This is me.
In quel momento, distesa
nel mio letto caldo e che sapeva
di casa, avevo paura.
Paura di cadere in quel
burrone che stavo costeggiando, e
non rialzarmi più.
La paura, ogni tanto
prendeva il sopravvento sulle altre
emozioni. Magari ero felice, elettrizzata, curiosa, o anche arrabbiata.
Poi
scattava qualcosa, e tutto il resto svaniva. Arrivava il terrore,
quello che fa
male allo stomaco e ti fa venire voglia di mordere qualcosa. Lo
nascondevo
sempre, perché non conoscendo la causa di questa paura, di
questa voragine, non
potevo parlarne con nessuno… E per qualche ragione non ne
avevo neanche voglia.
Ma niente, niente, riusciva a colmare quel senso di incompletezza che
ogni
tanto si impadroniva di me, cogliendomi alla sprovvista.
Non riuscivo a capire!
Avevo una famiglia,
un appartamento in un
rispettabile quartiere di Milano, a scuola andavo piuttosto bene. Avevo
amici,
che mi stavano vicino se ne avevo bisogno.
Ho avuto un bel
po’ di cotte, di cui qualcuna ricambiata…
anche se nessuna relazione è mai durata tantissimo.
Forse ogni tanto venivo
presa in giro, certo, ma fingendo
una corazza d’acciaio, buttavo tutto sul ridere, minimizzavo.
Quando qualcuno
mi feriva davvero mi arrabbiavo, ma non davo mai a vedere quanto ci
stavo male.
Per sentirmi bene dovevo
stare in compagnia, quindi spesso
mi costringevo a far buon viso a cattivo gioco (che in
realtà non è proprio un
cattivo gioco, e semplicemente un nascondere…), e
così andavo avanti. Di solito
comunque, ero felice tra la gente, in mezzo alla voglia di vivere.
Amavo
ridere, scherzare, scoprire nuovi posti dove passare il tempo.
Se tutto fosse crollato
però, se la gente non mi avesse più
voluto intorno, mi sarei ritrovata faccia a faccia con la solitudine, e
forse
era questo di cui avevo paura…
Comunque, odiavo tutto quel
riflettere, perché la vita è
fatta per agire. Ma odiavo (e non lo ammettevo neppure a me stessa)
anche il
fatto di essermi costruita una prigione da sola.
Comunque, se non volevo
essere uno zombie l’indomani a
scuola, dovevo cercare di addormentarmi.
Camminavo sicura tra i
corridoi, nei miei panni di
studentessa al terzo anno di scientifico, assieme alle mie amiche. Con
noi
c’era anche un ragazzo, Davis, che non smetteva di parlare.
Mi stava simpatico,
con la sua voglia di vivere e il suo limitato filtro cervello-bocca. Le
altre
pensavano che gli piacessi, e che a me piacesse un po’ lui,
quindi mi ci
trascinavano sempre vicino… E da un po’ di giorni
era diventata abitudine.
Infatti, in quel momento si
erano allontanate per lasciarci
soli.
<< Ma
quindi… Te ci vai a quel meeting oggi? >>
mi chiese.
<< Aspetta.
Di cosa stai parlando? >>
risposi sorpresa.
<< Quello che
ha organizzato il prof. di scienze… Ha
detto che è molto costruttivo, o una cosa del genere.
>>
<< Ah quello!
Si, penso che andrò… Tu ci vieni? >>
<< Se vuoi ti
accompagno. >>
<< Ok, allora
ci troviamo alle 4 sotto casa mia? Così
ci prendiamo un gelato prima… >>
<< Va bene!
>>
“Almeno ho una
scusa per farmi un giro”, pensai. Ero
abbastanza elettrizzata di “uscire” con
Davis… Probabilmente un po’ era vero
che mi piaceva. Mi sentivo in colpa per aver insultato Jess e Anna
quando
cercavano di spingermi da lui… Impazziranno quando
dirò loro che ci vediamo
questo pomeriggio!
<< Alice! Se
non ti sbrighi ad entrare Formaggio ti
uccide! >> mi chiamò Jess.
Formaggio era il soprannome
del nostro prof. di chimica. Lo
chiamavamo così perché aveva sempre un colorito
giallastro, puzzava di
formaggio e non era neanche un po’ tonico. Probabilmente si
era accorto anche
lui del suo soprannome, ma non ne aveva fatto un dramma. Forse
perché era un
po’ rincoglionito.
Il pomeriggio era passato
tranquillamente… Stavo aspettando
Davis sotto casa mia, un po’ in anticipo, quando un gruppo di
ragazzine urlanti
e isteriche mi passò davanti, chiaramente alla ricerca di
dove si trovasse il
loro idolo in quel momento pre-concerto.
“Ridicole”, pensai all’inizio. Volevo
urlare loro che erano delle illuse, che lui non le avrebbe mai notate.
Ma
soprattutto che lui era una persona come tutte, e si meritava il
beneficio di
essere normale. Perché
non lo volevano
capire?! Loro li santificavano, e questi si montavano la
testa… Era una cosa
assolutamente insensata.
Poi però mi
incuriosii, e con qualche passo vago mi misi a
seguirle…
<< Ah! Sta
attenta a dove guardi! >> mi
rimproverò lo sconosciuto su cui ero andata a sbattere.
Alzando lo sguardo mi
resi però conto che era Davis.
<< Davis!
>>
<< Alice! Non
stavi mica seguendo il branco di
ragazzine illuse!? >>
<< No!
Io… Ti stavo venendo a cercare. >>
<< Ora sono
qui! >>
<< Ok!
Ma… Sai chi stanno cercando di incontrare? >>
<< Penso di
aver sentito qualcosa a proposito… Mi
pare si chiami Conor Maqualcosa. >>
<< Mai
sentito. >>
<<
Si… Neanch’io. Andiamo? >>
<< Certo.
>>
Mentre ci avviavamo sentivo
che si avvicinava sempre di
più... Ad un certo punto mi prese la mano. Mi
guardò negli occhi con aria di
sfida, e io sorrisi, ricambiando lo sguardo. Mi sentivo tranquilla. A
mio agio,
come se fosse stato un vecchio amico. In quel momento non avevo paura.
Sentivo,
sapevo che Davis ci teneva. Mi avrebbe aiutato. Anche se in quel
momento non lo
sapevo per certo, avevo assolutamente ragione.
In quell’esatto
istante mi chiesi come potrà essere il mio
futuro… Se tutto cambierà o resterà
uguale, se sarò qua o dall’altra parte
dell’oceano, come vivrò… Se
sarò felice. Poi Devis ricominciò a parlare,
spazzando così i miei dubbi esistenziali. Ecco
l’effetto che mi faceva lui: mi
rendeva leggera, libera da pesi inutili. Era una sensazione bellissima.
Sentirsi semplicemente felici.
<< Eccoci.
Questa è la mia gelateria preferita in
assoluto. Spero ti piaccia. >> spiegò lui.
<< Va
benissimo… >> Mentre prendevamo posto, le
nostre mani si staccarono, di malavoglia.
Ordinammo una coppa gelato
enorme, presi da chissà quale
istinto ingordo… In quel momento non riuscivo proprio a
preoccuparmi per la
dieta!
Parlammo senza sosta
finché non prosciugammo il gelato. Guardai
l’orologio.
<< Cavolo!
Mancano 5 minuti all’inizio del meeting! >>
<< Cazzo.
E’ volato il tempo! >>
Di fretta Davis raccolse
tutto, lasciò i soldi sul bancone,
mi prese la mano e iniziò a correre.
Fortunatamente il posto non era molto lontano…
In pochi minuti avevamo
raggiunto l’ingresso. Io ero piegata in due, quasi reduce di
una maratona,
mentre lui era perfettamente normale. Mi sentivo alquanto imbarazzata
in quel
momento… Ma la mia mano era ancora la sicuro nella sua.
<< Dai entra!
>> mi strattonò lui, con un
sorriso enorme stampato in viso.
Raggiunta la sala,
scoprimmo che erano rimasti solo posti
in piedi. Quindi ci sistemammo in un angolo buio della sala, addossati
alla
parete.
Il presentatore era
già entrato, stava elencando i vari
protagonisti del progetto.
Non riuscivo proprio a
stare attenta. La mia mente
divagava, e io non le ponevo freno… Rivedevo immagini dei
miei ultimi primi
appuntamenti, per poi constatare che nessuno era mai stato
così semplice, piacevole,
divertente. Si, perché alla fine questo si poteva
considerare un appuntamento,
giusto? Davis mi piaceva proprio. Poi, come si sarebbe concluso questa
uscita?
Forse era il caso di mangiare una mentina…?
Con imbarazzo mi misi a
rovistare nella mia borsa, in cerca
di qualcosa che assomigliasse ad una mentina… senza
accorgermene iniziai a
borbottare frasi del tipo “ma dove le avrò
messe!?” o “devono esserci!”.
Nel frattempo Davis, che
probabilmente come me non riusciva
ad interessarsi al tema della conferenza, si mise a ridacchiare.
Io alzai lo sguardo,
capendo che sembravo una demente.
<< Che
c’è? >> chiesi con nonchalance,
cercando
di coprirmi.
<< Mi
chiedevo se… Ti va di svignarcela. >>
<<
Cioè… Andarcene prima che nessuno se ne accorga?
>>
chiesi.
<< Si,
definizione da vocabolario. >> Mi
rispose con un ghigno.
Io sorrisi. Pensai che
l’avesse interpretato subito come un
si.
Mi fece cenno di seguirlo.
Passammo dietro ad un sacco di
gente, addossati al muro. Avevamo iniziato ad imitare James Bond,
guardandoci
in giro furtivamente con una finta pistola in pugno.
Finalmente arrivammo
all’uscita, sperando che nessuno ci
avesse notati. A quel punto iniziammo a correre, fino a quando avevamo
distanziato l’edificio di una decina di metri.
Dopo esserci trattenuti per
troppo tempo, scoppiammo a
ridere, piegati in due.
<< Noi ci
siamo stati però! >> esclamai io.
<<
Si… Siamo assolutamente studenti modello! >>
aggiunse, sempre ridendo.
Poi mi guardò
negli occhi, il sorriso che lentamente
scemava. Mi aveva preso le mani, e ci stavamo avvicinando. Io lo
abbracciai,
d’istinto. Lui ricambiò per un meraviglioso
secondo, forse due. Mi allontanò
lentamente, e i nostri occhi
s’incatenarono
di nuovo. Eravamo sempre più vicini…
E mi baciò.
Inebriò
completamente i miei pensieri, con una dolce nebbia
che sapeva di lui… Il suo profumo di pulito mi invase. Le
mie braccia si
strinsero dietro al suo colle, avvicinandomi ancora di più a
lui. Le sue mani
stavano sulla mia vita, mentre io allungavo sempre di più le
punte.
Poi, dopo una
quantità di tempo che nessuno riuscirà mai a
misurare, perché potrebbe sembrare secolo come pochi
secondi, ci staccammo.
Lentamente, rimanendo abbracciati, entrambi sorridendo.
Lui mi strinse di nuovo le
mani, ma con più forza.
<< Vuoi stare
con me? >> chiese d’istinto, come
se le parole si fossero formate da sole, perché era la cosa
più naturale del mondo.
Sapevo che non era una proposta ragionata.
Mi colse però
alla sprovvista. Forse era presto, forse non
ci conoscevamo abbastanza, forse non ci piacevamo così
tanto.
Poi la mia mente mi
suggerì una frase, come un bigliettino
che ti viene messo davanti allo sguardo durante una verifica. Faceva
parte di
un racconto che avevo letto nell’ultimo periodo e
diceva… Diceva che si vive
una volta sola. Diceva che bisogna cogliere al volo le
opportunità, perché di
solito non se ne ha una seconda. Diceva che bisogna tentare, rischiare
e
mettersi in gioco, perché il dolore è momentaneo,
il rimorso è per sempre.
Diceva semplicemente di vivere, vivere al meglio.
Quindi, senza ragionarci
più su, senza fare congetture
inutili e noiose, dissi:
<< Si
>> e gli sorrisi.
Così mano nella
mano, come solo i bambini piccoli e le
persone che si vogliono bene sanno fare, ci avviammo verso casa mia.
OK
non arrabbiatevi!!
Lo so che in questo primo capitolo non c’era praticamente
niente su Conor… Ma
era per introdurre un po’ tutto. Il
titolo è This is me, una canzone che ha cantato Demi Lovato
in un film. Spero
di riuscire a dare come titolo di ogni capitolo una canzone che lo
rappresenti…
Comunque, nel prossimo passo ci sarà un incontro davvero
speciale… E la storia
comincerà a diventare intricata… Mi raccomando,
vi aspetto! Se riuscire
recensite, condividete… Fatemi sapere come vi sembra! J