Kurt
guardò la radiosveglia, fissando intensamente la data: 1
Giugno. Si voltò e
affondò il viso nel cuscino, iniziando il suo quasi
giornaliero rituale di
autocommiserazione.
Un
mese. Quattro settimane, trenta giorni e un numero sicuramente
considerevole di
ore che il suo cervello era troppo stanco per calcolare. Era passato un
mese da
quando lui e Blaine si erano baciati in quella sala fisioterapia. O
meglio, da
quando lui l’aveva baciato, senza poi potersi fermare a
studiare le sue
reazioni, ed era proprio quello il problema. Erano giorni che si
logorava nel
dubbio, ma, nonostante ciò, non era ancora riuscito a dirgli
una sola parola
sull’argomento.
Certo,
si erano visti un po’ meno, dato che Rachel, con il suo
tempismo perfetto,
aveva deciso di sposare Brody e Kurt era stato inevitabilmente
coinvolto
nell’organizzazione di quella cerimonia, rivelatasi una delle
esperienze più
esasperanti della sua vita.
Il
ricordo di quell’istante l’aveva accompagnato in
quei giorni in ogni suo gesto,
anche nelle giornate più piene, quelle in cui, dopo il
lavoro, era stato
costretto ad assaggiare ventitré gusti di gelato, tutti
fondamentalmente
uguali; e il pensiero di ciò che sarebbe potuto succedere se
quel Frank non li
avesse interrotti l’aveva tenuto impegnato durante tutte le
sue notti insonni.
Proprio per non abbandonarsi a quella fantasia, si scostò le
coperte di dosso, si
alzò di scatto dal materasso e si fiondò sotto
l’acqua bollente della doccia,
sperando che un’ustione di secondo grado estesa su tutto il
corpo l’avrebbe
distratto. Si guardò allo specchio, mentre si infilava
l’accappatoio, venti
minuti più tardi, e prese un importante decisione: avrebbe
risolto quella
situazione. Non sapeva come, ma promise a sé stesso, con i
flaconi di shampoo e
lo spazzolino di Rachel come testimoni, che l’avrebbe fatto,
entro mezzanotte, come Cenerentola.
Si
vestì e uscì di corsa, rifiutandosi di fermarsi a
pensare per più di quindici
secondi, terrorizzato all’idea che quella scarica di coraggio
sparisse tanto velocemente
quanto era arrivata.
Passò
le successive sei ora a visitare bambini, provando a concentrarsi solo
su
quell’attività, ma quando si trovò a
fissare la triste targhetta blu con su inciso
quel 713, che sembrava fissarlo con aria di scherno, fu assalito dal
panico.
Avvicinò due volte la mano alla maniglia della porta,
ritirandola
immediatamente, prima di riuscire realmente ad afferrarla ed
abbassarla.
“Kurt!”
lo salutò non appena lo vide, togliendosi le cuffiette dalle
orecchie e
avvolgendole intorno all’iPod.
“Uhm…
scusami, avrei dovuto bussare…” mormorò
Kurt, andando a sedersi sulla sua
sedia.
“Nessun
problema. Allora, come va con l’evento
dell’anno?” domandò, sorridendo. Maledetto sorriso assassino, pensò
Kurt,
mentre apriva la sua tracolla.
“Ecco
qui!” esclamò, passandogli l’invito. Era
un semplice cartoncino color avorio,
un po’ spesso, con una stampa oro (anche se Kurt e Rachel
avevano discusso sul
colore di quelle poche parole per circa tre giorni):
Rachel
Berry e Brody Weston sono lieti di invitarLa al loro matrimonio che si
terrà il
giorno 13 Marzo allo Shakespear
Garden.
Si
prega di confermare la propria partecipazione.
Con affetto, gli sposi.
Blaine
alzò gli occhi e il suo sorriso si allargò ancora
un po’, per quanto fosse
umanamente possibile, poi mormorò: “Sono
invitato?”
“Certo!”
rispose il più grande, rendendosi poi conto di aver sempre
immaginato che a
quel matrimonio ci sarebbero andati insieme.
“
Ma…”
“Per
il prossimo Marzo sarai sicuramente uscito da qui dentro!” lo
rimproverò,
intuendo quale fosse il problema.
Kurt
sospirò, prendendo seriamente in considerazione
l’idea di parlargli in quel
preciso istante, ma il suono del suo cellulare lo distrasse.
Da:
Santana.
Lady
Hummel, voi siete ancora convinti del fatto che
Obama abbia compreso nel Marriage Act anche i matrimoni tra fastidiosi
nani e
inquietanti uomini di plastica? Se dovesse avere ragione, inizia a
cercare un
vestito rosso per me!
Kurt
ridacchiò, poi mostrò il telefono
all’altro, dicendo: “Credo che questa sia la
sua interpretazione di si prega di
confermare la propria partecipazione…”
“Santana
è geniale.” commentò Blaine, il
pediatra s’incantò un secondo a guardarlo,
soffermandosi prima sul leggero strato di barba che gli copriva le
guance, poi
spostando, incautamente, gli occhi su quelle labbra piene e ancora
sorridenti.
“Hey?
Tutto bene?” chiese confuso il moro.
“S-si…
Stato soltanto pensando che… Insomma, è un
po’… che non andiamo a cantare per i
bambini! Dovremmo farlo!” finì con troppo
entusiasmo, insultandosi un secondo
dopo per la sua infinita mancanza di coraggio.
“È
vero!”
“Blaine,
dov’è la sedia?” chiese Kurt,
guardandosi attorno.
“Non
c’è. Non ti ho ancora presentato il mio nuovo
amico?
Bene,
Kurt lui è il deambulatore!” disse, indicando il suddetto.
Il medico si alzò e avvicinò l’attrezzo
al letto. Il paziente gli sorrise, emozionato
come un bimbo che mostra alla mamma di saper fare le capriole, poi si
aggrappò
all’asticella apposita e riuscì ad alzarsi.
“Prendiamo l’ascensore per i dipendenti,
è più vicino!” esclamò il
più grande
mostrando all’altro la piccola chiave che conservava sempre
nella tasca del
camice. Quando poco dopo raggiunsero il montacarichi, Kurt
infilò la chiave
nella serratura e le porte si spalancarono. Ripeté
l’azione per poter pigiare
il numero 3, dopo aver lasciato a Blaine il tempo di entrare. Il
pediatra
approfittò di quel momento per poterlo esaminare: qualche
ricciolo dei capelli
scuri ricadeva quasi sulle sopracciglia triangolari, lievemente
corrugate, come
se fosse sovrappensiero. I suoi occhi, un misto tra il nocciola e il
verde, che
sotto la dubbia luce dell’ascensore avevano assunto una
sfumatura dorata,
fissavano un punto imprecisato. La presenza della lieve barba delineava
la sua
mascella, perfetta cornice di quel volto, salendo poi a sfiorare il suo
labbro
superiore, da cui Kurt si sentì improvvisamente attratto.
Attratto non solo dalla
sua bocca, dai suoi occhi o dai suoi capelli; Kurt Hummel
capì di sentirsi attratto
da Blaine Anderson in tutta la sua persona, attratto dai suoi pensieri,
dalle
sue parole, perfino dalle sue paure. Senza curarsi del deambulatore che
impediva ai loro toraci di toccarsi, si avvicinò al moro e
poggiò le proprie
labbra sulle sue, lasciando correre la mano destra trai ricci
dell’altro.
Blaine ricambiò quasi subito, stringendo la mano sinistra
del medico, lasciando
che le loro lingue si conoscessero e danzassero insieme. Non sapeva da
quanto stesse
bramando quel contatto: forse da quando l’aveva visto a
Broadway,tutto in tiro;
forse da quando era entrato per la prima volta nella stanza 713
dell’Allen
Pavilion e, nonostante la situazione, erano riusciti a scambiarsi un
sorriso;
forse da quando avevano dormito insieme, o da quando si erano sfogati e
consolati l’uno con l’altro per la prima volta.
Minuto dopo minuto, giorno dopo
giorno, mese dopo mese, per Kurt il centro di gravità era
diventato un uomo
dagli occhi di un cucciolo, l’innocenza di un bambino, il
fisico da ballerino e
una strana passione per i farfallini da ottantenne eccentrico.
“Finalmente.” sospirò Blaine tra le
labbra del castano, poi aggiunse: “Non ci
speravo più.” Kurt ridacchiò piano,
staccandosi un attimo da lui per poi
riavventarsi sulle sue labbra.
Di entrambi, non si poteva dire che avessero avuto una vita fortunata:
l’apoteosi
del dolore per il castano era stata la perdita del padre, mentre per il
moro l’esplosione
di una vena troppo sottile nel proprio cervello. Nel passato, erano
stati vittima
di bullismo a causa del loro orientamento sessuale e nessuna delle loro
relazioni si era conclusa bene. Per un momento, nella loro vita,
avevano
pensato fosse quello il loro destino: la valvola di sfogo di una
qualche entità
soprannaturale che, non appena le loro vite sembravano migliorare,
riteneva
giusto cacciare dalla propria borsa morte, odio e paura per abbattere
queste
calamità su di loro. Né Kurt né Blaine
si erano lasciati abbattere da questo
pensiero: avevano trovato la forza di sorridere, di continuare ad
essere gli
amici che erano sempre stati per coloro che amavano, di ridere e far
ridere. Ma
qualcosa nella loro anima era rimasto incrinato: musicalmente, erano
come una
favolosa melodia suonata con uno strumento scordato.
Poi, era arrivato il giorno il cui il Karma aveva deciso di fregarsene
di Dio,
Buddha, Vishnu e quant’altri, e aveva deciso di fare un dono
a chi aveva
sofferto così tanto. Aveva regalato a due uomini un anima
gemella.
Le
porte si aprirono mostrando un infermiera che reggeva ancora la chiave
dei
dipendenti: “Santo cielo!” esclamò Alex
fingendosi indignata, poi aggiunse, alzando
eloquentemente le sopracciglia: “Se volete prendo le
scale..!”
“No, i bambini...” rispose il pediatra, uscendo
dall’ascensore.
“Vogliamo cantare per loro!” spiegò il
più piccolo.
“Non posso perdermi questa scena, vi seguo!”
esclamò emozionata la biondina,
avviandosi verso la stanza giusta. “E quelle?”
chiese dubbioso Kurt, guardando
le due piccole scatole di pillole che l’infermiera stringeva
in una mano.
“Andiamo, sono solo medicine, non morirà nessuno
per non averle prese!” si
lamentò lei. Blaine trattenne a stento una risata, mentre
invece l’altro si
impegnò a mantenere uno sguardo serio.
“E va bene, ma poi torno!” si arrese Alex, quasi
correndo verso le scale per
poterle salire il più velocemente possibile. I due si
sorrisero complici,
avviandosi dove i piccoli erano ricoverati.
Questa volta i bambini corsero verso di loro urlando allegri i nomi di
entrambi.
“Shh, sveglierete tutto l’ospedale
così!” li ammonì il pediatra.
“Ma se state per cantare!” ribatté una
delle bambine, facendo ridere i due.
“C-chi siete?” balbettò una bambina con
un caschetto castano, che Kurt non
aveva mai visto.
“Oh, ciao! Mi chiamo Blaine!” si
presentò l’altro, rivolgendole un sorriso a
trentadue denti.
“E io sono Kurt. Sei stata trasferita da un altro ospedale,
vero?” le chiese
apprensivo. Lei annuì, poi aggiunse:
“Lì non cantavano!”
“Qual’è la tua canzone preferita,
piccola...”
“...Katie, mi chiamo Katie. Quella... quella
dell’Eleone!”
Il
pediatra corrugò le sopracciglia, temendo di non conoscere
nessun film che si chiamasse
così.
“Oh,
il due vero??” suggerì Blaine, con gli occhi che
luccicavano. Sembrava così
felice che, se solo ne fosse stato in grado, avrebbe fatto i salti di
gioia: evidentemente
la sua mente da fanciullo gli permetteva di decifrare il linguaggio
talvolta
incomprensibile dei più piccoli.
“Quello con Kovu...” aggiunse la piccola castana
“...e Kiara!” concluse il
moro, voltandosi pieno d’aspettative verso Kurt, che
finalmente capì di cosa stessero
parlando.
“La cantate, velo?” mormorò Katie.
In
tutta risposta, il pediatra intonò il primo verso, con la
sua voce da soprano.
In a perfect world
One we've never known
We would never need to face the world alone
They can have the world
We'll create our own
I may not be brave or strong or smart
But some where in my secret heart
I
bambini avevano cominciato a canticchiare anche loro, dondolando la
testa
secondo il ritmo della canzone, mentre Blaine, che aveva preso posto ai
piedi
del lettino di Katie, guardava Kurt con un sorriso che sembrava pieno
d’amore.
I know
Love will find a way
Any where we go
I'm home
If you are there beside me
Like dark turning into day
Some how we'll come through
Now that I've found you
Love will find a way
Mentre
cantava, il più grande accarezzò la testa di
quasi tutti i piccoli, poi andò a
sedersi per terra, accanto allo stesso letto dove era seduto Blaine e
dove la
piccola bimba dai capelli a caschetto lo fissava a bocca aperta per lo
stupore.
Il riccio sorrise a Kurt guardandolo dritto negli occhi, poi prese a
cantare,
mentre l’altro rideva con Claire, che aveva fatto il giro
della sala per
raggiungerli.
I was so afraid
Now I realize
Love is never wrong
And so it never dies
There's a perfect world
Shining in your eyes
“Te
l’avevo detto che sembra proprio il principe Eric!”
sussurrò la piccola bionda
ad una sua amichetta, che annuì di rimando.
And if only they could feel it too
The happiness I feel with you
They'd know
Love will find a way
Any where we go
we're home
If
we are there
together
Ancora
una volta le loro voci si fusero, il timbro caldo di Blaine e quello
più alto
di Kurt, come un violoncello ed un violino che se suonati insieme
suonano come
una melodiosa viola.
Kurt avrebbe dovuto capirlo quella volta, quando avevano cantato A whole new world: il modo in cui
inevitabilmente
si guardavano mentre cantavano era sempre lo stesso. Non potevano
evitare di
sorridersi, di affogare l’uno negli occhi
dell’altro, e quell’aurea sembrava
permeare tutti coloro che avevano intorno.
Like dark turning into day
Some how we'll come through
Now that I've found you
Love will find a way
I know love will find a way.
Nell’istante
in cui i due tacquero, la stanza si riempì di applausi,
battuti da piccole manine.
“Che dici, posso chiederglielo?”
sussurrò Claire alla sua amica, che ancora una
volta rispose annuendo.
“Ehm...”
mormorò la biondina: “Ma siete
fidanzati?”
I due si guardarono per un istante, come se si stessero vicendevolmente
scrutando l’anima, poi risposero contemporaneamente:
“Sì.”.
Note
delle potters!
Ecco,
questo è il finale della nostra storia.
Certo, in realtà manca l’epilogo, quindi non
è che io possa scrivere proprio Fine...
però ormai è conclamato che i
nostri Klaine si amano tanto (finora lo sapevano tutti tranne loro :3) !
Nell’epilogo
ci saranno delle note chilometriche: per
il momento mi limito a ringraziare i 12 che hanno messo la storia nelle
preferite, i 10 che se la ricordano (?) e gli 89 (wow!) che la seguono!
Un bacione bacionissimo dalle potters, vi vogliamo tanto bene!
*sending virtual hug*
Also:
la nostra pagine facebook si chiama: Potters_continuous
EFP .