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Autore: Koori_chan    10/05/2013    1 recensioni
6 Agosto 1284, nel Tirreno si combatte una delle più importanti battaglie navali che le Repubbliche Marinare ricordino.
Genova e Pisa, un tempo alleate, si scontrano in una lotta senza quartiere che per Marina e Nicolò, rappresentanti delle due potenze, presto perde il significato originale.
Nicolò, sconfitto ed umiliato, scoprirà quanto la gloria e la sete di potere possano corrodere anche il cuore più limpido e dilaniare l'amicizia più pura.
Marina ha fatto la sua scelta e ha abbracciato la follia, l'antico legame fra le due città è ormai spezzato.
Eppure...
[Presenza OC Genova e Pisa]
Genere: Generale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~1284~
















Il vento spazzava il ponte della nave con raffiche violente e irregolari, il sartiame gemeva di dolore per la tensione a cui era sottoposto mentre i gabbiani gridavano alti sopra di loro, volando in cerchio come sopra una carcassa.
Perchè era di una carcassa, dopotutto, che si trattava.
L’imbarcazione rollava e beccheggiava in preda alle correnti in un mare cupo e freddo nonostante la stagione avanzata.
C’era silenzio a bordo della piccola galea ferita, la cui polena mutilata osservava la costa a testa alta, minimamente scalfita dall’orrore nel quale navigava.
C’era silenzio, perché nessuna parola avrebbe potuto descrivere la desolazione e la tristezza di quella scena, nessuna voce umana avrebbe potuto in alcun modo allietare quei momenti tremendi.
Un ragazzo, sul ponte ai piedi dell’albero di maestra, se ne stava in ginocchio, le mani legate dietro alla schiena, lo sguado basso, spento. Il sangue che ricopriva le assi di legno aveva inzuppato i suoi abiti, rendendo il verde oliva dei pantaloni un colore più viscido delle alghe della Meloria.
Respirava piano, regolarmente, non sembrava spaventato.
Il suo viso imberbe era dolce e morbido, il viso di un bambino ancora non del tutto mutato in uomo, anche se gli occhi sembravano mostrare il contrario.
C’era vergogna in quelle iridi color del sottobosco.
C’era vergogna e c’era dolore, c’era la consapevolezza di avere perso la più grande occasione della sua vita, di aver tradito la fiducia del suo popolo in maniera irrimediabile.
Aveva fallito, e questa volta era per sempre.
Eppure, più ci si soffermava su quei sentimenti, più appariva chiaro che altre tempeste agitavano il suo cuore.
Il cielo plumbeo gettava la sua condanna sulla nave, la croce di San Giorgio che sventolava strappata e lacera dall’alto di un pennone, il sole pallido che ogni tanto faceva capolino da quella solida coltre di metallo aveva poco a che fare con la calda luce di una giornata d’inizio Agosto.
La figura esile del Capitano si stagliava slanciata come un giunco, insignificante e al contempo violenta nella sua casacca rossa come l’alba. Gli stivali di cuoio, troppo grandi per i piedi che li calzavano, sembravano ora ancorati al ponte più di una cozza allo scoglio, ora un fragile legame con la terraferma, pronto ad essere spazzato via alla minima raffica di vento.
Le labbra sottili e screpolate dall’arsura erano piegate in un sorriso discreto, quasi avesse avuto paura di farsi cogliere in un simile momento di debolezza.
Sguainò la spada, lasciando il fodero a penzolare inanimato lungo il suo fianco. Proprio come la proprietaria, la lama brillava di una luce fredda e distante, vibrando con la stessa precisione e la stessa forza di un re vittorioso.
Si avvicinò lentamente al prigioniero, il suo sorriso a mutarsi sempre più in un ghigno.
Si fermò di fronte al ragazzo, la punta della spada al di sotto del suo mento affinchè sollevasse lo sguardo su di lei.
- Guardami, Nicolò. – ordinò, ma gli occhi del Pisano restarono fissi a terra.
- Guardami, ho detto. – ripeté, l’espressione del viso immutata, ma l’imperativo più calcato.
Premette la lama contro la pelle del nemico, riuscendo nel suo intento.
- Ti sto guardando. – rispose lui, non una parola di più del necessario.
- Cosa vedi? – domandò lei, la superbia a tendere ogni fibra del suo corpo.
Non rispose.
- Ti è caduta la lingua, o la tua è solo vergogna? –
Ancora silenzio, ma la sua occhiata carica di fiele urlò più dei gabbiani sopra alle loro teste.
- Ancora non ti arrendi? Devo riconoscerlo, voi Pisani siete davvero testardi. Ma sono spiacente, questa prova di coraggio non ti varrà a nulla. – sentenziò lentamente, scandendo ogni sillaba.
Voleva che tutti i presenti ascoltassero le sue parole, che tutti potessero vedere la Gloria risplendere in tutta la sua potenza su quella piccola galea genovese che, colpo dopo colpo, aveva resistito alla furia della battaglia.
- Coraggio, dillo ad alta voce! Che cosa vedi? – incalzò, decisa ad imprimere l’umiliazione sul suo cuore come un marchio a fuoco.
- Devi ringraziare il mio silenzio, Marina, perché non credo che ti piacerebbe quello che io vedo adesso… -
La ragazzina strinse il pugno attorno all’elsa dorata, unico segnale della piccola vittoria di Nicolò. Ma quello era stato un passo falso, non avrebbe mai dovuto rivolgersi a lei in un modo simile.
Alzò la voce, e i Pisani compresero che il loro Capitano si era spinto troppo oltre, che la punizione di Genova sarebbe stata qualcosa di esemplare.
- Alzati in piedi, vigliacco! – gridò, afferrandolo per la camicia e strattonandolo senza riguardi.
- Osserva, osservate tutti! Vedete questo mare? Questa distesa blu, questo tesoro senza confini, questo Mar Mediterraneo poteva essere vostro, Pisani! – e mentre parlava in questo modo, indicando l’orizzonte con la punta della spada, persino i suoi uomini rabbrividivano, increduli di quanto rancore ci fosse in un corpo così piccolo, di quanto persino una bambina come lei potesse essere così trasfigurata dall’ambizione.
- Siete stati sfortunati a imbattervi in un nemico del nostro calibro, ma presi come siete dalla vostra cocciutaggine avete deciso di sacrificare i vostri uomini migliori nella vostra impresa. Ho pietà di voi, miseri folli… -
Ma in quel monologo c’era qualcosa di strano, qualcosa che strideva. Il delirio di un esaltato, l’ultima arringa prima del rogo. Pareva che nemmeno i Genovesi si ritrovassero in quelle parole, quasi fossero rimasti tutti congelati di fronte al discorso impietoso della loro condottiera.
- Inchinatevi alla vostra Regina, coraggio! –
Ed ogni prigioniero, ogni soldato, ogni uomo, all’incorciare lo sguardo di quella figuretta così esile ma così ardente, non poté fare a meno di obbedirle.
Non era rispetto, né rassegnazione. Era paura.
- Inchinati! – sbottò, assestando un calcio nello stomaco al nemico indifeso.
Egli cadde a bocconi, rabbrividendo al folle grido di “Zena Caput Mundi”.
Vide chiaramente, in quella frase delirante, il destino che era spettato al grande Impero Romano.
Vide la ricchezza, l’onore, il lusso e la gloria precipitare con la violenza di una pioggia di fuoco su quella che un tempo aveva chiamato amica. Vide Marina colpita dai suoi stessi dardi, sconfitta dalle sue stesse armi. Il lento declino di una potenza che si accartoccia su se stessa, come pagina bruciata nel fuoco del camino.
- Stai attenta, Marina! Guardati dalla tua Superbia, perché un giorno ti divorerà ancora prima che tu te ne possa rendere conto. -  sussurrò, perché in fondo teneva ancora a lei; dopo il tradimento, l’odio e l’infamia desiderava ancora aiutarla.
Sì, era stato ingenuo, e quello gli poteva anche andare bene, ma che non si dicesse mai che aveva agito con slealtà.
La ragazza sistemò meglio il suo cappello a tricorno, scoccandogli un’occhiata furiosa.
- Portate questo lurido cane nelle sentine. E che venga sbattuto a San Giorgio, quando arriveremo a casa! –
Due uomini dell’equipaggio lo afferrarono saldamente per le spalle, trascinandolo al ponte inferiore.
E Nicolò cercò di odiarla, ma non ci riuscì.
Solo a quel punto provò quell’ira e quella vergogna che Marina aveva cercato di suscitare in lui fin da quando l’aveva gettato sul ponte come uno schiavo. Ma non era l’ira di chi si vede sconfitto dopo tanta fatica, non la vergogna dopo una fuga da vigliacchi.
Nicolò si sentì improvvisamente vuoto e inutile, mentre nelle sue orecchie riecheggiava ancora la risata vittoriosa di Marina.
Quel giorno aveva perso per sempre la supremazia sul Tirreno, sì, ma non era quello a farlo star male, non era quella l’unica cosa che aveva perso.
E mentre Marina rideva, le labbra piegate in una smorfia che non le apparteneva, Pisa aveva già gettato le armi, contro ogni pronostico aveva già perdonato il tradimento.
Era vero, era un ragazzo testardo e cocciuto, ed era proprio la sua infinita cocciutaggine a mantenere accesa la speranza che un giorno la sua amica sarebbe tornata ad essere la ragazzina per cui, nonostante tutto, era pronto a morire.
Sì, lui l’aveva perdonata.
Adesso bisognava solo attendere che Genova perdonasse se stessa.











Note


Buonasera a tutti!
Eccomi qua con un'altra fanfiction sulle Repubbliche Marinare di Genova e Pisa!
Questa volta ho voluto trattare la famosa Battaglia della Meloria, in seguito alla quale Genova decretò una volta per tutte la sua supremazia sul Tirreno ai danni dei Pisani.
Confesso che Marina si meriterebbe una bella sprangata sui denti per il suo comportamento, ma la Storia è Storia, e non ci si può fare niente... =3=
Ho sempre immaginato Nicolò profondamente legato a Genova. Dopotutto si tratta di un ragazzo infinitamente buono e saggio, che nonostante tutto non riesce a odiare quella che un tempo era stata la sua più cara amica.
Con il 6 Agosto 1284 il rapporto fra Marina e Nicolò cambiò radicalmente, più per colpa della sconfinata superbia di Genova che per altro...
Ecco, in questa fanfiction spero di aver reso adeguatamente il delirio di onnipotenza della ragazzina: volevo mostrare uno dei lati, a parer mio, peggiori della storia/carattere del personaggio...
Spero che questo esperimento vi sia piaciuto, le critiche sono sempre bene accette! :D
Big Kisses,
Koori-chan

  
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