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Autore: Hunter of Demons    11/05/2013    0 recensioni
Partecipante al contest di Settembre 2012.
Autrice: Vals;
Il contest chiedeva di scrivere una storia calando il proprio pg in un mondo dove demoni e hunter non esistono, il morbo non ha mai invaso il mondo e l'umanità non è sull'orlo dell'estinzione.
Quale sarebbe stata la vita del proprio pg?
Semiria sarebbe una fenomenale investigatrice con un'ossessione molto particolare.
Genere: Introspettivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autrice: Vals;
Personaggi: Semiria
Samuel
Maya

La sua sveglia elettronica segnava le 3:25, ma ormai il tempo non sembrava più contare per Semiria, non più da quando aveva intrapreso la carriera di investigatrice.


Tuttavia non aveva abbandonato molte delle sue abitudini della “vita precedente”.
Difatti, l’attaccamento ai metodi omeopatici, il disgusto verso le bevande gasate e la caffeina le erano rimasti addosso come un fastidiosissimo pezzo di carta all’uscita del gabinetto pubblico.

Allungando una mano verso il comodino, la rossa afferrò quello che ad una veloce “tastatina” sembrava corrispondere alla descrizione mentale del manico di una tazza.
Sicura, la ventiduenne strinse la presa intorno all’oggetto semicircolare e ritirò il braccio con l’intenzione di portarsi alle labbra il bicchiere, ma l’attrezzo che aveva avvicinato al volto non era certamente ciò di cui la ragazza aveva bisogno.
Sì, insomma, in effetti necessitava di un paio di occhiali, ma era certa che tenere una lampada al neon a distanza così ravvicinata non le avrebbe fatto bene.

Sbuffando, la Duchannes riappoggiò con un tonfo il supporto della luce urtando così la vera tazza di terracotta che riversò tutto il suo contenuto sul pavimento, macchiando inevitabilmente sia il divano che i pantaloni della ragazza.

Imprecando a denti stretti, Sem chiuse gli occhi cercando di non inveire ulteriormente contro un Dio che forse esisteva, ma di cui ancora non ne aveva avuto le prove. Il suo lato pragmatico della vita si era sviluppato in maniera ossessiva nell’ultimo periodo.

Da quando aveva intrapreso la sua carriera investigativa erano cambiate davvero tante cose.
I suoi genitori avevano finalmente scelto di separarsi, con il tacito ringraziamento da parte della figlia che non ne poteva veramente più di sentire notte e giorno le loro urla.
Però, ormai la rossa aveva metabolizzato la storia poiché si era conclusa in maniera legale e pacifica tra le due parti contese e, per sua fortuna, Semiria era ormai diventata maggiorenne cosìcchè nelle trattative del divorzio non fu presa in considerazione la questione dell’affidamento della prole.
Tuttavia, è inutile negare che la vicenda non abbia avuto conseguenze sulla stessa Semiria, poiché in molti casi, lei stessa era stata l’oggetto delle diatribe tra mamma e papà.

Una calma glaciale era scesa sull’animo dell’allora diciottenne quando uscì dall’aula del tribunale e, dopo averne varcato la soglia, non versò più una lacrima per i successivi quattro anni.

Ed è proprio a ventidue anni che ritroviamo la nostra protagonista, intenta ad esaminare dei video di sorveglianza dal pc, seduta in mutande su un divano sporco di thè.

La porta di casa si spalancò con un colpo secco ed un ragazzo mingherlino entrò senza tanti convenevoli nell’appartamento.

- Non si usa più bussare Hank ? – lo ammonì Semiria senza staccare gli occhi dal desktop dove immagini di persone in bianco e nero si avvicendavano tra loro senza sosta.

Il ragazzo squadrò la figura dell’investigatrice, notando con piacere la completa assenza di pantaloni sulle sue gambe, ma non fece commenti al riguardo, consapevole di incontrare le ire dell’interlocutrice.

- Tieni, ti ho portato la copia di altri filmati – disse Hank senza rispondere alla provocazione della collega.
La detective prese al volo la custodia rettangolare di plastica che l’amico le lanciò un secondo dopo.
- Fai attenzione idiota, altrimenti il cd si scheggia – lo riprese una seconda volta. Era così divertente per lei punzecchiare il piccolo hacker e vedere come il suo volto si tirava nel tentativo di non trattenere il fiume di insulti che gli premevano sulle labbra.

Quel piccolo ometto era veramente una strana persona: un nerd all’esterno, ma un genio all’interno.
Una montatura di plastica blu sorreggeva sul suo naso delle spesse lenti che ingrandivano a dismisura le iridi nere. La parlantina veloce, a tratti disconnessa e balbettante erano il sintomo di un disturbo mentale ormai in via di guarigione: una sorta di cleptomania digitalizzata.

In passato Hank era stato un poco di buono, un talento incredibile che fregava lo stato tramite l’uso del computer. Il diciassettenne rubava milioni di dollari alle casse statali senza che queste se ne accorgessero, comodamente seduto su una poltrona.
Successivamente era finito in prigione per diversi anni ed iscritto ad un programma di riabilitazione poiché proveniva da una realtà familiare molto complessa: sua madre era stata uccisa dal padre, drogato ed alcolizzato, il quale aveva anche violentato la sorella.
Così il ragazzo, per evitare di finire coinvolto nei loschi giri del padre, si rinchiudeva in biblioteca con il suo laptop portatile, mentre giorno per giorno si arricchiva, aspettando il momento in cui sarebbe potuto fuggire per sempre da quell’incubo.

Quindi, dopo aver scontato i suoi cinque anni di galera, era stato assunto dalla polizia, poiché il suo talento non doveva andare di certo sprecato.
Ed erano ormai due anni che Semiria ed Hank lavoravano insieme, aiutandosi a vicenda.
La rossa vedeva il diciassettenne come un fratello minore, mentre quest’ultimo era innamorato della sua collega anche se a separarli c’erano ben cinque anni di differenza. Ma dopotutto, all’hacker era sempre mancata una figura materna di riferimento e la Duchannes fu l’unica donna in grado di dargli quella sensazione di serenità ed accettazione che il quattrocchi aveva da sempre cercato senza risultato.

Attenta, la Duchannes inserì il disco nel computer e attese che il file in esso contenuto si caricasse.

- Ci sono novità in commissariato ? – chiese la rossa, ben sapendo che quelle non erano faccende che le dovevano riguardare poiché il capo l’aveva esclusa dal caso di Joker mesi addietro.
Hank si sfregò la faccia. Aveva ricevuto l’ordine di non divulgare alcuna notizia, ma come poteva dire di no alla donna che tanto amava ? Non ci riusciva anche se era consapevole di poter perdere il posto di lavoro.

- Abbiamo preso un suo complice – confessò l’hacker a bassa voce, quasi per evitare che qualcuno al di fuori di loro udisse la sua dichiarazione.

Un campanello risuonò nella testa dell’investigatrice.
Finalmente le loro indagini stavano iniziando a portare i loro frutti.

- Di chi si tratta ? – volle sapere la ventiduenne, incurante della posizione scomoda che il collega stava assumendo pur di informarla sulle ultime del caso.
- Di Occhio d’Aquila. Abbiamo scoperto che il suo vero nome corrisponde a Samuel, ma sul cognome stiamo ancora indagando – rispose lui, ben sapendo che Semiria avrebbe capito a chi si stesse riferendo.

La Duchannes rimase per un momento immobile, senza fiato.
Dopo mesi di intercettazioni telefoniche, finalmente avevano il volto del più stretto e fidato collaboratore di Joker.

- Quando lo interrogherete ? – chiese di nuovo la rossa, infilando più a fondo il coltello nella ferita.
Il collega si morsicò il labbro inferiore; si stava spingendo troppo oltre.
- Domani mattina alle 8.00 – rispose poi, ignorando completamente il suo lato razionale che lo stava pregando di tenere la bocca chiusa ed andarsene subito prima di iniziare a raccontare vita, morte e miracoli di sé stesso.

- Ci sarò, non cominciate senza di me – affermò la ventiduenne, ancora una volta infischiandosene altamente delle regole e degli ordini impartiti.
- Mi metterai nei guai se ti farai vedere lì – azzardò il diciassettenne sperando di smuovere il lato comprensivo dell’amica.
Semiria lo squadrò con un sopracciglio alzato.
- Arrangiati – concluse poi facendo spallucce.

Quindi si alzò in piedi appoggiando il pc su un cuscino, richiamata dal campanello di casa.
Disinibita e priva di imbarazzo per la sua nudità, aprì la porta e dopo aver passato dei soldi a qualcuno di cui Hank non riuscì a vedere il volto, rientrò con due cartoni rettangolari recanti la parole “speedy-pizza” in rosso sul piano anteriore.

- Tieni, una è per te – disse la rossa passando il contenitore all’amico.
Un’espressione interrogativa si disegnò sul volto di Hank mentre, con la fronte corrugata, prese l’oggetto che la Duchannes gli stava porgendo.

- Ma quando hai … - iniziò l’hacker, ma venne interrotto dalla voce della collega.
- Ormai ti conosco, sapevo che saresti venuto, a che ora saresti venuto e anche che non avevi ancora cenato – spiegò la rossa addentando il primo spicchio, soddisfatta della propria lungimiranza e perspicacia sviluppate in maniera incredibile dopo anni di esperienza nella polizia.

Ancora con la bocca piena fece segno all’amico di accomodarsi sul divano ed Hank, ancora incredulo, prese posto accanto alla donna che ancora non aveva avuto il buon senso di coprirsi.

Le lancette dell’orologio bianco dell’ufficio segnavano le 7:30.
Come ogni mattina Semiria era arrivata all’orario che più si confaceva alle sue abitudini serali, fatte per lo più di veglie infinite dedicate al lavoro.
Ma quel giorno era importante, speciale se dir si voglia, per cui l’orario di timbratura si avvicinava molto a quello in cui, teoricamente, la Duchannes avrebbe dovuto iniziare la sua giornata in commissariato. Tuttavia aveva commesso uno sbaglio: se il suo intento era quello di non dare nell’occhio, questa sua improvvisa osservanza delle regole sortì l’effetto contrario, ma nessuno ne fece parola con la diretta interessata. Rimasero solo voci di corridoio che si spensero dopo la prima ora.

Da dietro il vetro oscurante e insonorizzante si godeva di una prospettiva migliore.
Nessuno, a parte Hank, era conscio della sua presenza. Nemmeno il suo capo, quel ciccione sudaticcio che seduto dinnanzi all’accusato, si apprestava a tartassarlo di domande per le prossime due ore.

Il ragazzo era più giovane di quanto Semiria credesse possibile, inoltre il suo aspetto fisico era più lontano di ogni sua aspettativa.
I lunghi capelli biondo cenere gli sfioravano i fianchi e le sue iridi azzurre, quasi bianche, erano incastonate nel suo volto, quasi fossero diamanti preziosissimi.
Finalmente la rossa capì il significato del soprannome “Occhio d’Aquila” , anche se certamente non era dovuto solo alla meravigliosa intensità del suo sguardo.

Ma in quel’abisso di ghiaccio la Duchannes si perse, premendo inconsapevolmente il tasto che l’avrebbe riportata indietro di dodici mesi.

Da allora si erano succedute rapine su rapine e naturalmente, omicidi. Tanti innocenti furono uccisi dalla stessa mano, dallo stesso volto mascherato, con la stessa brutale allegria con cui l’assassino si faceva volontariamente riprendere dalle telecamere di sorveglianza di gioiellerie e banche per far sì che le sue gesta venissero rese pubbliche e ricordate nella memoria delle famiglie.

Le sue maschere grottesche riportavano tutte un sorriso terribilmente inadeguato alla situazione per sottolineare ancora di più l’atrocità della morte di quelle persone che finivano sgozzate dalla lama dell’uomo soprannominato Joker.

Molte volte in commissariato avevano ricevuto telefonate minatorie proprio dal loro ricercato, il quale, con voce fremente, indicava loro la sua prossima meta, ben consapevole del fatto che i poliziotti non sarebbero mai potuti arrivare in tempo sul luogo da lui segnalato.
Semplicemente gli piaceva vederli correre come matti da una parte all’altra della città, mobilitando centinaia di automobili e altrettanti uomini con un poderoso arsenale di armi.
Uno spreco di tempo e denaro mentre lui faceva i suoi giochi e si crogiolava nel brodo caldo della vittoria.

Ma ora la dea bendata aveva deciso di volgere il suo sguardo dalla parte dei buoni e Semiria si sentiva in qualche modo responsabile di quel “bel colpo”; d’altronde le indagini erano avanzate fin dall’inizio secondo i suoi ritmi e le sue regole e, anche se ora il caso non era più di sua competenza, le cose andavano comunque avanti secondo le sue personali direttive.

Ed ora erano finalmente giunti ad una svolta con quell’arresto, perciò la rossa auspicava nella collaborazione del reo. Ma dopo un’ora e mezza di domande a vuoto e minacce di ergastoli, ancora Samuel non aveva aperto bocca, esibendo solamente un ghigno divertito.

Semiria non poteva sopportarlo, non poteva semplicemente permettere che un hippy del cazzo si intromettesse tra lei e la conclusione di quell’odissea.
Aveva speso sangue, tempo e sudore in quella storia e non avrebbe permesso a nessuno di infilarle i bastoni tra le ruote. Non ora che riusciva a vedere uno spiraglio in quell’abisso che era diventato una vera e propria ossessione di caso per l’investigatrice.

Con un diavolo per capello, la ventiduenne irruppe nello stanzino, infischiandosene delle proteste del capo e avvicinandosi ad Occhio d’Aquila più di quanto consentisse il protocollo.
- Ascoltami bene idiota, non ho intenzione di farti del male e quindi finire in galera al posto tuo, perciò o canti o ti facciamo cantare sulla sedia elettrica -.
Il tono della Duchannes era incredibilmente serio, ma venne tradita dal tremolio nella sua voce, sintomo di un’ira repressa troppo a lungo e mai sfogata contro qualcuno.

Il ragazzo sbattè le palpebre, attirato dalla determinazione e dalla sicurezza di quella donna e finalmente, trovato il soggetto a cui rivelare veramente ciò che tutti volevano sapere, parlò.

- Lei sta dove il mare sfiora il cielo – dichiarò egli subito prima di essere riportato in gattabuia.

La rossa imprecava, rinchiusa dentro lo sgabuzzino delle scope.
Cos’aveva sbagliato ? Cosa avevano tralasciato ? Lui era l’uomo sbagliato ?

Qualcuno bussò alla porticina.
- Vaffanculo Hank – sbraitò Sem al limite della sopportazione.
Ma il ragazzo, incurante della voglia di solitudine dell’amica, entrò comunque e si sedette accanto a lei, facendo l’immenso sforzo di non toccarla.
In realtà il suo corpo urlava l’esatto contrario. Lui avrebbe voluto abbracciarla, accarezzarla, baciarla, asciugarle le lacrime perché un tesoro come lei non doveva piangere, ma provava troppo rispetto per la sua amica per infrangere le barriere ch’ella aveva saggiamente innalzato contro tutti i suoi colleghi.

- Credimi, ne verremo a capo prima o poi, te lo prometto – azzardò il diciassettenne sistemandosi gli occhiali sul naso.
- Crederò a queste parole solamente quando vedrò il fascicolo del caso entrare nel cassetto dei conclusi, non prima – proferì l’investigatrice ripulendosi il viso bagnato e sfoggiando una forza ed una costanza ch’ella stessa non pensava nemmeno di possedere.

- Dunque, ricapitolando, cosa abbiamo in mano fino ad ora ? – domandò la Duchannes cercando di fare mente locale.
- Intercettazioni telefoniche e quindi nomi in codice e vari legami con squadre mafiose della zona; video di sorveglianza che non hanno portato a nulla se non alla dimostrazione di quanto il killer sia ossessionato dalle torture ; maschere di ogni genere dove non abbiamo rinvenuto alcun materiale che potesse ricostruire il DNA del ricercato a parte qualche irrilevante granello di sabbia – riepilogò l’hacker alzando un dito ogni qual volta proseguiva nella lista, ripetendo ogni singolo indizio come se fosse una lezione di storia ripresa milioni e milioni di volte.
- Hai detto granelli di sabbia ? – ribadì il concetto Semiria.
Il ragazzo annuì con il capo, non comprendendo il punto della situazione.

L’investigatrice si aprì in un largo sorriso, il primo vero dopo mesi di agonia e baciò sulla guancia il piccolo ometto; il suo personale ringraziamento per averle inconsapevolmente aperto la strada verso la conclusione del caso.

Afferrando al volo la giacca prima appesa all’attaccapanni, la donna uscì dall’ufficio diretta in un luogo ben preciso mentre mentalmente ripercorreva il tragitto mentale che l’aveva condotta alla riflessione finale.


- Lei sta dove il mare sfiora il cielo – le parole di Occhio d’Aquila risuonarono nella memoria della ventiduenne.
In effetti la frase era collegata agli strani ritrovamenti di sabbia nei costumi facciali di Joker, poiché l’unico posto dove “il mare era talmente alto da sfiorare il cielo” era un faro.
Ancora però la Duchannes non riusciva a spiegarsi perché Samuel avesse utilizzato il pronome “lei”, ma ad un’attenta meditazione, la scientifica non aveva certo affermato che Joker fosse un uomo…anzi, a pensarci bene di lui non sapevano proprio nulla, nemmeno il sesso.
Tuttavia la rossa era andata avanti con la convinzione di stare trattando con un uomo, partendo dal presupposto che i migliori omicidi appartenevano tutti a quella sponda, ma in quel caso evidentemente si era sbagliata.

Durante tutto quel tempo si era immaginata milioni di volte l’aspetto del suo ricercato numero uno, ma ora che tutte le sue fantasie si erano sgretolate, non sapeva veramente con chi avrebbe avuto a che fare.

In ogni caso, adesso che sapeva dove si trovava il suo covo, queste simile quisquilie non l’avrebbero di certo fermata seppur ben cosciente del pericolo che correva, benché ormai fosse abituata a portare con sé una rivoltella da svariati anni.

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L’aria marina le sferzava il volto con inaudita violenza.
L’oceano era in tempesta, quasi volesse trasmetterle un cattivo presagio.
Dal canto suo, la Duchannes non ignorava certo i messaggi che la natura le stava inviando, ma non poteva nemmeno tirarsi indietro.

Sarebbe andata avanti fino alla fine.

Il faro si stagliava alto sopra una scogliera, corroso dalle alte onde e dalla salsedine che, come acido, aveva cancellato la vernice bianco-rossa della costruzione.

A passi veloci si diresse verso l’entrata, ma improvvisamente si sentì vacillare.
La paura si fece breccia nel cuore della ventiduenne come un coltello in una piaga già sanguinante e ad ogni passo che compiva, acquisiva sempre di più la consapevolezza di stare rischiando seriamente la propria vita.
Ma ignorando completamente questo suo timore e facendo stupidamente riferimento al proprio istinto, attraversò la soglia trattenendo il respiro.

Un interminabile scala a chiocciola immersa nell’oscurità si ergeva sopra la sua testa.
Sgombrando così la mente da ogni pensiero negativo, la rossa iniziò a salire i gradini consumati in su, sempre più in alto, fino a toccare quasi il cielo.

Giunta all’apice dell’edificio, l’investigatrice incontrò una botola già aperta.
Ecco, quello era il momento di dare ascolto alla discrezione e procedere con cautela.

Stringendo tra le mani la pistola, Sem sbucò con la testa attraverso l’apertura e, dopo aver scandagliato la stanza assicurandosi della completa assenza di forme di vita, si issò facendo leva sulle braccia.

- Sei arrivata finalmente – la accolse una voce femminile che ruppe l’inquietante silenzio della saletta.

La ventiduenne si voltò di scatto, l’arma puntata dinnanzi a sé.
Una strana ragazza poco più che diciassettenne dai capelli bluastri era appoggiata con la schiena ad un’umida parete mentre fumava tranquillamente una sigaretta.

- Chi diavolo sei tu? – le chiese la rossa con voce alterata, anche se sentiva di conoscere già la risposta.
Dopotutto quelle iridi grigie le avrebbe riconosciute tra mille, così come il tono graffiante e spigoloso utilizzato dalla stessa.

- Avanti Sem, non hai certo bisogno che io mi presenti - .
Joker spense il mozzicone sotto un anfibio, soffiando fuori dalla bocca gli ultimi residui di fumo.

La Duchannes abbassò la pistola con enorme fatica poiché l’adrenalina che correva nel suo corpo le aveva irrigidito tutti i muscoli.

- Sediamoci – continuò la ragazza dai capelli blu indicando con il capo un tavolo di ferro situato su un lato della stanza.
Le due presero posto scrutandosi a vicenda, ma non come animali che si contengono la padronanza di un territorio, bensì con curiosità e contemporaneamente palesando un certo distacco.

- Avanti cara, sei tu l’ospite, quindi hai il diritto di porre per prima le domande – la invitò Joker appoggiando i gomiti sulla cattedra ed il mento sulle mani.
- Chi sei ? – cominciò l’investigatrice posando con un rumore sordo l’arma sul ripiano metallico.
La ricercata sghignazzò.
- Sono il tuo incubo da un anno a questa parte e mi chiamo Maya – si annunciò Joker con fare teatrale, sempre con la medesima espressione divertita, ovviamente non ricambiata dalla rossa.
- Maya… - ripeté la ventiduenne assaporando quel nome. Esso aveva un gusto speciale, indescrivibile a qualsiasi altra pietanza, ma molto simile a quello della vittoria.

- Perché uccidi ? - continuò la Duchannes dal volto imperscrutabile. Doveva necessariamente mantenere quell’atteggiamento freddo per non lasciarsi trasportare dal nervosismo e dalla voglia di strangolare quella pazza furiosa che, come qualsiasi altra persona normale, sedeva chiacchierando amabilmente e facendo battutine qui e là.
- Ammazzo perché mi va, perché ne ho bisogno e tu non sai cosa vuol dire avere una famiglia sfasciata – spiegò Joker, questa volta visibilmente toccata dall’argomento.
- Credimi, lo so bene – confessò la rossa, sospirando.
- No, tu non sai un niente ! – ribatté la ragazza dai capelli blu sputando fuori quella negazione, ferita dalla precedente affermazione della sua interlocutrice.

- Se tu e i tuoi stupidi amichetti non l’avete ancora notato, io ammazzo con un criterio: tutte le mie vittime erano padri incoscienti che maltrattavano i propri figli e mogli…poi il fatto che quei disgraziati fossero dei milionari sono tutte coincidenze –dichiarò Maya facendo un gesto con la mano come per sottolineare l’irrilevanza dell’argomento, anche se le sue labbra continuavamo a mostrare l’accenno di un ghigno.
La Duchannes annuì: in effetti quel particolare era da subito saltato ai loro occhi e gli psicologi che lavoravano con loro avevano ipotizzato un possibile collegamento tra la scelta dei bersagli e le vicende personali del killer, ma non conoscendone l’identità non avevano mai avuto la reale e concreta conferma di questa teoria.

- E credi che questa sia una motivazione valida per vendicarsi ? –
- Te l’ho detto, tu non sai niente di me e non potrai mai comprendere fino in fondo le mie ragioni – affermò la rea con decisione, accendendosi una seconda sigaretta.
Quindi, dopo averne aspirato il tabacco, Joker parlò di nuovo.
- Ora che mi hai trovata cos’hai intenzione di fare ? Arrestarmi forse ? – la interrogò trattenendo a stento le risate. Solamente l’idea la faceva sbellicare poiché lei non sarebbe andata in galera in nessun caso, volente o nolente.
- No – disse invece la Duchannes, andando contro ogni aspettativa dell’assassina.

La loro conversazione andò avanti ancora per ore. Le due avevano da sempre sentito il tacito bisogno di conoscersi fisicamente, di capirsi reciprocamente poiché, quasi come sorelle separate dalla nascita, erano ormai legate da un rapporto indissolubile.

Solo dopo quando l’investigatrice uscì dal faro, si accorse delle quaranta chiamate ricevute sul suo cellulare rimasto però spento durante la “chiacchierata”.
Ella uscì da sola, senza alcun prigioniero ammanettato al seguito.

Alla fine aveva deciso e ancora a distanza di anni, Sem era convinta di aver preso la scelta giusta.
Aveva lasciato andare Maya, l’aveva liberata dalle “taglie” che pendevano sulla sua testa lasciandole la possibilità di cercare sé stessa.
Perché era proprio questo che Joker cercava in tutti quegli omicidi: il significato della propria vita e la chiave per far volare via i sensi di colpa che la tenevano ancorata a terra come zavorre.

Quella ragazza era un’anima persa, sbattuta a destra e a manca dai venti del proprio dolore e accecata dalla vendetta.
Ella era molto tormentata, al contrario dell’idea di persona tranquilla e mai scalfita dalle difficoltà della vita che amava trasmettere agli altri.

A suo personale e modestissimo parere, la Duchannes aveva fatto un grande favore a Joker permettendole così di continuare la sua ricerca, ma solo dopo aver ricevuto la promessa dalla stessa di abbandonare la strada degli omicidi e dell’illegalità.

Ora il suo animo era in pace e soddisfatto: aveva risolto quell’odissea nel modo migliore e anche se il lavoro le imponeva di portare dei risultati concreti in caserma, la rossa aveva raccolto invece doni immateriali certo più importanti, che solamente un cuore è in grado di custodire.

Ad Hank e agli altri aveva raccontato una balla, dicendo loro che il ricercato era fuggito in un’altra città a bordo di un elicottero, ma l’hacker aveva fin da subito intuito che, in realtà, le cose non erano andate proprio così.

Tuttavia, il segreto che racchiude quel caso tutt’ora archiviato negli irrisolti è ancora conservato come un raro cimelio nella memoria dell’investigatrice Semiria Duchannes, attualmente corrispondente epistolare segreta dell’ex ricercata Maya.

  
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