlo, essere sempre a suo favore e dare la vita per lui.”
Il tutto non mi stupì, era prevedibile per un supereroe una finalità del genere. “Ma perché il mio potere si è manifestato solo ora?” Chiesi.
“Beh, è semplice, il tuo corpo doveva essere quello di una donna adulta e data la tua età direi che va proprio bene.”
“Capisco…”
“Beh, non era prevedibile con precisione quando sarebbe successo.”
“Già, che seccatura, fossi almeno stata una persona prevedibile. No, due anni mi hai fatto aspettare!” S’intromise brontolando Litz-Noose. “Ho dovuto starti appresso per tutto quel tempo, pensando pure a difenderti semmai ci fosse stato qualche attacco nemico. “ Continuò.
Io la guardai perplessa, “Davvero?” Era stata proprio la persona che più odiavo a proteggermi per tutto quel tempo? E poi da chi? Certo che non avevo proprio capito nulla. Provai allora un forte senso di gratitudine in quella ragazza, le sorrisi: “Grazie di tutto, io non ne avevo proprio idea!” In un attimo tutto l’astio che fino a poco prima provavo nei suoi confronti sembrava essere solo un lontano ricordo, sembrava che tutto quanto fosse stato solo un cattivo sogno e che nel risveglio io…
“Non c’è bisogno di ringraziarmi, sono stata semplicemente costretta dal preside e, per dirla tutta, mi hai fatto perdere non poco tempo a star lì con te e curare ogni tuo stupido movimento.”
Ok, scherzavo, quella ragazza mi stava proprio sulle palle.
“Beh, vedo che avete fatto amicizia, bene!” Esclamò Dorich tutto compiaciuto.
Nessuna delle due rispose, troppo impegnate a scrutarci in maniera sinistra.
“Dato che la nostra Abbie deve ancora ambientarsi e comunque ha bisogno di qualcuno qui… Te l’affidiamo, Litz-Noope.”
“COSA?!” Fu il coro di voci che seguì.
Nixer, che aveva perfettamente capito l’aria che tirava, quatta quatta fece per uscire dalla stanza, ma fu immediatamente fermata: “Ah, Nixer, giusto perché sei tu, che ne diresti di unirti a loro?”
Era una domanda da parte dell’Alto Consiglio, la risposta non poteva che essere affermativa. Poveretta. Pensai, la sua sanità mentale ne avrebbe di certo risentito in quel gruppo.
Così alla fine noi tre, dopo aver salutato Tony Star che si doveva immediatamente precipitare alla progettazione di una qualche novità della sua armatura, ci ritrovarono sole, seccate e ignare del fatto che la nostra avventura era appena iniziata.
  
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